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martedì 23 settembre 2025

I tre furono spesso insieme a Nizza

 

Una vista da San Marino. Foto: Eleonora Maini

Uno scorcio di San Marino. Foto: Eleonora Maini

Si ritrovarono per l'ennesima volta, ma a Riccione per un convegno nazionale della loro confederazione di categoria in quel settembre del 1997 tre colleghi funzionari, due del livello regionale, uno imperiese. Dei primi due il vero genovese, dal cognome di un importante poeta, era solo uno, il più anziano del gruppetto, il terzo lo si potrebbe, ai fini di questo racconto, indifferentemente chiamare ponentino o sanremasco, dal fatto che la sede provinciale di lavoro era, come lo è tuttora, nella città dei fiori.
Per strani motivi non si erano accordati, per cui i genovesi erano arrivati in automobile, l'altro in treno con un lunghissimo viaggio.
In un pomeriggio resosi anticipatamente libero salirono a San Marino, su cui e sulle cui viste panoramiche ci si potrebbe anche dilungare, ma fu nel ritorno, quando si fermarono a cena in un ristorante in una collina di Romagna, che rifulsero le competenze gastronomiche del genovese, il quale una volta di più selezionò specialità locali per tutti, piatti, invero, non molto apprezzati dal ponentino. Quel personaggio, perso di vista da tempo, è così, tale da fare spaziare la sua grande cultura dalle vette della storia e della letteratura, passando per aspetti di sociopolitica, alla ricerca di piatti tipici del territorio. Il sanremasco, del resto, avrebbe a lungo usufruito del suo prezioso prestito di ambìti libri di storia.
 

Rimini: Castel Sismondo. Foto: Eleonora Maini

Rimini: una sala del Museo Fellini. Foto: Eleonora Maini

Nel rientrare in Liguria i genovesi diedero un passaggio al ponentino sino a Ravenna, alle cui porte insieme ammirarono le meraviglie di Sant'Apollinare in Classe. Rimase nella bella città il sanremasco a fare il turista - Mausolei di Teodorico e di Galla Placidia, altre basiliche, altri mosaici, palazzi, la tomba di Dante - per mezza giornata, indifferente al fatto che gli altri due si sarebbe fermati a fare rifornimento - guarda caso! - di prodotti culinari nelle parti inferiori di Val Taro in provincia di Parma, contrada di origine del padre. E dimenticandosi di visitare Rimini!

Qualche mese prima, dopo il congresso nazionale, solo il ponentino, invece, visse con esponenti della sua associazione provinciale una singolare esperienza a Roma in Trastevere.



I tre furono spesso insieme a Nizza.
Dalle parti di Le Méridien Le Ruhl, passeggiando, risultarono memorabili le battute rivolte dal genovese all'indirizzo di un responsabile di banca, che aveva aperto una forte collaborazione in loco con la compagine del nostro trio, un uomo, superiore diretto in quel periodo di Arturo Viale, ma persona molto attenta alle grazie muliebri.
E fu sempre per un'idea di quel genovese che a un dato momento si fece dono al console generale d'Italia, in quell'edificio dove aveva lavorato anche Antonio Aniante e dove altri pasticciavano con i ritrovati cibernetici, si fece dono di alcune bottiglie di vino Rossese di Dolceacqua, letteralmente sottratte, data la scarsa produzione, alla famiglia di una collega: è quasi superfluo aggiungere che quel nettare fu molto apprezzato.

Con altri in una certa occasione i tre banchettarono,  per via delle aderenze toscane dell'ospitante, in una casa di Genova a base di lardo di Colonnata e di altri freschi derivati dalla macellazione del maiale.

Firenze: il Duomo. Foto: Gian-Maria Lojacono


Anni prima a Firenze il mentovato non genovese fece da cicerone non solo per la storia ed i monumenti della città, che il ponentino già conosceva bene per i fatti suoi, ma pure - una mania! - per la tavola: va aggiunto che a Genova poteva magari condurre i suoi ospiti in una trattoria sarda, ma qualche prelibatezza, magari in sgangherate locande, la fece pure assaggiare. A tacere dei passaggi, prima delle riunioni, in rinomate pasticcerie del centro storico, certo non solo per dei caffè.

Anche altri colleghi apparivano tipi curiosi. Tra i non funzionari, il dirigente che a suo dire avrebbe giustificato assenze dal lavoro di suoi subordinati se dovute ai piaceri di Venere o un altro che in assise in sala pubblica non lontana dal Priamar di Savona si faceva notare, pur indossando abito estivo con cravatta di rigore, per l'assenza dei calzini ai piedi. Tra i funzionari, chi collezionava con passione orologi, chi pedalava dal Savonese al confine con la Francia, ma senza passare a salutare gli omologhi imperiesi, chi, incrociato in Alta Val Tanaro, si manifestava infastidito, quasi fosse stato in vacanza non autorizzata.

Adriano Maini

sabato 16 agosto 2025

A Marineland

 


Poteva capitare a visitatori occasionali di Milano, magari proprio (come nel film tra breve citato) dalle parti del Duomo, quando non era ancora stata introdotta la Zona a traffico limitato (ZTL), di essere interpellati in mezzo alla nebbia per indicazioni stradali da automobilisti di passaggio, per il colmo anche romani, quasi a rievocare il finale di una pellicola anni Cinquanta (Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo diretto nel 1956 da Mauro Bolognini) con protagonista, soprattutto nel finale, Alberto Sordi. Questi nella parte - come solo può capitare nella fantasia del cinema - di un vigile urbano saccente trasferito nella metropoli lombarda, dove dovrebbe aver raggiunto il culmine della soddisfazione professionale, dopo aver risposto nella scena, già in qualche maniera evocata, alle richieste di giovanotti dell'Urbe in transito da quelle parti, prima sfoggia sussiego pronunciando tra sé e sé parole in dialetto meneghino tipo "El Domm", "el panetùn", "el ghisa" (poliziotto municipale), per poi arrendersi alla lacrimevole esclamazione "el magùn", che, tuttavia, gli ambrosiani veraci dovrebbero pronunciare come "me vegn el magon".

Genova: uno scorcio di Piazza De Ferrari

A metà del primo decennio di questo secolo poteva capitare - come in effetti successe - a Genova, città di persone austere e ancor più frettolose dei milanesi, di vedere un noto industriale obbligare la scorta a fare dietrofront nella strada che dall'ala orientale del Teatro Carlo Felice porta a Piazza De Ferrari, giusto per fare il galante con una giovane signora che insieme ai colleghi di una comitiva di piccoli imprenditori imperiesi si stava recando al parcheggio sul marciapedi transennato a causa dell'evento da cui era sbucato il nostro personaggio. Quest'ultimo, a varco infine libero, un centinaio di metri dopo, prima di tornare nella sua opposta direzione reclamava - accettato - di poter dare un bacetto, prontamente richiesto anche da una graziosa cinquantenne del gruppo ponentino: il tutto sotto gli sguardi sornioni dei colleghi delle due donne e forse pure oggetto degli scatti, mai pubblicati, della fotocamera di un telefonino.

Poteva capitare nel 1997 a Roma ad altri di quella compagine di incrociare il menzionato tycoon aggirarsi con fare annoiato nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, nella cui piazza era arrivato in sella a rombante motocicletta, accompagnato dalla fidanzata dell'epoca, nota attrice di origine straniera, che fece in tempo in chiesa a scambiare uno sguardo assassino con un quasi cinquantenne imperiese, presente per combinazione a questo ed al precedente episodio: mancavano, invero, a commentare il tutto alcuni salaci compari del rione, discreti emuli di Petrolini, che con le loro battute micidiali avevano deliziato in un bar all'aperto di quella zona altri ponentini di quel sodalizio nell'afoso luglio di qualche anno prima.

L'interno di un ristorante di Marineland, in occasione di un incontro professionale, nei primi anni Novanta - Foto Moreschi

Poteva capitare, più o meno in quel torno di tempo, che, per lo stupore soprattutto degli ospiti imperiesi, le grida delle orche di Marineland, il più grande parco marino d'Europa situato ad Antibes, da poco, però, chiuso, di tanto in tanto sovrastassero il brusio delle conversazioni di una riunione più o meno professionale, in qualche modo indotta - al pari di altre, successive - dalle conoscenze di un quotato commercialista sanremese, che uno studio associato non lo ebbe solo a Nizza, ma anche in Corsica.


Può oggi capitare di sentire inediti su racconti già fatti, rievocare vecchie altrui storie giovanili piccanti, recuperare immagini e scritti quasi d'epoca.

