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domenica 3 dicembre 2023

C'é una Torre nella Piana di Latte...

Ventimiglia (IM): una vista parziale della Piana di Latte

Persiste un gran scrivere - per non dire un gran pontificare - sulle ville storiche di Latte, Frazione di ponente di Ventimiglia. E non solo su quelle - per lo più situate nella Piana -, ma anche su altre, non molto lontane.

Spiace solo che un bel dibattito non ci sia mai stato sui rischi corsi - ancora nel recente passato - di ulteriore cementificazione, né su ristrutturazioni, che almeno in un caso si dice sia consistita in uno sventramento completo con successiva ricostruzione. Come aveva paventato ne "Gli spiccioli di Montale" Nico Orengo, di cui non si sa se si sia mai rallegrato di qualche relativa salvaguardia pur conquistata in zona.


Conviene rifugiarsi nell'aneddotica.

C'è una Torre - una delle cinque, se non aggiuntiva, delle superstiti strutture di avvistamento, come da elenco stilato da competente persona del posto - adagiata al muro di cinta - lato di ponente, affacciato sulla foce del torrente Latte - del parco di una vestusta magione del novero di quelle già menzionate, una Torre che in una stanzetta al pianterreno negli anni - quelli Ottanta - di fulgore di sagre popolari e Feste de l'Unità - ma anche dell'Amicizia (Democrazia Cristiana) - ospitava materiali utili a tali accadimenti: a fianco, talora, all'aperto, si tenevano incontri conviviali, qualche volta rallegrati dal passaggio di qualche vispo porcospino. L'edificio oggi dovrebbe essere di proprietà diversa da quella dell'intero complesso padronale, ma, invero, questo aspetto risulta poco interessante.

La stretta Via Romana, infrastuttura di accesso a molte delle già dette dimore, attraversa la località da una parte parallela al mare, dall'altra alla ferrovia, prima in un senso, poi, in un altro, mediante un cavalcavia pedonale, sì da congegnare un'arteria carrozzabile strozzata quasi a metà. Allo stato attuale ci sono discreti parcheggi a ponente. All'epoca di tante feste popolari era uno spettacolo vedere invaso di automobili e di motocicli l'ampio greto del rio, compresi tratti del corso - asciutto d'estate! -. Per chi arrivava - ma anche adesso - sussisteva l'obbligo di prestare sempre attenzione al fatto che non ci sono quasi mai due sensi di marcia. 

Ventimiglia (IM): un classico tratto di levante della Via Romana a Latte

Una situazione che probabilmente disegna da sola tante storie.

Ad esempio, diversi anni fa Nico Orengo scrisse - dopo averne letto "Quaranta e mezzo" - un biglietto di congratulazioni ad Arturo Viale  (che lo ha pubblicato nel suo ultimo "Punti Cardinali: da capo Mortola a capo Sant'Ampelio", Edizioni Zem, 2022), in cui, tra l'altro, menzionava l'albero di giuggiola presente prima del cavalcavia della Via Romana, aggiungendo: "Caro Viale, il suo raccontare mi ha tenuto una affettuosa e sincera compagnia per una sera, tempo fa...".

Ventimiglia (IM): il cavalcavia della Via Romana a Latte

Neanche a farlo apposta appena attraversata quella passerella - o poco prima, se si arriva da un'altra direzione - sorge Villa San Gaetano. Dalla fitta ringhiera sovrastante la ferrovia si intravvede a malapena l'abside della Chiesetta dallo stesso nome, che sorge di fronte: i colori sono belli ed intensi, mentre la facciata è grigia e smorta. A quella Cappella a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta erano usi recarsi per depositare fiori due ferrovieri in pensione, lieti di rendere in tale modo felice una signora più anziana di loro, impossibilitata a  muoversi. A Villa San Gaetano Maria Pia Urso, di recente purtroppo scomparsa, ha dedicato un bel libro di memorie - sue e di famiglia -, uno spaccato di grande livello sociale e morale. "... l'intensa esperienza di vita, la gioventù spensierata al mare, gli ideali, i gusti culturali, le curiosità e le molteplici iniziative nella comunità", sottolineava una presentazione dell'opera (Maria Pia Urso, Villa San Gaetano, youcanprint, 2015).

