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domenica 18 maggio 2025

La Battaglia di Fiori attraeva molto i bambini

 

Ventimiglia (IM): il Caffè Ligure


Giusto a metà degli anni Cinquanta nella vetrina di un negozio di Via Repubblica a Ventimiglia, poco dopo o poco prima, a seconda della direzione presa, del mitico e scomparso Caffé Ligure, ma di fronte al tuttora importante Caffè Paris, i bambini, in particolare, ammiravano alcuni criceti correre nell'immancabile ruota a loro destinata.


I bambini si deliziavano, poi, se accontentati nelle loro richieste, con i gelati preparati sul posto in una vera e propria "baracchetta" (questo pure il nome, un vero programma!) allocata poco più a meridione, in uno scomparso slargo esistente di fronte al Municipio.


C'era un'altra gelateria che metteva in imbarazzo i piccoli (non che gli adulti disdegnassero l'articolo!) per golose scelte, se a loro concesse al momento: a piccola distanza in linea d'aria, in obliquo dalla citata modesta sede di esercizio pubblico ed in verticale dalla esibizione dei graziosi animaletti.  


Un situazione fatta quasi a disegnare un virtuale triangolo con al centro il Mercato, all'epoca rigorosamente dei Fiori, oggi Annonario. 
 
 
 

Subito sotto questa virtuale base c'era una terza gelateria, dai prodotti invero deliziosi.
 

Ed il citato Mercato era una struttura che ospitava i balli annuali che coronavano le serate finali - che erano anche quelle delle contestate premiazioni - delle Battaglie di Fiori, danze che ammaliarono, come effigiato nel suo Fofò in Dogana (Edizioni Europa, 1957), Luigi Nicodemi, ispettore di dogana, per l'appunto, il quale, appena trasferito in città con la famiglia, ne erano rimasto subito affascinato per molteplici aspetti.
 


La Battaglia di Fiori attraeva molto i bambini. Che potessero o meno assistere allo svolgimento della manifestazione, era immancabile per molti di loro, appena finita la rassegna o nei primi giorni successivi, vedere i carri - e salirvi sopra - nella piazza della casa comunale e, per i più fortunati, essere fotografati in scatti destinati a divenire anche nostalgici ricordi.
I carri venivano in seguito riportati ai loro capannoni, anche fuori Ventimiglia, e rimanevano ancora, sino all'inizio del deperimento dei garofani, oggetto di attenzioni.
 

Ventimiglia (IM): la zona dell'ex macello pubblico






Gli itinerari per i ritorni alle basi erano i più diversi. Se ne potrebbe seguire, a titolo indicativo, almeno uno. Alcuni carri, passato il ponte sul fiume Roia e costeggiato il Borgo, dominante sulla sinistra il centro storico di Ventimiglia Alta, tirando dritto dalla curva della strada che allora portava solo a Gallardi, Maristi, Bevera e dintorni, rientravano vicino al macello pubblico, poco prima della linea ferrata per la Francia (e per Cuneo, ma ai tempi quest'ultima tratta era ancora inagibile). Un percorso, da chiunque intrapreso, che poteva via via fare imbattere in persone affannate con grossi lingotti di ghiaccio di una ben nota ditta; nell'uscita dalla vicina segheria di tombarelli tirati da cavalli; in corriere di linea e non di partenza o di ritorno al deposito; nella visione in relativa lontananza dei treni francesi dalle sbuffanti locomotive a vapore, più raramente in convogli con locomotori alimentati a diesel.
I capannoni per la costruzione dei carri destinati erano dislocati sul territorio. I nomi delle compagnie di carristi erano in genere fascinosi, talora evocativi dei luoghi: A Mar Parà, I Galli del Villaggio (di Bordighera), A Cricca de Asse, A Valecrosina, U Scciancurelu, I Scassigoti, A Ventemigliusa, Los Amigos, Rascassa Club (di Grimaldi), E Parme, Alegra Cumpagnia (di Vallecrosia), I Malcontenti e così via. E poteva anche a quel dunque capitare che tanti bambini giocassero su carri dai colori ormai sbiaditi, anche scavando gallerie nel muschio delle figure, sfidando impavidi le punture degli spilloni che fissavano i garofani alle reti metalliche delle sagome.



Questi sono dettagli di colore locale, difficili, come tanti altri ancora, da trattare, se non alquanto alla rinfusa, ma appartenenti, come per l'ormai mitica fabbrica del ghiaccio, ad una certa memoria collettiva.

