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sabato 20 novembre 2010

Storie un po' così

Castelvittorio (IM): il paesello del racconto
Li ho persi di vista da tempo. Ma me li ricordo ancora. Abbastanza bene.

L. veniva a scuola in pullman da un paesello e come tanti adolescenti pativa quel tipo di locomozione. Cambiò per l'Istituto di Ragioneria, nel quale conseguì una sorta di borsa di studio per frequentare un anno di scuola (validato) in America ai fini di fare pratica di inglese. E all'epoca un po' di invidia la provai. Anche perché ai liceali quei percorsi erano forse preclusi. Laureato, era ancora timido in pubblico, sì da chiedermi se poteva venire a presentarmi in qualche comizio nell'entroterra: per farsi le ossa a parlare in pubblico. Di sicuro più tardi, se non prima, frequentò N. e S. Divenne manager, prima in banca (lo incontrai per caso davanti al Duomo di Milano), poi in un'industria. Quando lavoravo ancora lo vidi di fretta qui in Riviera: e mi persi in seguito i suoi numeri di telefono.

P. non credo abbia mai conosciuto gli altri di cui accenno. Era creativo ed estroso già da ragazzo. Per lui i viaggi in autostop erano una dimensione esistenziale. Mi lasciai coinvolgere, se non proprio da lui, da altri amici, ma si era tutti assieme a fare squadra, in quello che per me fu un mezzo viaggio, comunque interessante, ma per lui e per B. un giro in mezza Europa. Oggi é un versatile artista affermato. Poeta, anzitutto. Ecco, lui un po' l'ho recuperato, tramite Facebook.

G., anch'egli come P. di immigrazione siciliana, faceva il frontaliere nel Principato, quindi si alzava prima dell'alba, ma non mancava mai alle discussioni ed all'impegno del tormentato inizio anni '70. Una sua leggera operazione mi fece conoscere, da visitatore, l'Ospedale di Monaco. Protagonista di un memorabile viaggio in auto (cui non potei partecipare perché decisamente impegnato sul campo)  in Francia con N. e S., dai cui resoconti ho attinto molti particolari per le mie storie. Conobbe una bella granatiera di norvegese che felicemente sposò. E fece il tranviere ad Oslo. Lui l'ho intravvisto a Ventimiglia già pensionato, con splendidi figlioli e matrona ancora più radiosa. "Ci vediamo.". "Quando torno, ci sentiamo!". I saluti ce li scambiamo tramite i suoi fratelli. Quando capita.

N., d'immigrazione dal Polesine (e al secondo matrimonio di S. mi raccontò di sue ricerche storiche locali), faceva il bracciante nella campagna epicentro de "La curva del Latte" di Nico Orengo. Ma alle due di notte teneva testa a Francesco Biamonti in quelle lunghe discussioni nelle quali il romanziere di San Biagio della Cima, che non aveva ancora esordito come tale, dimostrava una sua grande dote, mai appieno oggi rammentata: la sua grande signorilità. N., dalla grande dialettica e dalla grande erudizione da autodidatta, conobbe una graziosa insegnante di Milano. Ne conseguirono l'amore e il trasferimento a Milano. In una di queste tappe, forse quella definitiva, lo accompagnammo io e S. Gustoso l'episodio delle strelitzie, dimenticate a mollo, che stavano per trasbordare dalla vasca da bagno. N. vinse un concorso pubblico, studiò pur lavorando, conseguendo via via diploma magistrale e laurea. E di conseguenza salì, mediante concorsi, i gradini di una onorata carriera, in diversi comuni dell'hinterland della metropoli lombarda. Ma quel suo amore di gioventù finì già diversi anni fa.

Storie un po' così.

domenica 14 novembre 2010

Il ciclismo era una mia passione


Bordighera (IM): i corridori della Genova-Nizza del 16 marzo 1961
Ho letto avidamente storie (anzi, se mi capita, le divoro letteralmente ancora) del ciclismo epico degli esordi e di quello che arriva all'immediato secondo dopoguerra: Garin, Petit-Breton, Ganna, Gerbi il Diavolo Rosso, altri di cui ora mi sfugge il nome. E, poi, atleti italiani, che in piroscafo andavano alle remuneratissime Sei Giorni americane negli anni '20. Gorni Kramer, musicista e direttore d'orchestra: cognome il primo, secondo il nome, da un grande pistard statunitense che aveva entusiasmato il padre. Vennero in seguito Belloni, Girardengo, Bottecchia, Binda, Guerra, molti dei quali anch'essi spesso in trasferta negli USA. E ancora Bartali, Coppi, Magni.

Bartali prima della guerra in allenamento passava spesso da Ventimiglia. Giovanotti del posto talora lo affiancavano per un po', anche nella salita verso la frontiera, con i loro mezzi molto più ordinari.


C'é un fotografia di famiglia che riprende Nino Defilippis, il "cit", mentre quell'erta la ridiscende per andare a vincere in fuga solitaria la tappa del Giro d'Italia del 1955, approdata a Sanremo con partenza dalla Costa Azzurra.