Adriano Maini

sabato 1 giugno 2024

La focaccia di Finale

 

Genova: la stazione ferroviaria Piazza Principe

"La campana fa din din don e il galletto fa chicchirichì", così più o meno a metà degli anni Cinquanta sull'aria di una canzone in voga cantava a squarciagola l'addetto ad un carrello di vivande e di altri generi di conforto, muovendosi lungo il marciapiedi di una imprecisata stazione ferroviaria in provincia di Savona. Forse si trattava di quella di Finale Ligure ed allora fra le cose buone che vendeva quel giovanotto spiccava una deliziosa focaccia di cui molte persone tramandano ancora adesso il goloso ricordo: tra questi in almeno un suo racconto Arturo Viale.

Molto noto era - forse, lo è ancora - specie per i passeggeri provenienti dalla provincia di Imperia il bar della Cooperativa Portabagagli della Stazione Piazza Principe di Genova, situato a settentrione del corridoio porticato che funge da facciata ed ingresso al maestoso edificio. Buona anche lì la focaccia, ma l'attrattiva del locale era per chi non si fosse rifocillato in treno la possibilità di farlo appena disceso. Per non dire dei prezzi concorrenziali praticati un tempo anche ai non soci.

La stessa cosa avveniva nella confinante mensa del Dopolavoro Ferrovieri, molto elogiata per la buona cucina, che riservava in ogni caso ai ferrovieri le tariffe migliori, come facevano e come, per quanto si sa, fanno ancora le strutture gemelle in tutta Italia.

Per accedere ai similari locali - di antica eleganza - di Milano si passava un tempo davanti alle vetrine di una sorta di piccolo Museo delle Cere, che adesso si trova a Gazoldo degli Ippoliti in provincia di Mantova.

Le Mense dei Dopolavoro Ferrovieri erano a volte ubicate molto lontane dai binari: quella di Roma negli anni Sessanta era allocata in un palazzo antico, posto a sinistra della Stazione Termini, accessibile da una lunga scalinata al termine della quale, voltandosi, si potevano ammirare le Mura Serviane.

Da una rapida ricerca sul Web sembra che molte situazioni siano cambiate, ma pare anche che molte informazioni siano frammiste ad altre, attinenti le trasformazioni in veri e propri centri commerciali delle principali stazioni del Paese, per cui non risulta agevole discernere nei dettagli l'odierno stato dell'arte.

A Ventimiglia, come ben si sa, la palazzina del Dopolavoro Ferrovieri è ancora adibita alle sue storiche funzioni. Pensando al salone del primo piano, tuttora sede di svariate iniziative, vengono in mente tante storie passate...

Adriano Maini

sabato 18 maggio 2024

Rosso, bianco e...

Sanremo (IM): la ormai dismessa vecchia stazione ferroviaria

A metà anni Cinquanta per i conduttori della linea ferroviaria Ventimiglia-Genova era normale scambiare qualche parola quando verificavano i documenti permanenti di viaggio di deputati e di senatori, tutte persone affabili, tutte vestite modestamente: era particolarmente cordiale un parlamentare democristiano di Savona che talvolta indossava un abito che presentava il rammendo di qualche strappo.

Sempre in quel torno di tempo - ma ancora dopo -, era illegare distribuire volantini politici sui treni. Ma non solo in tali casi. Ancor più si affrontavano i rischi di sanzioni se tali operazioni le facevano italiani in territorio francese. Capitava a militanti comunisti della zona di Ventimiglia (come di altre zone di frontiera, specie quelle con la Svizzera) correre di tali alee in occasione del rientro in patria (quella vera! quella del cuore e degli affetti umani!) su strada ferrata di migliaia e migliaia di connazionali emigrati per le elezioni politiche, che, invero, usufruivano degli sconti - riduzione a metà - sui prezzi dei biglietti, ma indubbiamente affrontavano spese non indifferenti - ancorché motivate anche dalle visite ai loro cari rimasti nel Paese e/o ai loro luoghi - per i magri bilanci familiari dell'epoca. Ad attendere i citati attivisti "rossi" alla stazione di Sanremo in tante occasioni era Libero Alborno, il Libero de "La curva del Latte" di Nico Orengo, che, quale personaggio reale, probabilmente sapeva di essere schedato dalla CIA perché organizzatore di attraversamenti clandestini oltre confine di repubblicani spagnoli e di altri profughi politici, come già prima, insieme a Luigi Lorenzi, detto "Luigiò", di quelli di ebrei, stranieri e non, in fuga per le leggi razziali di Mussolini. Ma di Libero manca tuttora una storia per così dire ufficiale, dalla sua attività - già avviata dal padre - di ibridazione di rose alla sua presenza nel primo e nel terzo - l'ultimo - CLN di Ventimiglia e tanto altro ancora, mentre nella tradizione popolare il ricordo che si tramanda di lui è quello di generoso benefattore.

I giovani della Federazione Giovanile Comunista di Roma attorniavano attenti - in quella primavera del 1971, all'indomani di quella imprevista, straordinaria e storica nevicata, in quel giardino della scuola di Partito delle Frattocchie - un sorridente Angelo Oliva con l'eterna sigaretta Gitanes Maïs in bocca.

Il funzionario comunista imperiese - alla svolta degli anni Ottanta - sosteneva con il suo accompagnatore che il deputato comunista di Nizza, già segretario di quella Federazione, gli ricordava molto un bandito corso.

Ai tempi dello scandalo sessuale di Gary Hart - del quale ancor oggi si scrive che senza le citate attenzioni mediatiche sulla sua vita privata avrebbe tranquillamente vinto nel 1988 le elezioni a Presidente degli Stati Uniti - il futuro deputato, poi senatore, democristiano, professore universitario, affermava bonariamente in amabile conversare per una via della cittadina intemelia che in Italia Hart non solo avrebbe potuto candidarsi, ma avrebbe anche riscosso un grande successo.

Il funzionario della Chambre de Métiers et de l'Artisanat delle Alpi Marittime teneva nel suo ufficio di Saint Laurent du Var un vecchio calendario de "Le Patriote", periodico dei comunisti locali, tuttora edito online. Il visitatore italiano lo riconobbe come tale, ma il collega francese fece mostra di non avere inteso. Mesi dopo quel documento non appariva già più. Di sicuro l'ambiente dei dirigenti dell'Artigianato del Nizzardo non era - e non è - dei più progressisti.

Si potevano - se di ritorno dalla capitale - incontrare al bar dell'aeroporto di Fiumicino il deputato di Imperia ed il senatore della zona, leghisti, eletti nella tornata del 1994: esempi di uomini politici scomparsi da tempo dalla scena.