Adriano Maini

martedì 13 maggio 2025

Un mezzogiorno invernale su una panchina del lungomare

 

Bordighera (IM): Lungomare Argentina

"Un mezzogiorno invernale su una panchina del lungomare. Il sole è tiepido e languido come sa esserlo in Riviera nei mesi d'inverno". Questo l'inizio di un nuovo racconto breve di Franco Fiorucci, "Ballando con i ricordi", un piccolo gioiello di atmosfera che sta incontrando appassionata attenzione da parte dei lettori, seguito ideale del suo recente libro "Matti. Quasi matti. Sognatori. E fattucchiere. 21 mila parole per 7 racconti".
Si scambiavano riflessioni profonde, come forse si poteva fare solo un tempo e solo a quell'età, seduti su una panchina di Bordighera della passeggiata a mare due giovani amici. Entrambi destinati ad emigrare, chi per destinazione ignota, chi per Torino. Solo quest'ultimo, sentendone un grande vuoto, avrebbe fermato quei momenti in un libro di ricordi, riservato ad una ristretta cerchia di familiari e di amici: lo avrebbe scritto in età matura da uomo nativo della Bassa Mantovana (come diversi abitanti della città delle palme), cresciuto a Bordighera, dove torna sovente, ma impiantato saldamente nel capoluogo piemontese, dapprima per motivi professionali, per le logiche della vita in seguito al pensionamento.
Arturo Viale ci informa in "Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza" (Edizioni Zem, 2019) che a Bordighera "vicino alla chiesetta di Sant’Ampelio c’è un giardinetto un po' anonimo con tre panchine, qualche albero di Araucaria e un busto dello scrittore Giovanni Ruffini".
Si possono ricordare anche altre panchine, più o meno evocate da brani letterari sul ponente ligure.
La panchina di Costa d'Oneglia dove Elio Lanteri, schietto uomo di Dolceacqua, ormai pensionato e già scrittore, conversava con amici e conoscenti di questa frazione di Imperia. Gli incontri con gli amici di un professore in pensione, grande affabulatore, sulle panchine dei Giardini Pubblici di Ventimiglia, nel racconto "Ti dimenticherò per sempre...." di Gaspare Caramello.
Si può citare la famosa fotografia dove Italo Calvino ed Eugenio Scalfari compaiono su di una panchina di Corso Imperatrice a Sanremo con altri amici, compagni di classe, per sottolineare che con loro in quel Liceo Classico "G.D. Cassini" studiavano, tra altri futuri personaggi di rilievo, Giuseppina Demartini, che avrebbe insegnato nei primi anni Sessanta nelle Medie di Ventimiglia (questo prima di diventare oggetto di aulici sarcasmi da parte di Marco Innocenti), ed Elio Riello, ingegnere, esponente socialista, ma ancor prima patriota antifascista, arrestato e deportato a Mauthausen, mentre, tenendo i contatti con gli aderenti di Giovine Italia, tentava di contribuire alla ricostituzione del CLN di Ventimiglia. Porterebbe, invero, lontano, addentrarsi anche solo per poco nelle tematiche di due lavori di Calvino, il racconto "La Panchina" e la versione teatrale de "La Panchina", ancorché se ne potrebbero cogliere risvolti inediti di preparazione alla luce di vecchie confidenze di sodali dello scrittore, raccolte da Alfredo Moreschi.
Guido Seborga in suo articolo dal titolo "Donne in corriera" (Il Lavoro Nuovo - 11 Novembre 1946), con cui oltrettutto menzionava il paese da cui aveva preso il suo nome d'arte, chiosava: "giunge così [la corriera] sulla piazzetta del paese [Seborga], c'è una lapide che ricorda i caduti di molte guerre ed un grosso albero, un pino gigantesco dai mille rami che ha intorno una panchina, dove verso sera i vecchi del paese vengono a discutere e a dirsi cose molto sagge". E sempre Seborga in "Scogli come ossa di giganti" (1960) non si lasciava sfuggire l'occasione di rammentare panchine di Bordighera collocate dalle parti del Capo, da cui, invero, si può ammirare non solo la Chiesa di Sant'Ampelio, che ha colpito, come si è visto, l'attenzione di Arturo Viale, ma anche un lungo tratto di mare. Non mancava di scrivere di almeno una panchina in "Petite Fleur, estate che brucia" (Unione Culturale Democratica, Bordighera, novembre 2020) Paolo del Monte, guarda caso amico di Seborga e guarda caso poche parole dopo averlo citato nel richiamato libretto.