Mi capitò da bambino di vedermi regalare due annate pressoché complete del quotidiano sportivo rosa. Conobbi così la tragica tappa del Bondone del Giro d'Italia del 1956: neve e gelo a primavera inoltrata, da cui emerse solo il lussemburghese Gaul, il corridore educato e gentile, che ha lasciato memoria di tanti aneddoti edificanti. Nel 1959, all'atto di riprendere il treno per la Riviera, io e mio padre vedemmo a Milano da un giornale della sera (come quelli che non ci sono più) che aveva ipotecato quel giorno la nostra massima corsa.

Non fu con "Ciclismo illustrato", o qualcosa del genere, che pur sfogliai qualche volta, ma con un inserto specifico a colori de "L'Équipe", una copia rinvenuta abbandonata su di un treno da mio padre ferroviere, ma del Tour del 1957, il primo vinto da Anquetil, praticamente sapevo tutto.

Nizza-Genova del 2 marzo 1958
Nizza-Genova del 1 marzo 1964
Bordighera (IM): i corridori della Genova-Nizza del 16 marzo 1961
Passava dalle nostre parti, sulla Via Aurelia, a marzo la Genova-Nizza, che ad un certo punto poteva anche essere la Nizza-Genova: era una festa, per lo meno nel nostro rione di allora, per cui si era in tanti in attesa sul cavalcavia di Nervia, sullo sfondo Mont Agel.

I corridori della Parigi-Roma passano sul cavalcavia di Nervia
Fece tappa a Ventimiglia una Parigi-Roma, credo sempre nel 1959. Un ciclista gentile, benché stanco ed impolverato, dopo l'arrivo stette a rispondere alle domande di mio padre, che molti anni dopo mi disse che secondo lui era Roger Riviére, di cui sapevo già che era recordman dell'ora e grande inseguitore, ma la cui immagine vidi forse per la prima volta quando fece l'anno dopo la tragica caduta al Tour vinto da Nencini, caduta che gli stroncò la carriera e gli accorciò di sicuro la vita.

Di Nencini avevamo diverse fotografie con autografo, perché i ciclisti all'epoca viaggiavano in treno: facile per mio padre ferroviere fare molte conoscenze, da cui discendevano affascinanti racconti in famiglia.

Vidi in televisione Coppi lanciare nella fuga vincente del Mondiale su strada del 1958 il giovane Baldini, che non riuscì ad essere suo erede: ma la leggenda del Campionissimo, che non mi ha più lasciato, l'appresi in pieno dopo la sua morte per via delle pubblicazioni uscite nella triste occasione. E ho ascoltato con nostalgia i racconti delle persone che hanno avuto la ventura di incontrarlo e di conoscerlo.

Castelvittorio (IM)
In sella ad una bicicletta da bersagliere ho percorso poco prima dell'adolescenza in lungo e largo la Val Nervia, che qualche salita pur la presenta, specie per andare a Castelvittorio (IM). Da Bardineto (SV) a Calizzano ed oltre, l'anno del Vajont, sulle orme della Armeé d'Italie di Napoleone, io ci andavo su un mezzo da donna, il mio compagno di scuola, trovato lassù casualmente, su uno da corsa. Ma il mio approdo all'attività vera e propria si fermò in pratica lì.

Traguardo volante a Ventimiglia del Giro d'Italia del 1998
Qualche tappa del Giro d'Italia (e qualche altra corsa in linea) dalle nostre parti é poi arrivata quando ero ormai adulto, troppo tardi per suscitarmi grandi emozioni. Così non mi sono mai recato nella vicina Sanremo per vedere dal vivo l'arrivo della classica di San Giuseppe, cui, però, mi dicono, ho assistito da piccolo. Ascoltavo e cercavo storie di nostre piccole glorie locali, che, magari, la fama se l'erano fatta da dilettanti nella vicina Costa Azzurra o di chi, con discreto trascorso, sulla Riviera era poi venuto ad abitarci. Episodi più significativi altri hanno raccontato, altri ancora racconteranno. E sono iniziate circa trent'anni fa, come, credo, un po' in tutta Italia, diverse serie di corse per dilettanti o amatori, che prima non ricordavo di avere mai visto. 

Il Giro d'Italia nella discesa del cavalcavia di Nervia, Ventimiglia, 21 maggio 1961
Non mi sembra di avere mai visto passare professionisti in allenamento, che pur ci sono stati. Questione di mie semplici coincidenze mancate, mentre in diversi, specie le signore, che in genere salutava tutte per primo, si ricordano ancora di Cipollini (perché residente a Monaco), che si faceva la gamba sulla nostra Aurelia.

Mi sono, in verità, scaldato per Moser, così che, sapendo che doveva gareggiare in una delle tante kermesse di fine inverno, quella volta nel 1975 mi fermai volentieri, nonostante il ritardo per il mio appuntamento, a Beausoleil, sopra il Principato, sperando, illuso, di poterlo scorgere nel gruppo che arrancava in salita. E mi sono preso la soddisfazione di vedere in tanti bar del Trentino esposta la sua fotografia autografata.

E' il doping la bestia maledetta, o come si può chiamare adesso, emo, ecc. Venire a sapere, poi, che anche a livello di ragazzini o di cicloturisti (o come si chiamano) possono essere in voga pratiche proibite mi ha tolto quasi del tutto la poesia per il ciclismo. E qualche inchiesta (diversa da quella cui accennerò dopo) si é sviluppata anche dalle nostre parti, verso farmacie presunte compiacenti.