Spostandosi verso ponente si possono scorgere la casa a lungo abitata ed i resti delle campagne per pari periodo coltivate a fiori - rose, soprattutto - con passione e competenza - il tutto rigorosamente in affitto - da Libero Alborno, il Libero de "La curva del Latte" e di altri romanzi di Nico Orengo.

Ventimiglia (IM): uno spazio verde a complemento di un parcheggio nella zona di ponente della Via Romana a Latte

Si narra, inoltre, di episodi - accaduti in qualche punto della Piana - di pura goliardia ai quali lo scrittore si sarebbe lasciato andare con compagni sì di modesta statura intellettuale, ma che si beavano contraccambiati della sua presenza e che non si sono mai sognati di dedicargli pensieri scritti.

Ventimiglia (IM): la zona di Latte, vista dalle vicinanze di Villa San Gaetano

Da quelle parti ha abitato a lungo un floricoltore, per nulla vanesio, ma del quale ancora oggi si raccontano da terze persone grandi avventure di pesca, vissute negli anni, da quella - ripetuta - al pescespada, affrontata sempre con un piccolo guscio, non con mezzi professionali, a quella - che si tramanda ancora - di una mirabolante imbarcata di bianchetti, che, forse, non era già del tutto lecita, stanti i divieti in materia. Il fratello, forse sodale, forse più pronto ad uscire in mare con altri, ridimensionava, invece, in una datata conversazione gli esiti di una ricerca di branzini, di cui si era, invece, tramandata una bella storia, storia, inoltre, costellata di riferimenti a inconsueti, di solito rocciosi, rialzi del fondale, al massimo a pelo d'acqua, teatri a volte, per i conoscitori di quegli arcani, di cospicui risultati e talora muti conservatori di relitti misteriosi, spesso piratescamente trafugati. Non sempre i gozzi sono partiti o tornati dalle spiagge della Piana di Latte, ma spesso, per un risvolto o l'altro, lì si torna. 

D'altronde, i racconti di pesca - a fare inizio dallo stesso Nico Orengo - abbondano per tutto il ponente di Ventimiglia, da Punta della Rocca al confine con la Francia.

Adriano Maini

sabato 1 aprile 2023

Le storie di Nico vivono dell’aria che scende dal Grammondo e del salino di baia Begliamin