Adriano Maini

sabato 3 maggio 2025

Tre diverse figure di emigrati da queste parti

 


Era sua - quanto meno negli anni Cinquanta e Sessanta - la casetta tra i due tunnel della Basse Corniche a Cap d'Ail, ripresa anche in una storica cartolina.
Dai terrazzi della costruzione, sviluppata su più piani, si vede la graziosa piccola baia sottostante, a cui si arriva lato mare da una strada caratterizzata da ville d'epoca, tra cui quella che appartenne ai fratelli Lumières.
L'uomo da un piccolo borgo di Medesano in provincia di Parma già negli anni Venti era emigrato in Costa Azzurra, dove fece diversi lavori.
Ebbe come inquilino un signore toscano - che si scorge appena sullo sfondo di una fotografia di famiglia - un signore il cui fratello abitava in Antella di Firenze. Siccome l'ospite era afflitto da epilessia, una volta il nostro organizzò una rocambolesca spedizione della preziosa abituale medicina, che era stata dimenticata, sino a quei dintorni del capoluogo gigliato: del resto lo scambio di visite tra quei parenti era un fatto abituale.
Il locatore i suoi non molto prossimi parenti di Ventimiglia, oltre che andare a trovarli o invitarli a pranzo da lui, li portava invece insieme alla moglie a visitare una bella magione, di cui erano custodi.
Tornava da ultimo ogni anno nei luoghi natali, dove alla sua morte si trasferì definitivamente la consorte.

Il padre lo aveva chiamato con il nome di una cittadina martoriata durante la Grande guerra nel corso della spedizione punitiva austriaca arrivata sin sull'Altopiano di Asiago.
Toscano, partigiano, era arrivato a Ventimiglia nell'immmediato secondo dopoguerra, dove si era subito inserito nel tessuto sociale della città di confine, tanto da risultare tra i promotori della Croce Verde e del Tennis Club.
Era funzionario del Comune ed in tale veste, come ricorda spesso Gianfranco Raimondo, diede un formidabile contributo organizzativo alla splendida serie di edizioni della Battaglia di Fiori, quella conclusa nel 1969.
Iscritto al Partito Comunista, ne fu sempre un valido ed attivo dirigente locale: trasmise ai compagni più giovani una memoria articolata e diffusa, come quella concernente Libero Alborno, già membro del CLN, capo molto amato del Partito, innovativo e professionale floricoltore, sottolineandone la costante filantropia, ma non tacendone alcune caratteristiche, come la sovraesposta frequentazione a base di aperitivi alcolici - per motivi di relazioni pubbliche alle quali non sapeva sottrarsi - dello storico e rinomato bar situato a fianco del Mercato dei Fiori, e quella attinente Antonio Papalia che, emigrato una seconda volta, divenne da funzionario del Pci Imperiese segretario della Federazione di Padova e poi senatore.
Sempre col sorriso sul volto, aveva un'incredibile capacità di mediazione, che non sempre gli veniva riconosciuta, ma, ancorché in cuor suo dispiaciuto, sapeva incassare i colpi delle inevitabili polemiche interne.
Fu, in buona sostanza, una figura molto stimata e benvoluta in Ventimiglia, di più che nel suo partito.

Calabrese, combattè per la Liberazione con il ricostituito Regio Esercito, precisamente nel C.I.L., il Corpo Italiano di Liberazione, sì da conseguire il diploma Alexander, di cui andava legittimamente orgoglioso.
Emigrato a Ventimiglia, lavoratore dell'edilizia costretto al frontalierato, abitò sempre nel centro storico della Città Vecchia, dove era ben conosciuto.
Comunista molto attivo, era - e rimase sempre - analfabeta, ma la sua mente arguta e sottile e l'esperienza maturata gli fecero progressivamente superare la penalizzazione, per cui si dimostrò in ogni occasione competente ed informato sia nelle più svariate conversazioni interrelazionali che nelle discussioni politiche interne.
Anche lui sapeva benissimo rapportarsi con i più giovani.

Adriano Maini

C'è quasi sempre qualcosa da aggiungere

 


Capita che nella conversazione con un ex "vitellone" venga rievocata la figura di un fotografo che il famoso locale "Il Pirata" di Cap Martin lo frequentava, invece, per motivi professionali su probabile incarico della sua nota ditta di Bordighera, per cui emerge la curiosità di ricordarne il nome: quello proprio, Dario, come già messo in evidenza, in qualche modo con il passaparola riesce ad essere rammentato, ma non accade così tuttora per il cognome, neanche sentito almeno un componente della famiglia di quello studio ormai chiuso da tempo. Senonché, sempre con il sistema più collaudato, inaspettatamente, un "bordigotto" verace fornisce uno scatto d'epoca dove Dario resta inquadrato a destra per chi guarda.