Certo, lampi tra le nuvole ce ne sono stati, ma l'ombra, se non di più, degli scandali si é allungata su tutti i campioni degli ultimi vent'anni. In un ambiente, quello delle Federazioni professionistiche, che continua praticamente a fare finta di niente.

Con tutto questo, qualche anno fa, pur sapendo la notizia e pur cercando di non fare lo spettatore ad ogni costo, mi sono trovato casualmente a vedere transitare la tappa in circuito a Sanremo del Giro (paradossalmente alla sera ci furono sequestri di sostanze all'indice, di cui parlarono a lungo i giornali): il fruscio delle ruote sull'asfalto, devo confessarlo, mi ha procurato invero qualche brivido.

Spero vivamente nel risanamento del mondo del ciclismo, ma soprattutto che non si disperda l'eco delle grandi imprese del passato, che, considerate le condizioni (di biciclette, di strumenti di supporto, di strade) in cui si correva una volta, così diverse da quelle attuali, rimangono a mio avviso sempre esaltanti.


mercoledì 10 novembre 2010

Il Rex!


Il Rex
Il Rex! Il famoso transatlantico italiano d'anteguerra! E due! Dopo i ricordi di mio padre, allora appena arrivato a Ventimiglia per poterne vedere dalla collina di Collasgarba il viaggio inaugurale, poco fa qualcuno mi ha raccontato, casualmente, di quando il Rex passava da queste parti. Il mio interlocutore era ancora bambino quando, allo scoppio della  seconda guerra mondiale, la bella nave dovette interrompere i suoi maestosi viaggi. Ma due ricordi gli sono ancora nitidi. Certi bambini avventurosi, tra cui lui, si buttavano tra le forti onde causate sino a riva dal transatlantico. E l'orgoglio della nostra Marina provocava questi sconquassi, perché navigava tutto impavesato a grande festa rasente Bordighera quando ospitava in viaggio di ritorno momentaneo in patria  un ricco signore americano all'epoca residente nella splendida Villa Garnier (sì, quella che fu già del grande architetto!), sempre di Bordighera. Seguivano almeno quattro, cinque poderosi fischi della sirena di bordo. "Amarcord" della Riviera dei Fiori!
Ma se oggi , mentre io e M. eravamo in attesa di un treno in stazione a Bordighera, non si formavano sotto riva dei marosi che spazzavano la passeggiata di Bordighera forse non scattava in lui lo stimolo di queste interessanti memorie!
Memorie di episodi, di eleganze e di emozioni che, nonostante il progresso tecnico, gli attuali yachts e navi da crociera, che incrociano numerosi nel Mar Ligure, sono ben lungi - secondo me! - da suscitare!


Bordighera (IM): Villa Garnier



domenica 7 novembre 2010

Gli spiccioli di un provinciale

Racconti di guerra, grande ingiustizia del mondo, sentiti in famiglia. 

Il nonno Maini, che fece la Grande Guerra nel Battaglione Aosta, in divisa da alpino
La Grande Guerra.

Il gruppo di case sparse in Slovenia, dove nacque il nonno materno
Dalla viva voce della nonna materna appresi fanciullo di bambini sloveni trattenuti sulle linee del fronte dell'Isonzo al pari di donne ed anziani, feroce anticipo italiano delle persecuzioni e dei campi di concentramento loro riservati vent'anni dopo. Bambini in allora obbligati a sentire le grida di agonia dei feriti gravi abbandonati tra i reticolati delle trincee. Anziani considerati spie e trattati di conseguenza, salvati solo all'ultimo minuto dall'esecuzione. Stupri o tentativi di stupro. Su un fronte più lontano l'altro mio nonno, a combattere. Schivo di parole in merito, però, eccezione fatta per meticolosi chiarimenti tecnici resi al sottoscritto di ritorno da Gorizia. Già, ma la pandemia di spagnola della prima famiglia gli lasciò solo lo zio tragicamente destinato a perire più tardi in Russia. Particolari appresi da adulto. Pudori arcaici di famiglia. 

Le donne, meravigliose creature, sensibili e pratiche ad un tempo, come progressivamente ho appreso nella vita. Loro quindi mi hanno illuminato per prime su tante nefandezze umane. Forse il primo squarcio di luce rispetto alle letture artatamente patriottiche dei libri di testo mi arrivò proprio dai particolari di Musei e Sacrari narrati da una zia (a noi tutti carissima!) anche lei di ritorno dalla Venezia Giulia. 

Più sfumate le testimonianze dirette della seconda guerra.


La malaria (altre persone a me care ne soffrirono nella loro conseguente breve vita) del nonno materno, reduce dall'Albania, più o meno costretto ad indossare di nuovo la divisa del carabiniere.

Quali orrori avrà visto in tale veste? Un anticipo del suo espatrio clandestino in Jugoslavia per riabbracciare la madre, con particolari - i duri interrogatori dei "titini" che, date le sue origini, lo ritenevano un spia - conosciuti solo da mio padre per essere svelati tanti, troppi anni dopo? 


