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mercoledì 3 novembre 2021

Quando nel 1924 il Genoa giocò a Buenos Aires contro una selezione argentina il calcio d’avvio venne dato addirittura dal Presidente della Repubblica

L'Arena di Milano, teatro nel tempo di eventi di diverse discipline sportive - Fonte: Wikipedia

In politica estera il fascismo dimostrò una decisa preferenza per le relazioni bilaterali rispetto a quelle multilaterali poiché evitavano di assumere impegni gravosi e consentivano una politica “delle mani libere”. Questo atteggiamento si riflesse anche nello sport dove solo con l’inizio degli anni Trenta ci fu, su spinta di Bonacossa, un tentativo di consolidare l’autorità dell’Italia nei consessi internazionali, cercando di occupare le presidenze delle FSI.
Seppur generalmente poco studiate, al di là di qualche importante eccezione, un rapido sguardo alle relazioni sportive bilaterali può rivelarsi un modo sorprendentemente utile per una maggiore chiarezza dei rapporti politici internazionali. Particolarmente interessanti sono quindi le ricerche sui rapporti calcistici bilaterali fra Italia e Austria.
 
Fonte: Corriere dello Sport

Dopo l’amichevole del 1922 a Milano che aveva permesso all’ex nemico di uscire dall’isolamento, dopo la marcia su Roma si disputarono altri due incontri senza particolari problemi. La politica di fascistizzazione dell’Alto Adige tuttavia non mancò di causare frizioni; nel 1926 la Österreichische Fußball-Bund (ÖFB) si rifiutò di prendere parte al congresso della FIFA di Roma per protestare contro un discorso di Mussolini sulla questione. La piccata reazione della FIGC annunciò la rottura dei rapporti sportivi e solo l’abile lavoro della diplomazia austriaca, che riuscì ad addossare la responsabilità integrale dell’accaduto ai socialdemocratici, riuscì a far rientrare la tensione. Il sostegno di Mussolini ai cristiano-sociali austriaci giocò un ruolo di moderatore nelle sfide successive. Persino l’amichevole potenzialmente esplosiva giocatasi a Vienna nel 1929, in cui non fu suonata la marcia reale né esposta la bandiera e una buona parte dei 50.000 tifosi austriaci cercò di linciare un gruppetto di provocatori fascisti, non si risolse in una crisi grazie all’abilità della diplomazia austriaca la quale, fece ricadere ancora una volta la colpa sui socialdemocratici Mussolini del resto, specialmente dopo il colpo di stato di ispirazione nazista che aveva provocato la morte di Dollfuss, era diventato il garante dell’indipendenza austriaca. 


L’invasione dell’Etiopia tuttavia avvicinò notevolmente l’Italia di Mussolini alla Germania di Hitler e l’Austria divenne la principale merce di scambio dell’alleanza. Nel marzo del 1937 si giocò a Vienna una sfida di Coppa internazionale. Dopo mezz’ora di gioco violento l’Austria andò in vantaggio facendo scoppiare risse sulle panchine e sugli spalti. Nel secondo tempo la violenza raggiunse un tale livello che l’incontro fu sospeso dall’arbitro prima della fine. I disordini furono interpretati come un manifestazione di stampo social-comunista ma è possibile che anche l’opposizione nazionalsocialista si fosse unita all’azione. Mussolini, che aveva ormai deciso di sacrificare l’Austria a Hitler, annullò l’incontro di ritorno tra le due squadre senza avvisare gli austriaci che ricevettero assieme al foglio di via la notizia in albergo e fu inflessibile nel respingere tutte le intercessioni proposte dall’ambasciatore austriaco a Roma <479.
Allargando lo spettro all’intera area danubiana e mitteleuropea, il fascismo svolse una politica particolarmente attiva anche se talvolta ambigua - certificata dai tentativi di indebolire la Piccola Intesa di matrice francese e sostenendo politicamente ed economicamente i movimenti fascisti di Austria, Ungheria, Romania e Bulgaria - che si riflesse anche nella politica calcistica.
Tra il 1923 e il 1934, la nazionale disputò 83 incontri internazionali e di questi ben 33 furono contro Ungheria (10), Austria (9) Cecoslovacchia (9) e Germania (5) <480. Non sempre, come visto per il caso austriaco, gli incontri di calcio favorivano i rapporti di amicizia.
Per esempio ci furono numerosi incidenti a Praga durante l’incontro di calcio tra Slavia Praga e Juventus che si ripeterono quando le squadre si incontrarono a Torino.
Il 16 dicembre 1932 il Presidente del Consiglio dei Ministri chiese a Mussolini di fermare tutti gli eventi sportivi per un po’. In effetti a Praga erano avvenuti incidenti molto seri accompagnati da invettive «contro l’Italia e il Duce». E giocatori si erano feriti seriamente. L’ambasciatore italiano a Praga scrisse «i criteri sportivi, le coppe, i campionati sono importanti ma talvolta la reputazione di una nazione viene prima degli eventi sportivi» <481.
Oltre al calcio le buone relazioni con il governo ungherese furono garantite anche attraverso la scherma. Gli italiani, per esempio, parteciparono per la prima volta alla V edizione dei Campionati internazionali di scherma di Budapest nel 1926, che videro invece la significativa assenza dei francesi. Gli italiani furono accompagnati dal Presidente della Federazione Giuseppe Mazzini, che ne approfittò per salutare l’ambasciatore a Budapest, il Conte Durini di Monsa e i membri del Club fascista della capitale ungherese <482.

 
Sempre il calcio rappresentò senza dubbio la disciplina sportiva prediletta negli scambi con i paesi del Sudamerica, specialmente l’Argentina, il Brasile e l’Uruguay, non tanto per la nazionale - che non affrontò mai la lunga e costosa trasferta, quanto piuttosto per i club più intraprendenti. Quando nel 1924 il Genoa giocò a Buenos Aires contro una selezione argentina il calcio d’avvio venne dato addirittura dal Presidente della Repubblica <483. In generale i rapporti diplomatico-sportivi fra Italia e Paesi sudamericani furono ottimi. Lo certifica, per esempio, il fatto che in occasione della Sessione del CIO dell’aprile 1923 a Roma il delegato brasiliano, il conte Rio Branco, pur sottolineando l’intenzione di Rio de Janeiro di candidarsi a sede olimpica, dichiarava di rinunciare alla propria proposta fino a quando le Olimpiadi non si fossero tenute a Roma <484.
 

Fonte: Wikipedia

Gli scambi verso l’America del Nord risposero invece soprattutto a logiche economico-commerciali, specie in discipline quali il pugilato, l’automobilismo e il ciclismo su pista.
Particolarmente ambigui e conflittuali furono invece i rapporti con la Francia, talvolta vista come la “sorella latina”, altre volte come avversario da sconfiggere e terra di conquista (sportiva).
A partire dal 1920 era stato istituito il Service des Oeuvres Français à l’Etranger (SOFE); anche nella democratica Francia gli atleti erano sussidiati e venivano paragonati ad «ambasciatori» o a «rappresentanti della cultura francese» <485. Così come per l’Italia fascista anche il SOFE non nascose mai il fatto che fosse gradita la partecipazione di atleti francesi all’estero solo nel caso in cui fosse più o meno assicurata la vittoria.
Ecco perché il 26 maggio 1923 in un galà di scherma a Roma tra il francese Lucien Gaudin e l’italiano Candido Sassone si sfiorò l’incidente diplomatico. Nonostante dovesse essere un mero esercizio di stile senza vincitori non solo Sassone fu acclamato dal pubblico come il vincitore, ma anche il Giornale di Roma celebrò la superiorità della scuola italiana parlando di «facile vittoria» su Gaudin <486.
La scherma faceva parte del patrimonio culturale e identitario delle due nazioni anche se le due scuole si erano organizzate non solo con tecniche ma anche con armi differenti. Se Anversa 1920 aveva rappresentato un trionfo per la scherma italiana, Parigi 1924 segnò una grande occasione di riscossa per i francesi; gli incidenti occorsi in pedana segnalarono un risveglio della tensione dell’ostilità tra i due paesi, dovuta anche all’ascesa al potere di Mussolini, che non impedì a Henri Desgranges di applaudire le vittorie di Bottecchia al Tour de France. Dopo i Giochi infatti la Francia e l’Italia entrarono in un nuovo periodo di ostilità che verrà confermato e prolungato dalla presenza al potere in Francia del Cartel de Gauches e dal fatto che Parigi tra gli anni Venti e Trenta assunse lo statuto di capitale dell’antifascismo <487.
Le relazioni sportive tuttavia, al di là di una sentita rivalità specie nel ciclismo e nella scherma e di una certa conflittualità istituzionale, non ne risentirono particolarmente. Addirittura la creazione di corse come la Milano-Torino-Nizza nel 1932 o l’organizzazione di un’amichevole tra Juventus e Marsiglia nel 1933 furono concepite espressamente dalla PCM per migliorare le relazioni bilaterali <488.
La situazione cambiò radicalmente con l’invasione dell’Etiopia. Molti incontri italo-francesi previsti, dalla partecipazione azzurra al Tour a una sfida calcistica, furono annullati. I campionati del mondo di scherma di Parigi 1937 segnarono una certo riavvicinamento, così come la sfida calcistica a Napoli nel 1938 dopo la serie di vittorie italiane in terra francese. Con l’avvicinarsi della guerra, mentre francesi e inglesi erano impegnati in un’operazione di “scaricabarile” per il contenimento militare della Germania, che portò in parallelo alla politica dell’appeasement ad un notevole incremento degli scambi sportivi con quest’ultima, Italia e Francia invece ridussero notevolmente le loro relazioni sportive. Gli italiani, temendo manifestazioni antifasciste e una nuova sconfitta dopo quella del pugile Saverio Turiello contro Marcel Cerdan, si ritirarono dal meeting di atletica italo-francese del 13 giugno 1939. Nel luglio dello stesso anno la nazionale francese di atletica rifiutò di recarsi in Italia, adducendo motivazioni politiche, ma non ebbe problemi a recarsi a Monaco di Baviera <489.
Fino all’invasione dell’Etiopia le relazioni con l’Impero britannico furono ottime. I campi da golf di Stresa e Carezza, per esempio, furono un luogo d’incontro dell’alta borghesia italiana e britannica che certificava il buon rapporto esistente <490. E proprio sui campi di golf Galeazzo Ciano sosteneva: «Tra l’egemonia tedesca e l’egemonia inglese, meglio quest’ultima: è l’egemonia del golf, del wisky [sic] e del comfort» <491. Inoltre, al contrario di quanto avveniva in Francia, le istituzioni sportive inglesi non erano controllate dal governo; fino al 1934 l’idea che un evento sportivo potesse essere utilizzato per fini politici era considerato ripugnante dal Foreing Office, tuttavia fu proprio un incontro di calcio a segnalare quegli scricchiolii che avrebbero poi portato le due nazioni a entrare in guerra l’una contro l’altra.
In vista dell’amichevole prevista a Londra per il novembre del 1934 dopo il pareggio per 1 a 1 a Roma, pur essendo la nazionale di calcio un simbolo del fascismo, la diplomazia britannica sottovalutò l’evento, non cogliendo il lato politico dell’evento. Con la salita al potere di Hitler e la sua politica di riarmo l’Italia e la Francia rappresentavano un obiettivo della diplomazia britannica per limitare la minaccia tedesca. Non era certo nell’interesse di Londra che una partita di calcio rafforzasse l’acredine fra i popoli, eppure fu esattamente ciò che accadde. Dopo la vittoria del Mondiale di calcio del 1934, al quale le quattro Home Nations britanniche non avevano voluto partecipare ritenendosi superiori, l’opinione pubblica britannica si sentì offesa dall’affermazione della propaganda fascista che l’Italia fosse la squadra più forte al mondo. In quella che passò alla storia come «la battaglia di Highbury» e che il «Daily Herald» chiamò «il più brutale e pericoloso incontro internazionale di calcio giocato in questo Paese da diverse decadi», Monti si ruppe un alluce e Hapgood si ruppe il naso, mentre il portiere italiano Carlo Cresoli fu violentemente caricato dal centravanti inglese Ted Drake <492.
Fu evidentemente l’attacco all’Abissinia e non certo una partita di calcio a far crollare il Fronte di Stresa, tuttavia la spavalderia fascista e le pretese di superiorità nello spot nazionale inglese non favorirono certo la reazione dell’opinione pubblica britannica nel momento in cui la stampa, nel dicembre del 1935, fece trapelare il contenuto del patto Hoare-Laval. Le proteste contro l’accordo con l’Italia costrinsero alle dimissioni il segretario generale e portarono alla fine del Fronte di Stresa <493.
Il governo britannico aveva permesso che lo sport peggiorasse le relazioni con l’Italia, ma non volle ripetere lo stesso errore; nel 1938 infatti la squadra di calcio inglese omaggiò quella tedesca con il saluto nazista, mentre Londra fece un passo indietro per concedere le Olimpiadi del 1940 al Giappone <494.
Con l’Italia nuovamente campione del mondo e nonostante gli echi di guerra, le due squadre si ritrovarono a Milano il 13 maggio 1939 alla presenza di 65.000 spettatori. La partita, che terminò con un pareggio per 2 a 2 venne interpretata come una sfida finale per la supremazia nel calcio mondiale, tuttavia fu dato atto dello straordinario talento e della superiore sapienza tattica della squadra inglese <495.
Se durante la Repubblica di Weimar i rapporti con la Germania non mancarono di essere talvolta tesi e ostili, una volta salito Hitler al potere si fecero assai più frequenti e improntati sulla massima cortesia, anche se i gerarchi fascisti non nascosero una certa irritazione per la rapidità con cui lo sport nazista - seguendo il modello fascista - avesse raggiunto risultati di estremo valore.
A dimostrazione di queste buone relazioni possiamo citare un telespresso che il 23 dicembre 1935 l’Ambasciata d’Italia a Berlino inviò al Ministero degli Esteri e dell’Educazione Nazionale:
"Alle Olimpiadi la Germania annette una importanza molto considerevole. Dato il boicottaggio e la propaganda ostile esistente contro questo paese, questa grande riunione sportiva internazionale viene adoperata come un’occasione per ridurre tale cerchio di ostilità […] e, in relazione a tale carattere che si vuol dare alla manifestazione, parecchi Stati, dietro indiretto invito della Germania, manderanno Delegazioni molto rappresentative in cui cioè, al lato ai Delegati esclusivamente sportivi, saranno inclusi anche elementi semi politici […] Fare presiedere la nostra Delegazione da una persona di Autorità potrebbe essere perciò opportuno. La persona che più mi sembrerebbe indicata sarebbe S.E. R. Ricci, Sottosegretario al Ministro Educazione Nazionale. Pur essendo Segretario ha veste politica a ragione della alta carica che ricopre la sua presenza dimostrerebbe l’importanza che l’Italia annette alla manifestazione. S.E. Ricci in questa occasione sarebbe certamente invitato a visitare l’organizzazione della ‘Hitler Jugend’ che qui ha una importanza politica molto superiore a quella della corrispondente organizzazione in Italia". <496.
Diversi anche i tecnici italiani che si recarono in Germania: è il caso, per esempio, del maestro Niccolò Perno che nel 1939 passò ad allenare la squadra nazionale di scherma <497.
 