Si era fatto cenno, in tema di Battaglia di Fiori di Ventimiglia, alla gestazione ed agli albori della compagnia di Bordighera "I Galli del Villaggio" e si ritrova su un portale locale una particolare menzione del loro carro "Don Chisciotte" del 1963, qui sopra visibile al passaggio da Nervia.


Ma anche la zona Nervia di Ventimiglia, alla quale si è fatto su questo blog riferimento diverse volte, aveva avuto una sua compagnia di carristi, "Cheli de Nervia", per cui è d'uopo pubblicare l'immagine di almeno una loro fatica: nel caso il carro del 1969, ultimo anno, prima di una lunga interruzione, delle edizioni più ricordate della Battaglia.

Ci si avventura in un racconto, come l'ultimo, già abbastanza lungo e si vuole - solo a fornire qualche esempio - rinviare - ma almeno per una vicenda lì per lì ci si dimentica - ad altra occasione che...


... i quattro ragazzotti tratteggiati all'inizio di quella serie di piccole storie quattro anni dopo - agosto 1968, perché prima c'erano gli esami di maturità - fecero un discreto viaggio in autostop, con tappe varie e significative su cui eventualmente tornare un'altra volta. Partirono dividendosi in due piccoli gruppi dalle parti del vecchio passaggio a livello di Via Tenda di Ventimiglia - una zona che da lontano oggi appare coperta dalla locale sopraelevata - con l'obiettivo di portarsi prima di tutto in provincia di Cuneo. Due di loro, gli stessi che in Svizzera per tornare prima a casa salutarono i compagni che proseguirono per la Germania, seppero in seguito, con loro vergogna, che le loro madri si erano appostate di nascosto per appurare se la loro discendenza sarebbe stata capace di iniziare quel cimento. In verità Pietro Tartamella era un veterano dei viaggi in autostop e l'amico che lo accompagnò sino in fondo nell'esperienza qui menzionata in occasione della sua recente prematura scomparsa, dedicandogli nobili e forti parole, ha voluto rimarcare quella lontana estate


... la villetta in riva al mare, odorosa di salsedine, tutta vetri e forse con tanto legno, dove per pochi anni aveva abitato il compagno di Ginnasio e di prima Liceo, afflitto da epilessia, non solo scompare in mezzo ai palazzi, ma è stata anche radicalmente trasformata: sono rimasti i pitosfori!
 
Qualcuno di recente ha scorto nel video di una conversazione di Francesco Biamonti, condotta all'aperto con studenti del Liceo Scientifico di Ventimiglia, quel relitto di nave, appoggiato alla falesia a ovest della Pineta della città di confine, ormai smembrato ed inghiottito dai flutti, perché costruito in gran parte in legno, ma anche dimenticato in maniera incredibile dagli indigeni.

Adriano Maini

Quel bambino si tagliò un piede nell'acqua del Nervia

 




Al di qua ed al di là della foce del Nervia - in sponda orografica sinistra si situa Camporosso, dall'altra parte Ventimiglia - si sono susseguiti, come, più o meno, in tanti luoghi abitati, spezzoni di storia e frammenti di vite vissute. Questi ultimi qualche volta qui già menzionati, altri ancora da riferire, ma sempre con il rischio di ridondanti ripetizioni.
Non esistono nomi mitici per questi luoghi, come è, ad esempio, per la costa di Ventimiglia più di confine con la Francia. Fatti salvi, forse, certi rimandi iniziatici a trinceramenti della guerra di successione austriaca, il che fa anche cogitare di tracce scomparse di un bunker dell'ultima guerra posizionato in spiaggia un po' più a levante.
 