Ultima guerra, mio padre, da Ventimiglia (IM): i bombardamenti aerei a  Napoli, la prima battaglia navale della Sirte:



la fuga da Pola, 8 settembre 1943, della squadra della corazzata Giulio Cesare, la successiva destinazione ad altri incarichi, spesa a terra tra Taranto e Lecce. A lungo senza contatti con i genitori e, sino all'indomani dell'8 settembre 1943, con il fratello più piccolo, anch'egli in  Marina. Il fratello più grande, che era nel Genio Ferrovieri, già morto (ufficialmente disperso!), come sopra accennato, nella sciagurata campagna di Russia, a dicembre 1942.

Da queste parti, in Riviera, i civili in dura lotta per la sopravvivenza. Anche bambine di Bordighera (IM) a spingere carrette su e giù per il Col di Nava alla ricerca di farina in cambio di olio cercando di evitare i feroci controlli tedeschi. 

Potrei continuare, aggiungendo notizie apprese diversamente, alcune decisamente significative. Ho già lasciato qualche traccia scritta di questi eventi, che in gran parte costituiscono da sempre il filo conduttore di mie narrazioni orali, nella convinzione che particolari come questi aiutino a comprendere la Storia. Ho trovato, invero, anche riscontri, destando talora nei miei interlocutori la necessità di ripercorrere con attenzione le loro ascendenze. 

Ma sulla guerra, fatalmente sulla seconda, che vede ancora dei testimoni diretti, la mia curiosità partecipe va anche alla vita dei civili e dei militari in libera uscita, forse attratto da tanti passi incrociati di parenti e di conoscenti, comunque, desideroso di sapere quali molle caricassero quelle donne e quegli uomini a sopportare quei mesi difficili. Di qui il mio trepido stupore quando ho rivisto "Ossessione" di Visconti, realizzato fortunosamente in tempo di guerra, dove abbondano scene di vita reale nelle retrovie. E la grande attenzione con cui ho ammirato "Estate violenta" di Florestano Vancini.

La Resistenza, poi, affiora per ironico paradosso in presa diretta di stampo familiare con ambientazioni geograficamente lontane dalla Liguria Occidentale. 

Ci sono episodi, riconducibili a quando avevo da poco superato i vent'anni di età, che non ho mai raccontato, anche perché mi tornano, chissà perché, raramente alla memoria.


Una visita guidata ai Musei Vaticani. Afferrare e ritenere per sempre da poche parole dell'accompagnatore l'essenza dell'arte, ma ancor più la sottesa storia sociale, un po' come compie con grande respiro il professor Flavio Caroli con le sue lezioni magistrali, l'ultima sentita ieri sera a "Che tempo che fa", su Goya, stupenda! Capire, meglio, forse, perché "Tempesta" di Giorgione, "Adamo ed Eva cacciati dall'Eden" di Masaccio, "Guidoriccio da Fogliano" di Simone Martini da sempre mi affascinino in modo particolare. E dal vivo ho visto solo la Cappella Brancacci. Per le prime due opere é ampiamente riconosciuto, mi pare, un accostamento non arbitrario a "L'urlo" di Munch. Io aggiungo anche la terza. Ma lo intendo solo ora. Così come é giusto cercare di aiutare il superamento delle angosce altrui.


Colli Albani. Presenza inattesa in quella storica villa del capo delegazione, una donna, del VietNam del Nord al tavolo della pace di Parigi. Io sono il primo a vedere la piccola comitiva, che sperava di passare inosservata, e a chiamare gli altri per esprimere in modo improvvisato e goffo emozione e solidarietà a quella lotta di liberazione e a popoli atterriti da nuovi micidiali bombardamenti aerei. Senonché, ci sono le amare pagine della storia che ci rammentano tante ingiustizie. No, non era un modello quel VietNam, non lo é neanche adesso. Anche se era giusto che quella guerra cessasse. Forse non comunque, di sicuro non in quel modo, con le rappresaglie dei vincitori e i Boat People. Per non parlare dell'immane tragedia della Cambogia. Penso adesso a "Asce di guerra" dei WuMing, un libro in cui l'anima, a mio avviso, ce l'hanno messa sul serio. Ed illuminante.


Un viaggio in treno da Milano all'inizio di una ormai lontana estate. Per me si trattava di un ritorno a casa, a Ventimiglia (IM). Nello scompartimento ebbi la fortunata opportunità di sedermi vicino a Carlo Levi, che poi scese ad Alassio (SV), dove, sulle alture, aveva casa e ricordi d'infanzia. Un distinto signore molto elegante nel suo abito di lino chiaro. Io insistetti ingenuamente a dirgli che in quella cittadina era nata mia madre. Lo spessore umano di un personaggio che si lasciava tormentare dalle domande del sottoscritto. Entrambi reduci da una Conferenza dell'Emigrazione, svolta in una bella villa sul Lago di Como. Lui dirigente di quel sodalizio e grande relatore con un discorso intriso di splendide e commoventi immagini. Io semplice spettatore. In vettura, ma lo comprenderò (mi è capitato con altri personaggi importanti) una volta di più anni dopo, mi impartì una lezione di vita. E di autentica Storia. Non si lasciò andare ai ricordi di "Cristo si é fermato ad Eboli". Tutt'al più mi parlò delle sue prove artistiche di pittore. Mi fece toccare con mano con la sua narrazione di fatti apparentemente minuti il profondo significato di essere degni cittadini.


