Pagine

venerdì 31 agosto 2012

Collasgarba, ancora!


Non ho proprio resistito alla tentazione di pubblicare un'altra fotografia d'antan. Questa proviene, una volta di più, dal munito archivio di Andrea Niloni di Ventimiglia. Raffigura, con epicentro il cavalcavia sulla ferrovia all'epoca appena costruito, la zona di Nervia della città di confine a inizio anni '50. Ripresa da una delle prime curve della strada, che era ancora sterrata, della collina di Collasgarba, segnata dall'ultima guerra.


Tra le immagini da me scattate di recente, l'unica che ho trovato circa lo stato attuale del cavalcavia é questa che precede.


Quella collina, intanto, inquadrata qui sopra parzialmente dal basso, mostra - in modo lacunoso - quanti recenti insediamenti vi si siano realizzati: a lungo l'unica costruzione - fatti salvi i ruderi più in basso della casa del direttore della vecchia tenuta agricola, sede di gioco di tanti adolescenti, altresì affascinati dai frutti dell'adiacente carrubo, qualche altro sparso più in cima, nascosto tra gli alberi e gli edifici nella parte di raccordo con il cavalcavia - rimase la villa padronale, oggi ristrutturata, visibile sotto il pino in alto a destra.


E così, per un raffronto tra il passato e il presente della località, devo procedere con vedute parziali e non precisamente sovrapposte, non avendo previsto che prima o poi mi sarei imbattuto nell'angolatura da cui sono partito.


Eccone un'altra, sempre da metà Collasgarba.

Invero, mi stavo preparando a scrivere qualcos'altro, ma ero incerto tra qualche accenno di storia o, come altri blogger, all'estate che sta finendo, avendo oltrettutto di riserva qualche fotografia specifica, comprese alcune proprio delle spiagge o degli scavi romani di Nervia.

Il fatto é che mi succedono strane coincidenze. Non solo rinvenire per Collasgarba e Nervia una congrua immagine (di scorci molto limitati ne ho anch'io) datata. Siccome cito spesso altrove sul Web il nome di quella modesta altura, così ricca di storia, anche recente, e non solo di ricordi familiari o personali, mi capita di essere talora interpellato in proposito di persona. Fornisco chiarimenti. Mi vengono raccontati episodi. Infine, rimedio l'invito a tornare lassù da chi ci é andato ad abitare solo da pochi anni, ma ha già ritrovato altre cose d'epoca...



domenica 26 agosto 2012

Discorrendo di fotografie d'antan


So bene che la prima fotografia che qui pubblico lascia alquanto - ad usare un eufemismo! - a desiderare sotto il profilo del politicamente (o civilmente) corretto, ma, a prescindere dal fatto che nel corso della storia quello della caccia fu un diritto - certo, ormai datato - duramente conquistato dalle masse popolari, mi serve per l'esordio di un racconto di fatti curiosi, legati a immagini d'antan, dalle quali, in un modo o nell'altro, non riesco proprio a staccarmi. Per inciso, lo scatto si riferisce alla Sezione Cacciatori di Ventimiglia, ripresa a maggio 1933 in frazione Varase. Nel gruppo, c'é anche il padre del conoscente, che ieri mi ha gentilmente prestato questo ed altri cartoncini di carattere venatorio, forse per interrompere la petulanza delle mie domande, tese in tutt'altra direzione di recupero della sua memoria.


Passo ad una fotografia - di famiglia - relativa alla Nizza-Genova di ciclismo del 2 marzo 1958 - inquadratura del cavalcavia in zona Nervia di Ventimiglia -, per proseguire in queste note.
Sempre ieri, avendo incontrato Gianfranco, mi é venuto in mente di passare con lui per un semplice parere tecnico dall'amico fotografo, titolare dello storico studio della città di confine.
Con mio stupore, mi esibisce l'originale di una fotografia degli anni '30 del secolo scorso, da me già pubblicata su questo blog, a lui prestata nel frattempo da mio padre, che vi é ritratto a margine di una cerimonia dell'epoca, svoltasi nella frazione Buggio di Pigna (IM). Si da il caso che in archivio, pur essendo stata fatta a suo tempo dal nonno, quell'atelier non ce l'avesse. Ma il vero rammarico di quel fotografo é stato quello di non poterla mettere nell'appena conclusa Mostra sull'89° Reggimento Fanteria, di cui qui io qualcosa ho pur detto. In questo caso la dimenticanza - mi dico oggi - é stata mia.
Siccome un discorso tira l'altro, di scatti d'epoca se ne é parlato a lungo a quel punto. All'amico fotografo ho già mandato, tra le altre, quelle fotografie della mia premessa: guardandole bene, mi sono accorto che anche queste erano uscite da quello studio.


