Pagine

Visualizzazione post con etichetta Enzo Maiolino. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Enzo Maiolino. Mostra tutti i post

venerdì 8 dicembre 2023

Francesco Biamonti sapeva di trovare spesso Sergio "Ciacio" Biancheri sul lungomare di Bordighera

Bordighera (IM): il Lungomare Argentina

Si racconta che Bruno Fonzi avesse preso in carico una borsa di svariati appunti, tutti di Giacomo Ferdinando Natta, una volta defunto quest'ultimo, con l'impegno di condividere, in funzione di future occasioni di valorizzazione, il materiale per così dire ereditato con diversi attori dei cenacoli letterari ed artistici che facevano perno anche su Bordighera: da quel lontano 1960 si sono perse, purtroppo, le tracce di quel prezioso retaggio.

Francesco Biamonti sapeva di trovare spesso Sergio "Ciacio" Biancheri sul lungomare di Bordighera intento ad abbozzare talune delle sue splendide "Marine": capitava altrettanto di sovente che chiedesse ed ottenesse in dono dall'amico pittore alcuni degli schizzi di prova, che al futuro scrittore di San Biagio della Cima sarebbero in seguito serviti per atti delicati di galanteria in ambito femminile.

Un altro amico pittore di Biamonti, Ennio Morlotti, introdotto casualmente in quella compagnia (i nomi che qui corrono ed altri ancora che non verranno citati animarono irripetibili stagioni culturali di Bordighera, talvolta anche della zona e del ponente) da Guido Seborga, trovò nella vicina Ventimiglia un mecenate molto discreto che, ospitandolo vicino a Porta Marina, gli diede l'occasione di studiare con calma i paesaggi, in particolare quelli aspri, e la natura del ponente ligure.

Guido Seborga, dal canto suo, non pago di avere già suscitato alti pensieri e valorizzato giovani di intelletto, una volta dedicatosi anche alla pittura, ben volentieri impartiva in Bordighera, sul finire degli anni Sessanta, disinteressate lezioni in materia, molto apprezzate da freschi virgulti.

Nico Orengo, il vero scopritore di Francesco Biamonti, quando presente nella zona di Ventimiglia e Bordighera, si teneva in genere più defilato in prossimità del confine francese e in Val Nervia, in località che furono per lui (come noto) grandi fonti di ispirazione.

Di Lalla Romano e di Francesco Biamonti esiste una fotografia che li colse in un intenso, plastico conversare. La scrittrice - ed artista - che già in gioventù aveva frequentato la Riviera, segnatamente Sanremo, cui in seguito la legarono anche altri affetti, nella sua intensa vita, conclusa in un luogo altamente evocativo, quale Brera in Milano, fu anche una grande amica di Bordighera, come tante tracce lasciate ancora documentano. A Lalla Romano in Bordighera è stata intestata una viuzza pressoché di campagna, a settentrione di regione Due Strade, non discosto dalla Frazione Borghetto San Nicolò.

Quasi a chiudere un minuto racconto, non si può dimenticare che Enzo Maiolino, sodale apprezzato da tanti personaggi, qui menzionati e non,  e da sempre al fianco di Luciano De Giovanni, il quale non disdegnava, pertanto, frequentazioni di Bordighera, meditava ancora poco prima della morte, sulla base di scritti che forse si illudeva di ritrovare ancora, e proprio nella città delle palme, di realizzare un'opera altamente compiuta sulla figura di Giacomo Natta, a cui, peraltro, aveva continuamente dedicato forte attenzione sotto forma di saggi critici e, addirittura, di cura di ristampa di talune opere.