Se qui ho parafrasato, come riconosco di aver fatto, "Gli spiccioli di Montale" di Nico Orengo, compianto autore dalla grande scrittura creativa, sottolineo, come ho già documentato, che quest'ultima opera si apre in una casa storica in riva al mare che ho avuto la ventura di frequentare. Le mie odierne trame, invece, hanno preso le mosse a Bordighera in un'altra residenza più modesta, non lungi da dove abito adesso, ormai abbandonata in attesa della furia delle ruspe per il compimento dell'ennesima speculazione edilizia. Solo la nonna materna ci ha vissuto per più di sessant'anni. Lo zio più di settanta.


Il mare é vicino, ma non visibile. Si scorgevano (si scorgerebbero) dagli usci verdi colline ormai massacrate dal cemento ed una torre d'avvistamento contro i pirati turcheschi, che si é scoperto da poco insistere su rari reperti archeologici dell'Alto Medio Evo, ma destinata ad essere circondata dagli ennesimi residences. Ed ancora - basterebbe spostarsi un po'! - il Sasso, Seborga, Monte Caggio. Più o meno di fronte, non rammento ora se di colà ben visibili, Borghetto San Nicolò e Vallebona. In mezzo il torrente Borghetto che, quasi tutto tombinato e destinato ad accogliere acque furiose non più trattenute da rilievi modesti, ma ormai spelacchiati o ricoperti da manufatti agricoli e non, in otto anni ha più volte esondato, con conseguenze particolarmente pesanti a metà settembre 2006: non più luogo di giochi durante la siccità estiva per bambini che amavano l"intrepido", dunque, non più sito di raccolta di erbe odorose per i conigli ed altri animali da cortile, non più terreno di ricerca delle more più dolci mai mangiate.


D'altronde da tanti anni ormai avevano cessato di defluirvi le acque della grande antica lavanderia di Guido, omaccione generoso dalla voce tonante che non spaventava nessuno.


venerdì 29 ottobre 2010

Roland Eagle


I fumetti sono sempre sulla cresta dell'onda. Anzi, si dice comics, mi pare. E' un bene, a mio avviso. Anniversario, 60°, dei Peanuts. Numero 600 di Tex Willer. Recenti rassegne. Prossime rassegne. In Italia. Chissà nel mondo. Si dice anche graphic novels e fumetti d'arte. No, questi tanti anni fa non c'erano. O erano minoritari e misconosciuti. Un po' li conosco. Ho letto, ma non assiduamente, Linus sin dagli inizi. Ma vorrei parlare di fumetti d'avventura scomparsi tanti anni fa. A me molto cari. Ma, forse, anche significativi di come é cresciuto il Paese. Come l"intrepido".
Premetto che oggi, a parte qualche buon tratto di pennino, farebbero sorridere. Mi affido alla memoria. Un po' per abitudine. Un po' giocoforza. Una breve ricerca su Internet mi ha confuso le idee. Io cercavo qualche immagine d'epoca. Qualcosa ho trovato, ma ho preferito usare un  qualcosa che infine ho recuperato tramite l'amico Bruno Calatroni, collezionista di Vallecrosia (IM). Ma il cambio di marcia dei periodici in questione mi sembra avvenuto ben prima.
 
Andando con un po' d'ordine. Visto che ho titolato questo post Roland Eagle. Che compariva nel citato "intrepido".
Roland Eagle era un giovane capitano di un veliero, anche a motore, che incappa in tante avventure nei Mari del Sud, ma in epoca contemporanea. Si potrebbe dire che gli autori gli hanno fatto prevedere in anticipo sui tempi le odierne scorrerie dei pirati di Malaysia ed Indonesia. Una storia (da me letta a singhiozzo, come quasi tutte le altre, come dirò dopo) mette addirittura in pista un giovane italiano (ricordo il cognome, Bragadin, e qui penso che la fantasia di chi scriveva non si fosse sprecata, visto che così si chiamavano illustri personaggi della Serenissima e l'ultimo difensore veneziano di Cipro) alla ricerca del padre che nella seconda guerra mondiale, nel fuoco della quale era scomparso, era stato comandante di un sommergibile.

Altri personaggi che ricordo bene erano Buffalo Bill, a lungo il mio preferito, Liberty Kid, altro eroe statunitense dell'Ottocento, il principe indiano Chiomadoro, che combatte anche contro i giapponesi nel secondo conflitto globale, ed un altro principe esotico che subito non mi piaceva molto. Comparivano tutti in storie a puntate de l"intrepido".

Qui la cosa si complica. Su Internet si dice che più o meno tutti questi eroi comparvero nel 1950. E su questo non ho titoli per discutere. Ma anche che la rivista cambiò di nuovo formato nel 1963, lasciando un po' di confusione sul fatto della scomparsa di quei personaggi.

