Come
in anteguerra, il posto negli anni Cinquanta risuonava delle voci
argentine di tanti bambini, ai quali si univano regolarmente quelli dei
dintorni e quelli in visita a parenti per darsi agli svaghi delle loro
età. Tra questi ultimi, quei piccini che per vedere i nonni arrivavano
di tanto in tanto dalla Libia, dove i genitori erano emigrati non molto
tempo prima.
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Una "pila" colma di fiori
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Una
volta quasi tutti quegli appartamenti avevano ciascuno a disposizione
un piccolo appezzamento di terreno: ne risultava un insieme armonioso di
orti-giardini con profusione di calle (queste in genere in vicinanza
dei caratteristici lavatoi esterni, in gergo "pile", in molti dei quali
venivano messi a bagno, per essere mantenuti freschi sino all'ultimo, i
garofani che, raccolti in diverse fasce gratuitamente per concessione
dei coltivatori, servivano per addobbare i carri de "I Galli del
Villaggio"), gerani, zucchine trombette, pomodori, melanzane, fagiolini,
insalate, altre verdure, vigne massime di uva "americana", che
servivano più da ornamento che altro, integrandosi con tante "toppie" o
pergolati, anche se qualche amante del buon vino, più pratico,
introdusse dell'uva bianca. Non mancarono sporadici isolotti di
trascuratezza. C'erano piante da frutta: ad esempio un albera che donava
deliziose albicocche moscatelle, vera attrazione per tanti birichini,
che preferivano servirsi in proprio, causandone presto la sterilità,
anziché riceverne su richiesta più modesti quantitavi. Non mancavano
baracche, anche in muratura, per i ripari di attrezzi, di biciclette, di
scooter, anche parzialmente adibite ai ricoveri di animali da cortile.
Anche
per i negozi di alimentari gli abitanti dovevano scarpinare: forse la
bottega più rievocata era quella sulla via per le Due Strade, che
presentò in anteprima per la delizia di tanti bambini certi deliziosi
morbidi cioccolatini, mai più messi in circolazione, prodotti dalla
odierna nota multinazionale piemontese, da certi blogger di recente
definiti, dalla loro consistente forma, non a caso "formaggini", la cui
stagnola era sormontata da un'ambita figurina di storie del Far West,
agevolmente rimovibile per collezioni ed albi.
Si scorgevano (si
scorgerebbero) dagli usci verdi colline ormai massacrate dal cemento ed
una torre d'avvistamento contro i pirati turcheschi, la Torre Sapergo,
che si é scoperto insistere su rari reperti archeologici dell'Alto Medio
Evo, ma sempre in procinto di essere circondata dagli ennesimi
residences. Ed ancora - basterebbe spostarsi un po'! O forse no! La
regola probabilmente si applica a quanto già detto! - il Sasso, Seborga,
Monte Caggio. Più o meno di fronte, forse di colà non visibili,
Borghetto San Nicolò e Vallebona. Forse Villa Genua, alla quale Pietro
Battaglia e Angelica Pellegrino hanno dedicato nel 2019 una ponderosa
tesi di laurea. Di sicuro Villa Hortensia e il Villino Nadenbousch, ma
sugli scorci di ponente si torna più avanti.
Dalla
strada per Vallebona, in sponda orografica destra del torrente, ma
ancor più in mezzo a quella che fu Villa Cappella, la Torre Mostaccini.
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Un camion, qualche mese fa, nel vuoto una volta occupato dalla lavanderia
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Di recente, subito dopo l'entrata nel Villaggio Giardino
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Nel cortile d'ingresso, ma ben più di sessanta anni fa
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In
mezzo il torrente Borghetto, in cui da tanti anni ormai avevano cessato
di defluire le acque della grande lavanderia di Guido, omaccione
generoso dalla voce tonante che non spaventava nessuno, il quale
risiedeva al di là di quello che si potrebbe definire il cortile
d'entrata del Villaggio Giardino in due alloggi unificati, il cui spazio
esterno si svelava come prato alberato.
Un rio, che, allo stato
odierno per lungo tratto quasi tutto tombinato e destinato ad accogliere
acque furiose non più trattenute da rilievi modesti, ma ormai
spelacchiati o ricoperti da manufatti agricoli e non, in otto anni
avrebbe più volte esondato, con conseguenze particolarmente pesanti a
metà settembre 2006. Non più transitabile a guado asciutto o su pietroni
per attingere fresca acqua, che si reputava sorgiva, alla fontana, oggi
spostata un centinaia di metri più in giù, ma in allora appoggiata al
muro di cinta del Villino Nadenbousch, che ha in comune - in allegra
confusione - il portale con Villa Hortensia, dove aveva residenza il
professore Raffaello
Monti,
ben noto a quelle genti, non fosse altro per il fatto che mise per un
certo periodo, alla fine degli anni Cinquanta, a disposizione della
locale
parrocchia
una modesta pertinenza per la celebrazione delle messe. Non più luogo
di divertimenti (quasi pari al grande "cortile" interno adiacente
all'entrata) durante la siccità estiva per bambini che amavano l"
intrepido"
(le bambine preferivano il "monello"). Non più terreno di raccolta di
erbe odorose per i conigli, che in tanti tenevano. Non più campo di
ricerca delle more più dolci mai mangiate da quei monelli. Non più da
attraversare per scorribande sulla collina di Bellavista.
