Pagine

Visualizzazione post con etichetta Giuseppe Balbo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Giuseppe Balbo. Mostra tutti i post

giovedì 1 luglio 2021

Quel ricciolo bianco dell'onda

Joffre Truzzi - Fonte

La casa di Joffre Truzzi é vicina al mare; da questo la divide la massicciata su cui corrono i binari della ferrovia; il mare qui non si vede dai piani bassi, lo si intuisce soltanto; quando é agitato si sente l’odore di salsedine. E’ un dolce settembre e il frastuono dell’estate si é appena spento lasciando ampi spazi ai rumori più famigliari, alle voci che giungono, nitide e solitarie, insieme allo scandire dei passi sui marciapiedi. Sono sceso dall’Aurelia per la piccola strada condominiale; la porta del piano rialzato, dove abita il pittore si é aperta prima che suonassi e subito é apparsa sorridente una bella signora bruna, che mi si presenta come nuora di Joffre. Mi ha indicato in fondo alla stanza la figura di un vecchio che si stava alzando dalla poltrona. La ricordavo quella testa bianca piena di riccioli e dallo sguardo fiero, un po’ inquieto, che si accende e si spegne, mi era noto, anche se non familiare. Non mi é parso molto cambiato dall’ultima volta che lo incontrai - nel gennaio scorso - quando andai ad invitarlo alla presentazione del carteggio Betocchi/Pazielli, nel quale figurava anche lui. Lo stesso portamento eretto, negli occhi la stessa fierezza, anche se oggi mi é sembrato intravedervi una più spiccata inclinazione alla dolcezza. « Io vengo senz’altro » disse quella volta, ringraziandomi, « se qualcuno mi accompagna » e dopo un momento d’esitazione, « e se no, vengo da solo!» accennando al suo bastone nero lì vicino. E da solo venne, infatti, presentandosi all’ingresso della Chiesa Anglicana un bel po’ prima dell’inizio; guardò bene tutt’intorno, mi salutò, parlò con due o tre persone e poi se ne andò. Anche ora ho di fronte un uomo schivo da ogni cerimoniale, attento solo all’essenziale, contrario al superfluo, ribelle di fronte ai convenzionalismi e ad ogni forma d’ipocrisia. Egli vede il bene, e lo apprezza, quando é scevro da ogni orpello, e soprattutto, quando può essere coniugato con l’arte e con la cultura autentiche. Quasi ad avvallare questo aspetto del suo carattere, mi dichiara con una certa fierezza che le sue origini canadesi non sono influenti; e che, invece contano assai di più quelle familiari che sono lombarde, o meglio ancora di confine, perché del mantovano, proprio a cavallo fra Emilia e Lombardia.
Intanto l’onda lenta del mare si ripropone nei momenti di maggiore quiete, come una carezza, nel volgere di uno sguardo; e ripenso allora a quell’onda ben più vigorosa e veloce, ricca di bianca schiuma che la corrente, delle nostre mareggiate di ponente, scaraventa fino ai muraglioni della passeggiata e oltre. Rivedo la bianca distesa di schiuma correre, ormai placata, verso terra e poi improvvisamente, incontrando un ostacolo, impennarsi con una forza inaspettata verso il cielo e rifrangersi quindi in mille rivoli bianchi ricchi di veemente allegria. Ecco, dico fra me, ecco: quel ricciolo impetuoso e arrabbiato potrebbe essere Truzzi, e tutti quegli schizzi bianchi successivi, la sua allegria e la sua raggiunta dolcezza. Così mi piace vederlo, affrontare la risacca della vita, e destreggiarsi in essa.
Ci spostiamo nello studio del pittore e qui, sulla soglia, sono investito da un’onda di luce calda senza che nessuna lampada fosse stata accesa. Le tele sono appoggiate per terra contro le pareti, alcune, appese lungo le stesse; Joffre non indugia a commentare i suoi lavori; ascolta e guarda con me. Alle sue spalle, come arrampicato su una scala di metallo, sento, e poi vedo, lo sguardo ammiccante di un suo bel autoritratto. Mentre usciamo dalla stanza gli chiedo di Bordighera, dei suoi amici, dei suoi  « colleghi» pittori, degli artisti in genere; di Bordighera degli anni prestigiosi (1950-1970), dei Premi 5 Bettole e degli avvenimenti importanti; non spende molte parole in proposito; ma ricorda volentieri alcuni nomi che gli sono cari, come Giuseppe Balbo, prezioso animatore di tante iniziative, e, altri, per il loro rilievo nel campo della cultura e dell’arte: Carlo Betocchi, di cui rievoca la grande ospitalità offertagli nella sua casa fiorentina di Borgo Pinti, nel 1957, Giacomo Ferdinando Natta, arguto e colto conversatore; Sbarbaro, Biamonti, Carlo Bo, Giancarlo Vigorelli, Lorenza Trucchi, Italo Calvino, tutti gravitanti qui e poi, quasi per un segreto appuntamento, tutti da Maria Pia Pazielli alla sua Piccola Libreria. Gli occhi, ad un certo punto, si intristiscono, un altro nome gli affiora sulle labbra: Luciano De Giovanni, il poeta sanremese scomparso da pochi anni cui lo legava una profonda amicizia. Riesco a stento a leggere alcune parole di una poesia che De Giovanni gli ha dedicato; uno dei suoi sonettini del 1986: «… e il cielo che vortica lento/ le sue nuvole e il suo azzurro / e  la barriera dei monti e gli ondulati dorsali/ e le segrete fonti».  Degli amici d’oggi Truzzi ricorda in particolare Enzo Maiolino, Sergio Gagliolo, Sergio Biancheri; nomi legati all’arte e alla vita, alla comune visione naturale di questa aspra e semplice terra di ponente. Ricorda Morlotti e ancora Biamonti, e la gita che fece con lui e Maiolino nei luoghi di Cézanne. Si illumina infine parlando di Piana, e batte la mano sul tavolo in segno di grande stizza e ribellione quando denuncia il persistente oblio che circonda questo pittore di grande valore e straordinaria modernità. Il commiato si avvicina e Joffre appoggia la sua mano sul mio braccio, mi fissa negli occhi e mi dice risoluto: «ricordati che chi non é sincero nella vita, non lo é neppure nell’arte», una bella verità pronunciata da un uomo «vero».
Starei ancora a lungo, accarezzando il silenzio come si accarezzano le nuvole che incorniciano i nostri tramonti nei loro inesorabili mutamenti. Un’ultima occhiata al tavolo di Truzzi: una fotocopia un poco gualcita ricorda una mostra del pittore alla Biblioteca di Ospedaletti nel 1996; una foto ricordo degli anni ’60 con Morlotti e Biamonti, un breve scritto di quest’ultimo, intenso e ricco di significato umano per Truzzi, «… un uomo sempre disponibile al lavoro, alla vita, sempre pronto a partire, verso una tomba, un rudere, un fiore. Poteva anche essere insopportabile, litigioso, in superficie, ma a Morlotti e a me, strappava sempre il sorriso, perché ne conoscevamo la malinconia fondamentale».
Luigi Betocchi, Quel ricciolo bianco dell'onda, Sito dedicato alla figura di Joffre Truzzi, settembre 2005