Prendo nota che l"intrepido" ha avuto grande diffusione negli anni '90. Qualcosa avevo pur capito. Ma l'impatto che aveva avuto a metà anni '50, per lo meno nell'ambiente che io posso ricordare, fu veramente straordinario. Lo leggevano grandi e piccini. Lo si passava di mano in mano. E fu così che ne lessi (anzi, subito, a quattro anni, ne guardavo già le immagini) inizialmente un bel po'. Era forse un modo per tanta gente per avvicinarsi alla cultura. Già allora si diceva ai bambini di lasciare perdere i fumetti, specie quelli di guerra. E con Sordi in "Un americano a Roma" si era già vista (io lo seppi dopo, però) la satira anche sugli effetti dei fumetti (e/o di certo cinema) sulle menti deboli. Solo che mi sembra troppo facile obiettare che ci sono molti più "spostati" oggi rispetto a quell'epoca. E che un autore insigne come Umberto Eco abbia speso parole notevoli a difesa del fumetto, per lo meno di quello subito antesignano di quello di cui sto parlando io.

Sì, perché c'é tutta una storia su l"intrepido", fondato in era fascista nel 1930, allorquando ben presto su input di quel regime i fumetti d'importazione americana dovettero in fretta e furia italianizzare nomi e trame. Come per i celebri Cino e Franco (della Casa Nerbini). Alla faccia del copyright. E dello spessore delle storie. Con questo, però, sono entrato in un altro campo, affascinante, sì, ma su cui esistono molte pubblicazioni.

La mia é, invero, una rievocazione sul filo di una indistinta nostalgia. Vorrei aggiungere che cugini de l"intrepido" nella stessa Casa Editrice Universo nel periodo cui faccio riferimento io erano "Il Monello", edito sino al 1990, e "Albo dell'Intrepido", uscito, se non erro, abbastanza presto di scena. Mi interessa come aspetto singolare l'ultimo appena citato, specializzato in storie complete, in genere di guerra, ad uscita settimanale. E fu così che a metà anni '50 molti ragazzini e bambini italiani vennero a conoscere storie di soldati giapponesi nelle giungle, che non sapevano che il conflitto era già finito! Su "Il Monello" vorrei solo ricordare il cowboy Rocky Ryder. Su tutti e tre comparivano, inoltre, di solito nella quarta di copertina brevi strip comiche, anche importanti, quali "Pedrito El Drito", di cui sono riuscito a reperire di recente un reprint, "La piccola Zoe", "Tarzanetto": non ricordo, però, in quale ordine.

L"intrepido" mi entrò in casa in modo casuale e sporadico. Al pari di Topolino, che é tutt'altra vicenda. Ebbi la possibilità di vederne (data l'età), prima, e, presto, di leggerne tanti. Non ricordo se richiesi in famiglia di poter leggere con costanza una copia settimanale tutta mia. Probabilmente sì, con esito negativo per le supreme ragioni di dover leggere "Il Corriere dei Piccoli", periodico che rammento con molto piacere e molto importante; ma i bambini, si sa, sono esigenti. E fu così che di molte storie (de l"intrepido"), le quali erano a puntate, o non ho visto le conclusioni o mi sono perso gran parte delle trame. Perché le mie letture dei fumetti erano soprattutto affidate ai prestiti di tanti compagni di giochi, soprattutto di quelli che incontravo quando mi recavo dalla nonna materna a Bordighera (IM). Poi l'Albo andò a sparire e l"'intrepido" cambiò natura. Lo guardai ancora un po', poi persi interesse.

Erano già gli anni de "Il grande Blek" e di "Capitan Miki", tuttora "vivi e vegeti", ma che adesso trovo di una ingenuità colossale. All'epoca furono importanti anche loro. Al pari di altri. Tutti scomparsi. Come Pecos Bill. O Kinowa. Sempre parlando di western. Forse il grande cinema americano di genere ispirava al meglio i loro autori. Come fu per Tex. Per il quale il debito d'origine verso i film di John Ford viene riconosciuto. Che a metà anni '50 conoscevamo. Ed apprezzavamo. Ma che costava più caro degli altri. Anche nella versione originaria a strisce. Come di recente ha riconosciuto Sergio Bonelli. Per cui non si leggeva molto. E poi i fumetti comici, che forse risentivano di tanto cinema italiano, Cucciolo, Tiramolla. Qualche tempo fa ancora presenti. Ed altri di derivazione, credo, americana, come Picchiarello.

In tanti, insomma, ci siamo cresciuti con quei fumetti. E non ce pentiamo affatto. Io, poi, che prediligevo quel Buffalo Bill, che nella memoria rivedo oggi reazionario come nella realtà storica, tenevo d'istinto per gli indiani anche nei giochi dell'infanzia. Crediamo di essere cresciuti bene. Solo che non é rimasta quasi traccia di quei fumetti. O non ho cercato abbastanza. Tante volte passando in Via Washington a Milano, dove, in uno slargo, ha sede la Casa Universo, ho avuto la tentazione di tentazione di andare a vedere un po', ma mi ha trattenuto il pudore dell'adulto. C'é poco anche in termini di antiquariato, se ricordo bene. Che comunque dovrebbe avere un costo non indifferente. Agli albori dei Comics a Lucca, mi sembra di ricordare, un insigne collezionista mi disse che erano altri i fumetti ricercati. E ci credo. Quelli anteguerra. E quelli subito dopo la guerra. Comunque. Si ristampa di tutto, a prezzo più o meno accessibile, in Italia. Ma alcuni di quei fumetti, no. Forse ci hanno provato più di venti anni fa: trovai, infatti, una copia in reprint in inserto a qualcos'altro. Poi, basta. A me per lungo tempo - avendo subito sui miei vent'anni in un trasloco, che mi vide assente, la perdita dei fumetti che a campione ero riuscito  conservare - sarebbe stato sufficiente rivederne qualche copia per capire meglio cosa mi entusiasmasse: per mia fortuna, infine, ci sono riuscito e trovo confermate in larga misura tutte le impressioni che sin qui ho dichiarato.