Adriano Maini

martedì 1 giugno 2021

Circa la Mostra di Genova dedicata ad Enzo Maiolino

Fonte: Università degli Studi di Genova

L'insegnamento come condivisione non solo di saperi, ma anche di esperienze e di progetti: è nata così la mostra "Enzo Maiolino, Astrazione e Geometria", visitabile presso Prisma Studio
[...] È stato infatti un ex allievo, Andrea Daffra, laureato in Storia dell'Arte e specializzato in Beni storico artistici all'Università di Genova, a rendermi partecipe del suo desiderio di ricordare con una piccola antologica Enzo Maiolino, all'approssimarsi del quinto anniversario della scomparsa, avvenuta a Bordighera l'11 novembre del 2016. A Maiolino ero legata da un profondo rapporto di amicizia e stima, durato oltre quindici anni; l'incontro del giovane studioso con l'artista è avvenuto, invece, solo sui libri, favorito da lezioni nelle quali alcune opere realizzate da Enzo nelle diverse fasi della sua lunga ricerca mi avevano fornito validi strumenti per spiegare i complessi passaggi dalla pittura "dal vero" a quella "concreta", ossia puramente geometrica, passando attraverso la delicata fase dell'"astrazione", processo in cui il dato naturale, che suggerisce a un pittore una determinata composizione, viene semplificato, ridotto alla sua essenza formale e cromatica. Di questo processo Maiolino è stato un poliedrico interprete: appassionato studioso della pittura di Modigliani e di Morandi, ha saputo declinare sulle architetture dei borghi arroccati dell'entroterra ligure la capacità di sintesi con cui il primo traduceva in pittura volti e corpi femminili, il secondo bottiglle, bicchieri e scodelle.
A Bordighera dove aveva vissuto dall'adolescenza Maiolino aveva frequentato lascuola d'arte del pittore Giuseppe Balbo - "l'incontro più importante" dei suoi vent'anni, per citare le sue parole - e aveva preso parte attiva alla vivace stagione culturale che aveva animato la cittadina rivierasca negli anni cinquanta, stringendo tuttavia legami più stretti e profondi con gli scrittori, i poeti, gli intellettuali (da Guido Seborga a Francesco Biamonti, da Vanni Scheiwiller a Saverio Napolitano) piuttosto che con i pittori, soprattutto quelli locali, per lopiù ancorati alla tradizione della pittura dal vero e scettici nei confronti di una ricerca che abbandonava la riproduzione fedele dell'esistente per creare immagini appartenenti solo al mondo delle idee. Fanno eccezione alcuni grandi artisti "di passaggio" in Riviera, come Ennio Morlotti e Antonio Calderara, altro grande protagonista dell'astrattismo italiano, nei quali Maiolino aveva trovato interessati interlocutori ed estimatori. Nonostante questi rapporti, il riconoscimento di Maiolino come artista tarda ad arrivare: di carattere schivo, fedele al proprio motto "non bussare e ti sarà aperto", egli conduce per anni la propria originale e rigorosa ricerca in uno studio colmo di libri e di articoli di giornale e, d'estate, nel suo"buen retiro" di Castelvittorio, paesino inerpicato della Val Nervia. La porta, per Maiolino, si apre nel 1993: ad attenderlo sulla soglia trova il critico tedesco Walter Vitt
[...] La seconda sala della galleria accoglie i dialoghi "fondamentali" nell'opera di Maiolino: quello tra pittura e incisione e quello tra astrazione e geometria, che dà anche il titolo alla mostra. Nell'ultima sala, una ricca selezione di opere pittoriche, concepita nel suo audace allestimento da Andrea Daffra, che con me ha curato l'intera mostra, dimostra la fervida fantasia con la quale Enzo Maiolino ha usato i suoi sistemi formali di riferimento (i pentamini, gli esamini, il tangram) come un'inesauribile fonte dalla quale attingere i motivi composivi e soluzioni cromatiche sempre diverse.
Paola Valenti, Se l'arte unisce saperi e progetti, la Repubblica, Genova, Domenica 30 maggio 2021
Il 25 settembre 1993 Enzo Maiolino ricevette, nella sua casa di Bordighera, la visita di un suo ex allievo, lo scultore Roberto Cordone, nato a Vallecrosia ma da tempo residente in Germania. Cordone era accompagnato da una coppia di amici tedeschi, il critico d'arte Walter Vitt e sua moglie Luiza. Bastarono pochi minuti perché quel giorno si trasformasse nell'inizio di un nuovo capitolo nella biografia di Maiolino, un capitolo costellato di successi espositivi e di meritati riconoscimenti critici destinato a protrarsi sicuramente almeno fino al 2003, quando la sua opera grafica sarà oggetto di una nuova mostra presso la Galleria Civica Villa Zanders di Bergisch Gladbach.
Vitt rimase immediatamente colpito dall'artista e dall'uomo Enzo Maiolino: tre anni più tardi nella presentazione di Trasparenza, una cartella comprendente otto stampe originali a colori, pubblicata in occasione del settantesimo compleanno dell'artista dall'editore Hoffmann di Friedberg, il critico ritornò a quel settembre 1993 in cui per la prima volta poté prendere visione del "Bildkosmus", del cosmo figurativo di Maiolino, e ricordò come subito il suo  pensiero fosse andato alla vita e all'opera di Giorgio Morandi, alla sua "Kunslerexistenz" nella dimensione appartata della provincia, lontano dai clamori e dalla mondanità, caparbiamente e quasi devotamente dedito al proprio lavoro. In quello stesso scritto Vitt evidenziò come entrambi gli artisti, in tempi e modi differenti, avessero contribuito al rinnovamento del linguaggio dell'arte senza partire dal presupposto della necessità di superamento del "quadro", ma anzi puntando sullo sviluppo e sul potenziamento delle possibilità insite nel "tradizionale" supporto bidimensionale offerto dal foglio o dalla tela. Vitt sottolineò come i due artisti fossero accomunati anche dalla predilezione per la  tecnica incisoria e per il piccolo formato: a partire dalla metà degli anni Settanta, quando i motivi architettonici che avevano popolato le opere di Maiolino prima in forme realistiche e poi, a partire dal 1955, in rigorosi incastri costruttivi, si dissolsero in pure geometrie l'artista trovò infatti in fogli e tele di formato ridotto il supporto più idoneo. Questa riflessione sul passaggio dalla figurazione architettonica alla pittura concreta indusse Vitt ad accostare il nome di Maiolino a quello di Walter Dexel, artista bauhausiano che cinquant'anni prima aveva compiuto un analogo percorso.
Affascinato dalla capacità di Maiolino di dare forma ai suoi lavori secondo il concetto di armonia definito da Vitt "sovrano", senza alcuna necessità di ricorrere alla simmetria, il critico tornò ad accostare il nome di Maiolino  a  quello di Dexel e di Mondrian, artisti che avevano potuto permettersi di bandire la simmetria dalla loro opera.
Maiolino esordì dunque in Germania introdotto da un'acuta ed entusiastica presentazione. La pubblicazione della cartella Trasparenza, che accoglie questo testo è frutto della collaborazione avviata già nel 1994, grazie all'impegno e alla mediazione di Vitt, tra Maiolino e "Slu" Slusallek delle edizioni Hoffmann. Il primo incontro fra i due avvenne all'inizio dell'ottobre di quello stesso anno in occasione della seconda visita di Vitt a Bordighera.
Vitt visitò l'artista nel giugno 1995 e poi ancora nell'aprile-maggio 1996. Era allora con lui Pater Volkwein del Museum fur Konkrete Kunst di lngolstadt: cinque mesi più tardi il museo avrebbe ospitato la prima tappa della grande mostra dedicata a Maiolino per il suo settantesimo compleanno che sarebbe poi stata ospitata presso la Galleria Hoffmann di Friedberg, la Gesellschaft fur Kunst und Gestaltung di Bonn e il Josef Albers Museum Quadrat di Bottrop. Nel saggio in catalogo Vitt ricostruì la vicenda artistica e biografica del pittore e incisore italiano e diede voce allo stesso artista che attraverso due brevi brani si racconta al lettore-spettatore con quella precisione e semplicità che contraddistinguono il modo in cui egli si rapporta con i suoi inter1ocutori.
La stampa tedesca si rivelò attenta e interessata all'opera di Maiolino: nell'inserto culturale del "Oonaukurier-lngolstadt" Uli Seidler dedicò un lungo articolo alla mostra.  Seidler individuò nella riduzione delle forme che veicola il passaggio da un'arte dagli evidenti rimandi figurativi ad una produzione concreta e nella capacità di graduare i toni dei colori - questi ultimi, al contrario delle forme, mai "ridotti" bensì infinitamente variati nella gamma e nei giochi di luce e di ombra a  ui l'artista li sottopone - i punti di forza dell'arte di Maiolino.
[...] Fu però la mostra di Bottrop, arricchita di 22 opere, ad avere una maggiore risonanza: già il giorno precedente l'inaugurazione la "Stadtzeitung Bottrop" definì "magica, suggestiva, affascinante, ricca di poesia e al tempo stesso rigorosa" l'arte della Trasparenza di Maiolino. Per la prima volta, in quello stesso articolo, venne accostata al nome di Maiolino quello di Josef Albers: in molte delle opere concrete dell'artista italiano, laddove protagonista era il quadrato o altri parallelogrammi da esso derivati, venne visto un omaggio al grande artista tedesco. Ad una settimana dalla mostra, sulle pagine culturali della "Ruhr Nachrichten", accanto ai nomi di Mondrian, Albers e Malevich, indicati come modelli di Maiolino nella sua "sperimentazione" costruttiva e concreta, Konrad Schmidt avanzò, per le opere con ancora evidenti rimandi figurativi, anche quelli di De Chirico e del Carrà metafisico.
Con Bottrop si concluse l'iter tedesco della prima mostra dedicata da Vitt a Maiolino. Nel 1997 l'Istituto Italiano di Cultura di Colonia ospitò una mostra di acqueforti e serigrafie dal 1975, sempre per la curatela di Vitt. L'anno successivo cinque dipinti ad olio di Maiolino, acquistati nel dicembre 1998 dalla sede di Colonia della WDR (Westdeutscher Rundfunk), la radio statale tedesca, per la sua ricca collezione d'arte, vennero esposti nella mostra organizzata in occasione del pensionamento di Vitt che vi aveva lavorato in qualità di capo redattore.
Nel frattempo Vitt si era già messo al lavoro per perseguire un altro ambizioso obiettivo: egli voleva presentare al pubblico tedesco anche l'opera grafica di Maiolino. Questo progetto si concretizzò nel catalogo generale dell'opera incisa e serigrafica destinato anche ad accompagnare un nuovo ciclo di mostre, la prima delle quali si tenne ancora una volta presso la Gesellschaft fur Kunst und Gestaltung di Bonn.
Nel saggio in catalogo Vitt sottolineò il pari valore nell'ambito della produzione artistica di Maiolino dell'opera incisa e di quella pittorica, sia per la continuità con cui l'artista si è dedicato alle diverse tecniche incisorie, sia per l'uso del tutto particolare che egli ha fatto del mezzo, impiegato senza scopi mercantili e solo in funzione del conseguimento di un particolare risultato in termini espressivi e formali.
Dopo Bonn il Westfalisches Landesmuseum fur Kunst und Kulturgeschichte di Munster ha ospitato la seconda tappa dedicata all'opera grafica di Maiolino, mettendola a confronto con quella di Josef Albers in una doppia mostra dal titolo Joseph Albers und Enzo Maiolino. Positionen konkreter Druckgraphik (Josef Albers e Enzo Maiolino. Posizioni della Grafica Concret).
Ancora una volta la stampa tedesca non ha fatto passare inosservati questi due eventi: se Heidrun Wirth dedicava il suo articolo alla "mano ferma del maestro", sulla pagina del "Kolner Stadt-Anzeiger" campeggiavano le "rigorose forme" di Maiolino e Johannes Loy definiva entusiasticamente "una vera e propria scoperta" l'opera grafica dell'artista italiano esposta a Munster accanto alle opere di Albers. Loy concludeva il suo articolo auspicando che dopo il successo ottenuto in Germania la mostra genovese di Villa Croce potesse portare a Maiolino il meritato riconoscimento anche nel suo paese. Un augurio che ci sentiamo senz'altro di condividere.
Paola Valenti, L'avventura tedesca di Enzo Maiolino, La Riviera Ligure - Quaderni quadrimestrali della Fondazione Mario Novaro Anno XII - numero 35, maggio-agosto 2001