Fonte: Wikipedia


[NOTE]
476 Sport in regime fascista, «Lo sport Fascista», Milano, 1935, p. 52, cit. in F. FABRIZIO, Sport e fascismo, cit., p. 58.
477 Cfr. A. TEJA, Italian sport and international relations, cit., p. 161.
478 S. PIVATO, Sport et rapport internationaux: le cas du fascisme italien, in P. Arnaud e A. Whal, Sport et Relations Internationales, Actes du Colloque de Metz-Verdun, 23-5 septembre 1993, pp. 65-72.
479 Cfr. D. CANTE, Gli incontri di calcio tra Italia e Austria, cit., pp. 153-166 e D. CANTE, Propaganda e sport, cit., pp. 521-44.
480 Cfr. S. GIUNTINI, L’Olimpiade dimezzata, cit., p. 45.
481 Cit. in A. TEJA, Italian sport and international relations cit., p. 158.
482 Cfr. C. OTTOGALLI-AZZACAVALLO - T. TERRET, Attaque, risposte et contre-risposte: les relations franco-italiennes et l’escrime (1920-1960), in T. Terret (a cura di), Histoire du sport et géopolitique, Paris, L’Harmattan, 2011, p. 22.
483 Leggenda vuole che L’attaccante ricevuta la palla partì di gran carriera e col Presidente ancora in campo indirizzò un tiro verso la porta del divertito portiere De Prà. L’arbitro, tra le proteste dei genovesi, convalidò il gol cfr., R. BASSETTI, Storia e storie dello sport in Italia, cit., p. 55.
484 Cfr. T. FORCELLESE, L’Italia e i Giochi Olimpici, cit., p. 88.
485 Cit. in P. ARNAUD, French sport and the emergence, cit., p. 119.
486 Ibidem., pp. 126-7. Cfr. anche K. BRETIN, La Gazzetta dello sport et les Jeux de 1924, cit., p. 815.
487 Ibid.
488 Cfr. A. TEJA, Italian sport and international relations, cit., pp. 157-9.
489 Cfr. P. ARNAUD, French sport and the emergence of authoritarian regimes, cit., pp. 139-40 e C. OTTOGALLI-AZZACAVALLO - T. TERRET, Attaque, risposte et contre-risposte, cit., pp. 26-7.
490 R. HEBERHART, Italy Prepares To Move Forward In Golf, n.d., April 1926, p. 41.
491 R.J.B. BOSWORTH, Mito e linguaggio nella politica estera italiana, in R.J.B. Bosworth e S. Romano (a cura di), La politica estera italiana (1860-1985), Bologna, Il Mulino, 1991, p. 61.
492 Cit. in R. HOLT, The Foreign Office and the Football Association, cit., pp. 51-3. La sconfitta sportiva subita venne trasformata dalla stampa di regime in una vittoria morale dei «leoni di Highbury» sui perfidi rappresentanti di Albione.
493 Ibidem, pp. 51-3.
494 Ibidem, pp. 51-3. Cfr. anche M. POLLEY, Olympic Diplomacy: The British Government and the Projected 1940 Olympic Games, «International Journal of the History of Sport», n° 9, 1992, pp. 169-182 e P.J. BECK, Scoring for Britain. International Football and International Politics 1900-1939, London, Frank Cass, 1999.
495 Cfr. G. PANICO, Il calcio, cit., pp. 97-8.
496 Cit. in ACS, PCM, 2934-36, 14.4.5714, cit. in. L. RIGO, Cerchi olimpici e fasci littori, cit., p. 32.
497 Cfr. L. ROSSI, Scherma, cit., p. 289.
Nicola Sbetti, Giochi diplomatici. Sport e politica estera nell'Italia del secondo dopoguerra (1943-1953), Tesi di Dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2015

Tutto sommato si può concludere che i mondiali di calcio del 1934 e la vittoria finale d’Italia erano buoni mezzi di propaganda per i fascisti. Si tentava di realizzare un’organizzazione eccellente del torneo, con cui non si poteva notare una nota fuori posto. La stampa doveva innalzare il potere organisatorio del regime. Inoltre, la stessa stampa doveva descrivere le vittorie della Squadra Azzura in un modo mitico. Soprattutto il doppio incontro con la Spagna nei quarti di finale è stato passato alla storia come una vittoria eroica. Martin dice di questo evento che questa partita <<assomigliava più a un combattimento che una partita di calcio, proprio il tipo di confronto, per cui l’italiano nuovo era stato allenato .>> Per la seconda partita Italia era costretta di sostituire quattro giocatori. Questa seconda partita era diventata necessaria, perché il risultato della prima partita fu un pareggio. Però, gli spagnoli dovevano perfino sostituire sette giocatori a causa di infortuni. Moralmente, la situazione era a favore degli italiani. Grazie al sostegno molto fanatico dei tifosi fiorentini, alla fine la Squadra Azzurra fu in grado di battere la squadra spagnola. Phil Ball dice di questa partita che <<gli italiani calciarono gli spagnoli rimasti nell’oblio .>>
Però, la vittoria finale degli italiani era abbastanza controversa. In primo luogo il difensore del titolo Uruguay non partecipò ai mondiali. Inoltre, abbiamo già potuto vedere che anche i forti inglesi non assistettero al torneo. Così, la vittoria italiana perde più o meno lo smalto. Poi, gli appassionati di calcio non-italiani criticarono la partita contro la Spagna nei quarti di finale. Durante la partita l’arbitro aveva preso alcune decisioni discutibili a beneficio degli italiani , per cui alla fine la Squadra Azzurra arrivò in semifinale. Adesso Italia doveva giocare contro la Wunderteam di Austria. Anche questa partita puzzava. Già prima della partita Hugo Meisl, l’allenatore dei forti austriachi, temé che l’Italia sarebbe stata favorita dall’arbitro. La frase “Temo l'Italia, ma temo molto di più l'arbitro" fece sospettare che Meisl già conoscesse il risultato della partita. L’Italia vinse questa partita con 1-0 grazie a un gol dell’argentino-italiano Guaita. Segnò il gol vincente, mentre il portiere austriaco si trovò infortunato sulla terra. Però, l’arbitro Ivan Eklind convalidò il gol. ‘Per caso’ questo signore Eklind era poi anche l’arbitro nella finale . Anche se non è mai venuta a galla la verità su questa decisione, il dubbio sull’onestà di questa decisione continuerà a esistere per sempre.
Alla fine la Squadra Azzurra aveva ottenuto la vittoria finale richiesta dal regime. Però, tutto sommato questa vittoria non era tanto eroica quanto i fascisti affermavano.
[...] 9 George L. Mosse, The Fascist Revolution (New York: Howard Fertig Inc., [1999]), 9-14
10 Simonetta Falasca-Zamponi, Fascist Spectacle (Los Angeles: University of California Press, [1997]), 6-9
16 Giuseppe Iannacone, Il fascismo “sintetico”, Letteratura e ideologia negli anni Trenta (Milano: Greco & Greco Editori s.r.l., [1999]), 76
17 Simon Martin, Football and Fascism, The national game under Mussolini (Oxford: Berg, [2004]), 31
18 Ibidem, 31
19 Ibidem, 80
Tommy van Eldik, Lo sport come elemento della politica fascista in Italia, Tesina in Letteratura e cultura occidentale, Università di Utrecht, 2007