Da sinistra: Giuseppe Balbo, Giuseppe Piana e Joffre Truzzi - Fonte

Joffre Truzzi, Pescatori, 1955 (olio su tavoletta) - Fonte

[...] Presentiamo qui alcuni tra i primi allievi che hanno raggiunto maturità artistica e riconoscimenti sia in territorio nazionale che all’estero. Tra questi il pittore e grafico Enzo Maiolino e lo scomparso Joffre Truzzi. Dopo Balbo la scuola è stata seguita dal pittore Lilio Domenico Pagnini, suo allievo fin dal dopoguerra e insegnante e presidente per numerosi anni. Sergio Biancheri “Ciacio”, eletto successivamente e presidente per otto anni e Sergio Gagliolo [...].
Redazione, Un po’ di storia, Accademia Riviera dei Fiori "Giuseppe Balbo", 2011

Joffre Truzzi, Paesaggio - Fonte

Nel corso del decennio l’iniziativa, cui succedette, dopo l’edizione ibrida del 1962, il “Premio Bordighera” nel 1963 e 1964, ebbe un successo sempre crescente. Guido Seborga e Renzo Laurano, infaticabili promotori di queste manifestazioni, coinvolsero, tra gli altri, Italo Calvino e il critico Giancarlo Vigorelli. Vale la pena di notare che Biamonti, negli anni successivi, scrisse come critico d’arte su quasi tutti i pittori vincitori del premio: Enzo Maiolino, Joffré Truzzi, Mario Raimondo, Sergio Gagliolo.
[...]
1.5. SCRITTI DI CRITICA D’ARTE
[...]
1977
(1977a) = [Presentazione], in J. Truzzi, Teatro Comunale, Ventimiglia, 15-28 gennaio 1977 [dépliant della mostra].
[...]
1996
(1996a) = [Presentazione], in Joffré Truzzi. I pittori del Ponente 5, Biblioteca Civica, Ospedaletti, 5-25 aprile 1996 [dépliant della mostra]; poi, parte dello scritto (righe 25-33), in Joffré Truzzi, presentazione della mostra personale al Palazzo del Parco, Bordighera, 28 novembre-5 dicembre 2002 [dépliant della mostra]; poi, con il titolo Truzzi, i paesaggi sospesi nel vuoto, in SP (213).
Matteo Grassano, Il territorio dell’esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001), Tesi di dottorato, Université Nice Sophia Antipolis, Università degli Studi di Pavia, 29 gennaio 2018 

Joffre Truzzi, Val Nervia, 1988 - Fonte

Ma il cielo e la luce della città delle palme incantano anche Ennio Morlotti, alla ricerca di una “nuova avventura” pittorica. Boschetti di ulivi e di limoni, rocce, cactus, lingue di spiaggia bagnate dal mare: è questo il paesaggio ligure che Francesco Biamonti e Sergio Biancheri, conosciuti nel 1959, mostrano al pittore lombardo durante i numerosi viaggi in automobile. Le campagne di Borghetto San Nicolò e Vallebona, la Val Nervia, gli scogli di Marina San Giuseppe, il pianoro di Punta Migliarese, Perinaldo e, ovviamente, San Biagio della Cima diventano mete da visitare ogni estate, alla scoperta della luce e dei grumi di colore di cézanniana memoria che tanto affascinano sia Morlotti sia Biamonti (si ricordi la loro visita, in compagnia di Maiolino e Truzzi, allo studio di Cézanne a Aix-en-Provence nel 1963).
Mara Pardini, La cultura nel ponente ligure ai tempi di Francesco Biamonti: un accenno, Terra ligure

[...] Il padre Satiro, lavorava alla costruzione della ferrovia Trans-Canada, che doveva unire la Costa Atlantica con il Pacifico, con temperature proibitive e condizioni di lavoro disumane; alla fine il povero Satiro non ce la fece, e dopo dieci anni dovette rientrare nella nativa Mantova, terra dei Gonzaga, dove fiorivano le arti e l'artigianato.
La madre Stella, donna indomita e coraggiosa, accudiva Joffre, i suoi fratelli e la casa di tronchi d’abete, e, per "fare la spesa", usciva a cavallo nei boschi con la doppietta e a volte tornava con un bottino di selvaggina o solo bacche del bosco.
Ancora adolescente, Joffre tornò nella terra dei suoi avi durante un viaggio periglioso, dove rischiarono di affondare e di contrarre qualche brutta malattia contagiosa, stipati com'erano nella stiva di un'ansimante piroscafo.
Nei ricordi di Joffre questo periodo della prima infanzia è vago, ma sempre presente, come visioni, fra sogno e realtà. E sono convinto che ha creato i prodromi di quest’inusuale artista e personaggio eccezionale, temprato dai grandi freddi, con la visione di grandi spazi e di aurore boreali,che a novant'anni dipingeva ancora attivamente.
Nelle mattine soleggiate lo trovavi al suo bar preferito dei Piani di Borghetto, a gustarsi uno "spruzzato" e a scambiare sagaci commenti sul via-vai del marciapiede, ma soprattutto, ti sorprendeva con la sua memoria e la profonda cultura, assimilata in viaggi e letture, con una sempre viva curiosità.
Scontroso e irascibile superficialmente, nascondeva un animo gentile e mite, timido, che proteggeva con questa "corazza" burbera e accigliata.
Spirito di contraddizione e in contraddizione con il mondo e con se stesso, anche con i suoi affetti e amici più cari, si realizza e trova sfogo e pace nei suoi dipinti. Che a veder bene, è una una vera stranezza, che non abbiano avuto il successo e i riconoscimenti che meritano.
Ci sono le ragioni di questo "tesoro" nascosto: sicuramente il carattere scontroso e introverso non ha favorito il necessario supporto di critici e galleristi, oltre alla scelta di vita e di lavoro nella dolce e pigra Riviera di Ponente, senza mai spingersi, non dico all'estero, ma nemmeno a Milano, a cercare e sviluppare contatti e amicizie.
Sono riuscito a portarlo a Parigi e Londra, solo dopo gli ottant'anni, dove ha visitato i grandi musei e ha avuto anche un grande successo con un'esposizione a Oxford.
Lo stesso Morlotti, che frequentava e lo stimava molto, era in continuo movimento pur passando molto tempo in Riviera ed aveva solidi rapporti con importanti galleristi che lo aiutarono ad affermarsi, anche con accordi commerciali, che il nostro Truzzi disdegnava.
Quando qualche critico o gallerista "scopriva" Truzzi, il rapporto quasi inevitabilmente si deteriorava e infine si interrompeva, grazie alle intransigenti posizioni del nostro integerrimo e scontroso Maestro!
Se non sei un buon diplomatico non vuol dire che non puoi essere un buon artista, anzi! Forse non avrai mercato e fama, ma le opere rimangono e testimoniano una produzione artistica di alto livello.
Truzzi ha visitato musei, esposizioni, chiese, paesi e, soprattutto, ha incontrato molta gente comune “la più vera”, con cui amava dialogare con vivace spontaneità e ha sempre letto molto.
Se Truzzi non ha accettato compromessi per affermare la sua arte, si é impegnato a soddisfare la sua cultura e curiosità e per guardarsi nello specchio ogni mattina serenamente.
La sua pittura è stata sicuramente ispirata dai grandi impressionisti, soprattutto Cezanne, di cui ha visitato lo studio a Aix-en-Provence con Morlotti e Francesco Biamonti, e da De Stael, di cui amava molto i cieli, ma anche dall'amico Morlotti.
In Truzzi si è sviluppato misteriosamente un fenomeno di osmosi, tra le atmosfere mediterranee del nostro entroterra, cosi amate e descritte da Biamonti, con i suoi paesaggi ventosi, e un post'impressionismo materico magistrale, che solo sfiora l'informale, vedi le bagnanti e i nudi, che sono un'amalgama poetico di carne, di terra, di acqua e di vegetazione, un'atmosfera e un pathos legato all'ultimo Cezanne, e oltre, proprio per quel suo sfiorare, accarezzare quasi l’informale, ma senza mai cedere alle sue facili lusinghe.
Come gli impasti materici, ma tenui, delicati, dei fiori di Truzzi, le "sue" rose canine che andava a cercare tra i muretti a secco, sopra Sasso e Seborga, o i limoni lucidi di humus, di una materia così viva e "profumata" lavorata con perizia tra spatole e ruvidi pennelli.
Truzzi ama dipingere su superfici dure, solide, dove sente il bisogno di "affondare" il suo segno con il pennello o la spatola, ma anche con la viva mano, l'indice che penetra nella materia ancora duttile e la segna in profondità: così Truzzi si lega alla sua opera, in un’indelebile simbiosi.
Quasi alla fine della sua lunga vita, Truzzi riscopre l’Eros e dipinge una serie di grandi bagnanti, Angeli-Maddalene di un sogno erotico, di carni impastate col fango, la vita, l’eros, e la morte... sul solco tracciato da Renoir, e prima ancora da Tiziano e Rubens,soggetto al quale si dedicò anche Morlotti, nelle ultime sue opere.
Ho avuto la fortuna di frequentare Truzzi per molti anni, da quando scorazzava altero sul suo Galletto-Guzzi. Abbiamo visitato Roma in lungo e in largo, dove amava passeggiare in via Giulia, perché gli ricordava un racconto di Caldarelli; a Firenze, dove riconosceva a prima vista gli affreschi delle Chiese, con nomi e date; a Ferrara, al Palazzo dei Diamanti, per una grande mostra, la prima postuma, di Morlotti e a Venezia, dove amava rivedere più volte la "Resurrezione" del Tiziano, con quella luce verdastra, dipinta a novant'anni [...]
Daniel Audetto, Joffre Truzzi, Sito dedicato alla figura di Joffre Truzzi, luglio 2013