Adriano Maini

domenica 19 novembre 2023

La nascita dei GAP


Il 20 settembre 1943 a Milano in casa dei coniugi Morini nacque il Comando generale delle Brigate Garibaldi, alla presenza di Massola, Roasio, Novella, Negarville, Scotti, appena rientrato dalla Francia, e Secchia, giunto da Roma. Nei giorni successivi sarebbe arrivato anche Longo, mandando Negarville a Roma e assumendo la responsabilità militare delle Brigate del Pci, mentre Secchia era incaricato della guida politica. Nonostante la mancanza di un'effettiva struttura di partito in Italia, si scelse di rompere l'attesismo e lanciare nell'immediato l'attacco all'occupante e al suo collaboratore. Pur con supporti logistici da socialisti e azionisti, in Italia come in Francia, i comunisti risultano gli unici fautori del terrorismo urbano, mentre gli altri partiti antifascisti "non sono convinti della sua produttività, in termini di consenso da parte dei cittadini, e della praticabilità, in termini morali, del terrorismo urbano" <16. Per il PCI invece, l'esperienza di vita clandestina e di lotta in Francia fu di centrale importanza nella decisione di ricorrere a tale pratica, di cui conosceva già le modalità e i fini, ma anche i rischi e le difficoltà. La scelta di ricorrere alla guerriglia in città fu adottata consapevolmente, in accordo con il comportamento dei comunisti a livello europeo e con la convinzione di costituire l'avanguardia del movimento operaio nella liberazione. Una filiazione delle azioni dei GAP da quelle dei FTP, un filo diretto com'è dipinto da Amendola nel suo panegirico di Ilio Barontini, può forse essere valido sul piano strettamente personale, apparirebbe invece sul piano storiografico un salto deduttivo, in relazione alle scarse informazioni ufficiali sull'operato degli italiani a Marsiglia.
Per Amendola "l'azione all'albergo Terminus divenne l'azione compiuta dai Gap romani contro l'albergo Flora, con la stessa tecnica e l'ordigno gettato davanti alla coda della casa di tolleranza di Marsiglia, divenne l'ordigno gettato da Bentivegna davanti al cinema Barberini a Roma" <17.
Questi eventi potevano forse essere legati nella memoria del protagonista, che si servì del precedente di alcune azioni realizzate in Francia da comunisti italiani per la guerriglia in patria, ma, in assenza di testimonianze e riscontri documentari, tali parallelismi non possono valere sul piano storiografico. Si può tuttavia riconoscere che le strutture di un organismo già noto servirono da modello alla preparazione delle squadre deputate al terrorismo nelle città italiane. Santo Peli riconosce l'imprescindibilità dell'esperienza francese all'inizio della sua storia dei GAP, asserendo che "senza questi dirigenti, senza l'esperienza della concreta organizzazione della lotta armata nelle città di Lione, a Marsiglia, progettare la formazione dei Gap sarebbe stato impensabile" <18.
I comunisti passati per la Francia costituirono lo scheletro dei Gap ma dovettero scontrarsi in Italia con i nodi già presentatisi ai comunisti francesi, il timore delle rappresaglie, l'impreparazione della classe operaia italiana a questo tipo di lotta, la scarsità cronica dei reclutati. Com'era successo oltralpe infatti, la previsione di versare alla lotta armata in città il 10% dei propri effettivi fu impossibile da realizzare per tutta la durata dell'occupazione. La direzione comunista decise comunque che bisognava agire e i più versati nella lotta armata furono impiegati nell'attuazione della direttiva, colpire e sabotare il nemico in città sin dalle prime settimane. Anche i problemi logistici sorti in Francia, la necessità di documenti falsi, armi, vettovagliamenti e appartamenti, si ripresentarono in Italia, aggravati però dalla mancanza di una struttura clandestina preesistente alla lotta, come quella del PCF. I finanziamenti per i Gap vennero dai contributi richiesti ai tesserati al partito, ma anche dalle cosiddette azioni di recupero, ovvero rapine in banca o assalti alle caserme fasciste, esponendo i patrioti alla mescolanza con criminali comuni e con individui di dubbia moralità.
Ad ogni modo, il 25 ottobre Longo, telegrafando a Mosca sulle novità dell'estate e l'armistizio, poteva riferire sinteticamente "Sta nascendo la guerriglia" <19. Infatti le risorse umane più attive del partito erano mobilitate: sotto la guida di Longo e Secchia, Scotti era ispettore generale incaricato dell'organizzazione della lotta in Piemonte, Lombardia e Liguria, mentre a Roasio spettavano il Veneto, l'Emilia e la Toscana. Ritroveremo molti dei militanti addestrati in Spagna e Francia incaricati della costituzione delle singole brigate, mentre Ilio Barontini, prima di assumere la responsabilità militare in Emilia, viaggiò nelle principali città italiane per dare consigli ai comandanti di formazione e insegnare come fabbricare gli ordigni. Come in Francia quindi, non si attese di avere i mezzi e gli uomini necessari alla lotta, ma furono ampiamente dispiegate le risorse disponibili, nella convinzione che bisognasse agire subito, poiché spettava al partito il compito di innescare la miccia per l'azione delle masse.
Il 24 ottobre Ateo Garemi e l'anarchico Dario Cagno colpirono a morte Domenico Giardina, seniore della Milizia a Torino, e, catturati in seguito all'azione, lasciarono spazio al I Gap del Piemonte, guidato da Giovanni Pesce. Le prime azioni di Garemi e Cagno, che, pur avendo avuto contatti con il partito, non ne dipendevano, rientravano nell'ambito di azioni di disturbo da parte di un gruppo anarco-comunista, i cui obiettivi risultavano abbastanza casuali, come per altre cellule autonome, ad esempio Stella Rossa. Appunto per portare sotto la propria autorità la lotta urbana, il PCd'I convocò a Torino Remo Scappini in qualità di responsabile federale, Arturo Colombi, responsabile regionale, e Romano Bessone, commissario politico dei Gap per la città <20. Tutti e tre militanti di vecchia data, i primi due passati per Mosca, per l'emigrazione in Francia e la detenzione a Civitavecchia, Colombi anche per il confino a Ventotene. Bessone invece era nato nel vercellese nel 1903, operaio comunista dalla gioventù, era stato deferito al Tribunale Speciale nel 1927 per aver partecipato ad una riunione comunista nei pressi di Torino. Resosi latitante, fu arrestato il 25 ottobre 1930 e condannato a 16 anni di reclusione e 3 di libertà vigilata, ridotti poi a 7 per amnistia, fu scarcerato nell'ottobre 1935. Al momento dell'arresto dichiarò di essere tornato da Mosca e fu trovato in possesso di volantini comunisti. Durante la reclusione, a partire dal '32, gli fu impedito di tenere corrispondenza con Elodia Malservigi, dattilografa residente in Russia che dichiarò di aver sposato con rito sovietico a Nowieltz nel 1928. La sua scheda personale riporta che in carcere "tenne cattiva condotta politica, appalesandosi pericolosissimo comunista. Pertanto è stato incluso nel 2° elenco di sovversivi pericolosi da arrestare in determinate contingenze" <21. Infatti, dopo l'ingresso in guerra, il 20 luglio 1940, era stato inviato al confino a Ventotene, dove aveva ripreso contatto con i dirigenti confinati e da cui sarebbe stato liberato nell'agosto '43, poche settimane pima di ricevere la responsabilità della formazione dei Gap torinesi. La direzione fu invece affidata al venticinquenne Giovanni Pesce, che abbiamo incontrato tra i giovani accorsi in Spagna sette anni prima. Al rientro in Francia era tornato dalla famiglia nella regione della Gran Combe ma, vista la difficoltà di trovare lavoro e il timore di essere internato per la propria condizione di straniero comunista, entrò clandestinamente in Italia e fu arrestato a Torino il 23 marzo 1940. Trasferito a Ventotene sei mesi dopo, vi trovò compagni vecchi e nuovi: "Terracini, Scoccimarro, Secchia, Roveda, Frasin, Camilla Ravera, Spinelli, Ernesto Rossi, Li Causi, Pertini, Bauer, Curiel, Ghini" <22. In assenza di militanti provati da versare alla nascente formazione, Bessone e Pesce si volsero agli appartenenti a queste cellule di fabbrica spontanee, comuniste ma non legate alla linea di partito, reclutando giovani provenienti soprattutto dall'ambiente operaio.
In Lombardia invece, il comando regionale era assegnato alla metà di ottobre a Vittorio Bardini, responsabile politico, a Cesare Roda, responsabile tecnico, e ad Egisto Rubini, addetto alle operazioni. Il profilo di questi uomini è quello spesso incontrato nel nostro percorso: tutti sopra i 35 anni, divenuti nell'esilio rivoluzionari professionali, passati per la Spagna, e Rubini anche per i FTP del Sud della Francia. In questi parametri generali rientravano tutti i comandi regionali e i principali istruttori dei distaccamenti, che si esposero in un primo momento per dare l'esempio ai nuovi, sotto i trent'anni, che sarebbero stati i fautori del terrorismo urbano. Il primo obiettivo di grande rilievo fu Aldo Resega, responsabile della federazione del fascio a Milano, colpito dal primo nucleo operativo dei GAP milanesi, che sarebbe diventato il distaccamento Gramsci (Validio Mantovani Barbisìn, Carlo Camesasca Barbisùn, Antonio La Fratta Totò e Renato Sgorbaro Lupo). Come rileva Borgomaneri, autore del lavoro più completo sul terrorismo urbano a Milano, "il primo gappismo milanese nasce dalla fabbrica e affonda le proprie radici in quell'oscuro lavoro di agitazione, di propaganda e di proselitismo che l'organizzazione comunista è riuscita a tessere nel ventennio,[inoltre…] la prima forza combattente dei Gap è costituita da operai non più giovanissimi" <23. Essi erano infatti tutti operai dell'area di Sesto San Giovanni, il più giovane, Mantovani, aveva 29 anni, il più anziano, La Fratta, 35. I ragazzi, inesperti poco più che ventenni, sarebbero subentrati tra il gennaio e la primavera. Il 18 dicembre 1943, in concomitanza con uno sciopero che bloccava da giorni i principali stabilimenti milanesi, il federale venne atteso all'uscita della propria abitazione. La Fratta e Mantovani erano di guardia, uno accanto al portone e l'altro all'angolo della via, Camesasca e Sgorbaro nei pressi di un edicola leggevano un giornale, dietro il quale erano nascoste le armi. Resega venne colpito nel momento in cui il proprio cammino incrociava quello dei terroristi, che si affrettavano poi a raggiungere le biciclette e fuggire nel trambusto creato dagli spari. Le prime azioni, spesso improvvisate, rappresentavano per questi militanti, provati ma non temprati nella lotta, una prova del fuoco, lo scoglio da superare per altre azioni. Borgomaneri individua alla fine del '43 due distaccamenti, il Gramsci di Mantovani e il Cinque giornate di Oreste Ghirotti, composti ciascuno da tre squadre. Con le azioni iniziarono però anche le prime cadute. Il 19 dicembre Arturo Capettini, addetto alla logistica e ai rifornimenti di armi, fu arrestato. In seguito al rinvenimento di materiale bellico ed esplosivo nel suo magazzino di riparazione per biciclette, esso divenne una trappola per alcuni ragazzi del Cinque giornate, come Stefano Brau e Augusto Mori. L'individuazione di Sgorbaro portò inoltre all'isolamento del gruppo di Sesto, lasciando spazio alle azioni dei distaccamenti Matteotti e Rosselli, autori in gennaio di attacchi nei ritrovi tedeschi e mordi e fuggi in bicicletta. All'inizio di febbraio, per l'omicidio del nuovo questore di Milano, Camillo Santamaria Nicolini, fu richiamato il distaccamento Gramsci, del quale Camasasca e Mantovani erano stati promossi responsabile militare e politico. In questa fase più avanzata della guerriglia in città però, le autorità non si muovevano a piedi senza protezione: il piano prevedeva perciò di colpire Nicolini in auto da un'altra auto in corsa, una lancia Aprilia appositamente rubata a due tedeschi. L'azione, affidata ai giovani di Niguarda (Elio Sammarchi, Dino Giani e Sergio Bassi) ricorda ancora una volta come la riuscita di un colpo fosse questione di attimi, in cui non mancava l'intervento del caso. Un tram si interpose tra le due vetture e una frenata dell'autista di Nicolini impedì che venisse colpito. L'ultima azione di questa prima fase del gappismo milanese fu un attacco alla casa del fascio di Sesto San Giovanni il 10 febbraio 1944, compiuto con l'aiuto di un operaio della Breda infiltrato, Lacerra. Egli però, invece di lasciare la città (come previsto) si recò sul proprio posto di lavoro, dove fu arrestato due giorni dopo, portando ad una catena di arresti e delazioni che sbaragliò i gruppi di città, giungendo sino al vertice con la cattura di Bardini, Roda e Rubini. Quest'ultimo e Ghirotti si suicidarono in carcere dopo giorni di tortura. Il terrorismo urbano a Milano si sarebbe riacceso in estate, grazie alla riorganizzazione di Giovanni Pesce, che nell'inverno '43 era però ancora a Torino.
[NOTE]
16 Santo Peli, Storie di Gap, op.cit., pag. 31.
17 Amendola, Comunismo, Antifascismo, Resistenza, op.cit., pag. 364.
18 Santo Peli, Storie di Gap, op.cit., pag. 33.
19 Longo, op.cit., pag. 100-101.
20 Nicola Adduci, Il mito e la storia: Dante Di Nanni, in Studi Storici, fascicolo 4, settembre-ottobre 2012, pag. 260-262.
21 Acs, Cpc, fascicolo personale, busta 591
22 Giovanni Pesce, Senza Tregua. La guerra dei GAP, Feltrinelli, Milano 1967, pag. 161.
23 Luigi Borgomaneri, Due inverni, un'estate e la rossa primavera. Le Brigate Garibaldi a Milano e provincia. 1943-1945, Franco Angeli, Milano, 1995, pag. 24.
Elisa Pareo, "Oggi in Francia, domani in Italia!" Il terrorismo urbano e il PCd'I dall'esilio alla Resistenza, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, 2019