Durante il Ventennio, propaganda e consenso si ressero sul delicato equilibrio fra strumenti coercitivi e strumenti persuasivi. Se dal 1922 al 1926 fu l’uso prevalente dei meccanismi coercitivi a consentire al regime la distruzione di
ogni opposizione organizzata e l’occupazione dei gangli fondamentali dello Stato, la fase dal 1926 ai primi anni Trenta fu destinata alla costruzione di quella “macchina del consenso” pronta a essere lanciata a piena accelerazione. In questa seconda fase si collocò anche il cuore della politica sportiva del fascismo.
Si partì da un assunto. Il mercato dello sport mostrava un’evidente disparità fra domanda (crescente) e offerta (piuttosto modesta). Una mancanza di opportunità che si era palesata mentre i vantaggi della modernità iniziavano a garantire agli italiani buone opportunità di svago: si pensi all’entrata in vigore della legge n. 473 del 17 aprile 1925 - promossa dal regime - che garantiva alla popolazione una maggiore quantità di tempo libero. Differentemente dai vari governi liberali, dalla Chiesa cattolica e dai movimenti socialisti - piuttosto tiepidi nei confronti dello sport - il fascismo comprese il contributo che esso poteva offrire alla socializzazione di massa, di cui la giovane e frammentata popolazione italiana aveva grande bisogno.
La politica sportiva del fascismo conobbe sostanzialmente due fasi. Negli anni Venti si occupò di disegnare una solida identità all’attività sportiva, intendendo estirpare anche in questo campo i suoi antagonisti (rappresentati soprattutto dall’associazionismo cattolico e dai centri sportivi afferenti alle organizzazioni operaie); negli anni Trenta, invece, lo sport costituì elemento di propaganda domestica e internazionale, divenendo efficacissimo strumento a uso del regime per la creazione di una cultura popolare e di un senso di comunità condivisa, favorito dalla nascita di rituali, miti e luoghi sportivi. Una volta acquisito il potere, Mussolini si pose tre obiettivi: appropriarsi dello sport giovanile; assorbire e rimodellare secondo i propri scopi le prime associazioni sportive che agivano nel panorama del dopolavoro industriale; ottenere il controllo delle società ginniche già aderenti alle federazioni sportive nazionali.
Questi obiettivi furono perseguiti mediante la creazione, nella seconda metà degli anni Venti, dell’Opera Nazionale Balilla e dell’Opera Nazionale Dopolavoro nonché, soprattutto, attraverso l’egemonizzazione del CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), sorto nel giugno del 1914 da una precedente delegazione italiana del CIO (Comitato Olimpico Internazionale). Il CONI divenne ben presto strumento appannaggio del Partito Nazionale Fascista, che nominava i dirigenti delle singole federazioni sportive, imponendo il fascio littorio su tutte le insegne sportive nazionali. Dal 1925, alla guida del CONI fu posto il giovane squadrista toscano Lando Ferretti, teorico di punta dello sport fascista <1.
Già co–direttore della «Gazzetta dello Sport» e caporedattore del «Secolo» e dello «Sport fascista», Ferretti aveva un’idea ben chiara dello sport e delle sue enormi potenzialità propagandistiche. L’obiettivo doveva essere la diffusione della pratica sportiva fra le masse. Lo sport, osservava Ferretti, serviva a «riflettere, penetrare ed elevare le masse. La massa è il suo unico obiettivo, non l’individuo» <2. Il fascismo, coerentemente con le sue mire, puntò dunque in maniera gradualmente inferiore sulle imprese del singolo atleta - pur con importanti eccezioni: si pensi al caso del pugile Primo Carnera, “eroe” dello sport fascista negli anni Trenta - prediligendo il gioco di squadra, in particolare il calcio, la disciplina che meglio si prestava a una simile strategia.
2. Il calcio «giuoco fascista»
Come in gran parte dell’Europa, anche in Italia il calcio aveva conosciuto una crescita esponenziale nel primo dopoguerra. Le sessantasette compagini inquadrate nella FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio) - sorta nel 1909 come evoluzione della FIF (Federazione Italiana del Football), prima organizzazione di governo del calcio italiano, nata nel 1898 - divennero ottantotto in soli due anni, fra il 1919 e il 1921 <3. La crescita di popolarità del calcio, e le folle al seguito di esso, iniziarono a costituire elemento costante, tanto che le società presero a finanziare delegazioni delle tifoserie affinché potessero essere al fianco della loro squadra nelle trasferte <4.
L’obiettivo di unificare il Paese dal punto di vista sociale e culturale spinse Mussolini, nel 1926, a ordinare una ristrutturazione del calcio, lo sport scelto dal fascismo, data la sua popolarità, per diffondere l’identità del regime fra le masse. «Sebbene il fascismo preferisse sport più tradizionalmente accademici come la scherma, o più moderni come l’automobilismo […] comprese immediatamente la presa che poteva esercitare sulle masse uno sport come il calcio», pur pratica di matrice britannica <5 e dunque non esattamente graditissima al duce. Sotto la supervisione di Ferretti, fu nominata una commissione composta dal futuro prefetto romano Italo Foschi, dall’ingegner Paolo Graziani e dall’arbitro e avvocato Giovanni Mauro. Il loro lavoro confluì in quella nota come “Carta di Viareggio”, pubblicata il 2 agosto 1926 e celebrata dalle penne di regime come «una concezione generale e rivoluzionaria di governo» <6.
Essa, fra le sue principali innovazioni, sostituì il precedente Consiglio federale della FIGC con un Direttorio federale, i cui componenti sarebbero stati nominati dal presidente del CONI. Il presidente della FIGC e il Direttorio federale, insieme al presidente del CONI cui risultavano subordinati, avevano così l’autorità assoluta su tutte le questioni legate al calcio, la cui trasformazione definitiva in «giuoco fascista» era sancita agli occhi degli italiani dall’aggiunta del fascio allo scudo sabaudo nello stemma impresso sulla divisa dei membri del CONI e dunque anche delle squadre di calcio. Si procedette, inoltre, alla riorganizzazione dei campionati nazionali che avrebbe compreso tre Divisioni - Prima, Seconda e Terza - suddivise in gironi da criteri geografici ed economici. Ad ogni modo, nelle fasi finali si sarebbero scontrate le migliori squadre di tutte le singole Divisioni, indipendentemente dalla loro provenienza territoriale: quest’aspetto, coerentemente con quanto voluto da Ferretti e dai membri della commissione della Carta di Viareggio, avrebbe garantito la formazione di un unico quadro nazionale in linea con gli obiettivi identitari del regime. Inoltre, in conformità con l’obiettivo di proteggere sia le grandi che le piccole compagini calcistiche - e dunque di garantire la massima partecipazione a quello che si stava delineando come lo sport di massa - fu creata la Coppa d’Oro, riservata alle squadre che non si sarebbero riuscite a qualificare per le fasi finali delle rispettive Divisioni e che, in tal modo, non sarebbero rimaste inattive.
Tre ulteriori aspetti veicolavano agli italiani, mediante il calcio, idee cardine dell’apparato ideologico del fascismo: la creazione della condizione di «non dilettantismo», che garantiva ai calciatori un «rimborso spese» <7 - in linea con l’art. 113 della FIFA (Fédération Internationale de Football Association, la federazione internazionale che già dal 1904 governava lo sport del calcio) - ma non li definiva professionisti, temendo che una professionalizzazione dell’attività avrebbe potuto minare la moralità della pratica calcistica <8; il divieto assoluto per le squadre di tesserare stranieri (con la sola eccezione degli allenatori), in linea con la volontà di “italianizzare” il calcio; la necessità che ogni atleta FIGC possedesse una «fedina penale pulita e fosse un esempio irreprensibile di strenua attività nella sua vita privata e professionale» <9.
Una logica conseguenza della rivoluzione sportiva - e in particolare della rivoluzione calcistica messa in atto - eco e prolungamento della rivoluzione politica del totalitarismo fascista, fu la progettazione di impianti senza precedenti nella storia.
3. La realizzazione dei progetti di massa: dalla legge 1580 alla nascita della Commissione Impianti Sportivi
La prima normativa italiana volta a regolare la costruzione e il restauro degli impianti sportivi giunse nel 1928, anno in cui le cariche di segretario del PNF e di presidente del CONI confluirono nelle mani del gerarca Augusto Turati, che raccolse l’eredità di Ferretti. Si trattava della legge n. 1580 del 21 giugno 1928, firmata da Mussolini e dal ministro delle Finanze Giuseppe Volpi.
Essa subordinava al parere del CONI il via libera prefettizio per la costruzione o l’acquisto, l’adattamento e il restauro di qualsiasi impianto sportivo <10.
Alla luce di un simile snellimento burocratico, accompagnato da importanti agevolazioni fiscali11, non deve stupire che già alla fine del 1928 gli impianti sportivi realizzati, nella tipologia dei cosiddetti Campi del Littorio, risultavano essere 441 (339 al Nord, 63 al Centro e 39 al Sud), secondo il periodico ufficiale del CONI <12.
Nel 1930 sarebbero stati pari a 3280 distribuiti su più di duemila comuni <13. Per comprendere la portata di questo investimento sullo sport si può prendere in esame proprio il 1928: in quell’anno ben il 15% della spesa complessiva riservata dai comuni italiani alle opere pubbliche fu destinata all’implementazione dell’impiantistica sportiva <14.
In questa fase il Paese si trasformò in un “cantiere sonante”, cercando di mostrare il dinamismo economico del regime e di sopperire alle difficoltà del momento mediante l’aumento dei posti di lavoro nei cantieri destinati alle opere pubbliche. Quello sugli impianti sportivi fu, infatti, un investimento anticongiunturale, intrapreso in una fase - almeno negli anni fra il 1928 e il 1933 - di costante decrescita del PIL.
[NOTE]
1 Sull’attività di Ferretti come presidente del CONI, cfr. E. LANDONI, Gli atleti del duce. La politica sportiva del fascismo 1919–1939, Mimesis, Milano-Udine 2016, pp. 76–94.
2 La cultura e lo sport in un discorso di Lando Ferretti, «Il Littoriale», 22 gennaio 1929, pp. 1-2.
3 Cfr. G. PANICO, A. PAPA, Storia sociale del calcio in Italia dai club dei pionieri alla nazione sportiva (1887-1945), Il Mulino, Bologna 1993, p. 116.
4 Già nell’aprile del 1925, a seguito di una sconfitta in trasferta del Bologna contro il Verona, il giornale del capoluogo emiliano, «La Voce sportiva», attribuiva l’esito negativo alla scarsa affluenza di tifosi bolognesi, calcolando che un investimento di circa tremila lire da parte della società felsinea avrebbe garantito la presenza di quattrocento supporters al seguito pronti ad aiutare la squadra. Cfr. Football, «La Voce sportiva», 9 aprile 1925, p. 1.
5 S. MARTIN, Calcio e fascismo. Lo sport nazionale sotto Mussolini, Mondadori, Milano 2006, p. 4.
6 G. ZANETTI, G. TORNABUONI, Il giuoco del calcio. Commento alla legislazione della FIGC, Ceschina, Milano 1933, p. 24.
7 Il riassetto della FIGC, “La Gazzetta dello Sport”, 3 agosto 1926, p. 1.
8 Guido Beer, capo di Gabinetto alla Presidenza del Consiglio, nel 1928 così si esprimeva in merito al pericolo della professionalizzazione dei calciatori: «Il problema capitale della vita sportiva italiana è quello di rallentare l’enorme sviluppo del professionismo, che è pericolosissimo per la nazione. Il professionista deve avere questo nome perché […] lo diventa quando ci si dice dilettanti mentre si ricevono regolarmente forti somme […] oppure si risiede tutto l’anno a spese della direzione dei grandi alberghi». ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri 1928-1930, f. 3.2.5, n. 403, Pro-memoria, 15 settembre 1928, p. 1.
9 Federazione Italiana Giuoco Calcio, Annuario italiano del giuoco del calcio, Tipografia Modenese, Modena 1928, p. 145.
10 Cfr. Provvedimenti per la costruzione dei campi sportivi, «Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia», a. LXIX, n. 166, 18 luglio 1928.
11 Cfr. D. BOLZ, Les arènes totalitaires. Hitler, Mussolini et le jeux du stade, CNRS, Parigi, 2008, pp. 81-83.
12 I campi sportivi comunali costruiti durante l’Anno VI, «Il CONI», a. I, n. 9, 12 settembre 1929.
13 Cfr. I campi sportivi in Italia e la necessità di vigilarne la costruzione, “La Gazzetta dello Sport”, 18 aprile 1930, p. 3.
14 Cfr. E. LANDONI, op. cit., p. 100.
Matteo Anastasi, Fascismo, sport e identità nazionale. Gli stadi di calcio come veicolo di propaganda e strumento di consenso popolare in (a cura di) Novella di Nunzio e Francesca Zantedeschi, Il passato nel presente. Memorializzazione e usi pubblici della storia, Culture Territori Linguaggi CTL 17, Università degli Studi di Perugia, 2020 

Il fascino dei calciatori non era limitato ai campi da gioco. La stampa degli anni Trenta amava far conoscere l’uomo oltre che lo sportivo. Il calciatore era quello che poteva raggiungere uno stile di vita da cui la maggiore parte degli italiani era esclusa. Automobili Fiat per Meazza (una Balilla, ovviamente) o per Orsi; vacanze sul litorale tirreno a Forte dei Marmi per Rosetta, il terzino della Juventus, e per tutti la gestione di un bar o di un negozio. Nella ‘biografia’ di Rosetta, il giornalista Erberto Levi evocava il progetto dell’ex calciatore della Pro Vercelli in questi termini: “Iniziativa commerciale e industriale, in una parola. Virginio Rosetta amministra i frutti dei suoi risparmi con la stessa saviezza con cui amministra i suoi trentatré anni d’atleta” (13). Nessuno spirito di sacrificio al regime, ma piuttosto spirito di risparmio piccolo borghese. Rosetta non seguiva quindi la definizione dello sport secondo Lando Ferretti nel suo breviario atletico: “Lo sport è per noi anzitutto e soprattutto, scuola di volontà che prepara al fascismo i consapevoli cittadini della pace, gli eroici soldati della guerra” (14), scriveva nel 1928 il capo del Coni.
Se i raduni di massa organizzati da Achille Starace hanno potuto contribuire a costruire il consenso ottenuto da Mussolini, secondo Renzo De Felice, per una grande parte degli italiani nella prima metà degli anni Trenta questo non bastava. Certo, Nuto Revelli poté ricordare che per lui “il fascismo e lo sport erano la stessa cosa” e che era “orgoglioso dei suoi nastrini e delle sue medaglie” (15). In questo modo, lo sport, associato ai riti del Campo Dux, poteva lusingare il “narcisismo dei piccoli in divisa” (16).
Per i più grandi, il richiamo del moschetto e della divisa era senz’altro meno forte. O forse il proposito militaresco del regime non era per loro il volto più efficace dell’immagine del fascismo. Ma, come altrove nell’Europa dell’ovest, i vettori italiani della cultura di massa erigevano a modello un modo di vita moderno e spensierato. In questo senso la vita dei calciatori era l’equivalente sportivo dei film dei ‘telefoni bianchi’. E, con il suo primo sistema di protezione sociale, il dopolavoro, grazie al quale i giovani adulti potevano per di più acquistare a buon prezzo i biglietti per vedere le partite di serie A, il regime prometteva anche un presente e un avvenire migliori.
Ma lo stadio offriva anche la possibilità di esprimere quella rabbia che era esclusa dal campo sociale e politico. In particolare quella relativa al campanilismo, a tal punto che nel 1932, Il Littoriale, il quotidiano organo del Coni, dovette richiamare l’esasperazione espressa dal duce contro tutte le manifestazioni di regionalismo (17). Malgrado i decreti legge promulgati da Federzoni dopo la sparatoria della stazione di Porta Nuova nel 1925, al termine della finale Bologna-Genoa, una situazione elettrica accompagnò le partite di calcio fino al 1943. Furono in parte tollerate perché non si trattava di tensioni politiche e, in fin dei conti, non rappresentavano un pericolo per il regime. I tifosi al più erano una specie di ‘indifferenti’ degli stadi, come i protagonisti del romanzo di Alberto Moravia uscito nel 1929.
[NOTE]
(13) Viri (Virginio Rosetta): piccola storia di un grande atleta, Erberto Levi, Editrice Popolare Milanese, 1935
(14) Lando Ferretti, op. cit., pag. 225
(15) Le due guerre. Guerra fascista e guerra partigiana, Nuto Revelli, Einaudi, 2003, pagg. 14-15
(16) Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò, Antonio Gibelli, Einaudi, 2005, pag. 319
(17) Dopo la parola del Duce. Basta coi regionalismi!, Il Littoriale, 28 luglio 1932
Paul Dietschy (Storico, francese, specializzato nella storia dello sport, in particolare del calcio. Tra le sue pubblicazioni: Histoire du football, Paris, Éditions Perrin, 2010) in paginauno, 10 dicembre 2010

