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Ventimiglia (IM): il carro del Dopolavoro di Nervia transita davanti al Teatro Romano per l'edizione 1938 della Battaglia di Fiori. Fonte: Diego Pannoni
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C'era una casa, a
Nervia di
Ventimiglia, più o meno insistente sull'attuale ingresso dell'antico
Teatro Romano, demolita concluso il secondo conflitto mondiale, una
costruzione che ospitava anche un panificio, dove diversi ragazzi
dell'epoca impararono il mestiere. Si fermava spesso ai tempi in
quell'operoso laboratorio un ferrivecchi, arrivato da non molto dalla
lontana Calabria. Tra l'ospite e gli addetti al forno l'atmosfera era
sempre gioiosa, le conversazioni erano sempre amichevoli, gli spuntini
erano frequenti. Ma era anche irresistibile la tentazione per gli
indigeni di giocare qualche tiro all'immigrato, mettendosi a parlare in
dialetto stretto: il divertimento era comunque assicurato per tutti,
trattandosi di persona di spirito, destinata di lì a breve a diventare
un noto ristoratore della città di confine.
Arturo
Viale
nel suo "Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio"
(Edizioni Zem, 2022) si sofferma su di sergente dei granatieri, alto un
metro e novanta, il quale, per arrotondare la paga raccoglieva ferro ed
ossa (di animali, si suppone!): "il ferro serviva per qualche fucina e
le ossa tritate diventavano concime", ma, finita la guerra, riapprodato a
Ventimiglia, "aveva deciso di sfruttare l’altezza e si era messo a
costruire i pergolati di cannicci per coltivare il verde e le serre in
legno".
In quel periodo operava nella zona intemelia di frontiera
anche un guaritore, una figura su cui Odovindo Del Bona ha incentrato
il suo romanzo "Il mago e le streghe. Vicende dell'estremo Ponente
Ligure" (Youcanprint, 2019).
In effetti l'autore (un noto
imprenditore del ponente ligure che per l'occasione ha inteso celarsi
sotto un nome d'arte) ha innestato dei raccordi di fantasia sulla
rievocazione di molte vicende reali della vita del nonno materno (e di
questo ramo della sua famiglia): un'opera che merita, invero, qualche
successiva specifica presentazione critica più dettagliata.
Qui preme sottolineare due situazioni, estrapolate dal contesto.
L'imposizione
fatta al protagonista, nonché a sua moglie ed alla figlioletta, di
sopportare la presenza forzata del "comandante Kasper" e di un drappello
di soldati tedeschi al piano terra della propria abitazione, un casale
parzialmente appena ristrutturato, situato non lungi dal cimitero di
Vallecrosia, e di questi e di altri teutonici nel suo terreno adibito ad
uso agricolo, ancorché in quei giorni tormentati praticamente
abbandonato, un terreno ben presto devastato per l'allestimento di
un'officina di riparazione di mezzi pesanti germanici.
E la richiesta del comandante garibaldino Vittò (al secolo Giuseppe Vittorio
Guglielmo), quando
Pigna
era una zona libera partigiana, di curare un suo caro amico che versava
colà in gravi condizioni. Il guaritore, che attraversava di continuo
gli spazi di patrioti e di nazifascisti in quanto molto richiesto per le
sue prestazioni, in quel caso si sentì sul serio incapace allo scopo,
ma, con sua somma sorpresa, il suo tentativo ebbe successo: al ritorno
fu molto attento a non fare accenni di questa vicenda all'uomo della
Wehrmacht, che, anche se riconoscente per la terapia praticata alla sua
sciatalgia, era sempre molto sospettoso circa gli spostamenti di chi
malvolentieri lo ospitava.
In molti, specie donne, allora ed
anche dopo, praticavano rimedi e medicamenti, per lo più con decotti di
erbe, per malanni vari: ad esempio, si prestava attenzione ai bambini
per i cosiddetti "vermi" (la tenia) ed ai più grandi per slogature,
storte alle caviglie ed altri acciacchi muscolari, rispetto ai quali
alcuni veri "maghi" sapevano ripristinare condizioni ottimali con la
semplice (si fa per dire!), misteriosa imposizione delle mani.
Ma
ambulavano, inoltre, da queste parti, come nel resto del Paese, chi
sporadicamente, chi più sovente, zampognari (che la mentalità popolare
individuava come nunzi di maltempo), arrotini, spazzacamini,
pescivendoli (brutto termine ma di uso corrente). In genere si
annunciavano con forti strilli in gergo. Un grido, forse, è rimasto più
impresso in una certa memoria collettiva, quello di "Ombrellaio!!!".
Mestieri in larga misura superati dalle tecniche moderne, comprese
quelle che producono beni "usa e getta". Qua e là, tuttavia, si
esibiscono ancora colleghi degli amici acrobati e ballerini di Mary
Poppins, non del tutto sorpassati dal progresso.
E dalle spiagge
si sente pure adesso qualche volta il quasi ancestrale, cantilenante
annuncio "Cocco fresco, cocco bello!". Ma anche un più recente - così,
almeno, sembra! - "Co! Co! Co! Cocco bello!".