venerdì 3 marzo 2023

La De Giorgi, rievocando il suo rapporto con Calvino, dedica un intero capitolo al loro usuale ritrovo a Caponero

Ospedaletti (IM): il mare davanti a Capo Nero

Negli anni dal 1954 al 1956 per incarico dell’editore Einaudi Calvino si dedicò ad un importante studio filologico: raccolse e riscrisse le Fiabe italiane, servendosi del lavoro di Cocchiara e di Pitré, i due insigni studiosi di tradizioni popolari italiane. Mancava in Italia una raccolta tanto minuziosa ed esauriente del patrimonio popolare fiabesco quale esisteva in altri paesi, per esempio in Germania, già da centocinquant’anni.
Questi furono anche gli anni della relazione sentimentale con l’attrice Elsa de' Giorgi (dal 1955 al 1958), di cui si conserva un importante epistolario. Maria Corti, che conosce quelle lettere per averle ricevute in consegna dalla stessa de’ Giorgi, lo presenta:
"L’epistolario, giacente dal novembre 1994 nel Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia, consta di 297 lettere di Calvino alla De Giorgi, tutte di rilevante lunghezza, delle quali 144 (dal giugno del ’55 alla fine estate del ’58) sono state sigillate, in base alle disposizioni dei Beni Culturali sugli epistolari, per 25 anni, periodo per il quale non sono quindi consultabili né descrivibili, dato il carattere privato delle missive. Postillerei solo che si tratta forse dell’epistolario più bello, così lirico e drammatico insieme, del Novecento italiano". (CORTI, M., 1998: 301)
Annalisa Piubello, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016
 
Nell'opera "Gli amori difficili" sono presenti anche dei racconti che implicitamente contengono dei riferimenti autobiografici alla vita dello stesso Calvino e in particolare alla sua relazione amorosa con l'attrice Elsa de' Giorgi <113, come "L'avventura di un viaggiatore" e "L'avventura di un poeta". Il primo dei due testi ha come protagonista Federico, un uomo che abitualmente compie lunghi viaggi in treno durante la notte per raggiungere Roma, dove vive la fidanzata Cinzia
[...] Paradossalmente, quando nel finale del racconto il protagonista arriva a Roma e incontra Cinzia, viene travolto da insicurezze e paure che oscurano il senso di pienezza provato durante il viaggio e che gli impediscono di spiegare all'amata perché preferisce la notte trascorsa sul treno circondato da oggetti simbolici e familiari ai giorni frenetici e caotici vissuti con la donna reale; ancora una volta l'uomo è quindi incapace di spiegare il suo appagamento e la totalità del suo desiderio poiché esso rappresenta un'esperienza ineffabile, una visione intima e personale dell'amore.
[...] Anche nel testo "L'avventura di un poeta" è presente l'elemento autobiografico, poiché il viaggio in barca del protagonista Usnelli insieme all'amata Delia richiama le ore estive trascorse da Calvino e da Elsa de' Giorgi «in her small boat swimming and exploring the Ligurian coast» <118, e la figura del poeta sembra in un certo senso rappresentare l'alter ego dell'autore. Il nucleo centrale del racconto consiste nella lotta insanabile tra l'ineffabile esperienza amorosa e la volontà di esprimerla attraverso il linguaggio <119. Il protagonista e la donna amata stanno infatti esplorando una piccola isola a bordo di una barca, ma, nonostante entrambi stiano osservando lo stesso paesaggio, le loro reazioni e le modalità di esprimere lo stupore che provano sono nettamente differenti. Mentre Delia dà voce a tutto il suo entusiasmo urlando di gioia e recitando poesie, Usnelli non riesce a pronunciare nemmeno una parola perché sente che il linguaggio sarebbe completamente inadeguato davanti allo splendore della natura e potrebbe violare il senso di meraviglia che il protagonista prova dentro di sé; lui infatti si rende conto che nella sua attività di poeta non ha mai dedicato nemmeno un verso alla felicità, allo stupore, all'amore, a quelle esperienze umane positive che vanno al di là del mondo delle parole e che risultano inesprimibili.
[...] Il legame tra l'autobiografia dello scrittore e i personaggi del romanzo è ben visibile se si osserva la protagonista femminile dell'opera e la sua connessione con Elsa De' Giorgi, la donna che ha rappresentato per lo scrittore il vero amore e che «sopravvive nella Viola del 'Barone rampante', nella Claudia della 'Nuvola di smog', nei personaggi femminili della serie di racconti 'Gli amori difficili'» <130. L'attrice italiana presenta infatti dei tratti in comune con varie figure femminili della narrativa calviniana, ma essi diventano evidenti e più espliciti nel caso di Viola, perché l'amore tra lei e Cosimo richiama fortemente la relazione tra Elsa De' Giorgi e Calvino.
[...] Le somiglianze tra Elsa e Viola sono numerose: le due donne sono bionde, voluttuose, civettuole e desiderano vivere in modo agiato e confortevole; entrambe inoltre suscitano nel compagno un sentimento di rabbia e di gelosia molto forte a causa del loro modo di fare quando sono in compagnia di altri uomini. Al di là dei singoli elementi di correlazione tra le due figure <132, ciò che più è interessante constatare è il fatto che il riferimento fortemente autobiografico nella costruzione del personaggio femminile dimostra la centralità della donna nell'opera e la sua complessità, frutto appunto di numerosi elementi combinati tra loro, tra i quali quelli ricavati dalla vita privata dell'autore e dalla sua relazione con l'amata.
[NOTE]
113 Per un approfondimento della relazione amorosa tra Elsa de' Giorgi e Italo Calvino e dei riferimenti autobiografici connessi a questo rapporto nelle opere dello scrittore si rimanda a E. DE' GIORGI, Ho visto partire il tuo treno, Milano, Leonardo, 1992, e al saggio M. CORTI, Un eccezionale epistolario d'amore di Italo Calvino, contenuto in G. BERTONE (a cura di), Italo Calvino. A writer for the next millennium, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1988.
118 B. TOMPKINS, Calvino and the Pygmalion Paradigm, cit., p. 67.
119 Per approfondire il concetto calviniano della lotta tra l'esperienza amorosa umana e la sua espressione si rimanda a I. CALVINO, Otto domande sull'erotismo, «Nuovi Argomenti», n. 51-52, luglio-ottobre 1961.
130 D. SCARPA, Italo Calvino, Milano, Mondadori, 1999, p. 20.
132 Per un maggiore approfondimento dei tratti di somiglianza tra Elsa e Viola si rinvia a E. DE' GIORGI, Ho visto partire il tuo treno, cit., e al saggio M. CORTI, Un eccezionale epistolario d'amore di Italo Calvino, cit.
Giulia Zanocco, I personaggi femminili nella narrativa di Italo Calvino: stereotipizzazione e complessità, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2019-2020