giovedì 28 ottobre 2021

A fine settembre 1943, in una notte senza luna, un sommergibile britannico sbarcò sulle coste liguri la prima missione alleata nel Nord Italia

Prima pagina del rapporto finale di Fausto Bazzi - Fonte: Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia < ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia - Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, 2007

Ultima pagina del rapporto finale di Fausto Bazzi

A fine settembre 1943, in una notte senza luna, un sommergibile britannico (probabilmente il Seraph) sbarcò sulle coste liguri, a San Michele di Pagana, la missione LAW, la prima missione alleata nel Nord Italia. La missione attuò il primo collegamento radio fra Genova e Algeri. Fino a novembre restò l’unica missione della N° 1SF in Italia.
Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale - Anno XXIX - 2015, Editore Ministero della Difesa

Riceviamo e pubblichiamo:
'Sabato 25 marzo, alle ore 16 presso la Biblioteca Internazionale “Città di Rapallo” (Villa Tigullio), presentazione del libro di Marco Steiner, “Mino Steiner, il dovere dell’antifascismo” (Ed. Unicopli). Relazione di Giacomo Ronzitti, presidente Ilsrec. Sarà presente l’autore. Presiederà Vittorio Civitella, ricercatore storico e saggista. L’evento è patrocinato dal Comune di Rapallo'.
[...] “Una notte uggiosa di inizio Ottobre del 1943, a qualche miglio dalla spiaggia di Cavi di Lavagna, la sagoma scura d’un sommergibile si erse lentamente dalla superficie del mare sino ad arrestarsi immobile e silenziosa. Uno sportello si aprì sulla tolda e da esso  comparvero alcune figure quatte e guardinghe. Un paio di esse misero in acqua un canotto tenendolo accostato allo scafo sino a quando altri due uomini vi scesero dentro e cominciarono a remare allontanandosi dallo scafo ormai in fase di immersione: un breve e sordo ribollire di schiuma e spruzzi, indi la notte si richiuse sulla fugace apparizione. I due si diressero verso la costa priva di luci. Essi indossavano un giubbotto scuro, erano armati e dentro una sacca impermeabile nascondevano un apparecchio radio…”.
Ha così inizio l’incredibile storia di Guglielmo “Mino” Steiner e del suo secondo, Fausto Bazzi, che, condotti in missione segreta sino a quell’approdo da un sommergibile inglese, avrebbero dato vita ad uno degli episodi più incredibili e avventurosi dell’epopea resistenziale. Quella notte la missione inter-alleata Law aveva avuto il suo battesimo e la articolata cospirazione antifascista sia clandestina che in armi ne avrebbe tratto corposi vantaggi strategici e tragiche conseguenze. [...]
Consuelo Pallavicini, Rapallo: presentazione del libro “Mino Steiner, il dovere dell’antifascismo”, Levante News. La voce del Tigullio, 14 marzo 2017 

Sotto l’aspetto ideologico, il referente innovatore e riformista della composita cospirazione antifascista che aveva accolto a suo tempo le ansie promotrici di Antonio Zolesio era rappresentato dal Partito d’azione di cui Giustizia e libertà (movimento formatosi a Parigi nel 1929 dopo la fuga di Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Nitti dalla colonia penale di Lipari) costituiva all’epoca dei fatti narrati il vero braccio armato su tutto il territorio nazionale ove il conflitto era ancora in corso: quasi una milizia di partito così come lo erano per antonomasia le brigate garibaldine per il Pci.
Antesignano di questo concettualmente avanzato movimento nella nostra regione era stato Lino Marchisio; con lui, oltre agli azionisti capifila Eros Lanfranco, Cristoforo Astengo, Luciano Bolis e Marcello Cirenei, l’azionismo ligure poteva contare su altri nomi di riconosciuto ed elevato prestigio quali Mario Cassiani Ingoni, Leonida Balestreri, Mario Zino, Pino Levi Cavaglione, Annibale Ghibellini.
In tale congiuntura ad Antonio Zolesio, già prima del fatidico 1943 che aveva decretato la diversa scelta di campo del Paese nella persona del re e del suo plenipotenziario maresciallo Badoglio, erano stati assegnati preventivi ancorché precisi compiti di intelligence ch’egli, in qualità di segretario militare del Pda per la Liguria (incarico conferitogli per volontà di Ferruccio Parri in persona il quale annetteva ai servizi d’informazione un’importanza preponderante), avrebbe mandato ad effetto, congiuntamente al capitano Dante Novaro (referente della missione Zucca del 2677° reggimento Oss-Apo/512, poi ucciso a Mauthausen-Gusen 2) e ad altri, nel covo clandestino di via San Giorgio, alle spalle del porto di Genova, sotto la copertura d’un innocuo ufficio commerciale.
Tanta tempestiva alacrità avrebbe prodotto a breve la prima (in assoluto) operazione congiunta di intelligence tra le forze alleate e il movimento partigiano dell’Italia del nord: quella missione Law che avrebbe consentito a due ardimentosi, Guglielmo Steiner (Mino) e Fausto Bazzi, entrambi addestrati frettolosamente ad Algeri dal Soe britannico (Special operations executive) e dall’Oss americano (Office of strategic services, precursore dell’odierna Cia), di sbarcare dal sommergibile britannico Hms Sykle sulla spiaggia di Cavi di Lavagna ai primi di ottobre del ’43 muniti d’un apparecchio ricetrasmittente consegnato infine, dopo rocambolesche avventure, al referente ligure della missione, il genovese Piero Caleffi, a sua volta a stretto contatto sia con l’organizzazione Otto di Ottorino Balduzzi sia con gli esponenti milanesi della cospirazione di matrice azionista e giellista facente capo a Ferruccio Parri. Vittorio Civitella, Zolesio e l’opera di intelligence di Fellner e Unger di Löwenberg, in STORIA E MEMORIA, I.L.S.R.E.C., anno XXV, N. 2/2016


Guglielmo Steiner (Mino), fatto prigioniero dagli Alleati mentre era militare in Sicilia, venne recluso ad Algeri, ma si offrì di guidare la prima missione alleata di infiltrazione (missione Law), cercando collegamenti con la Resistenza. Nel 1943 sbarcò da un sottomarino inglese vicino a Cavi di Lavagna e poi raggiunse a piedi S. Michele di Pagana, dove la sorella lo aiutò a recuperare la radio ricetrasmittente, nascosta dopo lo sbarco. Giunto a Milano fu tradito da un delatore e arrestato. I tedeschi lo deportano prima a Mauthausen e poi ad Ebensee.
Ricorda Steiner e la sua impresa anche una targa nel Parco delle Rimembranze a S. Michele di Pagana (Rapallo).
Redazione, Guglielmo Steiner (Mino)...ANPI Sezione "Poldo Gasparotto", Milano, 2011 


Mino STEINER - nato a Milano il 10/5/1909 - arrestato a Milano il 16/3/1944 - assassinato ad Ebensee il 28/2/1945.
Pietra d’Inciampo in Viale Bianca Maria, 7.
Guglielmo “Mino” Steiner nasce a Milano il 10 maggio 1909 da Emerico Steiner e Fosca Titta, primogenito di quattro fratelli. La madre, Fosca, è sorella del baritono Titta Ruffo e della moglie di Giacomo Matteotti: i legami familiari sono molto stretti. Al funerale di Giacomo Matteotti a Fratta Polesine il 21 agosto 1924, Mino, con il padre e gli zii, ne porta a spalle la bara. Laureato in giurisprudenza, inizia l’attività lavorativa nello studio dell’avvocato antifascista Lelio Basso. Nel giugno 1939 è arrestato e tradotto a S. Vittore per una settimana dalla polizia politica fascista in occasione di un ennesimo fermo di Lelio Basso. Nell’ottobre 1942 è richiamato alle armi ed è a Palermo il 5 luglio 1943, sbarco degli alleati in Sicilia. In contatto con i servizi segreti anglo-americani gli viene affi dato il comando della prima missione segreta inviata oltre la linea del fronte in Nord-Italia: la missione “Law” ed il 3 ottobre 1943 sbarca da un sommergibile inglese davanti alla spiaggia di Lavagna (GE). A Milano, progetta con Mario Paggi un giornale di cultura politica aperto a tutte le idee antifasciste: “Lo Stato Moderno”. Arrestato dalla polizia politica, il 16 marzo 1944, viene rinchiuso a S. Vittore, reparto SS; dopo sei settimane è trasferito a Fossoli e da qui, il 21 giugno 1944 a Mauthausen.
Muore nel sotto-campo di Ebensee (Cement) il 28 febbraio 1945.
Redazione, Pietre di inciampo Milano 2017/2021, Cartella Stampa Gennaio 2021

[...] Si chiama Marco Steiner ed è il figlio di Mino Steiner, antifascista milanese arrestato per le sue attività in favore degli alleati nel 1944 e morto in un campo di concentramento nel 1945. Marco è il presidente del comitato Pietre d'inciampo a Milano, o "stolpersteine", blocchi di pietra ideati dall'artista tedesco Gunter Demnig da incastrare in strada per ricordare le vittime delle persecuzioni nazifasciste. Nel capoluogo lombardo Marco da anni si occupa di trovare e ripercorrere proprio le storie dei tanti milanesi deportati nei campi di sterminio e mai più tornati a casa: "Purtroppo i milanesi morti nei campi di concentramento sono troppi, parliamo di quasi un paio migliaio di persone: ricordarne solo 90 è come minimo riduttivo - ha raccontato in una lunga intervista a Fanpage.it in occasione della Giornata della Memoria di oggi 27 gennaio - per questo il nostro lavoro deve andare avanti".
I passanti inciampano, senza saperlo, in qualcosa di importante.
Le pietre d'inciampo, incastrate nel selciato stradale, permettono alle persone di inciampare su questo blocchetto che dà loro la possibilità di leggere qualcosa di importante, come il nome di una persona morta in uno dei campi di concentramento, di cui altrimenti non avrebbero probabilmente mai letto.
[...] "Mio padre Mino si dedicava a reperire informazioni sulle forze militari tedesche e repubblichine da trasmettere agli Alleati, si occupò molto del recupero di militari alleati sbandati o fuggiti dai campi di internamento, favorendone il recupero e l'invio in Svizzera", ha raccontato a Fanpage.it Marco Steiner parlando del padre che ha ricevuto come altri 89 milanesi una Pietra d'Inciampo a Milano. [...]
(a cura di) Chiara Ammendola, Giorno della Memoria, Marco Steiner: “Restituiamo l’identità ai milanesi morti nei lager”, Fanpage.it, 27 gennaio 2020