martedì 1 giugno 2021

Circa la Mostra di Genova dedicata ad Enzo Maiolino

Fonte: Università degli Studi di Genova

L'insegnamento come condivisione non solo di saperi, ma anche di esperienze e di progetti: è nata così la mostra "Enzo Maiolino, Astrazione e Geometria", visitabile presso Prisma Studio
[...] È stato infatti un ex allievo, Andrea Daffra, laureato in Storia dell'Arte e specializzato in Beni storico artistici all'Università di Genova, a rendermi partecipe del suo desiderio di ricordare con una piccola antologica Enzo Maiolino, all'approssimarsi del quinto anniversario della scomparsa, avvenuta a Bordighera l'11 novembre del 2016. A Maiolino ero legata da un profondo rapporto di amicizia e stima, durato oltre quindici anni; l'incontro del giovane studioso con l'artista è avvenuto, invece, solo sui libri, favorito da lezioni nelle quali alcune opere realizzate da Enzo nelle diverse fasi della sua lunga ricerca mi avevano fornito validi strumenti per spiegare i complessi passaggi dalla pittura "dal vero" a quella "concreta", ossia puramente geometrica, passando attraverso la delicata fase dell'"astrazione", processo in cui il dato naturale, che suggerisce a un pittore una determinata composizione, viene semplificato, ridotto alla sua essenza formale e cromatica. Di questo processo Maiolino è stato un poliedrico interprete: appassionato studioso della pittura di Modigliani e di Morandi, ha saputo declinare sulle architetture dei borghi arroccati dell'entroterra ligure la capacità di sintesi con cui il primo traduceva in pittura volti e corpi femminili, il secondo bottiglle, bicchieri e scodelle.
A Bordighera dove aveva vissuto dall'adolescenza Maiolino aveva frequentato lascuola d'arte del pittore Giuseppe Balbo - "l'incontro più importante" dei suoi vent'anni, per citare le sue parole - e aveva preso parte attiva alla vivace stagione culturale che aveva animato la cittadina rivierasca negli anni cinquanta, stringendo tuttavia legami più stretti e profondi con gli scrittori, i poeti, gli intellettuali (da Guido Seborga a Francesco Biamonti, da Vanni Scheiwiller a Saverio Napolitano) piuttosto che con i pittori, soprattutto quelli locali, per lopiù ancorati alla tradizione della pittura dal vero e scettici nei confronti di una ricerca che abbandonava la riproduzione fedele dell'esistente per creare immagini appartenenti solo al mondo delle idee. Fanno eccezione alcuni grandi artisti "di passaggio" in Riviera, come Ennio Morlotti e Antonio Calderara, altro grande protagonista dell'astrattismo italiano, nei quali Maiolino aveva trovato interessati interlocutori ed estimatori. Nonostante questi rapporti, il riconoscimento di Maiolino come artista tarda ad arrivare: di carattere schivo, fedele al proprio motto "non bussare e ti sarà aperto", egli conduce per anni la propria originale e rigorosa ricerca in uno studio colmo di libri e di articoli di giornale e, d'estate, nel suo"buen retiro" di Castelvittorio, paesino inerpicato della Val Nervia. La porta, per Maiolino, si apre nel 1993: ad attenderlo sulla soglia trova il critico tedesco Walter Vitt
[...] La seconda sala della galleria accoglie i dialoghi "fondamentali" nell'opera di Maiolino: quello tra pittura e incisione e quello tra astrazione e geometria, che dà anche il titolo alla mostra. Nell'ultima sala, una ricca selezione di opere pittoriche, concepita nel suo audace allestimento da Andrea Daffra, che con me ha curato l'intera mostra, dimostra la fervida fantasia con la quale Enzo Maiolino ha usato i suoi sistemi formali di riferimento (i pentamini, gli esamini, il tangram) come un'inesauribile fonte dalla quale attingere i motivi composivi e soluzioni cromatiche sempre diverse.
Paola Valenti, Se l'arte unisce saperi e progetti, la Repubblica, Genova, Domenica 30 maggio 2021
Il 25 settembre 1993 Enzo Maiolino ricevette, nella sua casa di Bordighera, la visita di un suo ex allievo, lo scultore Roberto Cordone, nato a Vallecrosia ma da tempo residente in Germania. Cordone era accompagnato da una coppia di amici tedeschi, il critico d'arte Walter Vitt e sua moglie Luiza. Bastarono pochi minuti perché quel giorno si trasformasse nell'inizio di un nuovo capitolo nella biografia di Maiolino, un capitolo costellato di successi espositivi e di meritati riconoscimenti critici destinato a protrarsi sicuramente almeno fino al 2003, quando la sua opera grafica sarà oggetto di una nuova mostra presso la Galleria Civica Villa Zanders di Bergisch Gladbach.
Vitt rimase immediatamente colpito dall'artista e dall'uomo Enzo Maiolino: tre anni più tardi nella presentazione di Trasparenza, una cartella comprendente otto stampe originali a colori, pubblicata in occasione del settantesimo compleanno dell'artista dall'editore Hoffmann di Friedberg, il critico ritornò a quel settembre 1993 in cui per la prima volta poté prendere visione del "Bildkosmus", del cosmo figurativo di Maiolino, e ricordò come subito il suo  pensiero fosse andato alla vita e all'opera di Giorgio Morandi, alla sua "Kunslerexistenz" nella dimensione appartata della provincia, lontano dai clamori e dalla mondanità, caparbiamente e quasi devotamente dedito al proprio lavoro. In quello stesso scritto Vitt evidenziò come entrambi gli artisti, in tempi e modi differenti, avessero contribuito al rinnovamento del linguaggio dell'arte senza partire dal presupposto della necessità di superamento del "quadro", ma anzi puntando sullo sviluppo e sul potenziamento delle possibilità insite nel "tradizionale" supporto bidimensionale offerto dal foglio o dalla tela. Vitt sottolineò come i due artisti fossero accomunati anche dalla predilezione per la  tecnica incisoria e per il piccolo formato: a partire dalla metà degli anni Settanta, quando i motivi architettonici che avevano popolato le opere di Maiolino prima in forme realistiche e poi, a partire dal 1955, in rigorosi incastri costruttivi, si dissolsero in pure geometrie l'artista trovò infatti in fogli e tele di formato ridotto il supporto più idoneo. Questa riflessione sul passaggio dalla figurazione architettonica alla pittura concreta indusse Vitt ad accostare il nome di Maiolino a quello di Walter Dexel, artista bauhausiano che cinquant'anni prima aveva compiuto un analogo percorso.