Ospedaletti (IM): pini a Capo Nero

Le vicende biografiche che legano Calvino all'America latina sono note: la nascita a Santiago de Las Vegas, il matrimonio con la traduttrice argentina Esther Singer, i viaggi a Cuba (1964), in Messico (1964 e 1976) e in Argentina (1984). Calvino rientra in Italia a tre anni, ma ricorda come nel pastiche linguistico del padre entrasse anche la lingua di paesi presso cui questi lavorò tra il 1909 e il 1925. [6]
[6] Cfr. la lettera ad Elsa de' Giorgi del 6/1/1958, allorché Calvino descrive il proprio rapporto con la lingua scientifica usata dalla madre ed il pastiche linguistico del padre; l'occasione è una riflessione sul lessico botanico, avvertito da Calvino come impoetico. "Questo principio che non potevo naturalmente giustificarmi mi si configurava - di fronte al culto di mia madre per l'esattezza della terminologia - come una colpa, in modo tanto grave da vietarmi di distinguere - cioè di avere il bisogno di dar loro un nome - le piante, di considerarle nella loro specifica diversità. Quindi per farmi imparare la botanica avrei avuto bisogno di un precisissimo raffinamento e decadentismo letterario in modo d'apprezzare il pastiche polilinguistico, e trovare ad esempio una contraddittoria coerenza nel linguaggio di mio padre, misto di termini scientifici, dialettali, spagnoli, italiani, inglesi, in cui tutto diventava riconoscimento d'una rigorosa unità stilistica; ad apprezzare il pastiche fatico molto di più. Quindi posso dire che non ho mai imparato la botanica per la stessa ragione per cui mi riesce difficile apprezzare C.E. Gadda". Qui citato da M. CORTI , Un eccezionale epistolario d'amore di Italo Calvino, in Italo Calvino, a writer for the next millennium, a cura di G. Bertone, Edizioni dell'Orso, Alessandria, 1998, p. 305
Luigi Marfè, Il sapore del Messico e altre cose. Italo Calvino e le letterature iberiche, Artifara, 5, 2005     