Questi primi esperimenti di volontariato nati nel Mezzogiorno, questo tentativo di partigiani armati nel Sud come scriveva Bodini, è ingeneroso definirli velleitari, questi tentativi erano stati fatti da uomini in carne ed ossa, di volontari che pagarono talvolta con la vita (40) come Giaime Pintor o Paolo Petrucci ucciso alle Fosse Ardeatine (41). In tanti altri casi si andò ben oltre l'essere addetto alle salmerie, o a zappare trincee e o guidare un mulo: basta ricordare per esempio l’iniziativa di Raimondo Craveri (42), che costituì l’Organizzazione per la Resistenza Italiana (O.R.I.) (43) che diede un contributo prezioso alla Resistenza [...]
[NOTE]
40. Claudio Pavone, I Gruppi Combattenti Italia, Un fallito tentativo di costituzione di un corpo di volontari nell’Italia Meridionale (settembre-ottobre 1940 ) a cura dell’istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia Milano 1955
41. Paolo Petrucci. Nato a Trieste il 1° agosto 1917, fucilato alle Fosse Ardeatine (Roma) il 24 marzo 1944, professore. Al momento dell’armistizio si trovava a Roma. Partecipò così ai combattimenti contro i tedeschi a Palidoro. Quando i nazisti occuparono la Capitale, il giovane granatiere decise di passare in clandestinità. Con gli amici Paolo Buffa e Aldo Sanna, “Pietro Paolucci” - questo il nome di copertura - partì verso il Sud con lo scopo di promuovere la costituzione di un corpo di “Volontari per la libertà”. Non fu possibile realizzare il progetto, per cui Petrucci, con Buffa e Giaime Pintor (che avevano incontrato nell’Italia già liberata), decisero di tornare a Roma per organizzare gruppi di partigiani nel Lazio. Nel tentativo di ripassare le linee lungo il Garigliano, i giovani antifascisti finirono su un campo minato. Pintor saltò in aria su una mina e gli altri decisero di tornare indietro. Addestrati dagli Alleati, dopo due settimane “Paolucci” e Buffa furono paracadutati su Monte Rotondo, di dove poi raggiunsero, a Roma, la casa della comunista Enrica Filippini che li ospitò, consentendogli di organizzare azioni di propaganda antinazista, che raggiunsero il culmine con le manifestazioni degli studenti romani. L’attività di Petrucci e dei suoi durò giusto un mese. Il 14 febbraio 1944 le SS irruppero nell’abitazione della Filippini e vi arrestarono la padrona di casa, Cornelio e Vera Michelin-Salomon, Paolo Buffa e “Pietro Paolucci”. Per tutti la solita trafila in via Tasso e poi il processo, nel corso del quale Petrucci, forse grazie al suo nome di copertura, fu assolto. Ciò non impedì ai tedeschi di farlo rinchiudere nel terzo braccio di Regina Coeli, dal quale uscì soltanto per essere trucidato alle Fosse Ardeatine.
42. Raimondo Craveri (Napoli, 1912 - Roma, 16 ottobre 1992) è stato un intellettuale antifascista, cognato di Croce, fu tra i fondatori del Partito d'Azione. Dopo l'8 settembre 1943, è a Salerno, dove, con Alberto Tarchiani e Alberto Cianca, e con l'avallo morale dello stesso Croce lanciarono l'idea di una formazione di volontari che avrebbe dovuto prender parte, combattendo in prima linea, al fianco degli eserciti anglo-americani, nella guerra per la liberazione dell'Italia soggiogata dai nazisti. Dopo avervi consentito, gli anglo-americani, al momento della sua realizzazione, non ne vollero più sapere. Il loro rifiuto era dovuto al desiderio di Churchill di non consentire che degli italiani, e soprattutto non degli italiani tendenzialmente repubblicani, acquistassero troppi meriti. Craveri non si rassegnò, tuttavia. Propose agli americani la creazione di un servizio di contatti ed aiuti ai partigiani dell'Italia settentrionale. Questa volta trovò ascolto durevole. Il servizio, diretto da Craveri, con la denominazione di ORI, si costituì ed operò molto efficacemente. Procurò parecchi avio-lanci di armi ai partigiani.
43. ... una parte degli uomini che erano stati raccolti da Pavone, furono rilevati da Craveri per l’ORI (Organizzazione per la Resistenza Italiana), che egli reclutò per l’OSS ( Office of Strategic Services) dopo essere stato avvicinato a Capri nel settembre 1944 dal generale Donovan. Lo aiutava nell’impresa uno scienziato napoletano, il dottor Enzo Boeri, le cui simpatie politiche (come quelle di Craveri) oscillavano fra il PDA e il PLI. Coordinata dall'OSS, l'ORI operava spesso in più stretti rapporti con i CLN e i partiti politici che non le SF (Special Force) britanniche. Fin dal settembre l’ORI collaborò alla spedizione della prima missione alleata (Law) nel Nord. Trasportata da un sottomarino e diretta a Lavagna in Liguria, essa era guidata da un nipote di Matteotti, Guglielmo (Mino) Steiner, e comprendeva Fausto Bazzi e Guido De Ferrari. Alla missione si aggiunsero poi Piero Caleffi del PDA di Genova ed altri, tra cui il radiotelegrafista Giuseppe Cirillo, che più tardi proseguì la sua attività presso la direzione milanese della Resistenza. Nell’ottobre l’ORI di Craveri stabilì un contatto radio con il servizio informazioni clandestino della Otto, appena organizzato a Genova da Ottorino Balduzzi, sostenitore a quell’epoca del PDA ... Parri fu in grado di servirsi frequentemente dei servizi della Otto e di comunicare grazie a essa con gli Alleati. Sia l’ORI che le SF si servirono in seguito regolarmente del servizio informazioni della Franchi che le succedette, istituito da Edgardo Sogno e da altri autonomi (da Charles F. Delzell, I Nemici di Mussolini. Storia della resistenza armata al regime fascista, Castelvecchi Roma 2014)
Donato Peccerillo, I partigiani mancati del Sud, ANPI Brindisi

giovedì 21 ottobre 2021

Ebrei fuggiti dai loro Paesi d’origine nella missione britannica Danbury in Carnia...

Pianoro del Monte Pala (Anduins di Vito d’Asio), autunno 1944: davanti alla sede del comando del Battaglione Italia-D.D. (3° Brigata Osoppo-Friuli), i componenti del gruppo Danbury assieme ad alcuni partigiani. È probabile che MacCabe sia l’autore della foto. Il primo a sinistra è Cheyney; al centro, con la piccozza, c’è Simon. Alle sue spalle, con il basco nero, c’è Hauber, la cui presenza fa risalire lo scatto almeno alla seconda metà di ottobre. Tra gli altri, si riconoscono anche i fazzoletti verdi Burbo, Muk, Cepe, Caverna, Speranza, Rex e Fuca. Rimane non identificato il primo uomo a destra, da alcune fonti genericamente indicato come “membro della missione inglese” (ph. © Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

È la notte tra il 12 ed il 13 agosto 1944. Al chiaro di luna, nel cielo del Friuli vola un aereo decollato da una delle basi pugliesi della Royal Air Force britannica. In attesa di lanciarsi con il paracadute ci sono uomini scelti per un’importante missione organizzata a Monopoli, nel quartier generale del SOE in Italia: tre agenti costituiscono il gruppo Danbury. Indossano la divisa degli ufficiali inferiori britannici ma, in realtà, sono Ebrei fuggiti dai loro Paesi d’origine dopo l’ascesa del nazismo e rifugiati nel Regno Unito. I tre sono stati appositamente addestrati dal SOE come specialisti nel maneggiare gli esplosivi e sabotatori. L’obiettivo segreto di Danbury è il sabotaggio della linea ferroviaria Villach-San Candido, nel tratto tra Greifenburg, nella valle della Drava, e Sillian, in Alta Val Pusteria, nel Tirolo Orientale.
Redazione, La Panarie 1968-2018: cinquanta anni di cultura (opuscolo per il 50° della rivista), 7-13 ottobre 2018 

Un gruppo di agenti della X Section del SOE. Tra gli altri, si riconoscono MacCabe, al centro in prima fila, e Priestley, il secondo da destra in seconda fila (arch. E. Sanders, immagine trasmessa agli autori dal Dr. Peter Pirker) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Anteprima libraria oggi, alle 17.30, in municipio a Clauzetto. Le amministrazioni di Clauzetto e Vito d'Asio propongono la presentazione della ricerca storica "Autunno 1944, Danbury sul Monte Pala". Una fotografia scattata sul Monte Pala nell'autunno del 1944 ha ispirato la ricerca di Enrico Barbina e Jurij Cozianin, sulle tracce di tre agenti ebrei del Soe britannico, paracadutati in Friuli per compiere la loro missione segreta in Austria. Grazie alla consultazione di documenti d'archivio, è stato possibile accertarne l'identità, conoscerne le biografie e il servizio operativo. Ricercatori e articolisti della rivista friulana di cultura "La Panarie", gli autori si sono avvalsi della collaborazione di Peter Pirker, docente dell'università di Vienna. Barbina e Cozianin faranno luce sulla vicenda, mettendosi a disposizione di appassionati e curiosi per approfondire questo avvenimento che coinvolse i nostri territori sul finire del secondo conflitto mondiale.
G.Z., Agenti segreti sul Pala. La storia in una ricerca, Messaggero Veneto, 24 novembre 2018 

Il Douglas C-47 Dakota eretto a monumento nell’area dell’airfield “Piccadilly Hope” di Otok (Metlika), in Slovenia (ph. © kraji.eu) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

È la notte tra il 12 ed il 13 agosto 1944.
Al chiaro di Luna, nel cielo del Friuli vola un aereo decollato da una delle basi pugliesi della Royal Air Force britannica <1. In attesa di lanciarsi con il paracadute ci sono sette uomini, scelti per un’importante missione organizzata a Monopoli, nel quartier generale del SOE <2 in Italia (No. 1 Special Force).
Alcuni di loro appartengono alla Sezione Tedesco-Austriaca (X Section) del servizio segreto di Sua Maestà, diretta da Ronald Thornley <3, costituita già alla fine del 1940 con l’allora ambizioso, se non velleitario, obiettivo di favorire e poi sostenere in Austria un’auspicabile insurrezione nazionale e separatista che determinasse il ripristino dell’indipendenza perduta nella primavera del 1938 con l’annessione al Terzo Reich nazista (Anschluss).
A tal fine, sono stati progressivamente reclutati ed addestrati nelle fila della Sezione diverse decine di esiliati politici, rifugiati e disertori della Wehrmacht. In realtà, rispetto ad un contesto di fatto sconosciuto e probabilmente molto meno favorevole di quanto sperato, le missioni destinate a raggiungere l’Austria dal territorio italiano, con il supporto dei partigiani locali, sono partite solo all’inizio dell’estate del ’44.
Quattro degli uomini a bordo dell’aereo compongono in effetti la missione Rudolf o gruppo Bakersfield: il maggiore Francis <4, l’operatore radio caporale Buttle <5, il tenente tirolese Georgeau <6 e il capo missione, il maggiore Rudolf <7. Il loro compito è di infiltrarsi nelle valli del Gail e della Drava, con l’obiettivo di verificare se ci siano le condizioni per alimentare la Resistenza locale, qualora esista, o favorirne la nascita e l’organizzazione, attraverso lo sviluppo di una rete di corrieri, contatti ed appoggi logistici, da estendersi in direzione di Innsbruck, Lienz, Salisburgo e Villach. Di fatto, essi vanno a rafforzare la missione Beckett <8, già operativa dal 14 giugno ed alla quale si sono aggregati un mese più tardi anche il capitano Pat <9 e l’operatore radio sergente Charles <10.
Gli altri tre agenti costituiscono invece il gruppo Danbury. Indossano la divisa degli ufficiali inferiori britannici ma, in realtà, sono Ebrei fuggiti dai loro Paesi d’origine dopo l’ascesa del nazismo e rifugiati nel Regno Unito. Il leader del gruppo è Simon ovvero il sottotenente Otto Karminski, soprannominato “Putzi” <11, austriaco, nato a Vienna il 17 febbraio 1913 [...]
[NOTE]
1. La ricerca degli autori non ha consentito di rintracciare il Record del volo. È probabile che l’aereo fosse un Halifax appartenente ad uno degli squadroni polacchi utilizzati per le missioni segrete Special Duties nel Nord Italia e nei Balcani. Di norma, in quel periodo a tali fini veniva utilizzato l’aeroporto “Campo Casale” di Brindisi. Tuttavia, vista la concomitanza delle numerose missioni effettuate a sostegno della Rivolta di Varsavia, non è escluso che il volo sia stato effettuato a bordo di un Douglas C-47 Dakota del 267 Squadron RAF decollato da Bari.
2. Special Operations Executive, servizio segreto britannico istituito il 22 luglio 1940 per lo svolgimento di operazioni speciali dietro le linee nemiche. Era composto da uomini e donne di provenienza militare e civile.
3. Tenente Colonnello Ronald Howe Thornley (1909-1986).
4. William Francis Dayrell St. Clair Smallwood (1914-1945).
5. Arthur Ernest George Buttle (1924-1975).
6. Hubert Mayr (1913-1945), alias Jean Georgeau ovvero Banks, giovane socialista di Innsbruck, reduce della Guerra Civile Spagnola, catturato dai tedeschi in Tunisia, fuggito da un campo di prigionia italiano, dalla fine del 1943 agente della Sezione Austriaca del SOE. Disperso nel corso della missione nell’inverno 1944/45 e dichiarato morto nel 1945. L’11 febbraio 2011 egli è stato insignito dell’onorificenza postuma “Ehrenzeichen für Verdienste um die Befreiung Österreichs”, per i servizi resi ai fini della Liberazione dell’Austria.
7. George Rudolf Hanbury Fielding (1915-2005), reduce dalla battaglia di Creta e dal Nord Africa tra i ranghi del reggimento di cavalleria “3rd The King’s Own Hussars”. Agente del SOE dal 1944.
8. Altrimenti detta missione Balloonet o gruppo Aunsby. Beckett era il nome in codice del capo missione, il Conte Manfred Czernin (1913-1962), Manfredi per i partigiani friulani. Berlinese di nascita e figlio di un nobile diplomatico austriaco, valoroso Maggiore della RAF nella Battaglia d’Inghilterra, dal 1943 pluridecorato agente del SOE. Venne paracadutato sul Monte Losa, tra Sauris e la Val Pesarina, nella notte tra il 13 ed il 14 giugno 1944, assieme al marconista Piero, il bolognese Piero Cantoni (alias Piero Bruzzone o Boeri).
9. Patrick Martin-Smith (1917-1995), londinese, già ufficiale nei Commandos, dall’aprile del 1944 agente del SOE, in missione in Friuli anche in qualità di British Liaison Officer (BLO), ufficiale di collegamento con le formazioni partigiane.
10. Ernest Charles Roland Barker (1919-1953), del Royal Corps of Signals. Deceduto in servizio, in Malesia.
11. Vezzeggiativo traducibile con “piccolino”.
Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Autunno 1944, Danbury sul Monte Pala, La Panarie 1968-2018: 50° Nuova Serie, 198/267