Mortola, Frazione di Ventimiglia (IM): uno scorcio

Nico [Orengo] è nato nel 1944 ed è morto nel 2009 a Torino. Ma la tomba è nella sua Mortola dove è interrato in un cimitero luminoso, senza cipressi nel quale anch’io vorrei un posto per il mio ultimo riposo.
All’ombra di un grande pino il suo tumulo è segnato da quattro ciappe di ardesia messe di costa a contorno e da una lapide in verticale con scolpite le due date, il nome preceduto dal titolo di marchese e in fondo l’indicazione di poeta.
Di fronte, poco lontano all’ombra dello stesso albero, riposa il padre marchese Vladi che suo nonno materno chiamava Volodja. Sua mamma Valentina faceva infatti di cognome Tallevich, era figlia di un ufficiale russo che nella seconda metà dell'Ottocento si era trasferito a Sanremo. Nel 1912 su un terreno situato all'inizio della passeggiata già dedicata alla imperatrice russa, ed acquistato da un comitato appositamente costituito a nome del Tallevich, venne posata la prima pietra della chiesa russa ortodossa di Sanremo.
Già nel 1864 la zarina Maria Aleksandrovna per prima scelse Sanremo per "svernare", aprendo la strada al turismo della nobiltà russa, attratta dal clima mite e dai posti incantevoli.
Prima della chiesa di Sanremo gli ortodossi frequentavano la chiesa di Mentone che esisteva dal 1892. Racconta Vladi che in quel periodo la sua famiglia festeggiava i due Natali, quello cattolico a Sanremo il venticinque dicembre e quello ortodosso a Mentone il sette gennaio, basandosi sul calendario Giuliano. Arrivavano per le feste Vittorio e Momò da Ginevra, Cirillo e Pepino da Parigi, Sergio da Oxford, Olga dal collegio di Dresda.
Finché Valentina abbracciò il cattolicesimo ad insaputa del padre e i rapporti si raffreddarono. Solo molti anni dopo, quando il piccolo Vladi fu presentato al grande nonno, ci fu la riconciliazione. Ma fu l'unica volta che nonno e nipotino si incontrarono.
Al cimitero della foce di Sanremo, a ridosso del muro di cinta, c'è ancora la tomba del numeroso ramo russo della famiglia.
Tra le prime cose Nico Orengo pubblicò Miramare edito da Marsilio, la casa editrice fondata pochi anni prima da Toni Negri. Luigi Malerba ne scrisse la prefazione. Poi seguirono oltre cinquanta libri tra poesie e romanzi, forse qualcuno di troppo.
Le storie di Nico vivono dell’aria che scende dal Grammondo e del salino di baia Begliamin. In un biglietto che mi aveva scritto mi racconta della pianta di giuggiole che c'è a Latte all'inizio della via Romana vicino alla casa del Vescovo e ricorda che all'osteria da Bataglia c'era il più buon condiglione che avesse mai mangiato; e poi mi spiega che becìciùre* chiede due accenti, sulla prima i e poi sulla u.  Io a casa Bataglia ci sono nato, sono cresciuto a condiglione e coniglio e conosco tutte le piante di carrubo e giuggiole e i cespugli di lavanda che ci sono in zona e so dove a Pasqua fioriscono le becìciùre. Quest'estate sono passato da quelle giuggiole e le ho rubate con gusto per Nico. Il legno di giuggiolo, più duro del bosso, si presta molto bene a lavori di scultura. Raccontava mio padre di quel paesano che, inginocchiato davanti ad un Cristo scolpito nel legno di giuggiolo, dopo averlo supplicato in silenzio esclamava: "… pensare che ti ho conosciuto quando eri ancora Zizura".
*muscari [La muscari è una bulbosa perenne che fiorisce in primavera con fiori azzurri. Di facile coltivazione. La specie lampascione è commestibile. Da tuttogreen.it]
Arturo Viale, 1. Nico e Vladi in Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2018 

Altri libri di Arturo Viale: Punti Cardinali, Edizioni Zem, 2022; La Merica...non c'era ancora, Edizioni Zem, 2020; L'ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Mezz'agosto; Storie&fandonie; Ho radici e ali.
Adriano Maini

martedì 3 gennaio 2012

Altre idee di Ventimiglia (e zona)


Questa mattina M., finalmente trovato di persona e da me interpellato in proposito del professore Raffaello Monti, mi racconta di un'importante assemblea pubblica sull'obiezione di coscienza, avvenuta a Bordighera nei primi anni '60 con l'intervento di Aldo Capitini, grande figura di cattolico pacifista. E con un lungo telegramma di Bertrand Russel, dispiaciuto di non poter intervenire. L'iniziativa ebbe luogo nella Chiesa Anglicana della Città delle Palme, allora aperta al culto. Con l'autorizzazione del Vescovo di Malta, da cui dipendeva quel luogo ancora sacro. Il meeting era stato organizzato dall'Unione Culturale Democratica, di cui era presidente il professore Monti, artefice, anche in virtù dei suoi profondi legami con Capitini, della sopradetta manifestazione. Di quest'ultimo, di cui ho già parlato, cercavo e cerco ulteriori notizie, perché per un caso straordinario e significativo a seguito di quel mio post sono entrato in contatto telefonico con la figlia, che mi ha esortato a parlare ancora di suo padre, soprattutto in riferimento alla sua frequentazione con Capitini: il che io traduco soprattutto nel sollecitare vecchi amici della famiglia Monti, in Bordighera e dintorni, a riunire memorie e documenti dell'attività svolta in questa zona, da ultimo anche nel pensare a qualcuno veramente esperto di penna per stendere note importanti in proposito.

In sostanza, qualcosa che ho scritto già qui sul blog ha avuto sviluppi, anche imprevisti, incrociando, inoltre, altre trame.


Un punto riassuntivo potrebbe essere il già da me citato Bar Irene di Ventimiglia dei primi anni '70, che di recente mi torna in ballo anche per aspetti banali, ma che molti collaboratori locali del professore Monti hanno conosciuto bene.

Come l'ha conosciuto bene N., da anni, come ne scrissi tempo fa, emigrato nelle vicinanze di Milano, con cui, finalmente, dopo due fugaci occasioni, ho potuto avere qualche giorno fa una lunga e proficua discussione, come quelle di una volta: sembrava proprio ci fossimo lasciati l'altro giorno, forse perché, come dice, esplicitandomi il senso di una battuta di un mio ex-compagno di scuola, il mio anonimo dotto eremita della collina, quando si cresce insieme rimane un elevato grado comune di confidenza.
N., che ritrovo come sempre colto ed acuto osservatore, in più temprato anche dalle importanti vicende culturali di una vecchia Milano, che ha avuto l'opportunità di vivere, quella della Casa della Cultura, per intenderci, ha di quel Bar Irene più in mente, o a cuore, in questo momento, se ho capito bene nell'enfasi di un cimento peripatetico interrotto da continui rimandi, persone anche dalla vita pittoresca, che credo di avere individuato anche in un pezzo di notevole pregio stilistico di un altro nostro conoscente, pezzo che prima o poi mi devo decidere a pubblicare qui.
Solo che a quel Bar era lui soprattutto, N., quello che faceva interminabili discussioni con Francesco Biamonti, come a suo tempo io devo aver messo in quella mia sintesi di quella storia, per noi ed altri, così importante. Non per niente una parte del tempo passato insieme l'altro giorno l'abbiamo speso a vedere a Bordighera la Mostra fotografica di Ario Calvini "Tra gli ulivi con Francesco Biamonti".

L'incontro con N. - che non ha conosciuto, tuttavia, il professore Monti - mi fa, dunque, da traccia per schemi di vecchie narrazioni che dovrei arricchire, ma, prima di proseguire almeno per una parte qui, aggiungo che altri spunti mi sono stati da lui forniti, soprattutto con alcune sue fotografie ed alcune impeccabili riflessioni consegnatemi subito dopo via email: mi auguro solo che vada ad aprire presto il blog di cui mi ha detto in termini ancora di vaga idea.


Avevo già saputo che il mio amico d'infanzia, cui sono debitore di tanti insegnamenti relativi alla storia, aveva presentato a Ventimiglia, verso il termine del lungo periodo in cui io mi ero trovato praticamente relegato a Sanremo, il bel romanzo di N., su cui l'autore mi ha pregato per il momento di tergiversare. Ma N., dalla robusta, differentemente dalla mia, memoria, mi viene a sottolineare l'esperienza per tutti noi giovanile di un Cineforum, condotto presso il Dopolavoro Ferrovieri di Ventimiglia, nel corso della quale, ad esempio, il nostro vecchio sodale, oggi ormai ben piazzato a Seborga (e che mi ha confermato la circostanza), procedette, con la sua sempreverde foga, a difendere le opinioni altrui, comunque espresse.

Di N. dovrò dire altro ancora, come preannunciato, non fosse altro che per ricordare altre persone, alcune veramente care, da ricondurre alle comuni trame, ma aggiungo due argomenti che in qualche modo lo collegano a mie pregresse storie. Di quanto pertinente a "Far West di Ponente" l'ho maggiormente informato io, non sapendo lui ad esempio del romanzo di Elio Lanteri, che bene conoscemmo da giovani, ma su alcuni aspetti, sempre via email, mi ha già fornito suoi giudizi critici. E non potevo dubitare che, avendo conosciuto Nico Orengo, N. rammentasse all'autore de "La curva del Latte" che, certo anni dopo quell’ambientazione storica, nella campagna condotta dal protagonista lui, prima di diventare a costo di grandi studi e di pesanti sacrifici un importante dirigente in due diversi comuni dell’hinterland milanese, ci avesse lavorato da bracciante, ricavandone anche il ritratto affettuoso del figlio reale di quel personaggio, figlio cui Orengo, particolare a me sfuggito, aveva dedicato un'altra opera.



Ma su Orengo, una cui recente parziale rilettura mi ha aperto altre strade da indagare, termino questa prolissa esposizione.


domenica 22 agosto 2010

La zona di Latte


La zona di Latte, di cui nella foto si vede un ampio scorcio panoramico, corrisponde, all'interno del territorio comunale di Ventimiglia (IM), all'estremo lembo ligure, prospiciente il mare, verso la Francia. Non entro nella descrizione, almeno questa volta, delle varie frazioni (Latte, appunto; ma anche Mortola - Superiore ed Inferiore -, sede dei magnifici Giardini Hanbury; Grimaldi - anch'essa divisa in Superiore ed Inferiore -; altre) e delle varie borgate e case sparse che costellano l'unica piana colà esistente e le varie alture che accompagnano alle incombenti Alpi Marittime, per accennare almeno, invece, a  storie di uomini veri.

Ho avuto l'onore di conoscere uomini che hanno fatto la Resistenza e che in quella zona avevano già aiutato tanti ebrei e tanti altri perseguitati a fuggire verso l'allora ospitale - ma non sempre, comunque, più di oggi! - Francia, uomini che hanno continuato, senza reclamare onori (a volte, invece, usurpati da altri) a guadagnarsi il pane con la dura fatica del lavoro manuale, in genere quella della diffusa, sino a poco tempo fa, coltivazione dei fiori.

Avevo già in mente di scrivere questi appunti, quando ho ricevuto ulteriore conferma a farlo dalla lettura di una recensione di un libro che narra di un esule (negli anni '30), espatriato clandestinamente in Francia per motivi di lavoro e di antifascismo. L'articolo in questione contiene parole molto belle sia per sottolineare il dramma dei viaggi clandestini di ieri e di oggi, sia per invogliare il lettore a leggere quel libro. E' molto probabile che quella fuga sia avvenuta da queste parti: in ogni caso rinvengo un collegamento ideale con le scarne note che sto tracciando.

Va da sé che, nella storia delle frontiere, compresa la nostra, non si sono solo cimentati eroi, che hanno ritenuto semplicemente di compiere il loro dovere di uomini, ma anche contrabbandieri e veri e propri farabutti.


Pubblico, invece, la foto che si é appena vista (della cui scarsa qualità sono consapevole) solo per dare una pallida idea, dato che l'inquadratura é a livello mare, di un orrido (e, forse, la parte terminale non é questa, ce ne sono altri) denominato "Passo della Morte". Era chiuso in alto dal sentiero preferito, più prossimo al mare, per espatri clandestini e contrabbando. I racconti, specie quelli tramandati a viva voce, ci parlano di tanti incidenti fatali, anche di persone avviatesi da sole nell'ignoto e di persone indirizzate, ma non accompagnate da delinquenti che avevano intascato comunque ancor più indegna mercede. E la tragica denominazione é rimasta e forse a marchiare più punti di passaggio di quelle colline rocciose a picco sulla sottostante stretta fascia litoranea. Altre storie di delinquenza sul traffico di clandestini extra-comunitari andarono poi molto più tardi a concretarsi, e probabilmente tuttora sporadicamente continuano, con l'utilizzo dell'Autostrada dei Fiori.