Affascinato dalla capacità di Maiolino di dare forma ai suoi lavori secondo il concetto di armonia definito da Vitt "sovrano", senza alcuna necessità di ricorrere alla simmetria, il critico tornò ad accostare il nome di Maiolino  a  quello di Dexel e di Mondrian, artisti che avevano potuto permettersi di bandire la simmetria dalla loro opera.
Maiolino esordì dunque in Germania introdotto da un'acuta ed entusiastica presentazione. La pubblicazione della cartella Trasparenza, che accoglie questo testo è frutto della collaborazione avviata già nel 1994, grazie all'impegno e alla mediazione di Vitt, tra Maiolino e "Slu" Slusallek delle edizioni Hoffmann. Il primo incontro fra i due avvenne all'inizio dell'ottobre di quello stesso anno in occasione della seconda visita di Vitt a Bordighera.
Vitt visitò l'artista nel giugno 1995 e poi ancora nell'aprile-maggio 1996. Era allora con lui Pater Volkwein del Museum fur Konkrete Kunst di lngolstadt: cinque mesi più tardi il museo avrebbe ospitato la prima tappa della grande mostra dedicata a Maiolino per il suo settantesimo compleanno che sarebbe poi stata ospitata presso la Galleria Hoffmann di Friedberg, la Gesellschaft fur Kunst und Gestaltung di Bonn e il Josef Albers Museum Quadrat di Bottrop. Nel saggio in catalogo Vitt ricostruì la vicenda artistica e biografica del pittore e incisore italiano e diede voce allo stesso artista che attraverso due brevi brani si racconta al lettore-spettatore con quella precisione e semplicità che contraddistinguono il modo in cui egli si rapporta con i suoi inter1ocutori.
La stampa tedesca si rivelò attenta e interessata all'opera di Maiolino: nell'inserto culturale del "Oonaukurier-lngolstadt" Uli Seidler dedicò un lungo articolo alla mostra.  Seidler individuò nella riduzione delle forme che veicola il passaggio da un'arte dagli evidenti rimandi figurativi ad una produzione concreta e nella capacità di graduare i toni dei colori - questi ultimi, al contrario delle forme, mai "ridotti" bensì infinitamente variati nella gamma e nei giochi di luce e di ombra a  ui l'artista li sottopone - i punti di forza dell'arte di Maiolino.
[...] Fu però la mostra di Bottrop, arricchita di 22 opere, ad avere una maggiore risonanza: già il giorno precedente l'inaugurazione la "Stadtzeitung Bottrop" definì "magica, suggestiva, affascinante, ricca di poesia e al tempo stesso rigorosa" l'arte della Trasparenza di Maiolino. Per la prima volta, in quello stesso articolo, venne accostata al nome di Maiolino quello di Josef Albers: in molte delle opere concrete dell'artista italiano, laddove protagonista era il quadrato o altri parallelogrammi da esso derivati, venne visto un omaggio al grande artista tedesco. Ad una settimana dalla mostra, sulle pagine culturali della "Ruhr Nachrichten", accanto ai nomi di Mondrian, Albers e Malevich, indicati come modelli di Maiolino nella sua "sperimentazione" costruttiva e concreta, Konrad Schmidt avanzò, per le opere con ancora evidenti rimandi figurativi, anche quelli di De Chirico e del Carrà metafisico.
Con Bottrop si concluse l'iter tedesco della prima mostra dedicata da Vitt a Maiolino. Nel 1997 l'Istituto Italiano di Cultura di Colonia ospitò una mostra di acqueforti e serigrafie dal 1975, sempre per la curatela di Vitt. L'anno successivo cinque dipinti ad olio di Maiolino, acquistati nel dicembre 1998 dalla sede di Colonia della WDR (Westdeutscher Rundfunk), la radio statale tedesca, per la sua ricca collezione d'arte, vennero esposti nella mostra organizzata in occasione del pensionamento di Vitt che vi aveva lavorato in qualità di capo redattore.
Nel frattempo Vitt si era già messo al lavoro per perseguire un altro ambizioso obiettivo: egli voleva presentare al pubblico tedesco anche l'opera grafica di Maiolino. Questo progetto si concretizzò nel catalogo generale dell'opera incisa e serigrafica destinato anche ad accompagnare un nuovo ciclo di mostre, la prima delle quali si tenne ancora una volta presso la Gesellschaft fur Kunst und Gestaltung di Bonn.
Nel saggio in catalogo Vitt sottolineò il pari valore nell'ambito della produzione artistica di Maiolino dell'opera incisa e di quella pittorica, sia per la continuità con cui l'artista si è dedicato alle diverse tecniche incisorie, sia per l'uso del tutto particolare che egli ha fatto del mezzo, impiegato senza scopi mercantili e solo in funzione del conseguimento di un particolare risultato in termini espressivi e formali.
Dopo Bonn il Westfalisches Landesmuseum fur Kunst und Kulturgeschichte di Munster ha ospitato la seconda tappa dedicata all'opera grafica di Maiolino, mettendola a confronto con quella di Josef Albers in una doppia mostra dal titolo Joseph Albers und Enzo Maiolino. Positionen konkreter Druckgraphik (Josef Albers e Enzo Maiolino. Posizioni della Grafica Concret).
Ancora una volta la stampa tedesca non ha fatto passare inosservati questi due eventi: se Heidrun Wirth dedicava il suo articolo alla "mano ferma del maestro", sulla pagina del "Kolner Stadt-Anzeiger" campeggiavano le "rigorose forme" di Maiolino e Johannes Loy definiva entusiasticamente "una vera e propria scoperta" l'opera grafica dell'artista italiano esposta a Munster accanto alle opere di Albers. Loy concludeva il suo articolo auspicando che dopo il successo ottenuto in Germania la mostra genovese di Villa Croce potesse portare a Maiolino il meritato riconoscimento anche nel suo paese. Un augurio che ci sentiamo senz'altro di condividere.
Paola Valenti, L'avventura tedesca di Enzo Maiolino, La Riviera Ligure - Quaderni quadrimestrali della Fondazione Mario Novaro Anno XII - numero 35, maggio-agosto 2001