In questo episodio dedicato alla missione Coolant, destinata al Friuli, ripercorreremo i mesi dal luglio 1944 al settembre dello stesso anno. Il maggiore Hedley Vincent, inviato come capomissione nella zona, organizzò i partigiani locali, divisi tra brigate Garibaldi e Osoppo, per dar battaglia ai nazi-fascisti, mentre ancora tutti nutrivano la speranza che la guerra sarebbe finita di lì a pochi mesi. L'estate fu quindi un periodo molto intenso, in cui i partigiani liberarono una vasta zona sulle Alpi Giulie.  
Redazione, Episodio 43 - Coolant: L'arrivo di Hedley Vincent, Racconti dal nascondiglio, 29 maggio 2021

Questo secondo episodio dedicato alla missione Coolant chiude il capitolo che vide il maggiore Hedely Vincent a dirigerla. I partigiani, che controllavano un territorio piuttosto ampio a nord-est di Udine, furono attaccati con violenza dal nemico nel settembre 1944. La battaglia tra i due schieramenti infuriò per giorni, mentre la situazione diventava sempre più disperata e, contemporaneamente, diventava sempre più chiaro che l'avanzata alleata a sud era stata bloccata e non sarebbe arrivato aiuto per i partigiani.
Redazione, Episodio 44 - Coolant: il grande rastrellamento di settembre 1944, Racconti dal nascondiglio, 5 giugno 2021

In questo episodio seguiremo l'avvicendamento alla guida della missione Coolant tra il maggiore Vincent e il maggiore Macpherson. Questi, reduce da una lunga prigionia in mano nemica, e poi una missione in Francia, fu designato in quanto ufficiale esperto e capace. Tuttavia, le sfide che dovette affrontare furono notevoli: non solo la presenza massiccia di forze nemiche, rinforozate anche da truppe cosacche e croate, ma anche le crescenti tensioni tra sloveni e italiani, che infine esplosero a metà inverno.
Redazione, Episodio 45 - Coolant: l'arrivo di Macpherson, Racconti dal nascondiglio, 12 giugno 2021

In questo episodio affronteremo gli ultimi mesi di attività della missione Coolant in Friuli al comando di Macpherson. A gennaio la situazione è critica, i partigiani sono pochi e i loro nemici numerosi a agguerriti. Tuttavia, questo non fermò la Resistenza che presto si riogranizzò in varie forme, fino alla ricostituzione delle bande nella primavera. La Liberazione, tuttavia, non sarà cosa facile, visto che il Friuli rappresenta una delle direttrici di ritirata dei tedeschi verso la Germania.
Redazione, Episodio 46 - Coolant: La fine della guerra, Racconti dal nascondiglio, 19 giugno 2021

Un container di armi ed esplosivi. Si notano i mitra Sten Mk II, diffusi tra i partigiani friulani - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Le Brigate Osoppo furono formazioni partigiane autonome fondate presso la sede del Seminario Arcivescovile di Udine il 24 dicembre 1943 su iniziativa di volontari di ispirazione laica, liberale, socialista e cattolica, gruppi già attivi dopo l'8 settembre nella Carnia e nel Friuli.
I fini della Osoppo erano cooperare in autonomia con le formazioni garibaldine comuniste e contribuire alla lotta antifascista contro le forze occupanti tedesche. Quest'ultime avevano infatti istituito la Operationszone Adriatisches Küstenland, sottraendo di fatto l'intero territorio del Friuli-Venezia Giulia all'autorità della Repubblica Sociale Italiana ed instaurando un rigido regime di repressione e spogliazione, avvalendosi della partecipazione di reparti di SS etniche, di cosacchi e di forze repubblicane fasciste.
Il raggruppamento ebbe al comando: Candido Grassi (nome di battaglia "Verdi"), Manlio Cencig (nome di battaglia "Mario"), due capitani del Regio Esercito Italiano e don Ascanio De Luca (già cappellano degli Alpini in Montenegro e in quel momento parroco a Colugna, frazione di Tavagnacco).
A causa della complessa situazione politico-militare presente nel territorio friulano e della Venezia Giulia, al centro di opposti nazionalismi e di secolari rivalità etnico-territoriali, le formazioni della Osoppo ebbero rapporti spesso conflittuali con i reparti garibaldini comunisti e furono in contrasto con le forze partigiane sloveno-jugoslave.
Il Gruppo Brigata Osoppo dell'Est, comando unificato con la Divisione Garibaldi Natisone, non accettò di passare a est del fiume Isonzo per mettersi alle dipendenze del IX Corpus sloveno dell'Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia di Tito.
Il 22 novembre 1944, il Partito Comunista Italiano (e non il CLNAI, unico comando in grado di impartire legittimamente ordini sull'impiego operativo delle forze partigiane) aveva dato l'ordine ai partigiani italiani della zona di passare alle dipendenze del IX Corpus jugoslavo per favorire la creazione di (secondo le parole di Togliatti in una lettera a Vincenzo Bianco, rappresentante del PCI nel IX Corpus, « una condizione profondamente diversa da quella che esiste nella parte libera dell'Italia. Si creerà insomma una situazione democratica.»
La disposizione era che "tutte le unità italiane della zona [del litorale adriatico friulano] devono operare soltanto sotto il comando del IX Corpo di armata di Tito", aggiungendo che chi avesse rifiutato questo comando sarebbe stato considerato fascista ed imperialista e trattato di conseguenza; il comando delle Brigate Osoppo aveva rigettato la richiesta con il grido paà nostris fogolars (per i nostri focolari).
La dipendenza fu quindi accettata dai circa 3500 partigiani comunisti della divisione Garibaldi-Natisone ma non dagli autonomi della Osoppo, tra i quali militava una ragazza, Elda Turchetti, uccisa e ritenuta successivamente dai comunisti una spia della X MAS ma possibilmente anche un intermediario secondo altre fonti.
Se gli osovani basavano la loro posizione sui principi della difesa degli interessi nazionali, dei quali si sarebbe dovuto discutere solo a guerra finita, anche i garibaldini erano molto dubbiosi viste le posizioni politiche e i metodi autoritari adottate dagli sloveni nei loro territori.
[...] Sin dal luglio 1944 l'OSS (il servizio segreto degli USA che poi diventerà l'attuale CIA, relativo alle operazioni all'estero) aveva avviato in Friuli una propria missione di collegamento con i partigiani, denominata Chicago-Texas. La missione era guidata da due agenti italiani affiliati al PCI, Alfredo Michelagnoli e Giuseppe Gozzer. La missione fu organizzata sulla scorta di un più ampio accordo tra OSS e Partito comunista, che prevedeva l'arruolamento di "uomini esperti" indicati dal partito, in cambio della possibilità, per quest'ultimo, di utilizzare le radio del servizio segreto per comunicare con i propri dirigenti nell'Italia occupata dai nazifascisti.
Gozzer, tuttavia, sebbene alla testa di una missione alleata, divenne presto capo di stato maggiore della Brigata Garibaldi Friuli, generando incertezze tra i membri del SOE (uno dei vari servizi segreti britannici per operazioni dietro le linee nemiche), già operanti in zona, i quali non avevano chiaro quando considerare le sue iniziative come adottate nella sua qualità di rappresentante degli statunitensi, o in quella di comandante partigiano e comunista.
D'altra parte, non esisteva alcun coordinamento specifico tra le missioni OSS e SOE e questo, a prescindere dal differente approccio politico tra statunitensi e britannici, generò "la più completa confusione", arrivando a mettere in concorrenza involontaria le missioni inviate indipendentemente su uno stesso territorio, e generando inefficienza e pericoli indebiti per gli stessi agenti alleati. Inoltre, il diverso approccio delle differenti missioni alleate non forniva ai partigiani una coerente immagine dell'alleanza angloamericana, e rendeva meno efficace la loro azione militare.
Redazione, Brigate Partigiane Osoppo-Friuli, Bella ciao, Milano!

[...] Mentre è ancora in corso la ricerca dei contenitori scesi dal cielo e sparsi nella zona, ad accogliere i sette agenti segreti ci sono Beckett (Manfredi), Pat ed i partigiani dal fazzoletto verde e dal cappello Alpino, ovvero gli uomini della 3ª e 4ª Brigata Osoppo-Friuli, schierate in Val d’Arzino e Val Tramontina. Non sono giorni sereni per loro, dopo l’improvviso attacco tedesco e repubblichino al castello di Pielungo, sede del comando osovano, avvenuto il 19 luglio. La controversa “crisi” politico-militare che ne è derivata, aggravata dalla destituzione e dall’arresto di Verdi <22 ed Aurelio <23 a Rutizza (Tramonti di Mezzo), è ancora in corso. Verrà risolta tra qualche giorno, con la decisiva presa di posizione, in armi, dei più carismatici comandanti dei reparti della 3ª Brigata, la liberazione di entrambi gli “imputati” ed il loro immediato reintegro nelle rispettive funzioni <24.
L’epilogo segnerà il definitivo tramonto di ogni ipotesi di stabilire un Comando Unico tra le formazioni partigiane osovane e quelle garibaldine operanti in zona. In questo complesso contesto, riconosciuto come tale anche dalle missioni alleate, la Resistenza friulana e carnica sta per affrontare i più duri mesi di lotta, non solo contro tedeschi e fascisti, ma anche contro i reparti cosacchi e caucasici affluiti in Carnia ed Alto Friuli, con migliaia di civili e di cavalli al seguito.
Saranno giorni di lutti, sofferenze e sacrifici per tutta la popolazione.
A parte Georgeau, gli altri sei agenti pacadutati si presentano in uniforme britannica, senza abiti borghesi nello zaino e privi di documenti utili da esibire in Austria, in caso di necessità. La volontà di non indossare abiti da civili può essere comprensibile per i componenti di Danbury, in virtù del fatto di essere ebrei ovvero del rischio di essere, se catturati, smascherati e trattati come tali. Il problema in realtà è serio per tutti e condiziona la loro missione. Beckett e Pat ne sono pienamente consapevoli.
In Austria non è consentito ciò che lo è in Italia o in Slovenia, dove gli agenti del SOE operano in divisa tra i partigiani di una Resistenza già organizzata ed in armi. Per il momento a muoversi oltre confine saranno così solo Georgeau e la preziosa guida austriaca Vienna <25, mentre Rudolf e gli altri troveranno una sistemazione in Carnia, scortati da Aurelio e dai partigiani del Battaglione Fedeltà, completando la ricognizione dei passi montani che consentono l’accesso alla valle del Gail, in attesa di ricevere dalla Base Maryland le armi ed i rifornimenti promessi.
Beckett comprende che almeno per ora neppure Danbury può muoversi secondo il piano originario. 