Ospedaletti (IM): scogli a Capo Nero

Tuttavia c'è anche il Calvino "lirico": nessuna delle trecento lettere che lui scrisse all'attrice Elsa De Giorgi durante la loro intensa relazione negli anni '50 si può trovare in questa collezione.
[...] In un periodo storico intellettualmente importantissimo come quello del secondo dopoguerra, Calvino era il Calvino de "Il Midollo del leone", il Calvino dirigente dell'Einaudi e quello che abbandonò il Pci; era il Calvino delle "Fiabe italiane" che hanno consolidato l'immagine di un Calvino "favolista"; il Calvino del "Barone rampante" e della "Speculazione edilizia"; il Calvino della "Nuvola di Smog" e del "Cavaliere inesistente". Quindi, forse, è in queste lettere che si potrà rintracciare il Calvino più autentico e vulnerabile che ad Elsa De Giorgi ha dedicato i libri più belli, liberi, liberatori che abbia scritto, quelli che ben giustificano la sua fama e il suo valore.
Calvino aveva sempre considerato l'amore come cosa secondaria ed accessoria, non certamente essenziale per la vita completa di un poeta, aveva sempre pensato che altro non fosse che un elemento esistenziale vissuto nell'ambito della nostalgia e del desiderio. Dopo l'incontro amoroso con la De Giorgi egli prende coscienza di qualcosa di nuovo: l'amore arricchisce la vita e aumenta la sete di essa. Si vedrà dunque, nei capitoli successivi, come molte osservazioni importanti per comprendere l'opera calviniana siano disseminate nelle epistole amorose, ma si constaterà anche quanto queste analisi risultino solo un assaggio di quello che in realtà è tenuto ingiustamente nascosto da leggi che impediscono la conoscenza di elementi preziosi alla comprensione di uno scrittore come Calvino e al sommuoversi del suo linguaggio. Man mano che Calvino si convince della portata di questa nuova visione, lascia spazio ad un Calvino nuovo, ottimista, il più adorabile forse, il Calvino del gioco, dell'umorismo sapiente ed innocente, quello che secondo la De Giorgi scriveva disegnando avvenimenti e stati d'animo, con una grazia di cui è un delitto non poter portare a conoscenza i lettori.
Il fatto che la sua opera sembri sortita, per molti critici, dalla naturalezza di uno scrittore sapiente, destinato ad esserlo senza l'assillo di una propria storia umana, secondo la De Giorgi a Calvino non sarebbe piaciuto per niente. Quindi, contro l'immagine più nota dello scrittore timido, sognante, appartato e capace di un grande rigore intellettuale, appare un Calvino passionale, umorale ed irrequieto.
'Quello che è avvenuto dopo la morte di Calvino, l'inconcludenza con la quale si è girato intorno alla sua opera, rispecchia una crisi intellettuale generazionale, giunta al suo culmine, non certo per rovelli stilistici ai quali, per la verità, con Garboli solo Citati pose attenzione in uno degli articoli scritti a caldo dopo la sua morte, (…) ma per la sbrigatività con la quale si liquidò Calvino monumentalizzandolo perentoriamente in quella classicità di gesso che era precisamente l'opposto di ogni sua vocazione e problematicità. Eppure è forse in quella crisi, rivelata dal disorientamento dei suoi critici postumi presi in contropiede dalla sua morte, che va indagato Calvino.' <7
Nei capitoli seguenti ho cercato quindi di studiare il carteggio attraverso quello che è stato possibile recuperare delle trecento lettere di cui è composto, di cui circa la metà è stata posta sotto sigillo. Ho cercato di raggruppare la maggior estensione possibile dei brani trovati, attraverso la collazione e l'unione degli stralci recuperati in primo luogo da "Ho visto partire il tuo treno" (il libro che scrisse la De Giorgi sulla relazione con Calvino in cui cita le lettere dello scrittore), che ha costituito la fonte primaria del reperimento. Un'altra fonte sono stati gli articoli di giornale presenti nell'archivio dei quotidiani, che a partire dal 1956 vennero scritti sul caso Calvino-De Giorgi, un'altra ancora dai saggi di Maria Corti e di Martin McLaughlin; infine è risultato un materiale fondamentale, per la buona estensione dei brani delle lettere, quello che è rimasto in rete dopo la pubblicazione delle lettere su 'Epoca', avvenuta per volere della De Giorgi e poi bloccata dalla vedova Calvino. Si tratta di un lavoro di sistemazione e assemblaggio di tutto quello che è stato detto e scritto sul caso Calvino-De Giorgi negli interventi sui periodici, nella cronaca mondana dei quotidiani e nei saggi critici, al fine di dare un'idea di come andarono le cose, sviluppando gli aspetti importanti dove è stato possibile farlo e preparando così il materiale per quando le lettere potranno essere finalmente lette e studiate.
[...] La De Giorgi, rievocando il suo rapporto con Calvino, dedica un intero capitolo al loro usuale ritrovo a Caponero, località tra Ospedaletti e Sanremo, e all'impatto esplosivo che ebbe il loro incontro. Se per lei - che era sposatissima - fu un processo più lento e solo col tempo incominciò a ricambiare l'amore, per Calvino fu un coinvolgimento immediato "Sono con te, tutto il resto mi è estraneo e indifferente" e, come un fuoco che divampa, ha invaso ogni aspetto della sua vita "(…) e soprattutto l'amore, un amore grande come tutte le ragioni dell'intelletto e della vitalità che è in noi". <80
Tutto il discorso amoroso calviniano ha ora i suoi termini specifici che prevedono un registro nuovo rispetto a quello usato solitamente dall'autore. Lo scrittore si pone sotto una nuova luce in quanto uomo: si descrive e viene descritto come un essere bicefalo che non può raggiungere la sua completezza se non accompagnato dalla figura di una donna che finisce per risultare l'unico elemento indispensabile alla felicità. La De Giorgi scrive: 'Per Calvino la convinzione di sentirsi ancora radicato quale parte intelligente a un creato dove l'amore - come lo aveva scoperto - poteva nei suoi imprevedibili impulsi respingerlo o accoglierlo nelle supreme armonie':
Il nostro amore scorre ancora accidentato e tutto rapide e anse come un torrente, e forse è in questa sua natura, nella natura accidentata e sassosa del terreno che attraversa la sua vera natura, la prova vera della sua forza: ma è di quei torrenti che si sa che diventeranno fiumi che traverseranno pianure e regioni che nutriranno mari.'
[HPT ('Ho visto partire il tuo treno) pag.33]
"Come abbiamo saputo in mezzo a tutto questo costruire la nostra felicità, a fili, a festuche, come due uccelli che si costruiscono il nido in mezzo ai fili dell'alta tensione (…) come hai saputo sempre combattere la mia tendenza a lasciarmi andare giù per il versante grigio della vita, come mi hai sempre insegnato a tenermi con la faccia al sole (…) il dato di natura della tua bellezza è solo uno strumento" <81
[posteriore al settembre 1955]
Varie sono le considerazioni di Calvino sul tempo, sul suo umore, sugli stati d'animo, sulle impressioni e sul luogo in cui si trova: a Sanremo, a Torino, a Roma, "Sono triste", "oggi sono rattristato", "ho un rimorso", "era una giornata triste ieri", "sono contento"; "sono tornato da Milano"; "sono a Sanremo". L'intento della De Giorgi, dunque, è quello di non rinviare l'annotazione dei ricordi prima che le immagini custodite in essi di un Italo Calvino singolare, spariscano. Urge impellente la necessità di recuperare un tempo non perduto, ma vissuto in una storia che non è esclusivamente d'amore. La De Giorgi cerca di compendiare fatti e cose che sembrano avvilupparsi al sembrano avvilupparsi al
racconto quasi conclusivamente, prima di averle affidate alla confidenza di una ragionevole stesura.
[...] Come si è già accennato precedentemente, la relazione segreta veniva messa a dura prova anche dai pettegolezzi e da imprevisti come il caso de 'L'Espresso'. Le "Fiabe italiane", alle quali Calvino aveva iniziato a lavorare nel 1954, escono il 12 novembre del 1956 da Einaudi (gran parte di quest'anno lo dobbiamo dunque considerare occupato da questo lavoro molto impegnativo sulle 'Fiabe') e quando lo scrittore le pubblicò, le dedicò a "Raggio di sole", che era uno dei nomignoli con cui lui chiamava Elsa e di cui solo lei era a conoscenza. Naturalmente nel bel mondo letterario si scatenò la caccia per capire chi fosse la fantomatica Raggio-di-sole, e fra le ipotesi dei pettegoli letterati di via Veneto si fece anche il nome dell'attrice. <88 'L'Espresso' raccoglieva da poco sotto la testatina "Confidenze italiane" certe cronache di mondanità culturale che venivano firmate da Mino Guerrini con lo pseudonimo di Minimo, che in quest'occasione scrisse: "Intanto dall'altra parte della città, in un caffè di via Veneto, ebbe inizio il mistero, un nuovo quiz di cui discutere della serata: a chi aveva dedicato il libro il giovane scrittore? A Pavese, naturalmente, ma anche ad un'altra persona adombrata nella dedica sotto il nome di 'Raggio di sole', personaggio che non è nel libro. Chi poteva essere questo Raggio di sole? Furono suggeriti molti nomi, ma soltanto a sera tarda, dopo molte discussioni ad un tavolo di letterati, fu trovata la risposta esatta: Elsa De Giorgi. Raggio di sole è infatti l'anagramma, quasi esatto, del suo nome, manca solo una 'e'." <89
La notizia uscì su 'L'Espresso', Calvino lo seppe in anticipo, ma non riuscì a fermare la pubblicazione e la cosa diede parecchi fastidi all'attrice, che era impegnata nella complessa causa di divorzio [n.d.r.: di separazione: il divorzio all'epoca non era ancora legge] e che così racconta <90:
'Ci fu poi l'episodio dell''Espresso', che scoperse nella prefazione delle 'Fiabe' dedicate a Raggio di Sole l'anagramma del mio nome. Calvino aveva fatto di tutto per impedire la pubblicazione dell'articolo, rivolgendosi direttamente al direttore Benedetti, ma purtroppo il pezzo era già stampato emi recò danno: fu infatti usato contro di me in tribunale.' <91
[HPT pag. 42]
L'episodio viene quindi riportato sia dalla De Giorgi sia da Calvino che le scrive una lettera e, riferendole così l'accaduto, mostra una visibile apprensione. Calvino infatti allude a "implicazioni legali" evidentemente legate alla causa di separazione (a cui si possono attribuire sia il tentativo di far intervenire direttore ed editore dell'Espresso, sia il tono di leggera e minimizzante blandizie che usava con la su corrispondente): "Mia cara, eccomi qui e appena arrivato mi sono trovato di fronte a un piccolo tentativo scandalistico da parte dell'Espresso che spero d'aver fatto in tempo ad evitare. M'hanno mandato la bozza dell'articolo per la manifestazione delle fiabe e alla fine dell'articolo, che è piuttosto lungo, tirano fuori la dedica a Raggio di sole e che a via Veneto la sera si discuteva su chi era Raggio di sole. Furono suggeriti molti nomi, ma soltanto a sera tarda, dopo molte discussioni, ad un tavolo di letterati fu trovata la risposta esatta: Elsa De Giorgi. Raggio di sole è infatti l'anagramma quasi esatto del tuo nome, manca solo la «e». Ho mandato subito un telegramma lampo a Benedetti raccomandandomi alla sua cortesia perché elimini la parte finale. E ho telefonato a Carlo (Caracciolo, ndr) perché telefonasse subito e si interessasse della cosa, magari soltanto facendo togliere il nome. Non so però se si è ancora in tempo, o se il numero è stato già stampato. Me lo sentivo che qualcosa combinavano. Spero soltanto che il mandarmi le bozze (per due giorni avevo inutilmente dato loro la caccia per riuscire a leggere l'articolo) sia stato fatto per vedere se protestavo. Sulla bozza il titolo non c'è e anche questo potrebbe essere uno scherzo di questo tipo. (Però, questa dell'anagramma è una scoperta loro, a cui noi non avevamo mai pensato, e che corrisponde alla verità! E se distogliamo il pensiero per un momento dalle implicazioni legali e giornalistiche è molto bello). <92
[*novembre 1956] <93
[...] Ad un certo punto, prima che la loro storia decollasse veramente, all'improvviso Calvino scompare senza dare più sue notizie virando così del tutto la preoccupazione della De Giorgi su di lui. Era scomparso Sandrino, ora anche Calvino, e così la contessa racconta:
"Calvino (…) Scomparve. Per alcuni giorni nessuno, né in ufficio, né la madre, ne seppe più nulla. (…) Calvino ne stava imitando i gesti proprio per richiamare la mia attenzione su di sé. Si appropriava della mia preoccupazione, obbligandomi a dividerla con quella per Sandrino. (…) Non potevo dimenticare in certe sue lettere la descrizione dei suoi patemi perché aspettava la mia telefonata sul corridoio gelido della camera mobilitata che abitava a via Carlo Alberto 9"
[HPT pag. 44]
Molti sono i racconti che Calvino fa della sue attese al telefono, in un corridoio freddo, con il terrore che le persone o la padrona di casa o l'inquilino potessero ascoltare la sua conversazione. Così, per esempio, Calvino scrive: "Per colmo di ventura qui la camera vicino al telefono è occupata da un inquilino e non posso parlare liberamente". Fu però proprio il telefono, a porre fine a quella terribile attesa e a riportare in contatto la De Giorgi con la voce irriconoscibile di Calvino. Lo scrittore si annunciò, dopo giorni, senza aggiungere alcun particolare. Lei lo implorò di rivelarle dove fosse e la paura di perdere quel contatto la spinse a dirgli: "Senti, se sei a Torino parto e ti raggiungo".
Rintracciato Calvino la De Giorgi lo raggiunge immediatamente alloggiando al Principe di Piemonte.
 