Aggiungo ancora un'immagine d'epoca, scelta anche in ragione di temi da me già sfiorati, sempre per non riprodurre fotografie o cartoline già mostrate, perché di queste ieri soprattutto si é parlato. Ma, a stringere, un punto dolente é emerso quando siamo usciti dall'atelier, perché Gianfranco mi ha spiegato meglio il fatto di quante fotografie abbia "perso", di quelle che lo ritraevano con cantanti che si erano esibiti in anni neanche troppo lontani qui in Riviera. Forse qualcuno in zona ha dei duplicati...
Ma se penso che solo l'annuncio di una mia immagine con Claudio Villa ha destato un minimo di attenzione qui sul blog, cosa si dovrebbe dire se si ritrovassero fotografie di Gianfranco in conversazione con Luigi Tenco, scattate il pomeriggio della morte di quel cantante?

mercoledì 22 agosto 2012

Ancora quel vecchio bar di Ventimiglia

Quel bar di Ventimiglia (IM) torna spesso nei miei discorsi con tante persone, specie se amici cari. Mi riferisco al Bar Irene, di cui parlai qui in modo parziale, come mi fecero già allora notare commenti di altri che l'avevano conosciuto e frequentato. Il tema affiora quasi sempre in modo inaspettato. Perché non sono io che vado a sollevarlo. Mi é capitato spesso da quando, guardacaso, avevo buttato giù quelle quattro righe. Non con Nello, tuttavia, che almeno su questo aspetto prima di ripartire per Milano aveva contribuito a chiarire alla mia scarsa memoria un punto: nel secondo quarto anni '70 - e oltre - quell'esercizio era ancora una fucina di confronto culturale e civile, ma quella che brillava era la mia assenza dovuta ai miei nuovi - non importanti da sottolineare alla data odierna - impegni assunti all'epoca.
Forse, per proseguire nella questione, contano di più degli esempi. 
In un'occasione di questi giorni, in parte passati con G., come avevo preannunciato nell'ultimo mio post, un simpatico veneto, tecnico delle ferrovie ormai a riposo, ci postula a freddo anche lui l'esigenza di scriverla la storia di quel bar ai tempi - comunemente intesi - migliori.  E postula come metodo di base quello di intervistare un congruo numero di passati avventori. Un passaggio di mano del cerino acceso, insomma! 
Con Gianfranco Raimondo, incontrato sempre quando sono con G., mi si appalesa che il Bar Irene era anche un aperto ed estemporaneo punto di ritrovo. Tanto é vero che, mentre tutti e tre, io G., Gianfranco, in compagnia di B., deambuliamo per il centro città, sentiamo sostenere da altro conoscente che si aggrega la bellezza di poter avere dei similari centri di riferimento. Siamo tutti d'accordo che ce ne sono stati altri in zona, anche di recente, anche se meno fascinosi. Certe magie sono, invero, misteriose. Ma a nostra conoscenza oggi non sussistono neppure dei piccoli palliativi.
Ed allora Gianfranco, che conosco da quando ero bambino e che ha in serbo tante formidabili storie da raccontare, passa a svelare altri momenti più brillanti della vita - seconda metà anni '70 - del nostro vecchio bar, allorché il compianto secondo proprietario di quell'esercizio organizzava pure attività complementari: come la festa hawaiana su una spiaggia di Latte, alla quale si presentarono, per via di un tam-tam davvero straordinario, avventori direttamente da Torino.
Ci siamo rivisti ieri, io per salutare G. E ho trasmesso a tutti i saluti, come da telefonata a me pervenuta la sera prima, di un altro vecchio sodale dei primi tempi del Bar Irene, l'amico ormai eremita sulla collina di Seborga, che non si era più riusciti a rintracciare nei giorni precedenti... 
Sì. il Bar Irene era in una strada della soprastante fotografia...

sabato 18 agosto 2012

Tra Imperia e La Turbie...