martedì 25 maggio 2021

Laurano era un allievo un po’ disattento

Un'immagine d'epoca di Sanremo (IM) - Fonte: Sanremo.it cit. infra

Sulla lunga strada che Contini dovrà ancora attraversare il primo punto di svolta per la sua carriera letteraria era stato l’incontro con il poeta Renzo Laurano, al secolo Luigi Asquasciati [di Sanremo (IM)]. Laurano faceva parte di quella schiera di ufficiali richiamati che Contini doveva istruire sulle nuove armi a disposizione: «Laurano era un allievo un po’ disattento, ma io lo incalzai. Poi gli recitai una delle sue poesie più belle, Chiara ride» <52. L’amicizia con il poeta sanremese aveva permesso al giovane Contini di mettersi in contatto con alcune tra le più importanti personalità letterarie del tempo (Salvatore Quasimodo, Bonaventura Tecchi e Adriano Grande solo per citarne alcuni) e di pubblicare racconti e poesie su diverse riviste di fama nazionale (tra le altre «Meridiano di Roma», «Circoli» e «Cynthia»). Il lungo carteggio tra Contini e Laurano <53 - nato ‘con la divisa’ nel 1937 e durato fino alla morte dell’autore di Chiara ride nel 1986 - rimane a testimonianza di una profonda e duratura intesa umana e letteraria.
Nel settembre 1937 - trasferito da Imperia ad Altare come responsabile della gestione del Forte - l’ormai tenente Contini scriveva all’amico Laurano una lettera dai toni cupi e malinconici, allegando una poesia inedita sulla fine dell’adolescenza:
"Altare 21-IX-37
Caro Renzo, per me sono tante ghirlande pallide d’ore abbandonate a macerie. Vi è un acre odore di terra ovunque, anche sui miei panni, e a volte mi credo anch’io un fossile appiccicato a questo vecchio relitto di fortezza […].
E la stagione è finita
E la carne
vanita è aldilà
della mia verde stagione.
Effimera adolescenza
in gelide nebbie
m’alita sul volto
pallido silenzio
" <54.
Grazie a Laurano, che aveva una fitta rete di conoscenze, in breve tempo Contini aveva iniziato a scrivere su «Meridiano di Roma», era entrato in contatto con Bonaventura Tecchi e con il poeta di origini cubane Armand Godoy. La collaborazione di Contini con la rivista «Meridiano di Roma», allora diretta da Cornelio Di Marzio <55 si apriva infatti nel 1938 con un articolo – Attualità di Laurano <56 - dedicato proprio al poeta sanremese (e causa, come abbiamo visto, della rottura con Aldo Capasso) per proseguire poi con un articolo dedicato ad Armad Godoy <57, sempre nello stesso anno <58. Lusingato da questo scritto Godoy aveva risposto a Contini con una lettera che evidenziava come Laurano fosse l’artefice della loro intesa letteraria:
"Mon cher Confrère,
votre charmante carte et vos beaux poemes, qui nous publierons volontiers dans «La Phalange», m’arrivent à l’istant de Paris […]. J’avais lu votre généreux et bel article du «Meridiano di Roma» et je me préparais à vous exprimer ma reconaissance par l’intermédiarie du poète Renzo Laurano. Cet article m’a fait un grand plaisir. Merci encore
" <59.
Qualche anno dopo Godoy inviterà Contini <60 a scrivere una brevissima nota su Francis Jammes <61 per il numero dedicato all’autore simbolista della rivista «La Phalange» e Contini, accettando di buon grado, apriva così le porte ad una pubblicazione d’oltralpe:
"J’ai pris avec doleur la perte de votre grand Francis Jammes. Nous, frères latins d’outre-Alpes, nous tenons à partager votre deuil. C’est avec humiltè que je m’agenouille dans l’enceinte sacrèe d’hasparren sur la tombe de celui qui, fils insigne de Virgile, fut aussi par sa serenité et son amour le neveu de Saint François" <62.
Grazie a Laurano gli orizzonti del giovane poeta si erano allargati e il suo nome iniziava a circolare negli ambienti letterari. Al poeta sanremese Contini aveva confidato i segreti travagli d’amore («Mi sono innamorato. Che intenzioni ho? Sposare? Sono un tipo da sposarmi?» <63) e inviato le proprie riflessioni sul procedere della sua carriera letteraria («poi ci tengo a che la mia attività letteraria vada con passo guardingo seguendo quel vecchio adagio: “poco ma buono”» <64) allegando alle missive, talvolta, anche alcune poesie che poi confluiranno nella prima raccolta data alle stampe nel 1939. Nell’autunno 1938 - trasferito a Triora presso la Guardia di Frontiera <65 - Contini poteva in questo modo frequentare Laurano in maniera più assidua e con lui la fervente e briosa riviera sanremese. Negli anni Trenta Sanremo era tra le mete privilegiate di scrittori ed artisti che trovavano «una città pronta ad offrirsi in tutto il suo disarmante splendore» <66. Govoni, Comisso e Bontempelli, tra gli altri, avevano dedicato pagine memorabili a Sanremo ricordando il loro soggiorno rivierasco. Contini si era così inserito in quel vivace contesto letterario e culturale che gli aveva permesso di stringere amicizia con la scrittrice Giana Anguissola <67 e con suo marito Rinaldo Küfferle <68, disquisendo di letteratura mentre passeggiava per il maestoso Corso Imperatrice. A questo periodo risale la poesia pubblicata su «Meridiano di Roma» intitolata Ballata della guardia di frontiera <69, dagli evidenti toni patriottici:
Io sono un fante che guarda
la Patria ai confini. Che guarda
altre terre senza sospiri.
Buon soldato in pace e in guerra
se questa venisse, io combatto
Ho lasciato la mia casa, la
mia terra a mio padre, ho
lasciato la vanga, con i compagni
ci siamo dispersi come uno sciame
di rondini alla fine d’autunno.
Ma ho pianto? Anche questi
monti ch’io guardo sono mia casa
e gli altri fanti sono compagni.
Ho pianto? Non ho tempo
per i vani sospiri e quattro
fagioli mi bastano nella gavetta.
Come mio padre come tutti gli
altri farò il servizio, senza peso.
Si sa ch’è meglio la casa rossa
sul poggio e le viti davanti
e chiare e polverose bottiglie.»
E la morosa sospira, si sa. Ma pure
è bello quassù ed è un debito
di figlio alla madre. La pace
o la guerra, io sono lo stesso. La
casa la rivedrò, anche la morosa;
ma questi fratelli che Italia m’ha dato oggi – e domani
non ci rivedremo più… Non hai
più pane? Prendi. Dell’acqua?
un sorso. Siamo numerosi ragazzi…
Io sono un fante che guarda
la Patria ai confini. Che guarda
altre terre senza sospiri.
Buon soldato in pace e in guerra,
se questa venisse è la nostra
guerra e per giusti confini combattere
.
Sotto la spinta amorevole di Laurano Contini in questi anni era riuscito a pubblicare alcune sue liriche su diverse riviste: su «Olimpo» <70, tradotto in greco da Stelianos Xéfludas; su «Termini» <71 diretto da Giuseppe Gerini e tradotto in ungherese da Ollah Gabor; su «Poeti d’Oggi» <72 di Fidia Gambetti. Il nome di Ennio Contini iniziava a circolare nell’ambiente letterario e Nicola Moscardelli aveva scelto di inserire una sua poesia nell’antologia Le più belle liriche italiane dell’anno 1938 <73, dal titolo Fine d’estate (ripresa successivamente, con qualche modifica, in Magnolia).
Agli anni sanremesi risaliva anche l’amicizia di Contini con Bonaventura Tecchi, il famoso germanista di Bagnoregio, con il quale il poeta di Magnolia aveva instaurato uno dei suoi rapporti più duraturi <74; così in una pagina dei suoi quaderni inediti riferibili alla fine degli anni ’60: " La nostra amicizia è durata trentanni e in questo tempo ci siamo visti soltanto due volte, e di sfuggita. La prima a San Remo, nel 1938, e l’incontro fu più di due uomini piuttosto che di due letterati. Mi colpì quel suo fare dimesso, il sorriso pieno di bontà. Io ero un giovane inedito e lui lo scrittore pubblicato da Bompiani: mi trattò da pari a pari. La seconda ed ultima volta che ci vedemmo fu nel 1954, alla stazione Termini di Roma. Ero di passaggio da un treno all’altro e lui venne a salutarmi e a dirmi che mi avrebbe dedicato uno dei capitoli di Officina Segreta. In fondo ci completavamo: lui amava la mia vita, io il suo mezzo espressivo» <75.
Tecchi si era fatto lettore appassionato delle liriche continiane e negli anni a venire dimostrerà più volte la sua sincera ammirazione per i versi dell’amico <76. Scriveva a Contini nel 1939: "Caro Contini, come Le avrà detto Laurano le sue poesie mi sono piaciute molto. Non creda che questa sia una delle frasi solite. Ho trovato le Sue poesie migliori di quelle dei coetanei suoi, che in questi ultimi tempi ho conosciuto" <77.
Il giovane Contini aveva trovato la sua strada seguendo la sua vocazione. Le esperienze come giornalista musicale, i suoi viaggi in Inghilterra, Francia e Ungheria, la Scuola Allievi Ufficiali e l’apprendistato letterario con Manlio Sticco sembravano quasi un ricordo lontano, e a breve lo diventerà anche l’esperienza alla Guardia di Frontiera di Triora: "A Triora, dopo un alterco per questioni di regolamento col comandante del Sottosettore, diedi le dimissioni. L’alterco non era stata che una scusa, ma ero stufo di vette, di aquile e di signorsì. Volevo godermi in tutta tranquillità il tempo dell’agonia, assaporare il tempo trascorso con gli amici e aspirare a pieni polmoni il profumo degli eucalipti" <78.
Il periodo di formazione era finito. Ennio Contini si preparava a consegnare alle stampe il suo primo libro di versi, Magnolia. Ungarettiano, ricco di echi e rimandi poetici ma anche già, e profondamente, continiano.

52 AC, brano tratto dai quaderni inediti del poeta.
53 La numerosa corrispondenza di Ennio Contini a Renzo Laurano (conservata presso la Biblioteca civica ‘Francesco Corradi’ di Sanremo) va dal 1937 al 1986 ed è composta da 235 lettere, 43 cartoline e 6 biglietti. Le missive di Laurano a Contini, invece, sono soltanto 22 e tutte risalenti agli anni ’70. Questo fatto può essere imputato al fatto che una parte dell’archivio Contini è andata persa.
54 Lettera autografa, scritta solo sul recto, datata 21 settembre 1937 e inviata da Contini a Laurano da Altare (SV). Il documento è conservato nel Fondo Renzo Laurano della Biblioteca civica ‘Francesco Corradi’ di Sanremo, Epistolario b. 9, fascicolo 124.
55 Cornelio Di Marzio era diventato il direttore del «Meridiano di Roma» a partire dal gennaio 1938. Nell’archivio Contini sono presenti tre lettere inviate da Di Marzio al poeta savonese e datate rispettivamente 28 aprile 1939, 16 gennaio 1939 e 26 novembre 1939. Di quest’ultima, su carta intestata «Meridiano di Roma», riportiamo l’intero testo: «Egregio Contini, il vostro scritto su Schaub è stato pubblicato da tempo nel numero 12 di «Meridiano». Attendo qualche altra cosa, di cui vi sarò gratissimo. Cordiali saluti e auguri di buon lavoro. Cornelio Di Marzio».
56 Ennio Contini, Attualità di Laurano, in «Meridiano di Roma», III, 7 agosto 1938, p. IV.
57 Armand Godoy (La Havana,1880-Parigi,1964) è stato un poeta di forte impronta simbolista. Trasferitosi a Parigi nel 1919 diventa il finanziatore della rivista «La Phalange», fondata da Jean Royère. Tra le sue opere possiamo ricordare Triste et tendre, Parigi, Emile-Paul Frères, 1927, Le Drame de la Passion, Parigi, Grasset, 1929 e La poème de l’Atlantique, Parigi, Grasset, 1938.
58 Ennio Contini, Armand Godoy, in «Meridiano di Roma», III, 25 settembre 1938, p. IX.
59 AC, lettera dattiloscritta, autografa con firma apposta in calce, su un foglio, impiegato solo sul recto, datata «7 ottobre 1938».
60 Ennio Contini dedicherà ad Armand Godoy anche una poesia, È notturna foresta il tuo divenire, publicata su «Olimpo», anno IV, n. 21, gennaio 1939, p. 43: « È notturna foresta il tuo divenire. / Ebbro delle tue stesse passioni tu cerchi / vanamente l’orlo dell’abisso, l’estasi / tacita ove s’appaci il tuo delirarre. / Ed il tremore dei bianchi ruscelli, le voci / le mille voci sonore – o vita o vita – / ti peseranno, gelide, quasi / fiera predata dall’onda dei tuoi stessi rimorsi. / Invano riposerai, vagabondo dei tuoi ruvidi sangui. / Invano cercherai nell’oblio delle cose passate / un sollievo alla presente amarezza, invano / – effimera argilla – ti cullerai alla brezza / stupefacente delle rosee, delle dolci illusioni // E scenderà la sera. La tua squallida sera. / Mio Dio hai sofferto ed io t’ho fatto soffrire. / Mio Dio, è la sera, anch’io ho sofferto».
61 Francis Jammes (Tournay, 1868 - Hasparren, 1938) è stato un poeta d’ispirazione simbolista, amico di Paul Claudel. Dopo la sua morte la rivista «La Phalange» gli aveva dedicato un numero monografico.
62 Ennio Contini, Hommage, in «La Phalange», Anno 12, n.36-38, numero speciale dedicato a Francis Jammes, 15 novembre 1938-15 gennaio 1939, p. 59.
63 Lettera autografa, su un foglio impiegato solo sul recto, datata 19 ottobre 1937 e inviata da Contini a Laurano da Altare (SV). Il documento è conservato nel Fondo Renzo Laurano della Biblioteca civica ‘Francesco Corradi’ di Sanremo, Epistolario b. 9, fascicolo 124.
64 Lettera autografa, su un foglio impiegato solo sul recto, datata 24 febbraio 1937 e inviata da Contini a Laurano da Triora. Il documento è conservato nel Fondo Renzo Laurano della Biblioteca civica ‘Francesco Corradi’ di Sanremo, Epistolario b. 9, fascicolo 125.
65 Così nel romanzo No haya cuartel! alla pagina 116: «Tutto un altro paesaggio fiorì dinanzi agli occhi del sottotenente, ampio e puro, aereo ed eleusino: su in alto, nella sonante Valle Argentina, ai confini con la Francia. Aveva fissato la sua dimora nella gloriosa Guardia alla Frontiera, comandante al 13o Caposaldo: duecentosessantaquattro uomini, cinque sottufficiali, altrettanti del Genio Radiotelegrafisti, più una gabbia di piccioni viaggiatori».
66 Domenico Astengo, Sanremo anni Trenta tra scrittori e giornalisti, in: Marinaresca la mia favola – Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al club Tenco, a cura di Marco Innocenti-Loretta Marchi-Stefano Verdino, Genova, De Ferrari, 2006, p. 45.
67 Giana Anguissola (Piacenza,1906-Milano, 1966) ha collaborato con diverse testate italiane tra cui «Il Corriere della Sera» e «Il Corriere dei Piccoli». Dopo aver ottenuto un discreto successo con Il romanzo di molta gente (Milano, Mondadori, 1931) si era dedicata alla letteratura per ragazzi, raggiungendo la notorietà con Violetta la timida (Milano, Mursia, 1963).
68 Rinaldo Küfferle (San Pietroburgo,1903-Milano, 1955) poeta e traduttore di origine russa sposò Giana Anguissola nel 1933. Aveva tradotto svariati libretti d’opera dal russo e anche dal tedesco ma scrisse in italiano le sue opere poetiche tra cui ricordiamo Le ospiti solari (Milano, La Prora, 1932), Disgelo: poesie (Milano, I.T.E., 1936) e Canti spirituali (Milano, Bocca, 1946). La sua opera di traduttore non riguardò solamente i libretti d’opera ma anche la grande letteratura: sua la traduzione de I demoni di Dostoevskij per i tipi di Mondadori nel 1931 e quella di Padri e figli di Turgenev, sempre per Mondadori nel 1936. Si interessò anche di antroposofia e fondò la rivista «Antroposofia-Rivista di scienza dello spirito» dedicata a studi steineriani.
69 Ennio Contini, Ballata della guardia di frontiera, in «Meridiano di Roma», 10 settembre 1939, p. VII.
70 Le poesie di Contini, tradotte in greco con testo a fronte, sono riportate su tre diversi numeri della rivista «Olimpo», Società Nazionale Dante Alighieri, Salonicco: Lago dell’Alpe (dedicata a Renzo Laurano) anno III, n. 1-2, gennaio-febbraio 1938, pp. 59-60; Malinconia della mia riviera (dedicata a Renzo Laurano), anno III, n. 11, novembre 1938, p. 91, È notturna foresta il tuo divenire (dedicata ad Armand Godoy), anno IV, n.1, gennaio 1939, pp.13-14; Io sono fiumana tra rive beate di genti, anno IV, n.3, marzo 1939, pp.167-168.
71 La poesia Calda estate è stata inserita nel fascicolo straordinario di «Termini» (Fiume, Istituto di Cultura fascista del Carnaro, 1938, p. 1183) tradotta in ungherese da Ollah Gabor.
72 Su «Poeti d’Oggi» (Asti, Tipografia Paglieri e Raspi, n. 8, febbraio 1938) Contini pubblica Fine d’estate.
73 Nicola Moscardelli, Le più belle liriche dell’anno 1938, Roma, Edizioni Modernissima, 1938. La lirica di Contini, Fine d’estate, è a pagina 120, ripresa dalla precedente pubblicazione su «Poeti d’Oggi».
74 Le lettere di Bonaventura Tecchi ritrovate nell’archivio Contini sono 55 e vanno dal 1939 al 1965. Le lettere di Contini a Tecchi, rinvenute nell’archivio di Bagnoregio, sono invece 21 relative agli anni dal 1949 al 1954. La lacuna evidente è dovuta all’incompleta catalogazione delle lettere di Contini a Tecchi, ancora in fase di realizzazione.
75 AC, brano tratto da un foglio scritto solo sul recto, manoscritto non autografo, ma di sicura mano di Contini. Il breve testo è stato redatto con molta probabilità dopo la morte dello scrittore di Bagnoregio, avvenuta nel 1968: «Sapevo che da tempo Tecchi non stava bene, ma mai avrei creduto ch’egli potesse lasciarci, così, su due piedi, come di fatto avvenne».

Francesca Bergadano, «Il gioco irresistibile della vita». Ricerche su Ennio Contini (1914-2006): poeta, scrittore, pittore, Tesi di laurea, Università degli Studi Genova, Anno Accademico 2017-2018 

[...] Il giovane Luigi Asquasciati cresce senza problemi, studia interessato alle materie più consoni alla sua sensibilità e si diverte, tantissimo, in una città internazionale piena di occasioni, un vero paradiso del divertimento. Anche l’affermazione del Fascismo è da lui vissuta in rapporto alla dimensione vitalistica dell’affermazione di sé piuttosto che nel contesto politico. Si laurea in Giurisprudenza nel 1928 e poi, seguendo l’istinto letterario, in Lettere nel 1934, sempre a Genova. La poesia riflette ormai il suo mondo interiore attraverso le molteplici ispirazioni dettate dalla vita e dagli incontri amichevoli ed affettivi. Proprio nel 1934 il testo Chiara ride viene premiato alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia. Premio ambito, in una città di mare, quel mare tanto amato e vissuto. Il richiamo ai contemporanei “Premi Sanremo”, in cui cultura e mondanità si collegavano facilmente, è immediato. E intanto il gioco del travestimento aveva coinvolto la stessa identità, che cambia dal difficile “Luigi Asquasciati” al musicale e poetico “Renzo Laurano”, lo pseudonimo di una vita. In quegli anni diventa fittissima la corrispondenza con tanti esponenti del mondo letterario italiano. È rimasto celebre lo scambio di lettere con Eugenio Montale. Alcuni rapporti epistolari resteranno vivi per tantissimi anni, come quelli con Giorgio Caproni o Ennio Contini.
Partecipa quindi alla Seconda Guerra Mondiale in Fanteria.
La divisa è per lui motivo di orgoglio patriottico e di ricerca d’avventura. Partirà per la Russia, non volontario. Lo si crederà disperso e caduto. La città piange per lui, ma riesce a ritornare, con un vero e proprio colpo di scena in piena relazione con tutto il suo modo di intendere la vita. Sarà poi insegnante, a lungo, nel dopoguerra. E continuerà a scrivere: poche raccolte di poesia, molto meditate, molti articoli, recensioni, traduzioni degli amati trovatori provenzali, lettere. E amore, amore per le tante ispiratrici della ua poesia, del suo sentimento, per la sua città e gli amici con cui ha condiviso una vita piena di trasformazioni, colpi di scena ed avventure anche letterarie.
[...] Gli studi e l’esposizione sulla figura di Renzo Laurano si identificano in una sua frase riassuntiva di una vita: “marinaresca la mia favola”. Vita vissuta come una fiaba, simile a quelle in cui era attore in giovane età nelle ville più belle di Sanremo. Vita a contatto con il mare, mai dimenticato, sempre tenuto vicino anche se lontano per le vicende, anche drammatiche, dell’esistenza e dell’esperienza. Mare poi come luogo in cui fin da ragazzo ha esasperato l’allora imperante culto del corpo in modo giocoso. Iniziano così, in un’occhiata, in un travestimento, dalla spiaggia alla festa, i tanti rapporti con amiche e poi ispiratrici.
Sanremo anni Trenta: città di cultura e città spensierata, ricca e internazionale. La “corte” del giovane Laurano è fatto di giovani nobildonne di ogni provenienza o da splendide ospiti nordeuropee che imitano le pose dei grandi atleti di fronte alla macchina fotografica. Da qui sarà facile poi passare ai rapporti più intensi e complessi, con regine della cultura e dello spettacolo molto note al pubblico e invitate da Laurano a Sanremo.
Città che fa da palcoscenico solare e piacevole per figure come la coreografa Wally Ficini, come Isa Miranda o Assia Noris… Laurano non finirà mai di sorprenderci.
[...] Nel secondo Novecento Renzo Laurano rimane apparentemente defilato dalla dimensione culturale della Provincia di Imperia. In realtà partecipa attivamente ad un clima molto vivace, basato sulla realtà internazionale della Riviera.
Il poeta coltiva la dimensione letteraria ai margini dell’insegnamento e porta sulla Riviera il messaggio dei tanti amici, tra i quali Salvatore Quasimodo. La Liguria occidentale si impegna nell’indire premi letterari con evidenti finalità anche turistiche, come il Premio De Amicis a Imperia o quello che lo stesso Laurano battezza, dedicato al grande illustratore Antonio Rubino (prima edizione 1965). Qui si incontrano in giuria personaggi del calibro di Ignazio Silone, Bonaventura Tecchi, Sergio Tofano e Carlo Triberti, quest’ultimo direttore del “Corriere dei Piccoli”, in un momento di assoluto valore qualitativo. Fra i premiati e i segnalati si notano Gianni Rodari ed Emanuele Luzzati. Inoltre, al di là di Sanremo, si definisce un fervido clima di attività con il concorso artistico-letterario come il “Cinque Bettole”. Qui si ritrovano in giuria notevoli personaggio dell’orizzonte letterario del momento, accanto a Renzo, il quale scambia molte lettere con l’organizzatore, il pittore Giuseppe Balbo, che è stato protagonista della pittura italiana già prima della seconda guerra mondiale. Ed è così che in Riviera ci si ritrova a fianco di figure artistiche internazionali come Jean Cocteau, mentre al Cinque Bettole compare il giovane Francesco Biamonti. Un uomo di cultura che ha trovato tutte le parole per descrivere la Liguria occidentale.
Alessandro Giacobbe, “Renzo Laurano, pseudonimo di Luigi (Gigetto) Asquasciati (1905-1986)” (Testo originale: “Progetto Laurano.” ©Sanremo Promotion), Sanremo.it

martedì 12 gennaio 2021

Giuseppe Balbo e la “I^ Mostra dei Pittori Americani in Europa” di Bordighera (IM)

 Archivio Balbo

Nel 1952 Giuseppe Balbo è il regista di una sorprendente iniziativa artistica che pone Bordighera (IM) al centro dell’attenzione internazionale, al pari di altre più importanti città italiane tradizionalmente note come centri promotori di cultura. La “I^ Mostra dei Pittori Americani in Europa” s’inserisce in un clima di intensi rapporti del nostro paese con gli Stati Uniti.

Un momento dell'allestimento della Mostra - Archivio Balbo

Scrive Walter Shaw nell’opuscolo di presentazione: “Nel prendere sotto i propri auspici questa prima esposizione dei pittori americani in Europa, la città di Bordighera raggiunge il più alto ideale di buona volontà e di fratellanza. Tale è il senso di questo reciproco gesto verso il popolo americano quale lo fu il Piano Marshall nei riguardi del popolo italiano. Tutti i pittori americani che lavorano in Europa sono stati invitati a presentare le loro opere davanti ad una giuria composta da pittori-artisti francesi, americani e italiani. Questa esposizione quindi può ben definirsi internazionale in scopi e sentimento. E’ un panorama che dimostra gli effetti che le diverse concezioni culturali europee passate e presenti hanno avuto nell’animo degli artisti americani“.

Sally Nichols, La piccola strada - Archivio Balbo

Pegeen Vail, Piccolo nudo - Archivio Balbo

Balbo e con lui gli operatori culturali e gli enti pubblici che promuovono la manifestazione, investono sul binomio cultura-turismo che aveva qualificato la storia di Bordighera già nel tardo Ottocento. Credono che sia ancora attuale per far ripartire un’economia svilita dal recente conflitto mondiale e che possa fondare le future sorti della città.

Edward Melchart, Scala a Coney Island - Archivio Balbo

Jean Guerin, Ninfa in solitudine - Archivio Balbo

E. Vardi, Composizione musicale - Archivio Balbo

"E’ difficile trovare uno stile, un carattere che possa classificare la Mostra e potremmo meglio definirla un riflesso delle più disparate esperienze artistiche e d’avanguardia; riassunto che d’altronde è il risultato più logico delle fonti ispirative cui fa capo questa pittura. Fonti che vanno dalle tendenze impressionistiche e postCezanne a quelle fauviste e picassiane, da un astrattismo piuttosto formale ad un realismo con carattere intimista e talvolta anche primitivamente ingenuo e personalistico. Non siamo dinanzi ad arte americana nè di tradizione americana è il caso di parlare … Ognuno di questi pittori si è rivolto al maestro, per non dire all’esemplare…" G.C. Ghiglione, 5 giugno 1952, Il Secolo XIX

Archivio Balbo

Archivio Balbo

Archivio Balbo

Nonostante la tiepida reazione dei critici va considerata una importante caratteristica di questa esposizione: l’istituzione di premi d’acquisto da assegnare mediante una giuria. Il Comune di Bordighera ha quindi la possibilità di acquistare le migliori opere esposte, iniziando così la costituzione di una Galleria d’Arte Contemporanea, primo passo per un Centro internazionale d’arte e di cultura.

Nel 1953 Walter Shaw e Jean Guerin, due miei vecchi amici che vivevano a Bordighera, mi chiesero in prestito dei quadri perchè volevano organizzare un’esposizione di pittori americani che sarebbe stata patrocinata dal Comune, e perciò piuttosto ufficiale. Cocteau scrisse l’introduzione al catalogo ed io accettai di prestare i quadri e andai a Bordighera con Laurence Vail… Il pranzo che Walter e Jean offrirono in onore nostro e di Cocteau fu molto divertente… Con mia grande sorpresa scoprii che eravamo tutti e tre ospiti della città di Bordighera e ci furono offerte tre splendide stanze in un albergo. Peggy Guggenheim

Marco Balbo