martedì 26 gennaio 2021

Sono un pittore naturalista

Joffre Truzzi, Pescatori, 1955 (olio su tavoletta) - Fonte: Joffre Truzzi

Joffre Truzzi nasce a Revelastocke in Canada il 18 marzo 1915 da genitori mantovani emigrati in cerca di fortuna in Canada.
Ma la vita dura, la mancanza degli affetti, fanno ammalare il padre di Joffre, e dopo pochi anni ritornano sulle rive del Po nel loro paese di origine San Benedetto Po.
Già da giovane Joffre amava i colori,  la pittura, ma fu solo durante la seconda guerra mondiale, mentre lui era stato "liberato" dagli Americani che venne scoperto dal Principe Pignatelli Cortès di Napoli, che lo prese sotto la sua protezione affinchè le sue doti evolvessero... ma la fidanzata Angela lo reclamava a casa... e così, suo malgrado, fece ritorno al paese e si trasferì in Liguria, a Bordighera, dove visse sino alla sua morte, avvenuta il 28 febbraio 2006.
A Bordighera, pur lavorando, entrò a far parte della scuola serale d'arte del Maestro Giuseppe Balbo, dove conobbe altri allievi poi diventati famosi, come Maiolino, Sergio Biancheri, Renzo Cassini, Sergio Gagliolo ed altri. Vinse alcune manifestazioni, fra cui il premio delle 5 bettole, che possiamo considerare il suo riconoscimento ufficiale, partecipò al premio di pittura americana (mentre a Bordighera venivano esposte opere di artisti americani, opere dei nostri artisti vennero esposte  negli Stati Uniti, in una mostra itinerante che toccò 20 città importanti).
Le opere esposte, tra le quali alcune di Truzzi, fecero poi parte della collezione della Galleria di Stato dell'Oregon, considerato a tutt'oggi una fra le più importanti rassegne d'arte contemporanea degli anni cinquanta sul territorio ligure. Truzzi espose anche in Francia a Villefranche sul Mer, nella vicina Costa Azurra nel 1957. In quell'anno fece una delle più importanti conoscenze, sia a livello personale che artistico: conobbe Ennio Morlotti, il quale, anch'esso lombardo, veniva volentieri a Bordighera, dove aveva in affitto un atelier, e dove dipingeva insieme a Truzzi. Ma non si accontentavano di dipingere e viaggiare per le strade tortuose del nostro entroterra, alla ricerca di anfratti, viste di rovi o uliveti... essi andavano alla ricerca dei luoghi frequentati da un loro idolo, il Maestro Cézanne, che aveva il suo studio-abitazione a Aix en Provence.
dal catalogo della Mostra: Joffre Truzzi. Dipinti, disegni, incisioni, Centro Culturale Polivalente ex Chiesa Anglicana di Bordighera (IM), 3 dicembre 2005 - 8 gennaio 2006, a cura del prof. Leo Lecci di Genova

[Joffre Truzzi] è rimasto com'era, con qualcosa di più gracile, di più poetico nei suoi quadri: gli stessi paesaggi d'allora, ma come sospesi nel vuoto, con dolcezze più apparenti e toccate dalla vertigine". "L'inevitabile manto della malinconia s'è istoriato di scene gioiose, di azzurri aggrediti dall'ombra, di viola vibranti, di dorati che vanno verso il caos o la pace materica. Possibile che la vita nella sua erosione sia sempre eguale?  Francesco Biamonti

Bordighera ha un suo muratore-pittore, si chiama Joffre Truzzi, ha 33 anni, i competenti gli pronosticano un brillante avvenire.
[...] Truzzi dipinge soltanto la domenica, gli altri giorni li trascorre sugli alti ponti delle case in costruzione. [...]
Una sua personale, ha ottenuto in questi giorni, a Bordighera, un ottimo successo e le vendite sono state notevoli. Ma Truzzi non si è montata la testa e continua, nei giorni feriali, a lavorare di cazzuola [...]
La sera - tutte le sere , dopo il duro lavoro - frequenta lo studio del professor Giuseppe Balbo. Gli tengono compagnia altri giovani allievi che ascoltano le “storie” dei grandi pittori del passato con gli occhi sgranati, come fossero fiabe. Mario Caudana, 1948

