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mercoledì 18 giugno 2025

Ai Gallinai abitarono bresciani, liguri, vicentini...

 

Il carro "Romantica" de "I Galli del Villaggio" all'edizione 1960 della Battaglia di Fiori di Ventimiglia. Foto: Mariani

Come si è qui già sottolineato, a Bordighera il complesso di case a schiera, ad un solo piano e disposte in diverse linee parallele, denominato Gallinai o Villaggio Giardino, ha ispirato l'"insegna" della storica e prestigiosa compagnia de "I Galli del Villaggio", di costruttori di carri per la Battaglia di Fiori di Ventimiglia. 
 
Bordighera (IM): lo stato dei lavori odierni ai Gallinai



Bordighera (IM): i Gallinai otto anni fa

Una sorta di minuto rione, con qualche sporadica, ma significativa presenza artigianale - in cui spiccarono il lavoro di una famiglia di cestai, trasferiti in località Due Strade già a fine anni Cinquanta, ed una tuttora attiva, altrove, rinomata falegnameria -, un rione ormai da quasi vent'anni chiuso al pubblico e abbandonato in attesa della furia delle ruspe per l'ennesima speculazione edilizia, anche se i pertinenti lavori in pari data sembrano di buona lena. 
 



Come in anteguerra, il posto negli anni Cinquanta risuonava delle voci argentine di tanti bambini, ai quali si univano regolarmente quelli dei dintorni e quelli in visita a parenti per darsi agli svaghi delle loro età. Tra questi ultimi, quei piccini che per vedere i nonni arrivavano di tanto in tanto dalla Libia, dove i genitori erano emigrati non molto tempo prima.
 

Una "pila" colma di fiori


Una volta quasi tutti quegli appartamenti avevano ciascuno a disposizione un piccolo appezzamento di terreno: ne risultava un insieme armonioso di orti-giardini con profusione di calle (queste in genere in vicinanza dei caratteristici lavatoi esterni, in gergo "pile", in molti dei quali venivano messi a bagno, per essere mantenuti freschi sino all'ultimo, i garofani che, raccolti in diverse fasce gratuitamente per concessione dei coltivatori, servivano per addobbare i carri de "I Galli del Villaggio"), gerani, zucchine trombette, pomodori, melanzane, fagiolini, insalate, altre verdure, vigne massime di uva "americana", che servivano più da ornamento che altro, integrandosi con tante "toppie" o pergolati, anche se qualche amante del buon vino, più pratico, introdusse dell'uva bianca. Non mancarono sporadici isolotti di trascuratezza. C'erano piante da frutta: ad esempio un albera che donava deliziose albicocche moscatelle, vera attrazione per tanti birichini, che preferivano servirsi in proprio, causandone presto la sterilità, anziché riceverne su richiesta più modesti quantitavi. Non mancavano baracche, anche in muratura, per i ripari di attrezzi, di biciclette, di scooter, anche parzialmente adibite ai ricoveri di animali da cortile.
Anche per i negozi di alimentari gli abitanti dovevano scarpinare: forse la bottega più rievocata era quella sulla via per le Due Strade, che presentò in anteprima per la delizia di tanti bambini certi deliziosi morbidi cioccolatini, mai più messi in circolazione, prodotti dalla odierna nota multinazionale piemontese, da certi blogger di recente definiti, dalla loro consistente forma, non a caso "formaggini", la cui stagnola era sormontata da un'ambita figurina di storie del Far West, agevolmente rimovibile per collezioni ed albi.
Si scorgevano (si scorgerebbero) dagli usci verdi colline ormai massacrate dal cemento ed una torre d'avvistamento contro i pirati turcheschi, la Torre Sapergo, che si é scoperto insistere su rari reperti archeologici dell'Alto Medio Evo, ma sempre in procinto di essere circondata dagli ennesimi residences. Ed ancora - basterebbe spostarsi un po'! O forse no! La regola probabilmente si applica a quanto già detto! - il Sasso, Seborga, Monte Caggio. Più o meno di fronte, forse di colà non visibili, Borghetto San Nicolò e Vallebona. Forse Villa Genua, alla quale Pietro Battaglia e Angelica Pellegrino hanno dedicato nel 2019 una ponderosa tesi di laurea. Di sicuro Villa Hortensia e il Villino Nadenbousch, ma sugli scorci di ponente si torna più avanti.
 