domenica 24 ottobre 2010

Ventimiglia Alta



Volendomi documentare di persona, come attesto in chiusura di questo post, su certi mutamenti di ambiente della mia città natale, Ventimiglia (IM), mi sono venute in mente delle riflessioni sul Centro Storico, comunemente chiamato Ventimiglia Alta o Città Vecchia: ne avrei prima o poi parlato, ma previa attenta ponderazione, perché, pur avendo colà vissuto pochi, ma importanti anni, l'argomento merita meditata attenzione, pena lo scivolare in ininfluenti memorie personali.
Forse, prima di continuare, é meglio che aggiunga, per chi al confine marittimo con la Francia non c'é mai stato, che questo borgo medievale sorge su di una sorta di promontorio, chiuso su di un lato lungo dal mare, su uno corto e sull'altro lungo dal fiume Roja, al termine del circuito da colline: come cerco di effigiare parzialmente con le fotografie che qui dispongo, che ne faranno grosso modo il giro del perimetro a partire da ponente.

Il motivo che mi trattiene in oggi dal parlare diffusamente di Ventimiglia Alta nella sua preziosa traiettoria storica é che si tratta del contenitore di importanti e significativi monumenti, quali la Cattedrale, il Battistero, la Chiesa di San Michele e tanti altri ancora: materia che merita deciso approfondimento e forte competenza, a prescindere dal fatto che esistono in merito pubblicazioni specializzate e non. Potrei aggiungere, alla vigilia del 150° dell'Unità d'Italia, che nel Forte dell'Annunziata prestò servizio il giovane tenente d'artiglieria Camillo Benso di Cavour e che esiste lassù la Fondazione "Giuseppe Biancheri", dal nome del parlamentare che, come avevo già sottolineato in un altro articolo, aveva avuto un certo ruolo durante e successivamente il Risorgimento.


No, le riflessioni che mi sono venute in mente sono altre, più di carattere generale. Riguardano la composizione sociale dei centri storici in genere. In particolare questo che mi é alquanto caro. Non ne sono del tutto sicuro, ma a Ventimiglia Alta, finita la guerra, con le devastazioni che c'erano state (questa mattina ho visto ancora i segni delle schegge su un palazzo situato in un bel piazzale, la storica Marina San Giuseppe, poco a sinistra della passerella dell'ultima fotografia qui sopra) e con conseguente penuria di alloggi, tornarono od andarono ad abitare molte famiglie. Così la mia famiglia, così tante mie "storiche" conoscenze.



E questo, che ho appena esposto, é il fattore al quale non avevo mai pensato; che mi ha fornito lo spunto per questo post. Mi viene da aggiungere, tuttavia, altre considerazioni.
Nel frattempo, come é noto, in Italia iniziava l'espulsione degli abitanti dei ceti popolari dai centri storici, con rare eccezioni (una per tutte, ma parziale, Genova) delle maggiori città, diventati appetibili alle speculazioni immobiliari: un fenomeno da lungo tempo irrefrenabile.


Ventimiglia Alta, no, andava in controtendenza.  E sin qui probabilmente, trattandosi di un centro, di una città, di una zona piccole, non poteva che essere così. Il fatto é che c'é stato un fenomeno più ampio e delicato. Dalla fine anni '50 era diventata, con le rare, debite eccezioni, specie per certi palazzi affacciati sul mare, una sorta di ghetto, via via popolato da immigrazione interna italiana: quella ormai in genere molto dimenticata, lassù anche quando più di recente é arrivato un altro flusso esterno che, forse non a caso ha già scatenato, benché sporadici, veri e propri raid razzistici.

Si sostiene adesso negli ambienti "informati" che con la costruzione del porto (si veda qui sopra) le cose cambieranno in meglio, perché con gli opportuni collegamenti da realizzare con la finitima città vecchia in questa saranno incentivate nuove residenze, residenze turistiche soprattutto. Se così sarà, sarà altrettanto difficile realizzare una felice convivenza con ragionevoli, diffuse esigenze abitative. Può darsi che il mio sia pessimismo d'ufficio, mentre di recente si sono inoltre compiuti altri diversi atti per animare il borgo antico: i precedenti italiani e locali dicono il contrario.

