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martedì 16 settembre 2025

C'era chi si aspettava il solito ballo liscio

 


Raccontava Alfredo Moreschi, in base ai ricordi della mamma, la quale conobbe il futuro noto attore di varietà, di teatro e del cinema, che Carlo Dapporto da bambino già affascinava con la sua verve amici coetanei, anche nella portineria, cui era addetta la madre, di un palazzo in fondo - verso la ferrovia ed il Forte di Santa Tecla - dell'attuale Corso Mombello a Sanremo.
 


Ancora Moreschi tramandava un curioso episodio che gli occorse appena finita la guerra. Accompagnato al Casinò di Sanremo il fotografo dell'azienda di famiglia, intento anche a scattare immagini di diverso genere in occasione della prima commedia che si dava dopo il conflitto, una commedia di carattere storico, i responsabili della compagnia si accorsero che quel ragazzo di poco più di quattordici anni era adatto ad interpretare un certo personaggio per il quale mancava un attore: lo mandarono in scena, rivestito in fretta e furia di acconcio costume, ma in sala c'erano diversi compagni di scuola dell'esordiente, che proruppero in fragorose risate, anticipatrici dei continui disturbi poi arrecati allo spettacolo.


Qualcosa del genere, anzi, forse con il superamento di maggiori limiti, accadde a Ventimiglia in un Teatro Comunale ancora lungi dall'essere ristrutturato, a metà anni Sessanta, ad opera degli studenti delle scuole superiori della zona che dovevano assistere ad una commedia del Goldoni. I maschiacci in galleria non si lasciarono distrarre dal fare baccano neppure dalle provocanti scollature delle procaci attrici.
Non poteva assistere a questo avvenimento Gianfranco Raimondo, già grandicello e con un suo lavoro, che per il tempo libero le esperienze di teatro, precedenti a quelle di presentatore, iniziò a farsele a Nervia. Gianfranco, nelle sue diverse rievocazioni di fatti e di persone, anche senza specifiche sottolineature ha come stabilito un accostamento virtuale non solo tra Dapporto e Cino Tortorella, il Mago Zurlì dello Zecchino d'Oro e di altre trasmissioni televisive, che non perse mai i suoi legami con Ventimiglia, ma pure con altri estrosi uomini della città di confine.

Ai tempi delle prime esibizioni di cantanti stranieri al Festival della Canzone di Sanremo a certi nottambuli poteva occorrere di incontrare e, se non conversare, scambiare amabilmente saluti al Bar Nadia di Bordighera, aperto sino all'alba, quando veniva chiuso solo per un breve lasso, con protagonisti della citata kermesse, i quali non avevano particolari accompagnatori: tra questi, in un'occasione, l'americano Pat Boone.

Pat Boone si esibiva una ventina d'anni dopo all'Ariston di Sanremo davanti a poche decine di spettatori, ma lo faceva, indifferente al vuoto, con grande professionalità.


In un affermato stabilimento balneare a Marina San Giuseppe di Ventimiglia un ragazzo di Milano, arrivato per le vacanze estive, intratteneva amici e conoscenti con particolari parlata e atteggiamenti comici, che qualche anno dopo sarebbero stati portati al successo sul grande schermo da un altro immigrato nella metropoli lombarda, destinato presto, tuttavia, ad assumere anche altri ruoli.


Portò le sue prime canzoni ad una modesta Festa de l'Unità in frazione Roverino di Ventimiglia un Vasco Rossi, che non era proprio agli esordi. Toccò anche a lui, per conferire con gli organizzatori, camminare con i suoi mocassini quasi da ballerino sui grossi sassi che ingombravano gli spiazzi ancora di cantiere per la costruenda scuola media. Affluirono quella volta discretamente numerosi i giovani, mentre rimasero alquanto perplesse le persone di una "clientela" più tradizionale, che si aspettavano della musica per ballare il solito liscio.
Riportava spesso questa circostanza a grandi linee, talora con qualche elemento di fantasia, anche in qualche intervista di carattere locale, il compianto Franco Paganelli, già consigliere comunale di Ventimiglia, storico presidente della Bocciofila di Roverino, il quale - pare - ebbe l'occasione di rivedere a Bordighera il buon Vasco e di riepilogare con lui qualche particolare di quella vecchia vicenda.