Bambine e
bambini che, quasi ormai signorine e giovanotti, nelle serate delle
belle stagioni non scordarono una loro pregressa abitudine e, dunque,
non poterono tralasciare di ritrovarsi per giocare a nascondino, il che
li portava sin sulla Via Romana, dove allora ancora "sciamavano
numerosissime le
lucciole". Come sempre in tali occasioni con al loro fianco coetanei momentanei ospiti del Villaggio Giardino.
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Là dove era il ponte Bigarella, qualche mese fa
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Gli
stessi che, appena finite le scuole, potevano essere presenti, al pari
di altri coevi delle zone circostanti, per l'infioratura dei parapetti
del ponte Bigarella - scomparso dopo le coperture - in occasione della
tradizionale processione di Sant'Antonio da Padova, una ricorrenza che
attirava immancabilmente il passaggio di un carretto dei gelati, non più
sospinto sui pedali da un proprietario, che, anche per le forme a
barchette dei suoi mezzi e per le sue originali idee di pubblicità, è
entrato di prepotenza nella storia del costume locale..
Prima del
secondo conflitto mondiale, si recavano talora ai Gallinai in visita ad
un vigile urbano di origine slovena, il cui cognome era stato appena
italianizzato, un futuro comandante partigiano e suo fratello, destinato
a perire all'inizio della guerra in Grecia. Quel dipendente municipale
avrebbe spesso ospitato con gioia fratelli e sorelle, deputati,
terminata l'immane tragedia delle armi, ad assumere la cittadinanza
jugoslava, fatta eccezione per uno di loro e per la sua famiglia,
emigrati nella lontana Argentina. E a distanza di decenni, uno storico
locale, già segretario di sindaci, ne avrebbe ancora rammentato in una
casuale conversazione il cognome originario.
Era intanto arrivata la
stagione di nuovi inquilini. Tanti bresciani, dalla stridente,
gutturale, variopinta - ed incomprensibile - parlata dialettale, che
ancora oggi fa sorridere al ricordo vecchi frequentatori alle prese con
le rievocazioni. Ma anche liguri, mantovani, calabresi, ed altri
immigrati, tra cui con i loro cari due fratelli vicentini - uno rientrò
presto nelle contrade di provenienza -, che avevano già conosciuto la
provincia di Imperia come operai di ditte che costruivano le
strade
militari, allorquando stabilirono duraturi rapporti di amicizia con un
corregionale, arrivato a San Romolo come boscaiolo, ma vocato presto a
gestire in quella frazione di Sanremo un rinomato ristorante.
Sempre
tra gli anni della ricostruzione e quelli del cosiddetto miracolo
economico ebbero residenza al Villaggio Giardino piccoli imprenditori,
edicolanti, braccianti, floricoltori, maestre, camerieri molto noti
perché assai professionali, addetti a varie incombenze negli alberghi
(che a Bordighera erano ancora tanti!). Seguire in proposito gli
sviluppi successivi sarebbe, invece, leggermente complicato. Si potrebbe
solo aggiungere che con la cacciata degli italiani dalla Libia,
avvenuta con la salita al potere di Gheddafi, proprio la famiglia, che -
come si è anticipato - aveva residenza in quel paese, ma radici in
Bordighera, trovò libero un appartamento situato a fianco degli
"sloveni", dove andò a stabilirsi.
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Una foto d'epoca dei clienti del "Bar Paolo"
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Foresti
o meno, tanti uomini si ritrovavano sovente per una partita alle carte
presso il "Bar Paolo" sulla Via Aurelia, ubicato quasi nel centro della
città delle palme, dove oltrettutto ci si poteva deliziare con gustosi
piatti della cucina tradizionale.
Come dappertutto si alternavano i
lattai, riforniti in stalle abbastanza prossime, per le consegne a
domicilio, facevano capolino gli
ambulanti
di mestieri quasi del tutto scomparsi, ma più assiduamente si aggirava
un garzone di panetteria pedalando su di una bicicletta munita di tipica
cesta metallica.
Le cose, poi, cambiarono, tra trasferimenti ed
altri casi della vita, per cui alla vigilia della mentovata
ristrutturazione forse erano solo più due le famiglie che potevano
vantare una lunga permanenza in loco.