Intanto, la zona dell'erigendo porto, gli Scoglietti, tanti anni fa era come si vede nella fotografia qui sopra. E il sottoscritto fu tra quelli, quando aveva veste pubblica, che sostenevano di realizzare approdi in altre parti del territorio. Lì, agli Scoglietti, l'incuria dell'uomo a danno delle ormai sparite calanche ed un primo tentativo di fare un porto avevano già alquanto compromesso l'ambiente. Ma rimaneva pur sempre un bell'accesso alla spiaggia delle Calandre, posizionata, ancorché essa medesima ristrettasi nel tempo e forse ancor più destinata a sparire per le correnti spostate dai manufatti edilizi, dietro la punta di sinistra nell'immagine, la Punta della Rocca.
Ventimiglia: spiaggia delle Calandre
E con il porto turistico messo più a levante, in zona a minor impatto ambientale, ci sarebbero stati investimenti per Ventimiglia Alta? In questo modo obiettano in tanti. Non mi sembra, anche se ormai é piangere sul latte versato, un bel ragionamento...


mercoledì 20 ottobre 2010

Milano, ancora

Milano - Santa Maria delle Grazie
Ho scritto qualcosa in un vecchio post in riferimento a Milano, nel senso di un intreccio tra ricordi personali e la constatazione di un geometrico venir meno di tanta pregressa bonomia popolare, ma mi erano rimaste sospese delle impressioni minimali che, alla luce di varie considerazioni rinvenute in vari blog, mi sembra possano uscire da una sfera privata per acquisire un minimo di valore generale.

Dal canto mio, si tratta della constatazione dell'esistenza di angoli non molto conosciuti di quella grande città, meritevoli, al pari di tanti analoghi scorci diffusi ovunque, anche dietro l'angolo di casa propria, di una rivisitazione più attenta: all'insegna di una sana curiosità, sempre utile e dilettevole. E non intendendo affrontare di petto i grandi temi della storia, della cultura e della società.

Sul fronte di ciò che ho letto nei blog, ho notato, in ordine sparso, letture di sicuro più attente delle mie, anche perché derivanti in genere da chi a Milano ci vive o ci ha vissuto, a differenza del sottoscritto, ma riguardanti la bellezza particolare di certe strade e di certe case, di sicuro diverse da quelle che a me sono rimaste maggiormente impresse o a me ignote, perché certe scelte non possono che essere personali, l'incanto di certi dintorni immersi ancora nella natura, la nostalgia per pregressi costumi sociali, le piccole, grandi curiosità, come quelle circa l'attecchimento di piante e fiori tipici di climi più caldi.

Mi voglio fermare personalmente a pochi esempi. Chi lascia Santa Maria delle Grazie, dove è custodito il Cenacolo, svolta verso il centro lungo Corso Magenta, dove molti palazzi sono ornati da quell'adeguata, non intrusiva segnaletica, in oggi abbastanza diffusa nelle maggiori città, che riporta anche l'anno di costruzione: ad un certo punto lungo quell'arteria si rinviene un Museo, dal cui cortile é possibile ammirare un torre delle mura di difesa del IV° secolo, quando Milano era capitale dell'Impero d'Occidente. Da quelle parti, non molto lontano, se la memoria non m'inganna, c'è un interessante Museo della Scienza e della Tecnica. Sì, ancora un po' più in là c'è la Basilica di Sant'Ambrogio, ma questa dovrebbe essere abbastanza nota. Ho girato a lungo per trovare la targa che indica dove è stato assassinato - tragica ironia della sorte! - a poche ore dalla Liberazione Eugenio Curiel, giovane dirigente della Resistenza, per sostare in commosso pensiero rivolto a lui e a tanti altri generosi eroi caduti per la Libertà. Girare per le strade per scoprirne i nomi e da questi risalire a personaggi, avvenimenti, date: indubbiamente in una metropoli la scelta può essere ampia! Trovare ancora inseriti in nuovi rioni retaggi dell'agricoltura di un tempo.

Il ciclo dei miei contatti con Milano si è sviluppato lungo l'arco di circa sessant'anni. Trascurando i ricordi di Duomo, Castello Sforzesco, modellino dell'Andrea Doria che, salendo, spiccava a sinistra dei binari della Stazione Centrale e Zoo, posso sottolineare che circa ad otto anni venni accompagnato a vedere la Pietà Rondanini, tutto trepidante perché già informato che era l'opera lasciata incompiuta dal grande Michelangelo. E che, più o meno, in quel periodo ho visto, se non rammento male, non lo specifico Museo, ma una vera grande Mostra del Risorgimento. Il costruendo Pirelli e la costruenda Metropolitana. Rapporti di famiglia, in seguito lavoro, manifestazioni, nuovi rapporti di famiglia hanno accompagnato la mia relazione con Milano. A Milano da sempre, per me, il fascino del tram con il suo scampanellio particolare; in seguito, anche quello del metrò. A Milano o andando e venendo da Milano ho assistito a fatti curiosi; talora qualcosa di più che curiosi. Tante storie, insomma. Forse qualcuna da raccontare. Ma se la malia esercita da una grande città su di un bambino degli anni '50 può essere retrospettivamente, soprattutto se inquadrata nel processo di crescita della civiltà materiale, abbastanza compresa, trovare da adulto bello, superata la fase giovanile tipica di ogni generazione, ma indifferente a tanti particolari, l'insieme, come è capitato a me, di strade e di case qualunque ha veramente qualcosa di misterioso.

Per questi motivi, forse, non mi è venuto fuori a caso l'esempio di Milano per sostenere, come invero sostengo, che città, borghi, vie, case, pietre stesse parlano, se opportunamente interrogate. E dicono tante cose.