Fonte: Eugenia Petrillo, Op. cit. infra

[NOTE]

7 Da E. De Giorgi, Ho visto partire il tuo treno, Leonardo Editore, Milano 1992
80 HPT pag. 167
81 M. Corti, Un eccezionale epistolario d'amore in Vuoti del tempo, Bompiani, Milano 2003 p.142 (contenuto anche in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi)
88 A.Cambria, Nove dimensioni e mezzo, Donzelli Editore Roma 2010: 'Nel 1962 ormai a Roma da due anni, avevo letto il Visconte dimezzato, il Cavaliere inesistente e le Fiabe italiane di Calvino, che incominciavo a raccontare, magari semplificandole, al mio bambino… le Fiabe italiane erano dedicate dall'autore a "Raggio di Sole"… Avrei scoperto soltanto nel 1979 che "Raggio di sole" era l'anagramma -"quasi esatto" - di Elsa de' Giorgi: come scrisse Calvino, in una delle 407 sue lettere all'amata. Ma di lei, purtroppo, continuavo a non sapere nulla…. …Una sera del 1962 nella mia casa di via del Babuino - quella dell'"astratto salotto romano" di cui Sergio Saviane m'avrebbe attribuito la colpevole titolarità - arrivò anche Italo Calvino, con un'amica che nessuno di noi conosceva: era "Chiquita" (Esther Judith Singer), la traduttrice di cittadinanza argentina che lo scrittore aveva incontrato a Parigi e che aveva sposato il 19 febbraio 1964 a L'Avana. (Calvino era nato a Santiago de Las Vegas, a pochi chilometri dall'Avana, dove suo padre era il direttore del giardino botanico tropicale). La serata con Calvino e la sua amica in via del Babuino fu, come accadeva quasi sempre, un piacevole dopocena di chiacchiere spiritose e polemiche elitarie, ed erano quelli di sempre gli altri ospiti del mio divano angolare con la fodera di parcalle a fiorellini: Moravia, Morante, Pier Paolo Pasolini, Enzo Siciliano con la fidanzata, l'elegante Flaminia Petrucci, che allora da single emancipata (responsabile della grafica de "L'Espresso") abitava nell'appartamento al piano di sotto…. Calvino parlava poco, la sua amica ancora meno, andarono via presto e qualcuno pronosticò, pagando il dovuto al tasso di misoginia naturale dell'epoca: "Dopo il ciclone Elsa de' Giorgi , questa Chiquita sarebbe una moglie del tutto inoffensiva…"'.
89 S. Bartezzaghi, Scrittori giocatori, Einaudi, Torino 2010 pag. 208
90 http://www.trivigante.it
91 Dall'articolo di Alessandra Pavan su www.libreriamo.it, 20 0ttobre 2014:"AMORE COME DIVERTISSMENT ANAGRAMMATICO" - 'L'amore inoltre è argomento di enigmi e giochi letterari a partire appunto dal Barocco e da Luigi Groto, che compone due sonetti sull'amor sacro e l'amor profano , nei quali il contrario in senso direzionale crea il contrario nel significato. Ma i giochi con i nomi dell'amata cominciano già con Beatrice, Laura (l'aura) e Eleonora di Tasso (E …le onora) fino ad arrivare ad Italo Calvino, il cui interesse per l'anagramma risale al momento in cui si firmò come Tonio Cavillo in un ‘edizione per le scuole de Il barone rampante. A fine anni ‘50 Calvino si innamorò di un amore impossibile per Elsa de Giorgi, un attrice dell'epoca sposatissima e pubblicò le Fiabe Italiane dedicandole a Raggio di Sole, un anagramma imperfetto del nome dell'amata. Fu l'Espresso nel 1957 ad interrogarsi per primo sull'identità di Raggio di Sole e ad arrivare a questa congettura, poco plausibile - un anagramma imperfetto - per un autore perfezionista quale fu Calvino. E allora? "Fu il caso che svelò la cosa e ne derivò un caos?", così Bartezzaghi sigilla la sua lectio dedicata alle lettere che si intrecciano con i cuori.'
92 Stefano Bartezzaghi, giornalista e scrittore e soprattutto esperto di enigmistica, si è occupato di questo caso in Scrittori Giocatori alle pgg. 205-210. 'La cosa buffa e meravigliosa è che né Calvino né la De Giorgi avevano mai notato la cosa, come si deduce dalla parte finale della lettera.' Si tratta di un'operazione inconsapevole. Parrà strano, ma nel 1957 il concetto di anagramma non era affatto diffuso se non tra gli enigmisti, ed è dunque molto probabile che Calvino non praticasse la difficile arte (ne risultano altri esempi di tecnica argomentativa nelle altre opere di questo scrittore).
93 Non si può risalire con precisione alla data precisa della lettera; si può chiaramente ipotizzare che sia stata scritta in prossimità della pubblicazione delle Fiabe, quindi risale circa al mese di novembre 1956. Nella schedatura di McLaughlin non viene registrata nessuna lettera risalente al 12 novembre, ma soprattutto nessuna lettera riporta l'incipit "eccomi qui e appena arrivato mi sono trovato di fronte", neanche le lettere schedate senza data. Si dovrebbe quindi pensare che questo brano non sia compreso nelle 156 missive consultabili e schedate da McLaughlin; tuttavia, data l'inesattezza con cui potrebbero essere stati riportati alcuni passi reperiti delle lettere, da coloro che hanno avuto la possibilità di leggerle, la lettera schedata da McLaughlin il cui incipit si avvicina di più è la lettera 2,31: "Eccomi qui sballottato" datata nell'arco di tempo tra il 1956/1957.
 
Fonte: Eugenia Petrillo, Op. cit. infra. Per la lettura integrale della nota di Calvino acclusa da questa autrice nella tabella vedere post scriptum

Eugenia Petrillo
, Italo Calvino ed Elsa De Giorgi: l'itinerario di un carteggio, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014-2015
 
P.S. 
particolarmente nel suo innesto con un linguaggio che sentivo naturale, come quello dialettale e semidialettale parlato dalla gente, e questo principio che non potevo naturalmente giustificarmi mi si configurava - di fronte al culto di mia madre per l’esattezza della terminologia- come una colpa, in modo tanto grave da vietarmi di distinguere - cioè di avere bisogno di dar loro un nome- le piante, di considerarle nella loro specifica diversità. Quindi per farmi imparare la botanica avrei avuto bisogno di un precisissimo raffinamento o decadentismo letterario in modo d’apprezzare il pastiche polilinguistico, e trovare ad esempio una contraddittoria coerenza nel linguaggio di mio padre, misto di termini scientifici, dialettali, spagnoli, italiani, inglesi in cui tutto diventava naturale. Ma il [mio] modo di arrivare alla comprensione estetica è il riconoscimento d’una rigorosa unità stilistica; ad apprezzare il pastiche fatico, molto di più. Quindi posso dire che non ho mai imparato la botanica per la stessa ragione per cui mi riesce difficile apprezzare C.E Gadda.

domenica 18 settembre 2022

Macciocchi operava al cuore di una rete femminile che aveva il suo territorio d'azione nel centro di Roma