Si riporta in autorevoli testi ufficiali di resti di epoca romana antica in fondo al mare poco al largo dello sbocco del citato torrente. Viene da pensare che anni fa un Piano Regolatore di Ventimiglia prevedeva, al posto dei binari del deposito locomotori, un sito archeologico riferito alla vicina Albintimilium, mentre all'atto pratico è stata sinora realizzata una fascinosa infrastruttura, incrocio di nuove piste ciclopedonali e retaggio della pregressa presenza ferroviaria: un bel risultato di sicuro, ma tutt'altra cosa rispetto alle suscitate aspettative di tipo culturale, destinate, sembra, a rimanere tali.
Chi scrive in ogni caso preferisce cimentarsi in aspetti più banali, per lo più connessi ad estati della fine degli anni Cinquanta e della prima metà di quelli Sessanta.
I bikini erano all'inizio merce rara, forse solo esibiti da ragazze e donne tedesche, magari in compagnia di un quarantenne privo di un braccio, tutti ospiti di un campeggio a tende, che fece da apripista per altre similari e vicine strutture. Rispetto a quel mutilato, invece, i bambini, pur essendo curiosi, non si posero per niente domande sulle vicissitudini di un conflitto armato, la seconda, immane guerra mondiale, bensì pensarono alle conseguenze di un qualche incidente.
 



Crescendo, alcuni di loro si fecero sfacciati e si misero a raccontare con aria di spavalda superiorità di coppiette infrattate tra i canneti a ridosso del muraglione della rimessa ferroviaria e di quanto di piccante poteva accadere tra i teli di quel campo.
Si esibivano, intanto, anche procaci bellezze locali: si conservano alcune fotografie dove si possono notare ormai maturi capifamiglia che nelle riprese di gruppo non sanno dove posare lo sguardo.
 


Nel periodo caldo la foce del Nervia si interrava ad unire i due tratti di litorale. Sulla risultante nuova striscia sassosa si accalcavano i bagnanti. Accadde una volta che un piccolo, sordo agli avvertimenti degli adulti, sguazzando nell'acqua del torrente, si procurasse con un vetro rotto colà celato - al pari di altri rifiuti: la mancanza di civismo è uno sport tuttora ampiamente praticato - un profondo taglio ad un piede: prontamente fasciato con un fazzolettone bianco, venne poi portato all'ospedale per le cure del caso. Ormai pensionato, quell'incauto protagonista avrebbe testimoniato di essere stato trasportato al nosocomio in sella al motorino guidato dallo stesso ferroviere che aveva rimediato il bendaggio di fortuna: davvero previdente quell'uomo in quella sua giornata di riposo, perché non è da ipotizzare che prima del soccorso fosse tornato a casa per inforcare le sue due ruote!
Operavano d'estate anche i pescatori, più su Ventimiglia, invero. Meriterebbero riscontri specifici, ma occorrono competenze adeguate: non mancano, tuttavia, nei loro confronti singolari aneddoti, alcuni qui già riverberati.
Resterebbe da dire in modo più originale del personaggio Pesce Rosso, di cui pochi ormai a Nervia, intesa come località di Ventimiglia, si ricordano ancora, ancora meno dei suoi trascorsi di pescatore.
Adriano Maini

domenica 27 aprile 2025

Prendevano il sole su quel battello incagliato

 

Bordighera (IM): un tratto di litorale in regione Arziglia

Si tramanda come da un bastimento affondato poco al largo di Bordighera alla vigilia del secondo conflitto mondiale defluisse a riva un incredibile numero di casse di legno contenenti arance, con le quali si appagarono di vitamine decine e decine di famiglie locali, e che sino a non molto tempo fa un contenitore di tal fatta - materiale invero pregiato - venisse conservato in una casa di Arziglia.

Si racconta ancora che davanti proprio alla zona Arziglia, più o meno negli Sessanta, causa incendio, venisse inghiottito dai flutti un battello francese, di quelli ai quali in oggi nessuna autorità competente consentirebbe non si dice il bordeggiare ma neppure l'ancoraggio: anche in quella circostanza vennero sospinti verso la battigia molti oggetti, compresi tanti libri, ma non così "utili" come nella prima citata congiuntura.


Viene da aggiungere che "torna a galla" la vicenda della piccola nave - pure questa francese e pure questa della categoria "carrette del pelago" - incagliata a Mortola di Ventimiglia, perché un amabile interlocutore si è ricordato di essere salito almeno una volta su quella tolda in legno, prima che il mare completasse la sua opera di distruzione, e di avervi scorto in un altro periodo non molto lontano persone distese là sopra a prendere il sole.
Non ci si può esimere, pertanto, di mostrare un maldestro "ritaglio" del video realizzato nell'occasione di un'intervista fatta a Francesco Biamonti da studenti del Liceo "Angelico Aprosio" di Ventimiglia, un'immagine che documenta quello che tanti abitanti del ponente ligure, ancorché cronisti o scrittori, non erano mai riusciti a vedere.