Dalla strada per Vallebona, in sponda orografica destra del torrente, ma ancor più in mezzo a quella che fu Villa Cappella, la Torre Mostaccini.
 
Un camion, qualche mese fa, nel vuoto una volta occupato dalla lavanderia

Di recente, subito dopo l'entrata nel Villaggio Giardino

Nel cortile d'ingresso, ma ben più di sessanta anni fa

In mezzo il torrente Borghetto, in cui da tanti anni ormai avevano cessato di defluire le acque della grande lavanderia di Guido, omaccione generoso dalla voce tonante che non spaventava nessuno, il quale risiedeva al di là di quello che si potrebbe definire il cortile d'entrata del Villaggio Giardino in due alloggi unificati, il cui spazio esterno si svelava come prato alberato.
Un rio, che, allo stato odierno per lungo tratto quasi tutto tombinato e destinato ad accogliere acque furiose non più trattenute da rilievi modesti, ma ormai spelacchiati o ricoperti da manufatti agricoli e non, in otto anni avrebbe più volte esondato, con conseguenze particolarmente pesanti a metà settembre 2006. Non più transitabile a guado asciutto o su pietroni per attingere fresca acqua, che si reputava sorgiva, alla fontana, oggi spostata un centinaia di metri più in giù, ma in allora appoggiata al muro di cinta del Villino Nadenbousch, che ha in comune - in allegra confusione - il portale con Villa Hortensia, dove aveva residenza il professore Raffaello Monti, ben noto a quelle genti, non fosse altro per il fatto che mise per un certo periodo, alla fine degli anni Cinquanta, a disposizione della locale parrocchia una modesta pertinenza per la celebrazione delle messe. Non più luogo di divertimenti (quasi pari al grande "cortile" interno adiacente all'entrata) durante la siccità estiva per bambini che amavano l"intrepido" (le bambine preferivano il "monello"). Non più terreno di raccolta di erbe odorose per i conigli, che in tanti tenevano. Non più campo di ricerca delle more più dolci mai mangiate da quei monelli. Non più da attraversare per scorribande sulla collina di Bellavista.
Bambine e bambini che, quasi ormai signorine e giovanotti, nelle serate delle belle stagioni non scordarono una loro pregressa abitudine e, dunque, non poterono tralasciare di ritrovarsi per giocare a nascondino, il che li portava sin sulla Via Romana, dove allora ancora "sciamavano numerosissime le lucciole". Come sempre in tali occasioni con al loro fianco coetanei momentanei ospiti del Villaggio Giardino. 
 
Là dove era il ponte Bigarella, qualche mese fa


Gli stessi che, appena finite le scuole, potevano essere presenti, al pari di altri coevi delle zone circostanti, per l'infioratura dei parapetti del ponte Bigarella - scomparso dopo le coperture - in occasione della tradizionale processione di Sant'Antonio da Padova, una ricorrenza che attirava immancabilmente il passaggio di un carretto dei gelati, non più sospinto sui pedali da un proprietario, che, anche per le forme a barchette dei suoi mezzi e per le sue originali idee di pubblicità, è entrato di prepotenza nella storia del costume locale..
Prima del secondo conflitto mondiale, si recavano talora ai Gallinai in visita ad un vigile urbano di origine slovena, il cui cognome era stato appena italianizzato, un futuro comandante partigiano e suo fratello, destinato a perire all'inizio della guerra in Grecia. Quel dipendente municipale avrebbe spesso ospitato con gioia fratelli e sorelle, deputati, terminata l'immane tragedia delle armi, ad assumere la cittadinanza jugoslava, fatta eccezione per uno di loro e per la sua famiglia, emigrati nella lontana Argentina. E a distanza di decenni, uno storico locale, già segretario di sindaci, ne avrebbe ancora rammentato in una casuale conversazione il cognome originario.
Era intanto arrivata la stagione di nuovi inquilini. Tanti bresciani, dalla stridente, gutturale, variopinta - ed incomprensibile - parlata dialettale, che ancora oggi fa sorridere al ricordo vecchi frequentatori alle prese con le rievocazioni. Ma anche liguri, mantovani, calabresi, ed altri immigrati, tra cui con i loro cari due fratelli vicentini - uno rientrò presto nelle contrade di provenienza -, che avevano già conosciuto la provincia di Imperia come operai di ditte che costruivano le strade militari, allorquando stabilirono duraturi rapporti di amicizia con un corregionale, arrivato a San Romolo come boscaiolo, ma vocato presto a gestire in quella frazione di Sanremo un rinomato ristorante.
Sempre tra gli anni della ricostruzione e quelli del cosiddetto miracolo economico ebbero residenza al Villaggio Giardino piccoli imprenditori, edicolanti, braccianti, floricoltori, maestre, camerieri molto noti perché assai professionali, addetti a varie incombenze negli alberghi (che a Bordighera erano ancora tanti!). Seguire in proposito gli sviluppi successivi sarebbe, invece, leggermente complicato. Si potrebbe solo aggiungere che con la cacciata degli italiani dalla Libia, avvenuta con la salita al potere di Gheddafi, proprio la famiglia, che - come si è anticipato - aveva residenza in quel paese, ma radici in Bordighera, trovò libero un appartamento situato a fianco degli "sloveni", dove andò a stabilirsi.
 
Una foto d'epoca dei clienti del "Bar Paolo"

Foresti o meno, tanti uomini si ritrovavano sovente per una partita alle carte presso il "Bar Paolo" sulla Via Aurelia, ubicato quasi nel centro della città delle palme, dove oltrettutto ci si poteva deliziare con gustosi piatti della cucina tradizionale.
Come dappertutto si alternavano i lattai, riforniti in stalle abbastanza prossime, per le consegne a domicilio, facevano capolino gli ambulanti di mestieri quasi del tutto scomparsi, ma più assiduamente si aggirava un garzone di panetteria pedalando su di una bicicletta munita di tipica cesta metallica.
Le cose, poi, cambiarono, tra trasferimenti ed altri casi della vita, per cui alla vigilia della mentovata ristrutturazione forse erano solo più due le famiglie che potevano vantare una lunga permanenza in loco.
 

La "Villa", dodici anni fa

Otto anni fa

Due anni fa

Rimangono tuttora sul soffitto dell'ingresso dei Gallinai, "sotto la (mitica) Villa", come si diceva un tempo, il segno delle pallonate scagliate dai ragazzi che là si destreggiavano alla svolta degli anni Cinquanta: ed uno di loro, dalla discreta successiva esperienza di calciatore, venne per tutta la vita amichevolmente chiamato Zambo, nomignolo mutuato da un personaggio dei fumetti di scarso successo.

Adriano Maini 

sabato 23 novembre 2024

Un po' prima dei carri de "I Galli del Villaggio"


Capita di riprendere in mano un vecchio libro sulla Battaglia di Fiori di Ventimiglia per cercare almeno il nome della compagnia di carristi con la quale aveva collaborato nei primi anni Sessanta - addirittura potendo usufruire di una specifica licenza dal servizio militare di leva - un vecchio conoscente, smemorato, ma nostalgico. Si risolve parzialmente il quesito, individuando il gruppo, ma non - salvo due - i carristi. Ci si è arrivati anche incrociando i dati ricavati dalla lettura con quelli emersi da conversazioni con persone che ben conoscono la strada dove era ubicato il capannone.

A questo punto è doveroso citare il ponderoso volume "Battaglia dei Fiori" di Danilo Gnech, Franco Miseria e Renzo Villa (Dopolavoro Ferroviario di Ventimiglia, Cumpagnia d'i Ventemigliusi, Civica Biblioteca Aprosiana - 1987). Si tratta di una vera e propria miniera di informazioni, che non può, tuttavia, essere del tutto esauriente, proprio per la massa sterminata di notizie, concernenti le brevi analisi di decine di edizioni della manifestazione (dal 1921 al 1938; poi l'interruzione per la guerra; quindi, dal 1948 sino al 1969; poi, le due, una del 1984, l'altra del 1985) e la pubblicazione di centinaia di fotografie, desunte quasi tutte dallo storico archivio di Foto Mariani di Ventimiglia.

Accade che in occasione della mentovata ricerca, venga, altresì, in mente di tentare di appurare le specifiche di carri che, considerate le fotografie - focalizzate sulle persone ritratte, con inquadrature, dunque, solo parziali dei carri - portano a propendere per riferimenti a Bordighera e per una datazione talora risalente ai primi anni Cinquanta.


Ci si inizia, però, a distrarre. Sono troppi i particolari curiosi che si riscoprono nella grande mole di documentazione, solo sfogliata negli anni per parziali consultazioni, o che si notano per la prima volta.
Diventa irresistibile la tentazione di citare alla rinfusa, senza neppure risalire a prima dell'ultimo conflitto, periodo foriero di tanti altri eventi, partigiani e reduci della recente guerra impegnati in qualche modo con i carri; personaggi noti ed altri meno noti, ma caratteristici; carri non solo provenienti da Bordighera - ma questa circostanza è scontata - da Camporosso, da Vallecrosia, cittadine limitrofe della zona intemelia, ma anche, in almeno in un caso da Nizza - o costruito in loco per conto del capoluogo del dipartimento delle Alpi Marittime.
Viene spontanea una divagazione su Vallecrosia, suscitata dalla reminiscenza del racconto di una ex staffetta partigiana, che a suo tempo, per contribuire finanziariamente alla costruzione del carro del suo gruppo, aveva rinunciato a comprarsi l'agognato ciclomotore: i garofani per infiorare all'epoca erano gratuiti - congiuntura sulla quale qualcuno ha scritto pagine molto belle, che sarebbe d'uopo rivisitare - per cui era sufficiente andare a raccoglierli, ma qualche spesa pur sussisteva e, se non si vincevano premi, rimborsi pubblici, anche parziali, pare non sussistessero.
Anche a Vallecrosia si cimentarono sodalizi ispirati da riviste dell'area comunista; anche da Vallecrosia salirono sui carri belle ragazze e gagliardi giovanotti, compreso il negoziante più anarchico che comunista, fine intellettuale che conosceva tutti (tra questi Angelo Oliva, Francesco Biamonti, gli animatori dell'Unione Culturale Democratica di Bordighera). Nel libro "Battaglia dei Fiori" vengono poi citati i fratelli Tardito di Vallecrosia come gruppo carrista: in sostanza, una didascalia a corredo di uno scatto abbastanza buffo del quale basta dire che riprende un motociclo più o meno infiorato, con più persone a bordo, di cui una chiaramente è un uomo travestito (male!) da donna, il tutto per ricreare un soggetto da sfilata dal titolo emblematico (oggi lo si definirebbe molto scorretto) "Le zitelle". Quasi sicuramente gli autori hanno inteso menzionare Elio ed Ivo Tardito, i quali ben conoscevano il commerciante di cui si è già detto, ma di loro va anche rammentato il grande impegno successivamente profuso nel Cine-Foto Club di Vallecrosia, altra associazione che meriterebbe qualche appropriata rievocazione.

Tornando all'argomento dei carri di Bordighera ad inizio anni Cinquanta si sottolinea, a mero titolo indicativo, che nel 1948 avevano già partecipato alla Battaglia di Fiori l'opera "Omnibus dell'Ottocento" della compagnia - o gruppo - Anzio-Sasso, nel 1949 il carro "India" (Sicilia-Parmeggiani) e quello "Corbeille" (Azienda Autonoma Turismo), nel 1950 "Il sedile dei pensieri" (sempre Sicilia-Parmeggiani).  


Con "Tempio proibito" (Giuseppe Tomatis) del 1954 si è, forse, arrivati al primo riscontro positivo tra una fotografia e gli atti, per così dire, ufficiali della Battaglia di Fiori: nell'immagine si vede almeno un protagonista dei futuri trionfi (anni Sessanta) dei carri de "I Galli del Villaggio". Si fa notare di passaggio che si sono fatti scomodare nell'indagine alcuni interlocutori, autorevoli in materia, comunque, rimasti presi alla sprovvista.
Ai carristi de "I Galli del Villaggio" di Bordighera ha reso per lo meno onore Renato Ronco con l'articolo intitolato per l'appunto "I Galli del Villaggio", compreso in (a cura di) Pier Rossi, Racconti di Bordighera - 2, Alzani Editore, 2018.

Rimangono, rispetto ad immagini attinenti la Battaglia di Fiori e Bordighera, altri inediti da appurare, probabilmente, anche errori da rimediare.
Del resto, quello relativo alla desueta manifestazione popolare ventimigliese è un romanzo che ogni persona interessata scrive per conto suo.
Forse, per molti motivi, una storia irripetibile, ma sempre foriera, per chi interessato, di ulteriori spunti narrativi.
E, forse, è meglio che restino ancora nell'alone del mistero le prime due fotografie qui pubblicate, la prima delle quali potrebbe anche essere fuori lo stretto tema.

Adriano Maini

mercoledì 11 settembre 2024

C'era un bar...

Vallecrosia (IM): la zona del "Ponte"

C'era un bar sul "Ponte" di Vallecrosia, dapprima ubicato a settentrione, poi spostato dall'altra parte della Via Aurelia. Nell'ultima sistemazione aveva nel seminterrato una sala che a lungo rappresentò per quella cittadina l'unica occasione per riunioni di carattere politico, sociale e culturale, tanto è vero che è tuttora ben ricordata dagli animatori dell'Unione Culturale Democratica di Bordighera, che tra quelle mura mosse i suoi primi passi. Ma anche quell'esercizio ebbe tra i clienti più assidui alcuni protagonisti della più normale vita sociale della zona.

Via Dante a Ventimiglia, da molte persone ancora adesso chiamata Via Regina, fornisce talora l'occasione, in quanto pregresso sito di residenza, per fare ritrovare qualche vecchio amico, magari rientrato in vacanza da fuori regione. Più spesso questo appuntamento viene dato non proprio in loco, ma la motivazione scaturisce sempre dalla vecchia appartenenza a quella strada o alle sue immediate vicinanze. Come sovente capita in questi casi, un punto di riferimento per le pregresse frequentazioni era un pubblico esercizio, all'inizio una latteria, presto affiancata da un vero e proprio bar, gestito dalla famiglia di due dei nostri personaggi. Anche questi ultimi si esibirono nei gruppi musicali degli anni Sessanta, con altri giovani del posto o del comprensorio, in genere con buoni risultati di carattere locale, messi in evidenza, al pari di altri aspetti qui riferiti, ad esempio, da Gaspare Caramello in un suo scritto di quasi venti anni fa. Non poteva mancare, infatti, in Via Regina, né poco lontano, qualche capannone per la costruzione di carri per la Battaglia di Fiori, in cui si diedero da fare quasi tutti i richiamati ragazzi, mentre altri tra di loro preferirono affinare le competenze da carristi in altre parti della città.

C'era un bar a Nervia di Ventimiglia, l'unico bar in pratica della località sino agli inizi degli anni Sessanta, ma che aveva la singolarità di essere stato dotato da subito di un televisore. A detta di una persona della famiglia di quella proprietà fu proprio la presenza di quell'apparecchio a determinare notevole affluenza a quel locale. Vista la variegata composizione dei clienti, provenienti anche da Bordighera, viene da dubitare della serietà di quella affermazione, ma rimane il fatto che gli echi di quelle frequentazioni sono sparsi per tutto il comprensorio intemelio. Non mancavano tra quegli avventori gli ideatori di memorabili scherzi, giocati pure alle spalle di ignari vigili urbani, né gli animatori di una compagnia di carristi della Battaglia di Fiori. Quando per ripicca alle ennesime vibranti proteste della padrona per il chiasso prodotto da quelle allegre compagnie i capifila di una di queste decisero che era ora di aprire un nuovo esercizio dall'altra parte della Via Aurelia questo venne fatto: con il risultato che, come quasi sempre in casi del genere, qualcuno prese ad alternare la sua presenza tra i due locali, ma che il teatrino - non solo goliardico - si era definitivamente spostato.

C'era un bar ai Piani di Borghetto in Bordighera, la cui squadra di calcio - all'epoca composta rigorosamente da non tesserati alla Federazione, tra i quali un noto ristoratore, appassionato di musica melodica, un valente commercialista, diversi floricoltori, più o meno fortunati - vinse almeno un torneo estivo a metà degli anni Sessanta, un periodo in cui alcuni giovani frequentatori potevano già essere annoverati tra i carristi de I Galli del Villaggio.

Ci sono stati in questi luoghi di confine, come in tutte le parti del Paese, bar, osterie, bettole (e non sempre vere e proprie: il pregresso Premio - artistico e letterario - "Cinque Bettole" di Bordighera aveva un titolo alquanto autoironico). Oggi sempre meno, con prevalenza, forse, di pub e di semplici punti di ristoro. Resiste a Ventimiglia il caffè delle elites cittadine, ma da decenni è chiuso quello, posizionato a fianco del (ormai ex) Mercato dei Fiori e preferito da tanti operatori, tra i quali Libero Alborno, il Libero rivisitato in chiave di fantasia da Nico Orengo nel suo "La curva del Latte". Altri esercizi si sono trasformati nel senso sopra indicato. Non ci sono più - o quasi -  ritrovi di artisti e di letterati.

A tornare, in ogni caso sfiorandola, in una dimensione di cultura più popolare sono utili ulteriori esempi, che prescindono, tuttavia, da bar che sono stati semantici di sindacato e di politica progressista. Quando si tornò ad organizzare la Battaglia di Fiori di Ventimiglia - oggi di nuovo sospesa - si fece quasi vorticoso il passaggio di carristi, anche per la rapida chiusura di compagnie e per la formazione di nuove, da un gruppo all'altro. E qualcuno tornava da fuori, prese le ferie, per dare una mano, quella già affinata in gioventù. Ci sono pensionati che si emozionano a vedere fotografie ormai ingiallite che ritraggono in una tipica osteria di Bordighera, ormai scomparsa, persone vicine di casa o comunque un tempo note. Si possono citare - sempre a titolo indicativo - tra i tanti clienti dei bar indicati le persone che con il passare degli anni sono diventate chi collezionista di fumetti e chi di dischi, chi disegnatore di argute vignette satiriche, chi bravo coltivatore di orchidee, chi dirigente di circolo velico, chi scrittore di romanzi polizieschi, chi stimato storico, chi ricercatore di vicende locali con l'occhio attento all'individuazione di fotografie in tema.

Adriano Maini