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lunedì 9 maggio 2022

I partigiani imperiesi se ne andarono, ma “Tigre” restò prendendo il comando del Rebagliati

La zona di Calice Ligure (SV) - Fonte: Mapio.net

Verso metà luglio 1944 una serie di eventi negativi mise a rischio lo schieramento garibaldino. In risposta allo scacco subito con l’attacco al presidio di Calice Ligure, i tedeschi organizzarono un rastrellamento contro il distaccamento “Calcagno”, attestato nei pressi di Monte Alto <70. Presi alla sprovvista, i garibaldini arretrarono in preda al panico (molti erano dei “novellini”) in una nebbia impenetrabile, tra continue raffiche di mitra. Miracolosamente non vi furono né vittime né prigionieri, ma la frattura prodottasi nel bel mezzo del rastrellamento tra il “Calcagno” ed il Comando Brigata - che a detto distaccamento si appoggiava - costituiva un fatto assai grave. Più in generale in quei giorni si dispiegò un rastrellamento generale contro tutta l’area dal Carmo alla Val Bormida; anche i garibaldini del “Rebagliati” di stanza alla Baltera se la cavarono per il rotto della cuffia <71. In più gli imperiesi del 10° distaccamento, rendendosi forse conto di essere diventati una presenza “scomoda”, chiesero ed ottennero di poter tornare in I^ Zona. Il loro arrivo era stato determinato essenzialmente dalla caccia mortale che i fascisti imperiesi davano al comandante Rosolino Genesio “Tigre”, che aveva ucciso un carceriere con una testata allo stomaco (!) <72. I garibaldini imperiesi se ne andarono, ma “Tigre” restò prendendo il comando del “Rebagliati” e facendosi fama di estrema risolutezza.
Si imponeva una riflessione. Il servizio informazioni non si era mostrato pronto di fronte alla minaccia nemica, che solo per una fortunata circostanza fortunata non si era tradotta in un disastro irreparabile tipo Benedicta o Val Casotto: una di quelle disfatte totali che il movimento partigiano impiegava mesi per assorbire. Molti partigiani, specie le reclute appena salite in montagna dai centri rivieraschi, si erano mostrate pavide: a questo avrebbero dovuto provvedere i commissari politici con un’appropriata opera di sostegno psicologico e di motivazione al combattimento.
Prudentemente il distaccamento “Calcagno” si trasferì a Pian dei Corsi, riorganizzando i servizi di guardia e i turni delle pattuglie in perlustrazione. Il Comando Brigata ritenne invece opportuno stabilirsi ad Osiglia, paese che il distaccamento “Astengo” aveva lasciato la sera dell’11 luglio per dirigersi su Monte Carmo, sopra Loano. Passando per la cascina Catalana, non lontana da Bardineto e abitata dalla famiglia Goso che da tempo aiutava i partigiani, gli uomini dell’”Astengo” raggiunsero la meta il giorno seguente perdendo tuttavia per strada il carro con i viveri, inopinatamente abbandonato dalla guida. Trovandosi in una zona apparentemente tranquilla ma a stomaco vuoto, i partigiani inviarono cinque volontari a procurarsi cibarie e pentolame presso i contadini della zona, che dai tempi della “Brigata Tom” collaboravano attivamente con la Resistenza. Ne tornò solo uno, “Sambuco”, perché, stracarica di viveri, la pattuglia era incappata presso Bric Aguzzo in un’imboscata in piena regola compiuta da tedeschi e fascisti della “Muti” che stavano rastrellando i dintorni. Il capo pattuglia Pierino Secchi, il cassiere Luigi Moroni e i volontari Agide Maccari e Dante Bonaguro erano rimasti uccisi <73. Il distaccamento, per evitare di essere individuato e massacrato sul terreno brullo e aperto di Monte Carmo, batté in ritirata verso il Bric dell’Agnellino, più a nord, passando per la cascina Catalana <74.