Nel corso del tempo sono stati man mano smatellati i residui di bunker disseminati lungo il litorale tra Bordighera e la frontiera, compreso quanto era servito di supporto alla mitragliera tedesca di "Muru Russu" a Latte di Ventimiglia, più volte citata da Arturo Viale nei suoi racconti, ma qualche fotografia, pur fatta per altri scopi, ne conserva in qualche modo la reminiscenza.

Pescatori per diletto, ma capaci, bisbigliavano qualche anno fa di misteriosi relitti davanti alla costa nei pressi del confine con la Francia.

C'é talora da chiedersi quanto di vero e quanto di inventato ci sia nelle rievocazioni di tante spoglie custodite e di tante costruzioni sommerse in mare davanti alla zona intemelia, ma in ogni caso tante affabulazioni pur sempre affascinano, come per la pregressa insistenza di ex-ragazzini degli anni Trenta a riferire di loro tuffi davanti a Nervia di Ventimiglia per ammirare ruderi di case ormai sprofondate.

Adriano Maini

sabato 19 aprile 2025

Anticlericali di un tempo che fu in quel di Perinaldo

 

Perinaldo (IM): Via del Popolo (salita alla Parrocchia ed al vecchio Municipio)

Emilio Croesi fu lo storico sindaco di Perinaldo, ridente (aggettivo scontato nelle cronache, ma in questo caso davvero pertinente) paese situato ad oltre 500 metri di altezza, per la precisione 572, con buona vista sia sul mare che su una parte delle Alpi Marittime. Era un comunista, come, anche per le elezioni politiche, la maggioranza degli elettori, compresi tanti abitanti emigrati nella vicina Costa Azzurra, i quali, tuttavia, in massa tornavano a votare nel borgo natio quasi solo per l'indiretta conferma, tramite le amministrative, del loro beneamato primo cittadino.
Era una situazione che durò a lungo, dal secondo dopoguerra sino a poco dopo la morte del Croesi, in pratica sino all'avvento della cosiddetta Seconda Repubblica.
Al personaggio in questione ha dedicato alcune righe anche Arturo Viale nel suo "Vite Parallele", mutuando ricordi di un suo amabile interlocutore. Emerge così non solo la figura di un caparbio amministratore, ma anche quella del produttore di un Rossese, un vino, il suo, apprezzato anche da fini intenditori quali Veronelli e Mario Soldati. Viale coglie l'occasione per non trascurarne neppure i discreti trascorsi di ciclista professionista vissuti in gioventù nell'anteguerra.
A vivacizzare il sommario ritratto di Viale contribuisce la dialettica tra il puro e duro comunista e l'anarchico, genuino artefice della narrazione, che abitava lassù in collina, e quella, talora, con i parroci, che portò all'installazione sul Municipio di una sirena "laica" - tuttora in funzione - atta a scandire i tempi di lavoro e di riposo dei contadini nei campi in diretta concorrenza con analoga funzione svolta dalle campane della limitrofa parrocchia.
Dalle affabulazioni raccolte non emergerebbero, tuttavia, contrapposizioni come tra un Peppone e un Don Camillo nostrani, anche perché i parroci a Perinaldo si sono succeduti in diversi e qualcuno appare anche sorridente in vecchie fotografie insieme al sindaco, in occasione, ad esempio, della premiazione di alcuni bambini.
Senonché, indagando di più su di una certa tradizione orale, adesso viene fuori che almeno nel caso proprio del parroco citato da Viale, ma che tale non era ancora, sussisteva qualche affinità con il prete di Brescello inventato da Giovanni Guareschi - e interpretato al cinema dal grande Fernandel -, perché questo religioso (non proprio casto, ma questo aspetto lo riporta anche Viale) procedeva immancabilmente, indisturbato, a staccare i manifestini, veri e propri gazebo ante litteram, "contenenti attacchi velonosi contro il parroco ed il curato" del paese, affissi da militanti comunisti nei pressi della Fontana ai piedi della salita che porta alla chiesa: staccava, leggeva e metteva in tasca. Di questo futuro parroco di Perinaldo si può ancora sottottolineare che "i chierichetti erano solo vittime delle sue sberle, quando li trovava a chiacchierare, perché faceva tutto da solo: provvedeva direttamente a passare il messale da una parte all'altra dell'altare e si serviva da solo nel versare acqua e vino nel calice".
Non solo. La vulgata tramanda pure che, a detta di un altro prelato, a Perinaldo un tempo c'erano tanti comunisti perché gli abitanti erano soprattutto anticlericali...
 
Adriano Maini