Inizio con un'immagine antica (da Archivio Moreschi di Sanremo) di Porto Maurizio di Imperia, perché lì - dove mi sono presentato una volta di più, come aggiungerò in seguito, senza apparecchio fotografico - avevo appuntamento con riri e nicola, persone - cosa già nota! - affabili e simpatiche per andare poi a trovare insieme nella, che sul calore umano non é seconda a nessuno, che mi deve mandare la sua email se vuole vedere una certa mia fotografia con... Claudio Villa e che devo anche ringraziare per avermi presentato persona con cui l'impetuoso revival di brillanti episodi imperiesi ha subito uno stop solo per logici motivi di tempo.
 

Mentre con N. il giorno dopo ed un altro ancora, nonostante tutto, ci siamo trovati proiettati, magari con l'animosità dei ragazzi che fummo, più sul passato prossimo e sul presente. E la mia labile memoria non ha ancora perfezionato con il contributo di N. dettagli di episodi e di uomini, che sarebbe giusto ricordare.
Devo, però, sottolineare che, mentre mi accingevo a stilare queste note, mi sono ritrovato alcune email di N. con allegate dovizia di fotografie d'antan, forse utili per futuri miei excursus.
 

Ma anche una, che non pubblico, che mi ritrae sul Trofeo di Augusto a La Turbie dove, inopinatamente, in quanto nelle intenzioni altre erano le nostre mete, ci siamo ritrovati a fare i turisti per caso.
 

Anche a salire (N. dixit!) sulla sommità del monumento, nella parte accessibile al pubblico, perché protetta e sorvegliata.


E a girare per le viuzze, ottimamente tenute - N. me lo rimarcava ogni due passi - del sottostante borgo antico. E a riportare - almeno io! - centinaia di immagini a casa.
 

Non conto più, ad esempio, da quante angolature ho ripreso Mont Agel. E nella foga, soprattutto del discorrere, i risultati lasciano pure a desiderare.
 

Il Principato di Monaco. Dove lavorava a suo tempo G., altro amico - una sorta di... nostro agente segreto in Norvegia, come accennai già una volta - di cui con N. - e che egli ha rivisto (tanto per cambiare!) più spesso di me - abbiamo a lungo parlato, ma che, per ironia della sorte, si fa vivo per telefono da Ventimiglia appena N. é ripartito per Milano: lo incontrerò di persona oggi, ma, intanto, il vecchio trio non si ricompone ancora.


Nella zona di ponente di Ventimiglia, di cui mi limito a pubblicare una vecchia immagine di Ponte S. Luigi (sempre da Archivio Moreschi di Sanremo), io e N. avevamo girovagato qualche giorno più addietro ancora, senza, però, portarci addietro macchine fotografiche. Così sono rimasto stupito quando ho sentito da lui, che il mondo lo ha viaggiato (a memoria ricordo Namibia, Eritrea, Vietnam, Nuova Caledonia), parlare a quella data ora del giorno per i miei - e i suoi vecchi - luoghi di "luce di Singapore". Al che mi sono sentito alquanto confortato per la mia passione per certi scorci - quelli che si sono salvati dal cemento! - di questa zona rivierasca. E per la nostra visita estemporanea a La Turbie siamo allora arrivati, come già ampiamente evidenziato, opportunamente attrezzati.
 

Insomma, mi sono buttato - vista la selezione affrettata tra le tante cose (molte, invero, qui ininfluenti, perché private) che mi sono successe in queste giornate e che hanno contribuito a rendermi un po' latitante sul blog - con un titolo con cui cerco di fare lo spiritoso rispetto agli immortali versi di Dante, che, come si nota, a La Turbie, anche se ormai francese, non hanno di sicuro dimenticato.

venerdì 10 agosto 2012

Quel vecchio campo di aviazione!