Un ulteriore elemento negativo fu il fallimento del tentativo, peraltro velleitario e abortito ancora in fase di progetto, di costituire una XXIa Brigata che fungesse da cuscinetto fra la XXa e le robuste formazioni che dominavano le montagne intorno al passo del Turchino, quelle, per intenderci, che avrebbero dato vita alla Divisione unificata Ligure - Alessandrina e in seguito alla “Mingo” <75.   
[...] Il fascismo repubblicano, con la creazione delle Brigate Nere, aveva ormai perso l’afflato “ecumenico” dei primi tempi e si era reso conto di essere in netta minoranza. La paura e il senso di impotenza spingevano i brigatisti neri a reazioni sempre meno ponderate. Un esempio tipico. Unità della Brigata Nera “Briatore” erano state sconfitte in combattimento a Colle San Bernardo, presso Garessio, dai partigiani imperiesi, lasciando sul terreno il tenente Libero Aicardi: la loro rappresaglia si sfogò a decine di chilometri di distanza, a Voze, frazioncina a monte di Noli posta nella zona operativa del distaccamento “Calcagno”. A tarda sera tre brigatisti neri, fingendosi partigiani, si presentarono dal parroco don Carretta chiedendogli da mangiare. Uno scrisse una lettera pregandolo di farla avere ai suoi familiari. Quindi, usciti dalla canonica, i tre infiltrati ebbero modo di incontrare ed identificare molti giovani del posto, alcuni dei quali armati, anche se qualcuno già sospettava dei nuovi venuti; quindi operarono alcuni arresti. Tornati in forze a notte fonda, i fascisti arrestarono anche il parroco, poi portarono tutti a Savona, alla Federazione del PFR. Il parroco si offrì al posto dei giovani che i fascisti volevano fucilare, ma il federale lo invitò bruscamente a non fare il martire. Così il 14 luglio vennero fucilati i cinque renitenti alla leva Guglielmo Avena, Alfonso Mellogno, Carlo Ardissone, Eugenio Manlio e Giuseppe Calcagno. Un sesto giovane, Domenico Caviglione “Mingo”, partigiano del “Calcagno” catturato giorni prima presso Voze e rimasto ferito in un tentativo di fuga, avrebbe dovuto essere fucilato quel giorno. Ma alcuni suoi colleghi della Scarpa & Magnano, con l’aiuto di una suora, riuscirono a liberarlo dall’Ospedale San Paolo dove era piantonato dal brigadiere di Pubblica Sicurezza Cardurani con due agenti <80.
[NOTE]
70 M. Calvo, op. cit., p. 51.
71 M. Savoini “Benzolo”, op. cit., pp. 82-84.
72 Ibidem, p. 86.
73 M. Calvo, op. cit., p. 52. Luigi Moroni era uno dei garibaldini del gruppo di Gottasecca catturati a San Giacomo di Roburent e consegnati ai tedeschi; arruolato a forza nell’esercito della RSI, era stato spedito in Germania per l’addestramento, ma in giugno, appena tornato a Savona, aveva subito disertato per tornare con i compagni: vedi F. Sasso, Folgore...cit., p. 27. Il fatto che uno come lui fosse stato cooptato nei corpi armati della RSI nonostante la comprovata militanza tra i ribelli comunisti è sintomatico del quadro disastroso del reclutamento per l’Esercito fascista repubblicano.
74 R. Badarello - E. De Vincenzi, op. cit., p. 110. A questo proposito, gli autori sostengono che la famiglia Goso, che risiedeva nella cascina, sarebbe stata arrestata e deportata in Germania in tale occasione; ma ciò contrasta con quanto lo stesso De Vincenzi narra in E. De Vincenzi, O bella ciao...cit., pp. 93-96, e cioè che i Goso sarebbero stati catturati ai primi di dicembre del 1944.
75 M. Calvo, op.cit., pp. 47-49.
80 G. Gimelli, vol. II, pp. 223-224 e R. Badarello - E. De Vincenzi, op. cit., pp. 103-104.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000