Il Nobel No. 808, l’esplosivo al plastico utilizzato dai partigiani e dal SOE nelle azioni di sabotaggio. Veniva fornito con gli aviolanci o prelevato dalle polveriere presidiate dal nemico - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Nell’attesa, i tre possono rendersi utili in altri modi, innanzitutto istruendo i partigiani della Osoppo sull’utilizzo degli esplosivi e dei timer <26. In particolare, i patrioti della 3ª Brigata, ovvero dei battaglioni Italia-D.D., Giustizia e Libertà hanno già dimostrato di saperne fare buon uso, anche nel giorno dell’attacco al castello di Pielungo, quando hanno bloccato la rientrante colonna nemica tra le gallerie della Strada Regina Margherita, infliggendole notevoli perdite. Non sono neppure mancati i sabotaggi a ponti e viadotti della ferrovia pedemontana e a tratti stradali. Ai primi di ottobre gli uomini del Libertà tenteranno anche l’ardita distruzione del Ponte di Ragogna-Pinzano sul Tagliamento, impedita solo dall’insufficiente quantità dell’esplosivo fatto brillare <27.
 

Gli effetti di un atto di sabotaggio partigiano sulla Ferrovia Pontebbana (ph. © Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Beckett ha invece in mente di colpire la Pontebbana, certamente un’arteria stradale e ferroviaria molto importante per la Werhmacht. 

Cartolina del vecchio ponte ferroviario di Dogna. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale venne solo parzialmente danneggiato dai bombardamenti aerei alleati - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

A Simon viene così affidata la missione di provare a far saltare il ponte di Dogna, da tempo nel mirino dei partigiani ed in particolare dei guastatori del Battaglione Monte Canin <28, ma la ricognizione effettuata lo convince dell’impossibilità dell’operazione. L’obiettivo è ben presidiato, con molte mitragliatrici e fotoelettriche.
Nella seconda settimana di settembre il gruppo Danbury raggiunge Rudolf all’Albergo Sottocorona di Forni Avoltri, in cui egli si è insediato, proveniente da Liariis (Ovaro) e Priola (Sutrio), sede del comando del battaglione osovano Val But. Lungo la marcia, i quattro partigiani che scortano Simon hanno teso un agguato ad una pattuglia tedesca. Lo scontro è terminato con otto caduti tra i nemici. La partecipazione dell’agente del SOE all’iniziativa altrui viene considerata un’intemperanza dal comando britannico e come tale biasimata.
Aggirando Santo Stefano, presidiata dai tedeschi, la via per il Cadore è ancora libera ed è là che Simon vuole verificare se ci sia la possibilità di entrare in Austria, con l’aiuto delle formazioni partigiane locali. Raggiunta Lorenzago con un paio di guide, incontra così i fazzoletti rossi della Divisione garibaldina Nino Nannetti. Essi si dicono disponibili ad aiutarlo, con l’intento di trasferirsi più a nord-ovest, vicini alla frontiera. Per loro la nuova base potrebbe essere il punto di partenza anche per una requisizione di bestiame oltreconfine.
Al momento Simon cerca di disssuaderli da quest’ultimo proposito e prende tempo, promettendo loro il lancio delle armi e delle scorte di viveri di cui hanno disperato bisogno. Individua infatti la dropping zone, dando disposizioni a Cheyney di presidiarla costantemente e a MacCabe, spostatosi a Forni di Sopra, di mantenere il contatto radio con Monopoli.
I rifornimenti consentirebbero anche di dare il via al piano partigiano, messo a punto da MacCabe ed approvato dalla Base, di liberare Santo Stefano dalla guarnigione tedesca, peraltro progressivamente rinforzata fino a contare ottocento uomini.
Nel frattempo, i lanci promessi e mai ricevuti rimangono la più grave preoccupazione anche per Rudolf, oltre alla mancanza di un operatore radio per Georgeau, in Austria. Le ricognizioni effettuate oltreconfine hanno dato via via motivi di moderato ottimismo rispetto all’obiettivo della missione, pur in un contesto che si è rivelato molto più difficile di quanto la Base aveva previsto o semplicemente sperato. Le prospicienti valli austriache infatti, specie quella del Gail, sono poco abitate, in particolare dai maschi, impegnati al fronte e nell’industria bellica del Terzo Reich. L’atteggiamento di chi è rimasto nei paesi è di apatia se non di terrore, visto il rigido controllo esercitato da anni dalla Gestapo. Non è certo facile trovare uomini e donne disposti ad imbracciare le armi o a fare da staffette. Tuttavia, grazie agli indomiti sforzi di Georgeau e Vienna, una prima rete di complicità, aiuti ed appoggi logistici è stata creata e si estende tra le valli del Gail e della Drava fino a Villgraten, nel Tirolo Orientale. I disertori austriaci e tedeschi tra le fila della Werhmacht vanno inoltre aumentando ed alcuni di loro sono già utilizzati come corrieri. I passi alpini sono ancora praticabili ed in genere non presidiati dal nemico <29.
Con il passare dei giorni e delle settimane, l’attesa dei lanci si fa però così snervante da spingere Rudolf ad inviare un caustico messaggio alla Base in cui, contro la presunta ritrosia dei piloti a volare di notte ed in condizioni meteorologiche non ideali, invoca da loro “more of the spirit of the Battle of Britain and less of the bottle of Bari”.
 

La time pencil (Switch No. 10), dispositivo di innesco dell’esplosivo, ritardato mediante la corrosione controllata di un filo metallico da parte di un liquido contenuto in un’ampolla. Quelle con la safety strip gialla avevano un ritardo di dodici ore - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra


I mancati rifornimenti impediscono anche a Danbury di mantenere la promessa fatta ai partigiani del Cadore e l’unica cosa che Cheyney, soprannominato “Teddy il dinamitardo”, può offrire loro è la somma di 10.100 Lire, consegnata il 26 settembre alla Compagnia Alto Piave della Brigata Calvi. Simon tuttavia non desiste dal proposito di infiltrarsi in Val Pusteria e tentare il sabotaggio del ponte ferroviario sulla Drava a Tassenbach (Strassen) nei pressi di Sillian, come suggerito da “un ufficiale americano” incontrato da MacCabe <30. La zona risulta tuttavia ben sorvegliata dalle pattuglie tedesche, secondo quanto riportato dalla guida mandata in perlustrazione.
Nel suo tentativo, anche Simon s’imbatte infatti nel nemico, sfuggendo per un soffio dalle sue grinfie ed essendo costretto ad abbandonare l’esplosivo.
Lo scenario sta in effetti rapidamente volgendo al peggio e l’8 ottobre scatta la prima fase dell’operazione Waldläufer, la massiccia offensiva nazifascista e cosacca contro la Zona Libera della Carnia e dell’Alto Friuli, in cui è stata proclamata la Repubblica partigiana.
Nella notte tra il 12 ed il 13 è previsto il lancio a Tramonti di altri quattro agenti del SOE, tra i quali ci sono anche Turner, il quarto uomo di Danbury, e Priestley <31, l’operatore radio tanto atteso da Rudolf, da affiancare a Georgeau in Austria.
A causa di un errore accidentale del pilota polacco, probabilmente ingannato dalle luci delle caserme, il lancio viene disgraziatamente effettuato sopra Tolmezzo.
Gli uomini atterrano nelle braccia del nemico. Taggart <32 muore, forse suicida, Priestley e Turner vengono catturati <33, l’unico che riesce a fuggire è Hauber <34.
Rudolf è costretto ad abbandonare precipitosamente Forni Avoltri, rastrellata senza pietà il giorno 13, ed a spostarsi a Sauris su cui, lasciato il Cadore, convergono anche i membri di Danbury. Dopo aver atteso a lungo il lancio promesso, il laconico messaggio cifrato “Insufficient cloud cover” trasmesso dalla Base ha infranto ogni loro residua speranza.
Nel frattempo anche Francis e Charles sono stati catturati <35, mentre di Georgeau e Vienna non si hanno più notizie <36.
Nell’emergenza e con una taglia sulla sua testa di 800.000 Lire, Rudolf segnala alla Base un’ulteriore dropping zone, in vista di un ventilato lancio di massa, da ben dieci aerei, di armi e scorte, indispensabili anche per il Fedeltà.
In realtà, la situazione venutasi a creare con l’offensiva nemica e l’acuirsi dell’inverno, con l’impraticabilità dei passi verso l’Austria, ha convinto la Base dell’impossibilità di rifornire adeguatamente gli agenti ed i reparti partigiani che li supportano.
Gli uomini del SOE devono essere progressivamente richiamati.
A giorni, l’annuncio del Proclama Alexander chiarirà le motivazioni della decisione.
Alla fine di ottobre il primo a dover rientrare a Monopoli è Beckett. Il giorno 29 lo preleva un Lysander, atterrato nel campo di Pradileva, un ampio terreno tra Tramonti di Mezzo e Tramonti di Sotto, approntato a tal fine dai fazzoletti verdi del Battaglione Monte Canin nel corso dell’estate. Il giorno seguente giunge in Val Tramontina anche il gruppo Danbury, con Buttle ed il redivivo Hauber. Su ordine di Rudolf attendono di ricevere finalmente un lancio, benchè non così abbondante come a lungo vanamente sperato.
Nel corso della loro marcia, c’è stato il tempo per scattare una fotografia assieme ad alcuni partigiani, davanti alla sede del comando del Battaglione Italia-D.D., nel pianoro del Monte Pala <37, ad Anduins di Vito d’Asio. È il primo reparto in armi della Osoppo, formato a partire dal 25 marzo del ’44, il giorno in cui un manipolo di patrioti è salito in Palamajȏr <38, alle pendici del Monte Rossa <39. 

Il comandante Goi sul Monte Pala nel 1944 (ph. © Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Intitolato a Renato Del Din Anselmo <40, dopo la sua morte nell’attacco alla caserma della Milizia fascista di Tolmezzo, il battaglione è agli ordini di Goi <41, il suo rude e carismatico comandante. Coraggioso e di gran cuore. Temprato dai cinque avventurosi anni trascorsi a Sidi Bel Abbes, in Algeria, tra i ranghi della Legione Straniera, e dai duri giorni in Croazia in qualità di Sergente Maggiore del 2º Reggimento di Fanteria “Re”, si è guadagnato il rispetto, la fiducia e l’affetto dei suoi uomini. Tali rimarranno anche a guerra finita.
Il 6 novembre sono a Tramonti anche Rudolf e gli uomini del Fedeltà, degni del nome del proprio reparto. La loro discesa dalla Carnia è stata a dir poco avventurosa, resa molto complicata e rischiosa dal dover percorrere i sentieri innevati di alta montagna, cercando di evitare le vallate occupate dal nemico.
La marcia ha comportato la perdita dei muli e nel corso di uno scontro a fuoco a Luint (Ovaro) Rudolf è stato ferito ad un braccio <42. I suoi rapporti con il maggiore Nicholson <43, il nuovo British Liaison Officer in Val Tramontina, sono piuttosto tesi, a causa della non facile convivenza operativa e delle rispettive rivendicazioni sui lanci di armi, equipaggiamenti e scorte. Nicholson sfoga la sua insofferenza in un messaggio alla Base, nel quale definisce “inutili, indisciplinati e senza guida” gli elementi austro-inglesi della X Section, accusandoli di interferire nella sua attività quotidiana e chiedendone l’allontanamento.
Vorrebbe trattenere al suo servizio solo MacCabe, anche per il fatto che sa parlare l’italiano <44. Quanto alle missioni di sabotaggio, egli suggerisce alla Base la formazione di un gruppo di sciatori cadorini, da affidare a Prior <45.
Dopo la ricezione del lancio atteso da Rudolf, l’8 novembre a partire sono così tutti i membri di Danbury ed Hauber, assieme ad una dozzina di ex prigionieri alleati ed aviatori statunitensi <46. 