Alcuni validi scrittori di questa terra hanno raccontato in belle pagine anche quelle tragedie. Nella presente occasione, voglio accennare almeno a Nico Orengo, delle cui opere invito alla lettura. Ne "La curva del Latte" emergono alcuni personaggi di cui ho detto in premessa, riconoscibili, stante la trasfigurazione letteraria, solo a chi ha vissuto intensamente da queste parti ed altri ancora, deceduti prematuramente, così come altre situazioni, altre memorie storiche, il dopoguerra, la bellezza della natura e del paesaggio. L'incanto é tutto nelle vicende narrate con grande maestria dall'autore. Nico Orengo - mi pare giusto sottolinearlo - é stato impegnato nella vita reale, e non solo con la testimonianza resa dalle sue opere, a difendere tanti luoghi belli di questa zona, la Piana di Latte, soprattutto, dall'assalto del cemento. Credo non sempre ci sia riuscito. Io ho il rammarico, nonostante i tanti amici in comune, di non averlo mai potuto conoscere di persona. Ed ormai é poco più di un anno che ci ha lasciati. Questo scrittore ci ha narrato in altri romanzi ed in altre opere altre trame di grande respiro, che hanno anche spaziato in tutto il Ponente Ligure, in Piemonte, in Francia. Difficilmente, tuttavia, se l'ambientazione non era in toto nella zona di Latte, ne trascurava almeno un accenno. Come nel caso di un agile librettino che ci porta con commossa partecipazione dalla Provenza degli impressionisti a posti magici che non ci sono più, con l'inserimento di ritratti di attori americani, passati dalla Riviera e che giustamente sono rimasti nell'animo popolare, e di tante altre belle storie: "Gli spiccioli di Montale".


Nella foto, corrispondente alla parte occidentale della Piana di Latte, l'ultima casa a destra vede il dialogo di esordio de "Gli spiccioli di Montale", o, meglio vedeva, perché, anche se non sono un tecnico, credo che per fare posto all'attuale edificio si sia proceduto alla preventiva demolizione (e non alla semplice ristrutturazione) di quella che in origine era una villa del 1500. Lascio amaramente il tutto senza commenti e senza riferimenti a sfratti e mire immobiliari compiuti dalla pregressa proprietà, la cui identità svelata si presterebbe a molteplici sarcastiche considerazioni.

Avviandomi al termine, mi rendo conto che gli appunti mi sono un po' scappati di mano. E', forse, il fascino di questa zona, derivante anche da tanti uomini che l'hanno vissuta. Mi auguro, pertanto, che ci siano nuovi innamoramenti del Ponente Ligure (anche per contribuire ad evitare nuovi scempi!) e tanti nuovi lettori di Nico Orengo e di altri scrittori liguri.

sabato 7 agosto 2010

Bordighera-Mentone, andata/ritorno

Questa mattina abbiamo fatto la quasi abituale visita settimanale a Mentone, poco oltre la vecchia frontiera con la Francia.

Mi sono venute in mente un po' di cose.

Dietro la muraglia dell'autostrada, al fondo del crinale della collina, inizia lo scenario de "Gli odori".
Qui siamo quasi alla foce, ma risalendo per diversi chilometri, il fiume Roia oggi comunque, quando non é in piena, é così.
Si scusi la qualità della foto, ma tra le costruzioni, che all'epoca non c'erano, e la bella collina si snoda la strada statale del Colle di Tenda, dove inizia il viaggio in autostop di ...
Un'occhiata curiosa sotto la piazzuola di scatto di altre foto.
Nella frazione Latte di Ventimiglia, verso la frontiera: quante belle storie di Nico Orengo!
A sinistra, poche case: é Mentone! Poi, lo spuntone dove una volta c'era l'ascensore per i Balzi Rossi, Villa Voronoff e più in alto a destra la ridente Grimaldi. Peccato che si era controluce!
Il promontorio (visto da Mentone) in fondo a destra é Bordighera.
Mentone, per oggi ciao!
Eccomi qua! E, sullo sfondo, Mont Agel, che da bambino tanto mi incantava, pur visto da ben più lontano!
Senza parole, direi! Qui il paesaggio c'é ancora tutto o quasi! E tante idee per tante altre storie, se .... si vedrà. A sinistra inizia la "Douce France".
Sopra la spiaggia delle Calandre di Ventimiglia, zona non facilmente accessibile, corre un treno verso la Costa Azzurra.
Siamo alla foce del Roia, a Ventimiglia: su quel promontorio inizia l'abitato del centro storico di Ventimiglia Alta, di cui si vede il campanile della cattedrale. Al centro, tra le palme, i ruderi del castello del .... Corsaro Nero!