 
Neanche questa fotografia (che proviene dall'archivio di Luca Giovannetti, al quale sono debitore pure di una vecchia immagine relativa a Ventimiglia Expò del 1996), rende appieno l'idea di come era il campo di aviazione in Zona Braie di Camporosso (IM), da molti ancora adesso definito di Nervia, più per la vicinanza all'omonimo quartiere orientale di Ventimiglia che - credo - per l'adiacenza al torrente eponimo.
 
 
Avevo invero già rinvenuto, grazie ad una segnalazione, questo che mi appare un collage riportato su qualche vecchia rivista. Ma qualcosa mi aveva suggerito di aspettare...
 
 
La parte a sinistra di questo scatto riprende forse una parte del terreno che fu occupato da quella struttura, che di sicuro si sviluppava oltre. Non ho pensato per tempo che avrei rinvenuto sufficiente documentazione d'antan per tentare un raffronto ieri-oggi.
 
 
Nei miei ricordi - a questi mi affido, benché sempre labili, ma ... é il blog, bellezza! - quei piccoli aeroplani, dovendo di necessità arrivare o dirigersi verso il mare, sorvolavano il ponte della Via Aurelia sul Nervia, non lontano da dove abitavo sinché (1962, direi) il campo fu in funzione. Mi pare, in proposito, che non siano molti anni, tuttavia, da che siano stati rimossi i fili con i palloni di segnalazione.

Fonte: Achille Pennellatore
 
Riesco ancora a rammentare che piccoli apparecchi - qualcuno mi ha sostenuto del tipo Piper -, sulla falsariga di tante stazioni ferroviarie, tra cui la piccola fermata di Vallecrosia qui sopra un po' visibile sulla sinistra al termine della curva dei binari, servissero all'esportazione di fiori della Riviera, quando la produzione era molto fiorente.

Ci fu un incidente con quei cavi, che affrettò la chiusura dell'esercizio. Il pilota si salvò, ma nell'impatto accidentale fuori perimetro perì una bambina. Episodio che avevo dimenticato, ma che Walter Pettorossi, involontario ispiratore di questo mio post, mi ha riportato da poco alla mente.
Invero, era una situazione pericolosa.

Fonte: Marino Rivella
 
Altri sottolineerebbero in questione diversi aspetti a me ignoti: ad esempio, potrebbe essere stato campo di scuola al volo.

Fonte: Achille Pennellatore
 
Mi premono personalmente altre memorie. A margine, e non solo, del terreno ormai dismesso giocarono a calcio molti ragazzini. Affiorando i ricordi, alcuni mi sostengono che vi arrivassero allo scopo anche da Ventimiglia centro e da più lontano ancora. 
Mi viene da rimarcare un simpatico esperimento condotto da un giovincello, che mise in piedi una squadretta, fornendola altresì di magliette uniformi. I "Canarini Boys"... Almeno un compianto insegnante di scuola media si fece ritrarre con loro, perché colleghi di un suo allievo (mio fratello) o più.
Ma a nessuno dei miei attuali interlocutori torna in mente che un po' prima si tiravano da quelle parti, a fianco della struttura, quattro calci al pallone, buttando a terra i due pali dell'unica porta e acquattandosi allorchè fosse stato in atterraggio un aereo. Non vorrei essermelo sognato, ma era poco prima della grande estate di Garrincha...

mercoledì 8 agosto 2012

Strumenti musicali a Seborga

 
Avevo accennato all'Esposizione di strumenti musicali di Seborga (IM). L'altro giorno risalendo al paese ho visto che nei pressi di questa sorta di incrocio della provinciale con il carruggio che qui sopra si può notare ci sono dei nuovi piccoli parcheggi, che mi sembrano pubblici. E da quella salitella in pochi metri si é alla sede di quella Raccolta.
 

Edificio, come si potrà notare, ristrutturato di recente. Ma forse certi dettagli sono ininfluenti.

 Un'ala, funzionale, della Mostra.

 
Un dettaglio. Strumenti dei primi del 1800, in ogni caso. L'avevo già detto che sono più di 250? La qualità delle immagini, stante la chiusura delle vetrinette, lascia un po' a desiderare. Ma in quell'occasione si abbinava una certa mia fretta di raggiungere il mio amico che mi aspettava con l'esigenza di non intralciare la visita di altre persone. D'altronde mi sembra sussistano sufficienti motivi per motivare una capatina da quella parti. Di sicuro le mie successive, da compiere con più attenzione.
 
 
Giuliano Fogliarino, di cui ricordavo gli inizi giovanili della sua raccolta di strumenti musicali, che, incrementata negli anni, é diventata, come si sarà compreso, di valenza pubblica, mi aveva prima ricevuto a casa sua, da dove, in giornate di buona luce naturale - non come quella del mio incontro -, si godono panorami mozzafiato. Ma già solo quello che si può scorgere su quella terrazza comporta altri spunti, visto che Giuliano si occupa di diverse cose...

venerdì 3 agosto 2012

Un gesuita di Taggia che nel Seicento viaggiò in Estremo Oriente

Nasce nel 1608 nel territorio della Serenissima Repubblica di Genova, a Taggia, di cui qui a fianco si può vedere una fotografia dello storico ponte, Giovanni Filippo De Marini, gesuita e missionario in Estremo Oriente. 

Entra nella Compagnia fondata dal Loyola nel 1625. Dopo 13 anni, nel corso dei quali matura ed affina le doti potenziali di missionario, s'imbarca per le Indie nel 1638. 

Prima tappa, il Tonkino, di cui, come accennerò tra breve, lascia per iscritto vivi ricordi di attuale efficacia espessiva.

Incontra in breve tempo il favore dei superiori, se abbastanza presto gli viene affidato l'incarico di Rettore del Collegio Gesuitico di Macao.

Senza dimenticare che é pur sempre uomo del suo tempo, connota una sua originale curiosità, sulla falsariga di altri missionari gesuiti, il più famoso dei quali è certo Matteo Ricci.

E' in Italia, a Roma più precisamente, nel 1660, ma prova un'incontenibile nostalgia per l'Asia, nella quale, per l'esattezza in Giappone, torna definitivamente nel 1674.


Durante l'ultimo suo soggiorno nella penisola, compare il suo scritto più importante, l'Istoria e relazione del Tunkino e del Giappone, del 1663, ma di cui si ricorda un'edizione veneziana del 1665. Un'opera di sicuro di rilievo per una comprensione storica delle conoscenze geografiche dell'epoca, un libro anche agile, nonostante certe pesantezze dell'inevitabile barocco.

Prima di accennare alle sue convinzioni più profonde - il De Marini é pur sempre un religioso, missionario per giunta -, voglio produrre almeno un esempio della sua attenzione più umana: assistendo ad una gara locale di voga, da lui descritta in modo plastico, se ne esce con un vivido paragone mutuato oggettivamente dalle sue esperienze di adolescente che vide il mare ligure.

Il De Marini scrive anche un celebre "Elogio di Confucio", che la dice lunga su certo sincretismo operato in Oriente da tanti esponenti della sua Compagnia. Là, mi permetto di dire io, i Gesuiti non sono così filantropi come con gli indios del Paraguay. Più semplicemente cercano di essere realisti a cospetto di grandi potenze statuali. La Cina lo é ancora in quel momento. Certa spregiudicatezza intellettuale della Compagnia, per sua implicita connessa invasiva arroganza, la stessa di altri ordini religiosi operanti a quelle latitudini, non le evita, come noto, periodi alterni di scontri con le popolazioni, ma anche di persecuzioni  da parte di autorità locali.

Tornando al De Marini, occorre aggiungere che in Giappone, nonostante la complessità dei tempi, sa come al solito destreggiarsi. Muore, esempio di un certo pendolarismo professionale, a Macao nel 1682.

In definitiva, potrei sostenere che De Marini é semplicemente una gloria - faccio per dire, perché poco nota! - locale. Ma, a mio avviso, avendo fatto le sue missioni, in cui profondamente credeva, con sensibilità umana, e avendo trasmesso cospicua documentazione sui suoi soggiorni in Estremo Oriente, é anche una figura interessante sotto molti riguardi.