Vista sul Tagliamento dal Monte di Ragogna. Al centro l’isolotto del Clapàt ed i due tronconi del ponte stradale e ferroviario di Cornino-Cimano (ph. © J. Cozianin) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

La loro marcia verso la Slovenia inizia in una notte tempestosa con l’attraversamento del Tagliamento, poco a valle del ponte ferroviario di Cornino-Cimano, sorvegliato dal nemico. Con loro ci sono alcune guide partigiane oltre ad Aurelio e Goi. Come sempre, è necessario togliersi gli scarponi, i calzettoni ed i pantaloni. Il guado dei bracci del fiume e del suo infido greto di ciottoli e pietre non è certo dei più semplici, se le sue fredde acque sono gonfiate dalle piogge autunnali, se non si conosce l’ostacolo e non si ascoltano i saggi consigli di chi, invece, ne ha ormai scoperto ogni segreto. Deve essere così, se il piccolo Simon per ben due volte viene trascinato via dalla corrente e “ripescato” in extremis da Goi, “a suon di moccoli” <47. Il suo zaino è inzuppato e molto del contenuto è andato perso. Costretto a fermarsi a riva, tra i tuoni egli fa solo in tempo a gridare a Cheyney e MacCabe di proseguire, con l’obiettivo di ricongiungersi presso la missione Coolant del maggiore Macpherson <48, paracadutato sul Monte Joanaz nella notte tra il 4 ed il 5 novembre ed acquartierato nelle malghe di Porzûs (Topli Uorch), presso il comando osovano di Bolla <49.
Esausto, Simon ritorna sui suoi passi e ripara in un fienile, ospite di un generoso contadino. La notte successiva riesce finalmente a guadare il fiume, aggrappandosi alla coda del cavallo montato da un partigiano. Nel frattempo, Cheyney e MacCabe, senza più guida e con il conforto della sola bussola, trovano rifugio nella prima casa isolata incontrata nel loro cammino. Una donna li accoglie benevolmente, dicendo loro di avere un nipote partigiano. Pochi minuti dopo una pattuglia tedesca si avvicina all’abitazione. Gli agenti del SOE attendono con le pistole in pugno che la porta si spalanchi da un momento all’altro. Non è così, il nemico si allontana e la loro marcia può proseguire. La via verso la Slovenia prevede l’attraversamento della Pontebbana poco più a Nord di Tricesimo e, oltre Nimis, la risalita del sentiero che da Porzȗs conduce al Monte Carnizza ed alle malghe in cui si è installata la missione Coolant.
È lì che il gruppo Danbury si ricongiunge.
Dopo l’attraversamento dell’Isonzo e l’ingresso in territorio sloveno, di norma le guide partigiane jugoslave conducono a Čepovan e poi alla sede del quartier generale del IX Korpus e della missione britannica Crayon. Di certo, scavalcata la ferrovia Trieste-Lubiana, la lunga marcia verso la Bela Krajina consente al gruppo Danbury e ad Hauber, il 3 dicembre 1944, di raggiungere Črnomelj, ovvero il quartier generale dei partigiani sloveni (Glavni Štab Slovenije) e la missione Flotsam di cui sono responsabili il Tenente Colonnello Peter Moore <50 ed il Maggiore Owen Reed <51. Entrambi operano in Jugoslavia per il SOE fin dall’autunno del 1943. Tra Črnomelj e Metlika ci sono alcuni airfields <52 molto utilizzati dagli Alleati per evacuare gli agenti segreti, gli ex prigionieri, gli equipaggi dei bombardieri abbattuti ed i partigiani feriti. Tuttavia, a causa del protrarsi delle avverse condizioni meteorologiche, i componenti di Danbury ed Hauber non possono salire a bordo di un aereo come previsto ma devono proseguire la loro marcia, diretti alla missione Fungus presso il quartier generale dei partigiani croati (Glavni Štab Hrvatske), nell’area tra Glina e Topusko. Attraversato il fiume Kupa (Kolpa) da Stari Trg, s’inoltrano infatti nella regione montuosa del Gorski Kotar, oltre Brod Moravice e Skrad. La zona è ancora parzialmente tenuta dagli Ustaša <53 ed il suo passaggio non è privo di rischi. Le successive marce, ognuna in media di 25 chilometri al giorno, conducono infatti gli agenti del SOE molto più a Sud, attraverso la Lika.
Spostandosi lungo la catena del Velebit raggiungono Knin, liberata ai primi di dicembre del ’44. Da là un camion li porta a Spalato. È certo che il 22 dicembre si trovano sull’isola di Vis (Lissa), dalla scorsa estate sede del quartier generale di Tito e di una base aerea alleata, oltre che strategico approdo per le numerose imbarcazioni della flotta partigiana jugoslava.
Tuttavia essi rientrano a Spalato e l’8 gennaio 1945 salpano a bordo del piroscafo Ljubljana <54, già ampiamente utilizzato per il trasferimento degli uomini delle Brigate d’Oltremare (Prekomorske Brigade) dalle coste pugliesi alle isole dalmate nei primi mesi del 1944. Il giorno dopo sbarcano a Bari e rientrano alla Base. Un paio di settimane prima vi hanno fatto ritorno anche Rudolf, Pat, Buttle e Brenner, <55 prelevati a Črnomelj da un Douglas C-47 Dakota. 


Uno scorcio della piana di Pradileva (Tramonti di Sotto), utilizzata dalla RAF britannica come dropping zone e landing strip per i Lysander (ph. © J. Cozianin) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Avevano lasciato Tramonti alla fine di novembre del ’44, nei giorni dell’ultimo grande rastrellamento nemico <56.
I membri di Danbury non parteciperanno ad altre missioni, rimanendo a Monopoli, prima del trasferimento a Siena del quartier generale del SOE. [...]
[NOTE]
22. Il prof. Candido Grassi (1910-1969), udinese, insegnante e pittore, capitano dei Bersaglieri reduce dal fronte jugoslavo. Fu tra i fondatori della Osoppo, di cui fu di fatto il comandante militare.
23. Don Ascanio De Luca (1912-1990), di Treppo Grande, già cappellano degli Alpini in Montenegro ed allora parroco di Colugna (Tavagnacco), tra i fondatori della Osoppo ed una delle sue personalità di maggior rilievo.
24. Gurisatti 2003.
25. Georg Dereatti (1898-?), di Villach, ferroviere, socialdemocratico. Scomparso nel corso della missione.
26. Gurisatti 2003, pag. 175.
27. Brezzaro 1998.
28. Reparto autore di numerosi atti di sabotaggio (Archivio Osoppo della Resistenza nel Friuli, V 7).
29. Martin-Smith 1991.
30. Con ragionevole certezza si tratta di Roderick Stephen “Steve” Goodspeed Hall (1915-1945), geniere, capitano dell’OSS (Office of Strategic Services), paracadutato sul Monte Pala nella notte tra il 1º e il 2 agosto 1944 con la missione Mercury Eagle, operativo in Carnia (Ovasta) e in Cadore. Catturato a Cortina, venne torturato ed impiccato dalle SS naziste a Bolzano il 20 febbraio 1945.
31. Michael Peter Priestley è l’ebreo viennese Egon Lindenbaum (1920-1976).
32. William Taggart è in realtà il viennese Wolfgang Treichl (1915-1945).
33. Interrogati nel quartier generale della Gestapo a Trieste ed incarcerati al Coroneo. Trasferiti in treno a Vienna nel gennaio del 1945. Prigionieri nello Stalag XVII A di Kaisersteinbruch e poi nell’Oflag 79 di Querum (Braunschweig), liberato dalle truppe statunitensi il 12 aprile 1945. Vedi nota 19.
34. Richard Hauber è il tirolese Nikolaus Huetz (1922-2014).
35. Interrogati, frustati ed incarcerati a Trieste. Francis verrà trasferito a Kaisersteinbruch e Querum. Charles rimase a Kaisersteinbruch. Alla liberazione del campo da parte dei sovietici, fuggì nell’ungherese Debrecen e da là, in aereo, rientrò a Bari a metà aprile del 1945.
36. In un suo recente articolo, frutto di accurate ricerche condotte assieme a Ivo Jevnikar, il Dr. Pirker sostiene che essi e Rudolf Moser Henry, guida austriaca del SOE, siano stati catturati, interrogati ed assassinati dall’OZNA jugoslava a Gorenja Trebuša (Tolmino). Lasciata l’Austria per sfuggire alla Gestapo, essi cercavano di raggiungere le missioni britanniche in Slovenia. Vedi www.aegide.at/files/files/spec%20140418%20-%20seite%20III.pdf.
37. Monte Pala (1.231 metri).
38. Marson 2018.
39. Il Monte Taîet (1.369 metri) ne è di fatto la sommità. I sentieri e le malghe del Monte Rossa furono particolarmente utilizzati dai partigiani della Val d’Arzino e della Val Tramontina nel corso dei rastrellamenti nazifascisti e cosacchi per evitare l’accerchiamento dei reparti ed assicurane l’ordinato ripiegamento ed il trasferimento in altra posizione.
40. Renato Del Din (1922-1944), mortalmente ferito a Tolmezzo il 25 Aprile 1944, Medaglia d’Oro al Valor Militare.
41. Rainiero Persello (1912-1998), originario di Farla (Majano), Medaglia d’Argento al Valor Militare.
42. Martin-Smith 1991.
43. Thomas “Tom” Ivan Roworth (1911-?), dei Royal Engineers, paracadutato sul Monte Joanaz il 20 settembre 1944, a capo della missione Bergenfield.
44. Radiomessaggi di Nicholson alla Base - Archivio Osoppo della Resistenza nel Friuli, V 17.
45. Capitano Michael William Leathes Prior (1910-1978), responsabile della sottomissione Big Bug, alle dipendenze di Nicholson.
46. La parziale ricostruzione dell’itinerario di marcia attraverso il Friuli, la Slovenia e la Croazia si basa in particolare sul Report redatto da Simon a fine missione, sulla testimonianza di Hauber raccolta dal Dr. Pirker nel 2003, sui Weekly Situation Reports della Base Maryland e in Martin-Smith 1991.
47. Gurisatti 2003.
48. Sir Ronald Thomas “Tommy” Stewart Macpherson (1920-2014), scozzese, già nei Queen’s Own Cameron Highlanders e nei Commandos. Jedburgh del SOE, si distinse nelle missioni in Francia e Friuli, diventando uno dei più decorati militari britannici della Seconda Guerra Mondiale.
49. Francesco De Gregori (1910-1945), già capitano degli Alpini, vittima dell’eccidio di Porzûs (7 febbraio 1945), Medaglia d’Oro al Valor Militare.
50. Peter Neil Martin Moore (1911-1992), dei Royal Engineers, reduce di El Alamein. Paracadutato in Jugoslavia nel settembre del 1943, operò in Bosnia, Croazia e Slovenia, incontrando più volte Tito e Kardelj. Vedi la sua Oral history: www.iwm.org.uk/collections/item/object/80011631 Imperial War Museum, London.
51. Owen Perceval Elrington Reed (1910-1997), con il Royal Tank Regiment in Egitto. Venne paracadutato in Jugoslavia nell’Ottobre del 1943, operando a lungo in Croazia e poi in Istria e Slovenia.
52. In particolare quelli di Griblje, Otok (“Piccadilly Hope”), Krasinec (“Piccadilly Hope A”) e Prilozje.
53. Nazionalisti croati, alleati dell’Italia fascista e della Germania nazista, con a capo Ante Pavelić (1889-1959), Poglavnik dell’allora Stato Indipendente di Croazia (Nezavisna Država Hrvatska).
54. Varato nel 1904 come piroscafo Salona, requisito dalla Regia Marina italiana nel 1941 ed utilizzato come incrociatore ausiliario Lubiana in missioni di scorta nell’Adriatico fino all’8 settembre 1943. Diventata nave da trasporto della flotta partigiana jugoslava, affondò il 14 maggio 1945 nella Baia di Buccari (Bakar) a causa di una mina magnetica. Vi perirono il comandante cap. Ljubomir Dorčić, tredici membri dell’equipaggio e tre passeggeri.
55. Alois Bilisics (1913-1971), austriaco di origini croato-ungheresi, l’ulteriore operatore radio per Rudolf, paracadutato in Val Tramontina nella notte tra il 16 ed il 17 novembre 1944.
56. Dopo la sosta presso la missione Coolant, il loro itinerario di marcia ha toccato Pulfero, Savogna, Stregna, Liga, Kanal ob Soči, Kanalski Vrk, Lokovec, Čepovan, la Selva di Tarnova, il Turški Klanec, Predmeja, Ajdovščina, Planina, Vipava, Bukovje, Postojna e la valle del fiume Kupa, prima di raggiungere Črnomelj.
Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit.