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mercoledì 18 giugno 2025

Ai Gallinai abitarono bresciani, liguri, vicentini...

 

Il carro "Romantica" de "I Galli del Villaggio" all'edizione 1960 della Battaglia di Fiori di Ventimiglia. Foto: Mariani

Come si è qui già sottolineato, a Bordighera il complesso di case a schiera, ad un solo piano e disposte in diverse linee parallele, denominato Gallinai o Villaggio Giardino, ha ispirato l'"insegna" della storica e prestigiosa compagnia de "I Galli del Villaggio", di costruttori di carri per la Battaglia di Fiori di Ventimiglia. 
 
Bordighera (IM): lo stato dei lavori odierni ai Gallinai



Bordighera (IM): i Gallinai otto anni fa

Una sorta di minuto rione, con qualche sporadica, ma significativa presenza artigianale - in cui spiccarono il lavoro di una famiglia di cestai, trasferiti in località Due Strade già a fine anni Cinquanta, ed una tuttora attiva, altrove, rinomata falegnameria -, un rione ormai da quasi vent'anni chiuso al pubblico e abbandonato in attesa della furia delle ruspe per l'ennesima speculazione edilizia, anche se i pertinenti lavori in pari data sembrano di buona lena. 
 



Come in anteguerra, il posto negli anni Cinquanta risuonava delle voci argentine di tanti bambini, ai quali si univano regolarmente quelli dei dintorni e quelli in visita a parenti per darsi agli svaghi delle loro età. Tra questi ultimi, quei piccini che per vedere i nonni arrivavano di tanto in tanto dalla Libia, dove i genitori erano emigrati non molto tempo prima.
 

Una "pila" colma di fiori


Una volta quasi tutti quegli appartamenti avevano ciascuno a disposizione un piccolo appezzamento di terreno: ne risultava un insieme armonioso di orti-giardini con profusione di calle (queste in genere in vicinanza dei caratteristici lavatoi esterni, in gergo "pile", in molti dei quali venivano messi a bagno, per essere mantenuti freschi sino all'ultimo, i garofani che, raccolti in diverse fasce gratuitamente per concessione dei coltivatori, servivano per addobbare i carri de "I Galli del Villaggio"), gerani, zucchine trombette, pomodori, melanzane, fagiolini, insalate, altre verdure, vigne massime di uva "americana", che servivano più da ornamento che altro, integrandosi con tante "toppie" o pergolati, anche se qualche amante del buon vino, più pratico, introdusse dell'uva bianca. Non mancarono sporadici isolotti di trascuratezza. C'erano piante da frutta: ad esempio un albera che donava deliziose albicocche moscatelle, vera attrazione per tanti birichini, che preferivano servirsi in proprio, causandone presto la sterilità, anziché riceverne su richiesta più modesti quantitavi. Non mancavano baracche, anche in muratura, per i ripari di attrezzi, di biciclette, di scooter, anche parzialmente adibite ai ricoveri di animali da cortile.
Anche per i negozi di alimentari gli abitanti dovevano scarpinare: forse la bottega più rievocata era quella sulla via per le Due Strade, che presentò in anteprima per la delizia di tanti bambini certi deliziosi morbidi cioccolatini, mai più messi in circolazione, prodotti dalla odierna nota multinazionale piemontese, da certi blogger di recente definiti, dalla loro consistente forma, non a caso "formaggini", la cui stagnola era sormontata da un'ambita figurina di storie del Far West, agevolmente rimovibile per collezioni ed albi.
Si scorgevano (si scorgerebbero) dagli usci verdi colline ormai massacrate dal cemento ed una torre d'avvistamento contro i pirati turcheschi, la Torre Sapergo, che si é scoperto insistere su rari reperti archeologici dell'Alto Medio Evo, ma sempre in procinto di essere circondata dagli ennesimi residences. Ed ancora - basterebbe spostarsi un po'! O forse no! La regola probabilmente si applica a quanto già detto! - il Sasso, Seborga, Monte Caggio. Più o meno di fronte, forse di colà non visibili, Borghetto San Nicolò e Vallebona. Forse Villa Genua, alla quale Pietro Battaglia e Angelica Pellegrino hanno dedicato nel 2019 una ponderosa tesi di laurea. Di sicuro Villa Hortensia e il Villino Nadenbousch, ma sugli scorci di ponente si torna più avanti.
 

Dalla strada per Vallebona, in sponda orografica destra del torrente, ma ancor più in mezzo a quella che fu Villa Cappella, la Torre Mostaccini.
 
Un camion, qualche mese fa, nel vuoto una volta occupato dalla lavanderia

Di recente, subito dopo l'entrata nel Villaggio Giardino

Nel cortile d'ingresso, ma ben più di sessanta anni fa

In mezzo il torrente Borghetto, in cui da tanti anni ormai avevano cessato di defluire le acque della grande lavanderia di Guido, omaccione generoso dalla voce tonante che non spaventava nessuno, il quale risiedeva al di là di quello che si potrebbe definire il cortile d'entrata del Villaggio Giardino in due alloggi unificati, il cui spazio esterno si svelava come prato alberato.
Un rio, che, allo stato odierno per lungo tratto quasi tutto tombinato e destinato ad accogliere acque furiose non più trattenute da rilievi modesti, ma ormai spelacchiati o ricoperti da manufatti agricoli e non, in otto anni avrebbe più volte esondato, con conseguenze particolarmente pesanti a metà settembre 2006. Non più transitabile a guado asciutto o su pietroni per attingere fresca acqua, che si reputava sorgiva, alla fontana, oggi spostata un centinaia di metri più in giù, ma in allora appoggiata al muro di cinta del Villino Nadenbousch, che ha in comune - in allegra confusione - il portale con Villa Hortensia, dove aveva residenza il professore Raffaello Monti, ben noto a quelle genti, non fosse altro per il fatto che mise per un certo periodo, alla fine degli anni Cinquanta, a disposizione della locale parrocchia una modesta pertinenza per la celebrazione delle messe. Non più luogo di divertimenti (quasi pari al grande "cortile" interno adiacente all'entrata) durante la siccità estiva per bambini che amavano l"intrepido" (le bambine preferivano il "monello"). Non più terreno di raccolta di erbe odorose per i conigli, che in tanti tenevano. Non più campo di ricerca delle more più dolci mai mangiate da quei monelli. Non più da attraversare per scorribande sulla collina di Bellavista.
Bambine e bambini che, quasi ormai signorine e giovanotti, nelle serate delle belle stagioni non scordarono una loro pregressa abitudine e, dunque, non poterono tralasciare di ritrovarsi per giocare a nascondino, il che li portava sin sulla Via Romana, dove allora ancora "sciamavano numerosissime le lucciole". Come sempre in tali occasioni con al loro fianco coetanei momentanei ospiti del Villaggio Giardino. 
 
Là dove era il ponte Bigarella, qualche mese fa


Gli stessi che, appena finite le scuole, potevano essere presenti, al pari di altri coevi delle zone circostanti, per l'infioratura dei parapetti del ponte Bigarella - scomparso dopo le coperture - in occasione della tradizionale processione di Sant'Antonio da Padova, una ricorrenza che attirava immancabilmente il passaggio di un carretto dei gelati, non più sospinto sui pedali da un proprietario, che, anche per le forme a barchette dei suoi mezzi e per le sue originali idee di pubblicità, è entrato di prepotenza nella storia del costume locale..
Prima del secondo conflitto mondiale, si recavano talora ai Gallinai in visita ad un vigile urbano di origine slovena, il cui cognome era stato appena italianizzato, un futuro comandante partigiano e suo fratello, destinato a perire all'inizio della guerra in Grecia. Quel dipendente municipale avrebbe spesso ospitato con gioia fratelli e sorelle, deputati, terminata l'immane tragedia delle armi, ad assumere la cittadinanza jugoslava, fatta eccezione per uno di loro e per la sua famiglia, emigrati nella lontana Argentina. E a distanza di decenni, uno storico locale, già segretario di sindaci, ne avrebbe ancora rammentato in una casuale conversazione il cognome originario.
Era intanto arrivata la stagione di nuovi inquilini. Tanti bresciani, dalla stridente, gutturale, variopinta - ed incomprensibile - parlata dialettale, che ancora oggi fa sorridere al ricordo vecchi frequentatori alle prese con le rievocazioni. Ma anche liguri, mantovani, calabresi, ed altri immigrati, tra cui con i loro cari due fratelli vicentini - uno rientrò presto nelle contrade di provenienza -, che avevano già conosciuto la provincia di Imperia come operai di ditte che costruivano le strade militari, allorquando stabilirono duraturi rapporti di amicizia con un corregionale, arrivato a San Romolo come boscaiolo, ma vocato presto a gestire in quella frazione di Sanremo un rinomato ristorante.
Sempre tra gli anni della ricostruzione e quelli del cosiddetto miracolo economico ebbero residenza al Villaggio Giardino piccoli imprenditori, edicolanti, braccianti, floricoltori, maestre, camerieri molto noti perché assai professionali, addetti a varie incombenze negli alberghi (che a Bordighera erano ancora tanti!). Seguire in proposito gli sviluppi successivi sarebbe, invece, leggermente complicato. Si potrebbe solo aggiungere che con la cacciata degli italiani dalla Libia, avvenuta con la salita al potere di Gheddafi, proprio la famiglia, che - come si è anticipato - aveva residenza in quel paese, ma radici in Bordighera, trovò libero un appartamento situato a fianco degli "sloveni", dove andò a stabilirsi.
 
Una foto d'epoca dei clienti del "Bar Paolo"

Foresti o meno, tanti uomini si ritrovavano sovente per una partita alle carte presso il "Bar Paolo" sulla Via Aurelia, ubicato quasi nel centro della città delle palme, dove oltrettutto ci si poteva deliziare con gustosi piatti della cucina tradizionale.
Come dappertutto si alternavano i lattai, riforniti in stalle abbastanza prossime, per le consegne a domicilio, facevano capolino gli ambulanti di mestieri quasi del tutto scomparsi, ma più assiduamente si aggirava un garzone di panetteria pedalando su di una bicicletta munita di tipica cesta metallica.
Le cose, poi, cambiarono, tra trasferimenti ed altri casi della vita, per cui alla vigilia della mentovata ristrutturazione forse erano solo più due le famiglie che potevano vantare una lunga permanenza in loco.
 

La "Villa", dodici anni fa

Otto anni fa

Due anni fa

Rimangono tuttora sul soffitto dell'ingresso dei Gallinai, "sotto la (mitica) Villa", come si diceva un tempo, il segno delle pallonate scagliate dai ragazzi che là si destreggiavano alla svolta degli anni Cinquanta: ed uno di loro, dalla discreta successiva esperienza di calciatore, venne per tutta la vita amichevolmente chiamato Zambo, nomignolo mutuato da un personaggio dei fumetti di scarso successo.

Adriano Maini 

domenica 18 maggio 2025

La Battaglia di Fiori attraeva molto i bambini

 

Ventimiglia (IM): il Caffè Ligure


Giusto a metà degli anni Cinquanta nella vetrina di un negozio di Via Repubblica a Ventimiglia, poco dopo o poco prima, a seconda della direzione presa, del mitico e scomparso Caffé Ligure, ma di fronte al tuttora importante Caffè Paris, i bambini, in particolare, ammiravano alcuni criceti correre nell'immancabile ruota a loro destinata.


I bambini si deliziavano, poi, se accontentati nelle loro richieste, con i gelati preparati sul posto in una vera e propria "baracchetta" (questo pure il nome, un vero programma!) allocata poco più a meridione, in uno scomparso slargo esistente di fronte al Municipio.


C'era un'altra gelateria che metteva in imbarazzo i piccoli (non che gli adulti disdegnassero l'articolo!) per golose scelte, se a loro concesse al momento: a piccola distanza in linea d'aria, in obliquo dalla citata modesta sede di esercizio pubblico ed in verticale dalla esibizione dei graziosi animaletti.  


Un situazione fatta quasi a disegnare un virtuale triangolo con al centro il Mercato, all'epoca rigorosamente dei Fiori, oggi Annonario. 
 
 
 

Subito sotto questa virtuale base c'era una terza gelateria, dai prodotti invero deliziosi.
 

Ed il citato Mercato era una struttura che ospitava i balli annuali che coronavano le serate finali - che erano anche quelle delle contestate premiazioni - delle Battaglie di Fiori, danze che ammaliarono, come effigiato nel suo Fofò in Dogana (Edizioni Europa, 1957), Luigi Nicodemi, ispettore di dogana, per l'appunto, il quale, appena trasferito in città con la famiglia, ne erano rimasto subito affascinato per molteplici aspetti.
 


La Battaglia di Fiori attraeva molto i bambini. Che potessero o meno assistere allo svolgimento della manifestazione, era immancabile per molti di loro, appena finita la rassegna o nei primi giorni successivi, vedere i carri - e salirvi sopra - nella piazza della casa comunale e, per i più fortunati, essere fotografati in scatti destinati a divenire anche nostalgici ricordi.
I carri venivano in seguito riportati ai loro capannoni, anche fuori Ventimiglia, e rimanevano ancora, sino all'inizio del deperimento dei garofani, oggetto di attenzioni.
 

Ventimiglia (IM): la zona dell'ex macello pubblico






Gli itinerari per i ritorni alle basi erano i più diversi. Se ne potrebbe seguire, a titolo indicativo, almeno uno. Alcuni carri, passato il ponte sul fiume Roia e costeggiato il Borgo, dominante sulla sinistra il centro storico di Ventimiglia Alta, tirando dritto dalla curva della strada che allora portava solo a Gallardi, Maristi, Bevera e dintorni, rientravano vicino al macello pubblico, poco prima della linea ferrata per la Francia (e per Cuneo, ma ai tempi quest'ultima tratta era ancora inagibile). Un percorso, da chiunque intrapreso, che poteva via via fare imbattere in persone affannate con grossi lingotti di ghiaccio di una ben nota ditta; nell'uscita dalla vicina segheria di tombarelli tirati da cavalli; in corriere di linea e non di partenza o di ritorno al deposito; nella visione in relativa lontananza dei treni francesi dalle sbuffanti locomotive a vapore, più raramente in convogli con locomotori alimentati a diesel.
I capannoni per la costruzione dei carri destinati erano dislocati sul territorio. I nomi delle compagnie di carristi erano in genere fascinosi, talora evocativi dei luoghi: A Mar Parà, I Galli del Villaggio (di Bordighera), A Cricca de Asse, A Valecrosina, U Scciancurelu, I Scassigoti, A Ventemigliusa, Los Amigos, Rascassa Club (di Grimaldi), E Parme, Alegra Cumpagnia (di Vallecrosia), I Malcontenti e così via. E poteva anche a quel dunque capitare che tanti bambini giocassero su carri dai colori ormai sbiaditi, anche scavando gallerie nel muschio delle figure, sfidando impavidi le punture degli spilloni che fissavano i garofani alle reti metalliche delle sagome.



Questi sono dettagli di colore locale, difficili, come tanti altri ancora, da trattare, se non alquanto alla rinfusa, ma appartenenti, come per l'ormai mitica fabbrica del ghiaccio, ad una certa memoria collettiva.

Adriano Maini

sabato 3 maggio 2025

C'è quasi sempre qualcosa da aggiungere

 


Capita che nella conversazione con un ex "vitellone" venga rievocata la figura di un fotografo che il famoso locale "Il Pirata" di Cap Martin lo frequentava, invece, per motivi professionali su probabile incarico della sua nota ditta di Bordighera, per cui emerge la curiosità di ricordarne il nome: quello proprio, Dario, come già messo in evidenza, in qualche modo con il passaparola riesce ad essere rammentato, ma non accade così tuttora per il cognome, neanche sentito almeno un componente della famiglia di quello studio ormai chiuso da tempo. Senonché, sempre con il sistema più collaudato, inaspettatamente, un "bordigotto" verace fornisce uno scatto d'epoca dove Dario resta inquadrato a destra per chi guarda.


Si era fatto cenno, in tema di Battaglia di Fiori di Ventimiglia, alla gestazione ed agli albori della compagnia di Bordighera "I Galli del Villaggio" e si ritrova su un portale locale una particolare menzione del loro carro "Don Chisciotte" del 1963, qui sopra visibile al passaggio da Nervia.


Ma anche la zona Nervia di Ventimiglia, alla quale si è fatto su questo blog riferimento diverse volte, aveva avuto una sua compagnia di carristi, "Cheli de Nervia", per cui è d'uopo pubblicare l'immagine di almeno una loro fatica: nel caso il carro del 1969, ultimo anno, prima di una lunga interruzione, delle edizioni più ricordate della Battaglia.

Ci si avventura in un racconto, come l'ultimo, già abbastanza lungo e si vuole - solo a fornire qualche esempio - rinviare - ma almeno per una vicenda lì per lì ci si dimentica - ad altra occasione che...


... i quattro ragazzotti tratteggiati all'inizio di quella serie di piccole storie quattro anni dopo - agosto 1968, perché prima c'erano gli esami di maturità - fecero un discreto viaggio in autostop, con tappe varie e significative su cui eventualmente tornare un'altra volta. Partirono dividendosi in due piccoli gruppi dalle parti del vecchio passaggio a livello di Via Tenda di Ventimiglia - una zona che da lontano oggi appare coperta dalla locale sopraelevata - con l'obiettivo di portarsi prima di tutto in provincia di Cuneo. Due di loro, gli stessi che in Svizzera per tornare prima a casa salutarono i compagni che proseguirono per la Germania, seppero in seguito, con loro vergogna, che le loro madri si erano appostate di nascosto per appurare se la loro discendenza sarebbe stata capace di iniziare quel cimento. In verità Pietro Tartamella era un veterano dei viaggi in autostop e l'amico che lo accompagnò sino in fondo nell'esperienza qui menzionata in occasione della sua recente prematura scomparsa, dedicandogli nobili e forti parole, ha voluto rimarcare quella lontana estate


... la villetta in riva al mare, odorosa di salsedine, tutta vetri e forse con tanto legno, dove per pochi anni aveva abitato il compagno di Ginnasio e di prima Liceo, afflitto da epilessia, non solo scompare in mezzo ai palazzi, ma è stata anche radicalmente trasformata: sono rimasti i pitosfori!
 
Qualcuno di recente ha scorto nel video di una conversazione di Francesco Biamonti, condotta all'aperto con studenti del Liceo Scientifico di Ventimiglia, quel relitto di nave, appoggiato alla falesia a ovest della Pineta della città di confine, ormai smembrato ed inghiottito dai flutti, perché costruito in gran parte in legno, ma anche dimenticato in maniera incredibile dagli indigeni.

Adriano Maini

sabato 23 novembre 2024

Un po' prima dei carri de "I Galli del Villaggio"


Capita di riprendere in mano un vecchio libro sulla Battaglia di Fiori di Ventimiglia per cercare almeno il nome della compagnia di carristi con la quale aveva collaborato nei primi anni Sessanta - addirittura potendo usufruire di una specifica licenza dal servizio militare di leva - un vecchio conoscente, smemorato, ma nostalgico. Si risolve parzialmente il quesito, individuando il gruppo, ma non - salvo due - i carristi. Ci si è arrivati anche incrociando i dati ricavati dalla lettura con quelli emersi da conversazioni con persone che ben conoscono la strada dove era ubicato il capannone.

A questo punto è doveroso citare il ponderoso volume "Battaglia dei Fiori" di Danilo Gnech, Franco Miseria e Renzo Villa (Dopolavoro Ferroviario di Ventimiglia, Cumpagnia d'i Ventemigliusi, Civica Biblioteca Aprosiana - 1987). Si tratta di una vera e propria miniera di informazioni, che non può, tuttavia, essere del tutto esauriente, proprio per la massa sterminata di notizie, concernenti le brevi analisi di decine di edizioni della manifestazione (dal 1921 al 1938; poi l'interruzione per la guerra; quindi, dal 1948 sino al 1969; poi, le due, una del 1984, l'altra del 1985) e la pubblicazione di centinaia di fotografie, desunte quasi tutte dallo storico archivio di Foto Mariani di Ventimiglia.

Accade che in occasione della mentovata ricerca, venga, altresì, in mente di tentare di appurare le specifiche di carri che, considerate le fotografie - focalizzate sulle persone ritratte, con inquadrature, dunque, solo parziali dei carri - portano a propendere per riferimenti a Bordighera e per una datazione talora risalente ai primi anni Cinquanta.


Ci si inizia, però, a distrarre. Sono troppi i particolari curiosi che si riscoprono nella grande mole di documentazione, solo sfogliata negli anni per parziali consultazioni, o che si notano per la prima volta.
Diventa irresistibile la tentazione di citare alla rinfusa, senza neppure risalire a prima dell'ultimo conflitto, periodo foriero di tanti altri eventi, partigiani e reduci della recente guerra impegnati in qualche modo con i carri; personaggi noti ed altri meno noti, ma caratteristici; carri non solo provenienti da Bordighera - ma questa circostanza è scontata - da Camporosso, da Vallecrosia, cittadine limitrofe della zona intemelia, ma anche, in almeno in un caso da Nizza - o costruito in loco per conto del capoluogo del dipartimento delle Alpi Marittime.
Viene spontanea una divagazione su Vallecrosia, suscitata dalla reminiscenza del racconto di una ex staffetta partigiana, che a suo tempo, per contribuire finanziariamente alla costruzione del carro del suo gruppo, aveva rinunciato a comprarsi l'agognato ciclomotore: i garofani per infiorare all'epoca erano gratuiti - congiuntura sulla quale qualcuno ha scritto pagine molto belle, che sarebbe d'uopo rivisitare - per cui era sufficiente andare a raccoglierli, ma qualche spesa pur sussisteva e, se non si vincevano premi, rimborsi pubblici, anche parziali, pare non sussistessero.
Anche a Vallecrosia si cimentarono sodalizi ispirati da riviste dell'area comunista; anche da Vallecrosia salirono sui carri belle ragazze e gagliardi giovanotti, compreso il negoziante più anarchico che comunista, fine intellettuale che conosceva tutti (tra questi Angelo Oliva, Francesco Biamonti, gli animatori dell'Unione Culturale Democratica di Bordighera). Nel libro "Battaglia dei Fiori" vengono poi citati i fratelli Tardito di Vallecrosia come gruppo carrista: in sostanza, una didascalia a corredo di uno scatto abbastanza buffo del quale basta dire che riprende un motociclo più o meno infiorato, con più persone a bordo, di cui una chiaramente è un uomo travestito (male!) da donna, il tutto per ricreare un soggetto da sfilata dal titolo emblematico (oggi lo si definirebbe molto scorretto) "Le zitelle". Quasi sicuramente gli autori hanno inteso menzionare Elio ed Ivo Tardito, i quali ben conoscevano il commerciante di cui si è già detto, ma di loro va anche rammentato il grande impegno successivamente profuso nel Cine-Foto Club di Vallecrosia, altra associazione che meriterebbe qualche appropriata rievocazione.

Tornando all'argomento dei carri di Bordighera ad inizio anni Cinquanta si sottolinea, a mero titolo indicativo, che nel 1948 avevano già partecipato alla Battaglia di Fiori l'opera "Omnibus dell'Ottocento" della compagnia - o gruppo - Anzio-Sasso, nel 1949 il carro "India" (Sicilia-Parmeggiani) e quello "Corbeille" (Azienda Autonoma Turismo), nel 1950 "Il sedile dei pensieri" (sempre Sicilia-Parmeggiani).  


Con "Tempio proibito" (Giuseppe Tomatis) del 1954 si è, forse, arrivati al primo riscontro positivo tra una fotografia e gli atti, per così dire, ufficiali della Battaglia di Fiori: nell'immagine si vede almeno un protagonista dei futuri trionfi (anni Sessanta) dei carri de "I Galli del Villaggio". Si fa notare di passaggio che si sono fatti scomodare nell'indagine alcuni interlocutori, autorevoli in materia, comunque, rimasti presi alla sprovvista.
Ai carristi de "I Galli del Villaggio" di Bordighera ha reso per lo meno onore Renato Ronco con l'articolo intitolato per l'appunto "I Galli del Villaggio", compreso in (a cura di) Pier Rossi, Racconti di Bordighera - 2, Alzani Editore, 2018.

Rimangono, rispetto ad immagini attinenti la Battaglia di Fiori e Bordighera, altri inediti da appurare, probabilmente, anche errori da rimediare.
Del resto, quello relativo alla desueta manifestazione popolare ventimigliese è un romanzo che ogni persona interessata scrive per conto suo.
Forse, per molti motivi, una storia irripetibile, ma sempre foriera, per chi interessato, di ulteriori spunti narrativi.
E, forse, è meglio che restino ancora nell'alone del mistero le prime due fotografie qui pubblicate, la prima delle quali potrebbe anche essere fuori lo stretto tema.

Adriano Maini

lunedì 15 luglio 2024

A Vallecrosia c'è ancora la vecchia casetta...

A Vallecrosia c'è ancora la vecchia casetta da cui si proiettavano un tempo le pellicole di un cinema all'aperto: anzi, è ancora conservato il foro adattato allo scopo.


Gli spettacoli avevano luogo a ridosso dell'ormai demolito Mercato dei Fiori, situato in pratica sul confine con Camporosso.


A Ventimiglia una rinomata enoteca nello stesso posto esisteva già negli anni Trenta del secolo scorso, probabilmente meno elegante di oggi, perché allora era una semplice osteria o giù di lì, mentre adesso si presenta come un locale alla moda, molto alla moda: si raccontava di una mula che si fermava da sola davanti all'esercizio per consentire al conduttore - non proprietario - di bersi colà in santa pace un bel bicchiere di vino. Quanti avvenimenti sono accaduti e quante persone si sono avvicendate tra quelle mura! In proposito, Gaspare Caramello vi ha proprio ambientato gran parte di un suo racconto, molto interessante e assai divertente.


Sempre a Ventimiglia, il Mercato dei Fiori c'è ancora come denominazione - riportata con orgoglio sul frontone di ingresso - ma da tanto è un mercato annonario, anzi, un mercato coperto attrezzato: anche volendo, non vi si potrebbero più tenere le favolose serate danzanti di cui si tramanda ancora l'eco.
 

A Bordighera almeno una delle storiche fontane - quella di zona Villa Ortensia - è stata spostata, anche per più di cento metri, in prossimità di dove sorgeva il capannone per la costruzione dei carri, destinati a sfilare alla Battaglia di Fiori di Ventimiglia ed approntati dalla compagnia "I Galli del Villaggio": non ci sono più in loco - o non possono più aspirare ad essere tali - utenti alla ricerca di acqua fresca, forse sorgiva...
 

... sorgiva di sicuro nel caso della vecchia fontana - e già abbeveratoio per animali - di Via Romana, in prossimità della Civica Biblioteca Internazionale, sempre meta di appositi pellegrinaggi di squisiti intenditori del prezioso liquido.

Adriano Maini