Dieci anni fa Truzzi, la domenica batteva le strade delle nostre campagne; le dipingeva instancabilmente; riempiva due o tre cartoni nella stessa giornata. Il paesaggio era studiato con amore, con ostinazione; fino a che il pittore non ne avesse sceverato i caratteri distintivi di paesaggio ligure.
Questo contatto durò sino al 1950, poi ci fu una specie d’arresto. Il pittore si chiuse nel suo studio, elaborò composizioni che s’ispiravano al lavoro dei contadini e in modo particolare a quello dei muratori, tra i quali egli viveva e lavorava. Il colore s’incupì, agli accordi squillanti dei gialli, dei rossi, dei verdi, dei precedenti paesaggi, seguirono accordi di terre e di neri.
Era nata una pittura che poteva chiamarsi neorealista.
Ma il paesaggio ligure lo riprese. Questa volta fu l’architettura dei paesi a incantarlo. Costruzione di muri screpolati, archi, blocchi desolati, Truzzi vagava di paese in paese, solo prendendo qualche appunto. [...].
Dipinse quindi grandi tempere, drammatiche architetture in bleu e in terra rossa. Egli mostra eccezionali doni di fantasia: come dire che è artista per essenza. (Ci sono nei suoi quadri accordi di colore del tutto nuovi).
Parte dal vero verso liriche variazioni, in visioni delicatissime di case, alberi, colline. La voce del suo paesaggio è nuova (austera e anche mistica) sconosciuta è l’aria e la poesia che lo anima.
Giacomo Ferdinando Natta, 1957

È un merito, il tuo, di poesia, del quale tu sai che penso quello che pensa il finissimo amico Natta.
Carlo Betocchi, 1959

Nei “Paesaggi dell’entroterra ligure” di Joffre Truzzi, dominano gli alberi, quali protagonisti dei misteriosi drammi ignoti all’uomo e dietro si mostrano rudi case o s’aprono scenari di cieli gialli o verdi, rossi o cinerei, accesi o cupi […]. Fantasioso e spontaneo, c’è un impeto primitivo in queste tele, un soffio aspro e nuovo nelle tonalità accese. Il tocco a spatola è denso, talora violento. Jole Simeoni Zanollo, 1959

Truzzi è un pittore in cui l’affetto alla terra in cui vive e lo spasimo della memoria che vorrebbe conservare ogni momento felice, restituirlo in note ferme e definitive, operano con egual forza permettendogli di colmare, talvolta con reale felicità, lo iato tra la tradizione di una pittura condizionata al sapore di una regione, di un paesaggio, e le più remote ricerche intorno all’autonomia del quadro inteso come oggetto in sé sufficiente, cadenza di colori e di forme disposte secondo un ordine di individuale invenzione. Nessuna polemica esplicita in questa pittura; eppure una carica densa, un gruppo di ragioni pro qualcosa e contro qualche altra cosa [...] che, comunque la si giudichi, è una delle forze di questi quadri, sotto la loro più superficiale apparenza quasi crepuscolarmente gentile o vivacemente lieta. Riteniamo che la loro lettura non sia poi così facile come può sembrare. Ma che tanto più premieranno l’attenzione di chi vorrà non amarli di un’immediata adesione, accoglierli per un movimento incontrollato, ma scrutarne il riposto vigore, ripercorrere il lavoro da cui è nato il loro sbocciare felice. Che è poi sempre il miglior modo di aderire ad espressioni che si presentino cordiali e quasi disarmate. Far insomma del consenso alla bellezza del colore, alla spontaneità della resa mezzo per un ulteriore approfondimento. Albino Galvano, 1962

Joffre Truzzi, Paesaggio (olio su tela) - Fonte: Joffre Truzzi

Nato in Canada, Joffre Truzzi, vive a Bordighera dove la malia della natura, per un pittore che per temperamento deve sentirne tutto il fascino, gioca il suo ruolo ispiratore. Luci e colori, come si nota nei dipinti ch’egli espone ora al Grifo, si configurano nei rapporti di quelle macchie cromatiche sottilmente modulate negli impasti dosati con abilità: modulazioni e dosature che in fondo caratterizzano la sua pittura anche rispetto ai riferimenti stilistici che, nel presentarlo, Albino Galvano riassume con un appropriato “Morlotti revu par Bonnard”. Angelo Dragone, 1962

[Truzzi] si presenta con una serie di interessanti paesaggi, realizzati ad olio, nei quali case, colline ed alberi della riviera ligure appaiono calati in una unità tonale a basse vibrazioni cromatiche di alta suggestività lirica. La luce, che nei quadri di Truzzi nasce dall’interno delle piatte zone di colore, commenta strutture paesistiche dove i muretti a secco, i casolari di campagna, le masse di verde rappresentano momenti di una visione sensibilizzata della realtà, visione non ignara delle ultime resultanze della più valida pittura italiana. Carlo Segala, 1963

Se penso sia raro trovare un pittore altrettanto fedele alla sua natura (ch’è segno probante di vocazione); credo appaia altrettanto evidente che lo stimolo maggiore al suo lavoro, Truzzi lo attinge dal più complesso moto della realtà. Questa realtà, egli sa benissimo che in parte preponderante e in primo luogo si trova dentro se stesso e non sopra, non fuori, non in gazzette, in professori, in ideogrammi; sa ancora che parte importantissima della realtà, oggi quasi totalmente trascurata, è il paese dove si vive, con la gente, gli alberi e il cielo, sa inoltre che la realtà sono la storia e la tradizione […] Dagli impressionisti, e soprattutto quelli legati al suo paesaggio, Renoir-Monet-Piana, su su fino alla svolta più recente e determinante – quest’ultima di Wols, Pollock, Gorky, De Staël. Quella che ha portato una più profonda coscienza dell’”organico” in contrapposizione ai giochi intellettuali estetisti; quella che ha affrontato – e per me in modo più diretto dei surrealisti – le zone più remote, segrete e misteriose dell’essere, il conflitto tra idea e realtà, tra momento razionale della realtà, e quello irrazionale nell’istanza poetica. 
Le intelligenti argomentazioni non sono riuscite a spiegarmi come si possa prescindere da questa recente storia così drammatica e viva.
Comunque in questa mostra è molto evidente come questa realtà così tesa e scottante sia utile affrontarla anziché pensare all’abiura e all’ostracismo.
E’ affrontando questa situazione che secondo me, Truzzi ha formato le sue sicure radici, s’è stabilito un preciso impegno, s’è scrollato abitudini e atavismi ormai devitalizzati, ha determinato questa sua attuale felice pienezza creativa.”
Ennio Morlotti, 1964
 
Con una vivace interpretazione in catalogo di Ennio Morlotti, apre la sua personale alla galleria del Mulino [...] il pittore ligure Joffre Truzzi. Si sono conosciuti dietro le colline di Bordighera e affiatati per una comune disposizione verso la realtà di natura: siepi, sterpi, prati, vegetazioni selvatiche, che occupano con insistenze di primo piano lo spazio del quadro e lasciano poco margine alla striscia di cielo. [...]
L’interpretazione di Truzzi, rispetto a quella drammatica sempre di Morlotti: è di più aperta elegia; c’è una felicità nel suo rapporto con questa natura, uno scambio di interiori sensazioni, perciò la pittura ne è tutta illuminata e il colore si ravviva di preziosi splendori.
Marco Valsecchi, 1964
 
Il pittore Truzzi si è presentato in Bordighera con una personale condensata in venti opere che esprimono l’intendimento sobrio di un artista molto prossimo alla maturità.
Abbandonate talune compiacenze pittoriche [...] il Truzzi si è indirizzato verso una semplicità geometrizzata quasi, forse un poco rigida, ma di induttiva affermazione stilistica. Con impasti rinnovati ed accostamenti di toni fermi e saporosi, i nuovi paesaggi presentati, pur svelando un legame a esperienze già note, contengono una personalità manifesta nella costruzione prevalentemente pittorica dell’atmosfera e della prospettiva fatte soltanto di colore.
Giuseppe Balbo, 1966
 
[…] si rimproverava a Truzzi l’influenza esercitata sulla sua pittura dall’opera e dalla frequentazione di Morlotti.
Che l’opera del maestro lombardo, prima, e di Sutherland più recentemente, abbiano lasciato profonde tracce sulla pittura di Truzzi di questi ultimi anni, è innegabile. Né poteva essere altrimenti, se si pensa che nel guardare a questi due significativi pittori del nostro tempo Truzzi, pittore prevalentemente di paesaggi, di aspetti e di elementi naturali, ha dimostrato di sapere operare una scelta intelligente, coerente col proprio temperamento. Tuttavia in questa personale, accanto ad opere in cui la presenza dei due maestri è ancora chiaramente avvertibile, Truzzi ci ha sottoposto (e questo è un merito che gli va riconosciuto) un buon numero di dipinti che dimostrano in modo convincente come egli, assimilate e superate le due influenze, sappia approdare ad un suo più personale linguaggio.
Enzo Maiolino, 1967
 
Joffre Truzzi, Gli ulivi, 1970 (carboncino) - Fonte: Joffre Truzzi

“Sono un pittore naturalista. Dipingo la natura. Da sempre”. Così dice Truzzi della sua pittura e di se stesso.
Di se stesso perché la natura è il suo mondo, il suo ambiente, meglio ancora il suo elemento: in cui egli si ritrova e si muove.
Dalle sue parole, che sono poi dichiarazioni abbastanza esplicite, la natura appare ancor più come verbo, norma di vita ed esigenza: certo una meta costante del suo essere. “Forse perché sono nato in un bosco” (è figlio di emigrati nel Canada), Joffre tiene a ricordare, quasi che per lui stesso la persistenza e l’attualità di quell’ispirazione costituiscano ancora un interrogativo. [...].
La sua natura è di sicuro vivente, ampia, generatrice; ricca di linfa.
Così che egli, più che osservarla e rappresentarla, la sente e la dice: la sua è la pittura di un contatto. E il suo senso della natura (senso piuttosto che sensibilità) ricorre particolarmente al colore come al mezzo precipuo e più indicato per la propria espressione.
Natura e colore appaiono quindi il binomio di base della sua pittura.
Massimo Cavalli, 1977
 
Ennio Morlotti, Francesco Biamonti e Joffre Truzzi nel 1960 davanti all'atelier di Cezanne - Fonte: Joffre Truzzi

A Truzzi mi lega un lungo rapporto, consolidato dalla comune amicizia con Morlotti. Ricordo di lui un vagabondare alla ricerca delle luci dei costoni, delle dolcezze di un’aspra terra, fatte di cielo, di tramonti rosati, di silenzi nascosti nelle vegetazioni. La sua pennellata è istintiva e nel contempo guidata da un sentimento virgiliano della vita (Truzzi è di Mantova) con qualche collera da animo offeso.
Truzzi sa ciò che gli è necessario. Quante volte Ennio [Morlotti] ed io, lo abbiamo sentito mormorare qualche brano delle Bucoliche: l’uomo che abbandona i campi, l’uomo dell’esilio, che aspira a tornare al suo regno. Forma d’elegia che in pittura si è sovente tradotta in soffi leggeri, in brezze che animano le cose: crinali toccati dalla grazia, casette raccolte nel fervore del verde, rocce clonate di azzurro e polvere.
Era un uomo sempre disponibile al lavoro e alla vita, sempre pronto a partire, verso una tomba, un rudere, un fiore. Poteva anche essere insopportabile, litigioso in superficie, ma a Morlotti e a me strappava sempre un sorriso, perché ne conoscevamo la malinconia fondamentale.
Ora non riesco a immaginarlo vecchio: è rimasto com’era con qualcosa di più gracile, di più poetico nei suoi quadri: gli stessi paesaggi d’allora, ma come sospesi nel vuoto, con dolcezze più apparenti e toccate dalla vertigine. L’inevitabile manto della malinconia s’è istoriato di scene gioiose, di azzurri aggrediti dall’ombra, di viola vibranti, di dorati che vanno verso il caos o la pace materica. Possibile che la vita nella sua erosione sia sempre eguale?
Francesco Biamonti, 1996   


venerdì 18 dicembre 2020

Gli artisti Enzo Maiolino e Giuseppe Balbo

Giuseppe Balbo, Ritratto di Enzo Maiolino - Fonte: Archivio Balbo

Scrive Enzo Maiolino nel suo libro Non sono un pittore che urla [Conversazioni con Marco Innocenti, con uno scritto introduttivo di Leo Lecci, Ventimiglia,  Philobiblon, 2014]:

"Balbo  fu l’incontro più importante dei miei vent'anni. Devo a Balbo, alla sua generosità, la realizzazione del sogno della mia adolescenza: diventare pittore".


Balbo e Maiolino si sono conosciuti nel 1946, quando Enzo si unì ad un primo gruppo di pittori che cominciò a radunarsi  nello studio allestito [in Bordighera (IM)] da Balbo al ritorno dall’Africa. "Noi, allievi della sua Scuola serale, fummo subito etichettati “pittori dilettanti” o “pittori della domenica”.".

Balbo insegnava a “vedere” da pittore. Cosa complessa, una vera e propria tecnica. La scelta del soggetto, la comprensione dell'”insieme”, l’osservazione e il confronto tra i vari elementi, la percezione dei “valori” chiaroscurali e tonali, ecc. Tutto ciò, insomma, che precede la trasposizione di un soggetto sul supporto (carta, tela, tavola)… Secondo me Balbo conosceva molto degli antichi procedimenti. Come provava la sua consuetudine, specie nelle tempere murali, di abbozzare con toni freddi e procedere, poi, con velature di colori caldi”.
"Poiché ognuno di noi si guadagnava da vivere con un secondo mestiere, a volte, la domenica, la Scuola al completo si trasferiva in campagna per esercitazioni en plein air." (Maiolino, op.cit.) 
 
L’incontro fu fondamentale per la formazione del giovane pittore, ma fu importante anche per Balbo, che trovò in Enzo e nel fratello Beppe Maiolino due validi collaboratori. In particolare Beppe Maiolino, come fotografo, ha documentato momenti importanti della Mostre organizzate da Balbo.

I percorsi artistici di Balbo e Maiolino andranno avanti in autonomia, ma resterà sempre tra di loro un legame speciale, una vicinanza artistica nonostante gli opposti mondi pittorici. In particolare Maiolino  scrive due attente recensioni nel 1966 e nel 1972, in occasione delle personali di Balbo, rispettivamente nella galleria del “Piemonte Artistico Culturale” di Torino e nella galleria della “sua” Accademia di  Bordighera.
In particolare, nel 1972,  Maiolino analizza con grande efficacia il mondo di Balbo:"… l’eclettismo di Balbo, più appariscente nelle due precedenti mostre, appare in questa più contenuto e un attento esame delle opere esposte ci permette una più serena riflessione sulla sua opera. La quale , a nostro avviso, presenta due aspetti fondamentali: il primo riguardante il diretto contatto del pittore con alcuni aspetti della realtà circostante; il secondo, l’estrinsecazione del suo mondo fantastico nel quale confluiscono spesso suggestioni letterarie e una sincera componente “surrealista”…".

Enzo Maiolino e Giuseppe Balbo - Fonte: Archivio Balbo

Alla fine di questo articolo Maiolino si sbilancia:
Augurandogli altri lunghi anni di sereno lavoro, sentiamo che ci riserverà ancora delle sorprese (il suo recente entusiasmo per alcune tecniche calcografiche mai prima sperimentate, ci fa ben sperare in tal senso).

Enzo Maiolino, La Cattedrale di Ventimiglia (tempera) - Fonte: neldeliriononeromaisola

Le sperimentazioni calcografiche di Balbo si erano fermate alla puntasecca e alla xilografia, le tecniche incisorie più immediate, dove il segno morde e comanda, senza ripensamenti ma anche con minori possibilità espressive.
 
Un lavoro di Enzo Maiolino - Fonte: Laura Hess

Invece Maiolino già negli anni 50 affrontava il mondo delle acqueforti, e proprio nel 1972 realizza una significativa cartella di sei acqueforti dal titola “La casa nera”, a cura di Vanni Scheiwiller.

Ho un ricordo vivido di una estate dei miei sedici anni; nel magazzino dei fiori di mio padre Elio, spesso usato dallo zio Beppe per i lavori ingombranti, appare un torchio da stampa, bottiglie di acido, carte preziose, e con la guida tecnica di Enzo, Balbo realizzerà una bellissima serie di acqueforti con acquatinta, allo zucchero e a pasta molle.
 

Marco Balbo © Archivio Balbo Archivio Balbo

 
 
“È guardando agli innumerevoli aspetti della natura e della vita, come ai più diversi momenti della vicenda umana, che Giuseppe Balbo ha creato una inesauribile e ricchissima antologia, mosso da una mai quieta curiosità esplorativa e, più nel profondo, da una assoluta necessità di intendere le cose e la realtà intorno a sé attraverso la pittura stessa. Per tutta la vita egli ha visto, ha osservato, ha raccontato o ha illustrato e, soprattutto, tutto ciò ha dipinto, respingendo suggestioni e modi che non lo riguardavano, lavorando con assiduità e convinzione. Balbo ha saputo dare l’esempio di un impegno dignitoso e severo ed ha fornito insieme una lezione della più alta fedeltà”. 
Massimo Cavalli, “La Voce Intemelia” del 23 gennaio 1978 

A partire dagli anni Settanta Enzo Maiolino approda ad un astrattismo di matrice neoconcreta, attraverso un’inedita combinazione di forme geometriche basate sui giochi del Tangram, dei Pentamini e degli Esamini. Numerose le personali a lui dedicate, dalle prime mostre liguri alle grandi esposizioni tedesche di Ingolstadt, Bottrop, Bonn, Colonia, Münster. Nel 2007, in occasione del suo ottantesimo compleanno, il Museo Civico di Sanremo gli dedica la Mostra “Geometrie in gioco. Enzo Maiolino. Opere 2000-2007”, a cura di Leo Lecci e Paola Valenti. Oltre ad una ricca selezione di opere grafiche e pittoriche, una sezione della mostra espone i documenti raccolti da Enzo Maiolino nella sua lunga attività di artista e studioso: libri, fotografie, manifesti, depliant, pubblicazioni, articoli di giornali che testimoniano e raccontano tutte le vicende legate alla vita culturale dell’ultimo cinquantennio. Una parte consistente dell’Archivio Maiolino è attualmente conservata presso l’AdAC (Archivio di Arte Contemporanea dell’Università degli Studi di Genova) al quale l’artista ha deciso di destinare la sua intera raccolta documentaria.
Comune di Sanremo (IM), ottobre 2014
 
Enzo Maiolino, calabrese di nascita (1926) e ligure d’adozione (dal 1937), pubblicò le sue prime acqueforti negli anni Settanta e iniziò a orientare la propria opera verso una pittura aniconica di matrice neoconcreta con splendide scansioni cromatiche, praticando intanto l’arte incisoria per sperimentare ancor meglio l’astrazione delle forme.
Nel 1993 il critico e storico d’arte tedesco Walter Vitt conobbe l’opera di Maiolino e cominciò a promuoverla tramite una mostra monografica e itinerante per la Germania (1996-1997) e poi curò un prezioso catalogo (1).
Con l’aprirsi del nuovo millennio anche l’Italia s’è accorta dell’artista, nel 2001 alcune sue creazioni sono entrate nella collezione permanente del Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce e, nello stesso anno e sempre a Genova, la Fondazione Novaro gli ha conferito il premio per la cultura con la rondine in ceramica (oltre ad avergli dedicato per intero il quaderno numero 35 de «La Riviera Ligure»).
Maiolino, per limitarsi a qualche esempio emblematico, ha pubblicato testimonianze inedite e rare su Amedeo Modigliani (2), ma anche una raccolta di racconti di Giacomo Natta (3), ha impreziosito con i suoi disegni diverse sillogi poetiche (soprattutto per Vanni Scheiwiller) e ha rilasciato una lunga intervista su se stesso, eloquente sin dal titolo Non sono un pittore che urla (4).
Il sapere del poliedrico pittore si poggiava saldamente su una memoria fatta di mille cassetti dove tutto era stato messo gelosamente al sicuro e ordinato con paziente perizia, mentre la sua curiosità e la sua generosità rendevano d’impiccio chiavi e combinazioni: era sempre pronto ad archiviare un nuovo documento, ad aggiornare una vecchia bibliografia, ad attentare all’intrico di una questione complicatissima, e con forza uguale e teneramente contraria ti concedeva di guardare da vicino, ti coinvolgeva nella gioia di una scoperta, ti chiedeva di ripartire daccapo e insieme per una ricerca fin lì infruttuosa (quella relativa a Natta e Zambrano ci ha appassionato particolarmente).
Alessandro Ferraro, La memoria di Enzo Maiolino, «La Riviera Ligure», quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro, XXVIII, 83, maggio/settembre 2017
 