Adriano Maini

domenica 14 agosto 2022

Passavo spesso anche da via del Campo

Genova: uno scorcio di Via del Campo

"Via del Campo è una straducola stretta e tortuosa nel cuore di Genova vecchia. Appartiene a quella rete di vicoli che, collocate a ridosso dell’angiporto, fa storcere il naso ai Catoni della società bene, ma piace ai poeti. Piace, dunque, a Fabrizio, che già in altra occasione ne ha cantato “l’aria spessa carica di sale e gonfia di odori”, che si sposa al tanfo della spazzatura accumulata lungo i marciapiedi, all’odor di vino e di fumo che esce dalle bettole (poco distante, all’imbocco della via, l’ombra austera di una chiesa e la sede della ‘Protezione della giovane’ sembrano messe lì a bella posta da un folletto in vena di sfottò)" [ROMANA 1970].
Le note di copertina della seconda edizione dell’LP Vol. 1° (1967), firmate da Cesare Romana, mostrano la chiara intenzione di eleggere "Via del Campo", pubblicata in quel disco, <1 a simbolo di una realtà scomoda e lontana da perbenismi; ma anche quella di nominare De André quale poeta e cantore dei diseredati. Il brano, continua Romana, «non è soltanto una pagina di amarissima poesia ma, soprattutto, il ritratto emblematico di una condizione umana, la dimostrazione di quanto possa essere disagevole - oltre che improduttivo - il mestiere di vivere» [ROMANA 1970]. Con il tempo, la canzone è divenuta l’emblema delle frequentazioni “irregolari” del giovane De André, che mal si rapportava all’ambiente borghese familiare, preferendo piuttosto le scorribande tra i vicoli della città vecchia. In più di un’occasione, egli ha raccontato episodi avvenuti nella strada citata nel titolo, il che ha sancito il cristallizzarsi dell’interpretazione della canzone come fatto biografico: «Passavo spesso anche da via del Campo, la strada dei travestiti. Una volta salii in camera con un certo Giuseppe, che si faceva chiamare Joséphine e mi apparve come una bellissima ragazza bionda. Ma una volta venuti al dunque, scopriì facilmente che era un uomo e che non era ancora andato a Casablanca» [De André in ROMANA 1991, p. 32]. Pur non avendo motivo di dubitare della veridicità della vicenda, la semplicistica riduzione della canzone a racconto autobiografico non rende giustizia all’articolata operazione di scrittura, che già nel 1967 rivela tecniche e caratteristiche che sarebbero state approfondite nella produzione successiva. Ciò non toglie, inoltre, che quanto vissuto in prima persona potesse essere stato trasfigurato per mezzo di altre fonti, secondo un’attitudine che si è visto essere piuttosto diffusa nel suo modo di lavorare.
Un libro conservato presso l’archivio senese fornisce un indizio in tal senso significativo. Si tratta di una raccolta di storie e leggende genovesi, "Semmo da taera de Colombo" di Alberto Pasolini [1990], <2 nella quale viene segnalato con una crocetta un racconto a pagina 91, intitolato "A rossa di Pre". Protagonisti della storia sono una prostituta (la Rossa di Pre) e un limonaio, che si incontrano tutti i giorni in strada senza mai rivolgersi parola; un giorno, non vedendo più il limonaio all’angolo della strada, la Rossa cerca sue notizie e, appreso della sua morte, si adopera per organizzargli il funerale.
La storia presenta vari elementi in comune con "Via del Campo", tra i quali l’ambientazione della vicenda in via Pre, separata da via del Campo solo da Porta dei Vacca; ma anche la presentazione dell’umanità dei suoi protagonisti, a dispetto delle loro occupazioni poco consone ai benpensanti. Tra i passaggi del testo sottolineati: «all’incontro del vicolo delle Foglie Vecchie, davanti al Broklin Bar» e «al mio posto, di giorno ci stava sempre un tale che vendeva limoni, un uomo senza età, senza storia, senza nome, con due occhi grigi, pieni di malinconia» [PASOLINI 1990, p. 91]. Si riconoscono, nei passaggi indicati, alcuni motivi che sembrano rievocare il testo della canzone, nello specifico nella caratterizzazione degli occhi della graziosa («gli occhi grandi color di foglia», v. 2) e di quelli della bambina («gli occhi grigi come la strada», v. 7). È evidente che, considerata la data di pubblicazione del libro, questo non possa costituire una fonte diretta; tuttavia, trattandosi di un racconto di origine popolare, è possibile che De André lo conoscesse all’epoca tramite altre fonti. <3
Che questo sia vero o no, quello che interessa sottolineare è l’emergere di temi, motivi, situazioni che da sempre sono stati messi in relazione con l’esperienza biografica del cantautore e sulle sue frequentazioni dei quartieri più malfamati della vecchia Genova, ma che potrebbero essere stati assorbiti e integrati anche mediante altri canali, tra i quali le fonti di tradizione orale di area ligure. Una simile eventualità, tra l’altro, ben si adatta al contesto di quegli anni, che si è visto essere segnato da modelli stilistici di derivazione popolare ed esemplificato nel paragone con la figura del cantastorie.
La data di pubblicazione della canzone coincide con un evento centrale nella storia della cosiddetta “canzone d’autore”: non bisogna dimenticare, infatti, che il 1967 è l’anno della morte di Luigi Tenco a Sanremo, un evento che agisce quale trauma culturale [SANTORO 2010] portando a un’estremizzazione dell’opposizione tra la canzone “di qualità” e quella “di consumo” [FACCI/SODDU 2011; SANTORO 2010].
Una simile dicotomia partecipa senz’altro nel processo di autenticazione e nella ricerca di una propria specificità stilistica; ma è anche un ulteriore incentivo per l’editore a caratterizzare in modo inequivocabile il prodotto venduto, secondo precise e mirate strategie di marketing.
La seguente analisi è volta a verificare quanto parzialmente già emerso nei capitoli precedenti, ovvero come i riferimenti a formule e modelli di area prevalentemente italo-francese si integrassero in questi anni con istanze del tutto personali: la definizione di un’individualità artistica si esplicitava nell’organizzazione complessiva dell’opera e nella rielaborazione di materiali preesistenti, ma anche nel farsi strada di un sound distintivo, ampiamente incentrato sul dato vocale.
[NOTE]
1 Nello stesso anno il brano fu pubblicato anche come singolo, abbinato a "Bocca di rosa".
2 AFDA, Materiale Librario, V. PASA-SEM.
3 È presente, ad esempio, nel testo "Genova sentimentale" di Carlo Otto Guglielmino [1961]. Il racconto è in questo caso intitolato "Funerale nel vicolo".
 
Genova: Via Prè intravvista da Via del Campo attraverso l'arco di Porta dei Vacca

Vera Vecchiarelli
, Riunire le teste dell’idra: una rilettura della produzione di Fabrizio De André attraverso i suoni, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Anno Accademico 2018-2019