1 Walter Vitt, Enzo Maiolino 1950-2000. Das druckgrafische Werk. Opera incisa e serigrafica, Nördlingen, Steinmeier Verlag, 2000. Segnalo anche il catalogo a colori Geometrie in gioco. Enzo Maiolino. Opere 2000-2007 (Genova, De Ferrari, 2007), curato da Leo Lecci e Paola Valenti che tante attenzioni hanno dedicato all’artista “ligure”. 
2 Modigliani vivo. Testimonianze inedite e rare, a cura di Enzo Maiolino, con una presentazione di Vanni Scheiwiller, Torino, Fogola, 1981. Dopo 35 anni l’importante volume è pronto ed è tornato in circolazione grazie a una nuova edizione: Modigliani, dal vero: testimonianze inedite e rare raccolte e annotate da Enzo Maiolino, a cura di Leo Lecci, De Ferrari, Genova, 2016.
3 Giacomo Natta, Questo finirà banchiere. Racconti. Un ricordo di Giacomo Natta, a cura di Enzo Maiolino, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1984.
4 Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, con uno scritto introduttivo di Leo Lecci, Ventimiglia, Philobiblon, 2014. 


 

lunedì 7 dicembre 2020

Non me la sentivo più di far la parte del poeta del posto

Enzo Maiolino, Ritratto di Luciano De Giovanni (particolare di un disegno del 1957) - Fonte: La Riviera..., Op. cit. infra

Volevo tanto bene a Natta da essermi prefisso di assistere ad ogni costo ai suoi prestigiosi “Lunedì Letterari”, malgrado che si svolgessero nel Teatro dell’Opera del Casinò Municipale [di Sanremo (IM)].
E non soltanto, si capisce, perché sapevo di dargli un piacere - quelle conferenze, alle quali intervenivano valenti scrittori e autorevoli critici non potevano non interessarmi - ma bisogna anche sapere che a quei tempi - si era nel 1958 - io facevo l’idraulico e poteva succedere che proprio durante uno di quegli attesi pomeriggi culturali mi toccasse, per esempio, di dover andare a pulire le stufe di qualche albergo, per cui, scappando poi a casa per lavarmi alla meglio e cambiarmi d’abito, pur giungendo col fiato in gola a occupare una poltroncina in fondo alla sala, non mi trovassi nello stato d’animo ideale per conformarmi di punto in bianco alla sontuosità dell’ambiente, ancora impregnato come mi pareva d’essere di fuliggine e di sudore.
Ma ero giovane e testardo e in quella breve parentesi di brusii e andirivieni che prevedevano l’inizio della conferenza riusciva quasi sempre a rinfrancarmi.
All’apparire sul palco di Natta al fianco del suo illustre ospite, io mi sentivo, ormai, a mio agio; tiravo un sospiro di sollievo e partecipavo allegro ai battimani del pubblico.
Ma Natta, decisamente, insisteva nel chiedermi troppo.
Pretendeva addirittura che, conclusosi il discorso, io lo raggiungessi dietro le quinte e mi facessi coraggiosamente avanti per stringere la mano al celebre personaggio di turno, mentre intanto, Natta, mi presentava.
L’ospite, messo alle strette, doveva pur rivolgermi qualche imbarazzato complimento…
Queste non volute intrusioni in un mondo che non mi toccava finivano con l’opprimermi e me ne tornavo a casa scontento e umiliato, tanto più se m’ero visto costretto a partecipare al rinfresco che concludeva la cerimonia.
[…] Quando ci ritrovammo soli implorai Natta di aver compassione dei miei limiti. Non me la sentivo più di far la parte del poeta del posto, e rinunciavo volentieri ai privilegi che ne derivavano.
[…] Da allora mi godetti il piacere dell’incognito nella mia poltroncina d’angolo, vicina all’uscita, e Natta, quando riusciva ad avvistarmi, mi salutava dal palco con un impercettibile gesto. 

Un lungo ricordo dei “lunedì letterari” apre Il vino schietto dello scrittore Giacomo Natta, omaggio firmato da Luciano De Giovanni per la rivista «Provincia d’Imperia» (14, 1991, pp. 14-15)

Alessandro Ferraro, Aprii, cauto, la porta. L’incontro di Luciano De Giovanni con Camillo Sbarbaro, in La Riviera Ligure, quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro,  XXVIII, n° 84, settembre/dicembre 2017

Enzo Maiolino, Ritratto di Luciano [Luciano De Giovanni], 1956 - Fonte: Comune di Diano Marina (IM) cit. infra

Di Luciano De Giovanni, nato a Sanremo nel 1921 e morto a Montichiari (Brescia) nel 2001, amici e biografi ci hanno consegnato l’immagine “esterna” di uomo schivo e riservato, costretto a intraprendere diversi mestieri e a seguire infine il mestiere del padre idraulico per provvedere ai bisogni della famiglia.
Autodidatta di moltissime letture, negli anni ’50 ebbe presto accoglienza in un cenacolo di poeti e pittori che fiorì a Bordighera, tra i quali Enzo Maiolino e Carlo Betocchi. Fu quest’ultimo a cogliere l’originalità delle sue prime prove e ad avviarlo alla collaborazione con importanti riviste letterarie nazionali. Avvenimento assai importante degli anni successivi è la corrispondenza intensa con due grandi personalità della poesia ligure, Angelo Barile e Camillo Sbarbaro, ch’egli considerò sempre amici e maestri. Con Barile, soprattutto, il rapporto si rivelerà particolarmente affettuoso e continuo data l’affinità -non l’identità- del sentimento religioso che legava entrambi.
L’attività poetica di De Giovanni si estende, con alcune interruzioni, per tutta la seconda metà del secolo scorso. Ma l’interesse esclusivo dell’autore per l’atto creativo in sé, come partecipazione al progetto di vita piuttosto che al successo della sua produzione, ha fatto mancare la cura per il ricupero e l’organica collocazione dei testi in raccolte. Ciò spiega perché ai riconoscimenti sempre lusinghieri della critica non sia seguita la conoscenza e l’apprezzamento del grande pubblico.
Pertanto la pubblicazione delle poesie di De Giovanni, promossa da amici ed estimatori, non colma tutte le lacune e riesce oggi, in parte quasi introvabile. Spetterà ai figli del poeta, Giorgio e Anna Maria trovare mezzi ed energie per dare avvio al recupero e di riordinamento dei materiali esistenti. Solo allora potrà essere avviata un’attività critica da cui attendersi la soluzione dei problemi ancora aperti. Anzitutto quello delle fonti, non ancora esaurientemente esplorate [...]
Mario Carletto, La condizione di precarietà della vicenda umana nell’opera poetica del sanremese Luciano De Giovanni, Incontri in Biblioteca, "L’infanzia, il passato, il presente. Tre stagioni, tre autori del Ponente ligure", Comune di Diano Marina, Biblioteca "A. S. Novaro", 2007

"Ehi, sorellina!". Quasi stupito, appena addolorato, la sgrida come a dirle "Cosa stai facendo? Svegliati! È inverno, fa freddo, ma c'è il sole e il cielo è limpido. Perché sei morta, allora?"
Un minimo e preziosissimo Cantico delle creature, di francescana umiltà e letizia: come tutte le poesie che ci ha lasciato Luciano De Giovanni, nato a Sanremo nel 1922 e morto a Montichiari nel 2001.
De Giovanni per tutta la vita ha svolto lavori umili, portalettere dapprima, poi idraulico; abitava con la moglie e due figli in un piccolo appartamento sulle colline della Pigna, nella Sanremo vecchia, vicino al Santuario dell'Assunta. Amando in modo ingenuo e appassionato la poesia, appena poteva si ritagliava uno scampolo di tempo per studiare Lao Tzu, Bashô, Emily Dickinson, Rilke, Eliot, i Vangeli, i grandi del nostro '900. Tra di loro, anche Carlo Betocchi (altro maestro dimenticato… ), che fu il primo ad accorgersi di lui, presentando alcuni suoi versi sulla rivista Letteratura nel 1956.
Alida Airaghi in La poesia e lo spirito

Nella foto d'epoca, da sinistra, Enzo Maiolino e Luciano  De Giovanni

L’esistenza, oggi, di un Fondo De Giovanni lo si deve alla determinazione ma anche al caso. Era il febbraio del 2011, al Museo civico Borea d’Olmo di Sanremo Giuseppe Conte presentava il suo Viaggio sentimentale in Liguria (Philobiblon, 2010) ed eravamo giunti io da Ventimiglia, Enzo Maiolino da Bordighera e Stefano Verdino da Genova. Cogliendo l’occasione e utilizzando come pretesto la recente pubblicazione di un mio contributo - frondoso, barocco e, ahimè, pure acerbo - su Le case vicino al torrente di De Giovanni (Philobiblon, 2009) Verdino mi presentò Maiolino e poi Giorgio, avvicinatosi dall’angolo dove aveva assistito all’evento: ho conosciuto, così, il figlio e l’amico più fedele del poeta grazie al suo più assiduo studioso [...] Le riviste e il raccoglitore hanno costituito una base molto solida su cui ricostruire la bibliografia degli scritti di e su De Giovanni che si trova in chiusura del quaderno [...] l’autore rimane da decenni introvabile, come gli scrisse il 21 settembre 1984 un lettore d’eccezione, Fredi Chiappelli (da Los Angeles di passaggio a Genova): Gentile signore,leggo su «Resine» le sue Nove Poesie (2). Il profondo interesse di cui mi hanno colpito (e per ragioni che vanno dalla raffinatezza pressoché incredibile nella forma alla percezione degli scandagli nelle più austere aree dell’esperienza) mi spingono all’indiscrezione di scriverle direttamente.Non che non abbia, prima, tentato di rintracciare in varie librerie genovesi qualche Sua pubblicazione; e persino scomodato amici che si occupano di letteratura ligure per essere avviato su una pista bibliografica. Ma sono stati tentativi sfortunati, e anche da [Domenico] Astengo ho avuto il consiglio di scriverle.Non ho mai fatto niente di simile; ed ho tutto l’imbarazzo che potevo avere avvicinandomi alla letteratura quasi cinquanta anni fa. Persino la domanda mi pare cruda e impertinente.Ma vorrei leggere altre sue cose. Dunque: Come devo fare? Come posso procurarmi i suoi scritti?Ora dovrebbe venire un paragrafo di scusa. Me ne voglia esentare: e credermi invece con ammirazione il suo Fredi Chiappelli Sullo scaffale centrale [...]  una geografia in gran parte ligure (con edizioni e dedicatari di Bordighera, Sanremo, Imperia, Albenga, Savona, Genova, Recco e Sarzana) ma qualche libro gli giunse da Milano, Firenze e d’oltreoceano, tramite lo stesso Verdicchio. Oltre al Fuochi fatui con dedica di Camillo Sbarbaro nell’edizione All’Insegna del Pesce d’Oro (Milano 1958) di Scheiwiller [...] spiccano, anche per ricorrenza, i nomi di Elio Andriuoli, Fredi Chiappelli, Franco D’Imporzano, Sergio Ferrero (che attende giudizi e s’augura di non deludere De Giovanni), Roberto Rebora, Lalla Romano (che definisce De Giovanni «poeta del mare», 4 gennaio 1995), Bruno Rombi, Giovanni Testori («a Luciano De Giovanni di cui ho amato le bellissime poesie con affetto», 25 marzo 1971), Renato Turci e Guido Zavanone [...]  È la fedeltà di De Giovanni alla sua terra (nativa o d’adozione che sia), e che ben lo apparenta ai maggiori poeti della «Riviera Ligure», vero com’è ancora una volta che in Liguria non si nasce o non si vive (e soprattutto non si scrive) senza avere almeno un debito verso quel paesaggio, e il suo singolare alfabeto (6).

1 Alessandro Ferraro, Memoria di Enzo Maiolino, «La Riviera Ligure», XXVIII, 83, maggio-settembre 2017, pp. 73-77. 
2 Luciano De Giovanni, Nove poesie, «Resine», seconda serie, VI, 19, gennaio-marzo 1984, pp. 45-47 (con nota di Domenico Astengo, p. 48).
6 Giorgio Caproni, Luciano De Giovanni per i tipi di Rebellato: Viaggio che non finisce, «La Fiera Letteraria», 9 marzo 1958, p. 3. Ora in Giorgio Caproni, Prose critiche, a cura di Raffaella Scarpa, prefazione di Gian Luigi Beccaria, Aragno, Torino 2012, vol. 2, pp. 1003-1007 (1005-1007).
 
Alessandro Ferraro, Partendo dal Fondo in La Riviera Ligure, quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro, n° 87-88, settembre 2018 - aprile 2019, Anno XXX