Roma: uno scorcio di Piazza Navona

4. L’incontro con i GAP <45
“Dato che il partito non poteva fornirci un poligono di tiro, per esercitarci a sparare, con Maria Antonietta andavamo alle bancarelle di Piazza Navona” <46. Così Rinaldo Ricci <47, membro dei GAP romani, in seguito assistente regista di Luchino Visconti, ricorda oggi i giorni in cui lui e Macciocchi facevano “coppia” nell’organizzazione romana della Resistenza. I due si conobbero all’inizio degli anni ‘40, quando entrambi, giovani studenti, davano ripetizioni ai figli del ministro della Cultura, Pavolini.
L’antifascismo, per loro come per tanti altri giovani, era prima di tutto un fatto culturale, alimentato da letture vaste e spesso proibite, sintomo di un'inquietudine delle coscienze cui il plumbeo clima culturale del regime non poteva dare risposte. “Ci influenzava la letteratura americana, ma anche Malraux, Marx”, ricorda Rinaldo Ricci. La condizione umana era stata infatti una lettura determinante per Macciocchi: “Ho letto La condizione umana di Malraux (…) Il fascismo ci aveva tenuto all’oscuro di tutta la cultura straniera, eppure, chissà come, questo Malraux era stato tradotto” <48. Il libraio era meta quotidiana per la giovane, che acquistava libri usati, spesso tenuti “sottobanco”, come nel caso dell’autore francese che tanto la influenzò: “Solo Malraux mi aveva messo in rapporto con i comunisti” <49.
Fu Rinaldo Ricci invece a metterla materialmente in contatto con gli ambienti romani della Resistenza, e in primis con Guttuso <50, che nel suo studio di via Pompeo Magno ospitava gli antifascisti. Come ha scritto Giorgio Galli nella sua Storia del Partito Comunista Italiano, i primi sintomi del risveglio di una coscienza politica durante la guerra erano giunti, già dal 40-41, proprio dagli intellettuali, in particolare quelli dell’ambiente romano: Renato Guttuso, Ruggero Zangrandi <51, Mario Alicata <52, Pietro Ingrao <53, Paolo Bufalini <54, Aldo Natoli <55, Fabrizio Onofri <56, Marco Cesarini Sforza <57, Antonello Trombadori <58. Dopo il 25 luglio del ‘43 Guttuso aveva costituito un comitato pluripartitico per dare assistenza agli antifascisti in carcere, rappresentandovi il PCI. Macciocchi entrò in contatto con quest‟ambiente: incontrò Negarville <59, Di Vittorio <60, Giorgio Amendola <61. Quest'ultimo in particolare avrà un ruolo determinante nella vita di Macciocchi, sia dal punto di vista politico, sia personale, visto che diventerà suo cognato. Figlio di Giovanni Amendola <62, Giorgio si era assunto il compito di seppellirne l’eredità idealista liberale - scrisse Macciocchi - in nome dell’ideologia ufficiale del PCI <63. Giorgio Amendola era un politico accorto, estremamente realista, fedele a Mosca. Il partito doveva seguire la linea dettata dall’URSS, il che in questa fase significava accreditarsi come leale agli occhi delle forze politiche democratiche e degli alleati. Per chi si formò politicamente in quel periodo la parola d'ordine democratica era persino più forte del richiamo alla centralità del proletariato, temporaneamente passata in secondo piano. Con la svolta di Salerno Togliatti propose la collaborazione tra tutte le forze che volessero battersi per la libertà d'Italia accantonando la pregiudiziale dell’abdicazione del re. Nel frattempo la presenza delle truppe angloamericane sul territorio italiano veniva presentata dal PCI come la causa transitoria che impediva di portare avanti una linea rivoluzionaria. Si cominciava a parlare di attesa di “nuove più favorevoli condizioni di lotta per le situazioni future” <64.
Macciocchi intanto fu nominata responsabile delle donne della zona centrale di Roma, e si vide assegnare come primo compito la distribuzione de l’Unità <65. In questa fase iniziale, nella distribuzione di materiali di propaganda, fu affiancata da una giovanissima Miriam Mafai, che ricordò in seguito: “Per tutti i mesi dell’occupazione, continuammo a incontrarci, a distribuire volantini e l’Unità (…). Mi fece leggere Malraux e mi spiegò che i comunisti cinesi erano 'gagliardissimi'” <66.
Dopo l’8 settembre 1943 si assisteva alla rinascita dei partiti politici, l’opposizione antifascista si riorganizzava e nel settembre nasceva il CLN. Accanto a questo, al Nord, nascevano i Gruppi di difesa della donna. A Roma invece era l’occupazione tedesca. Furono mesi interminabili e tragici per la città, durante i quali Macciocchi svolse tutti i compiti propri di una staffetta, facendo da tramite per operazioni militari e di sostegno ai partigiani. Accompagnò Giorgio Amendola, suo futuro cognato, in diversi rifugi, e come lui altri esponenti della rete clandestina, introducendoli in alloggi segreti dove sarebbero stati ospitati e tenuti al riparo. Così conobbe tra gli altri Sandro Pertini, avendo l’incarico di accompagnarlo nell’alloggio clandestino indicatole dal comando della zona <67.
Macciocchi operava al cuore di una rete femminile che aveva il suo territorio d'azione nel centro della città, tra il Lungotevere, piazza del Popolo e piazza Colonna. “Il lavoro femminile nella quinta zona clandestina di Roma (…) non era difficile. Cercavo ragazze antifasciste disposte a svolgere un piccolo lavoro politico come la distribuzione de l’Unità, o qualche volantino clandestino da sparpagliare per Roma, oppure disposte a stare nei posti di blocco sulle arterie stradali che uscivano da Roma, per contare i convogli militari che vi passavano” <68. Le clandestine della zona centrale erano una quindicina, ed erano divise in due spezzoni: quello con compiti di propaganda e di sostegno alle famiglie degli antifascisti incarcerati e quello con compiti propriamente militari. Quest'ultimo dipendeva in parte dal PCI, in parte dal CLN. Erano le partigiane più anziane, sulla quarantina, ad istruire le giovani come Maria Antonietta non solo sui compiti pratici di una staffetta, ma anche sui fondamenti teorici della lotta, trasmettendo alle ragazze rudimenti della filosofia marxista-leninista.
La guerra ha spesso costituito per le donne un'esperienza senza precedenti di responsabilità e libertà, legata alla conquista di spazi tradizionalmente riservati agli uomini, all’apertura di nuovi orizzonti professionali, e spesso, come nel caso della Resistenza, alla partecipazione militare <69. L’attivismo femminile alterava la chiusura sociale ma anche “la rigidità dei modi di abbigliamento e di socialità borghesi” <70. Si tratta spesso di un‟esperienza illusoria, poiché i mutamenti legati alla guerra sono limitati dal rafforzamento, pratico e simbolico, dei ruoli sessuali, oltre ad essere funzione di svariati parametri, quali il gruppo sociale, l’età, la situazione familiare e naturalmente la storia individuale <71.
Nell’autobiografia di Macciocchi si ritrova l’immagine di una vera e propria trasfigurazione legata all’esperienza resistenziale, in linea con altre testimonianze che ci rinviano un'immagine di liberazione femminile legata alla fase del conflitto. Se infatti le donne sono spesso doppiamente travolte dalle guerre, divenendo oggetto di specifiche violenze di genere legate ai conflitti, in molte memorie si ritrova invece come elemento comune l’euforia per la liberazione provvisoria dalle regole e dai rigidi ruoli vincolanti in tempo di pace. Macciocchi descriveva in questi termini la sua liberazione: “Di quell’epoca, mi resta il ricordo di giornate intense, e libere. Provavo la gioia assoluta di voltare le spalle a padre, sorelle, tutela casalinga. La mia emancipazione stava nel mescolarmi agli uomini, ai ragazzi, ai compagni, che avevo visto fino allora solo nell’altra fila di banchi a scuola” <72. Dunque fine della segregazione sessuale, della divisione dei ruoli, anche se solo apparente e transitoria. Il desiderio di emancipazione individuale, la volontà di scardinare un sistema di relazioni sociali soffocanti, appaiono come altrettante motivazioni importanti per comprendere il protagonismo delle donne in quel periodo.
Il 15 febbraio 1944 Macciocchi riceveva l’input per entrare nei gruppi di azione partigiana, i GAP <73. Questi le apparvero come un gruppo di giovani borghesi sicuri, decisi, persino altezzosi.
[NOTE]
45 I GAP, Gruppi d'Azione Patriottica, nacquero su iniziativa del Partito Comunista Italiano, sulla base dell’esperienza della Resistenza francese. Erano articolati in piccoli nuclei di quattro o cinque persone e portavano avanti azioni di sabotaggio nei confronti delle truppe nazifasciste. Sui GAP romani e in particolare su una delle vicende più controverse legate alla loro esperienza, ovvero l’attacco di via Rasella, si veda la ricostruzione del comandande GAP Rosario Bentivegna, protagonista dell’assalto di via Rasella, Achtung Banditen!, Milano, Mursia, 1983, n. ed. 2004. E ancora sulla Resistenza a Roma M. Avagliano G. Le Moli, Muoio innocente. Lettere di caduti della Resistenza a Roma, Milano, Mursia, 1999.
46 Testimonianza di Rinaldo Ricci
47 Rinaldo Ricci (Roma, 1923); è stato assistente alla regia di Luchino Visconti, Franco Zeffirelli e Billy Wilder. Nella sua filmografia ricordiamo con Visconti Il Gattopardo e Rocco e i suoi fratelli, con Franco Zeffirelli Romeo & Juliet. Ha partecipato alla Resistenza.
48 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit, p. 77
49 Ivi, p. 77
50 Renato Guttuso (Bagheria, 1911 - Roma, 1987) è stato un pittore italiano, esponente del cosiddetto realismo sociale, e uno dei più illustri nomi della cultura vicini al Partito comunista italiano.
51 Ruggero Zangrandi (1910-1970) è stato un giornalista e scrittore italiano. Si impone al largo pubblico negli anni Sessanta per le sue inchieste sul Sifar e per la sua ricostruzione della mancata difesa di Roma, nel 1943, da parte dello Stato Maggiore italiano.
52 Mario Alicata (Reggio Calabria, 1908 - Roma, 1966) è stato un giornalista e politico italiano. Ha partecipato alla Resistenza. Membro del Comitato centrale del PCI è stato uno dei più stretti collaboratori di Palmiro Togliatti. Ha diretto il quotidiano comunista ‘L’Unità’.
53 Pietro Ingrao (Lenola - Latina 1915), è un giornalista e politico italiano. Partecipò alla Resistenza a Roma e Milano, è stato membro del Comitato centrale del PCI, parlamentare per numerose legislature e presidente della Camera dei Deputati. Ha diretto il quotidiano ‘L’Unità’ e partecipato alla fondazione del Partito Democratico di Sinistra, per abbandonarlo il seguito e aderire al partito della Rifondazione Comunista.
54 Paolo Bufalini (Roma, 1915 - Roma, 2001) è stato un politico italiano. Partigiano, eletto più volte in Parlamento, è stato fra i massimi dirigenti del Partito Comunista Italiano.
55 Aldo Natoli (Messina, 20 settembre 1913) medico, antifascista e deputato italiano per il PCI, fu radiato dal partito con Rossana Rossanda, Luigi Pintor e il gruppo del quotidiano “Il Manifesto” a causa del dissenso sulL’invasione sovietica della Cecoslovacchia.
56 Fabrizio Onofri (Roma, 1917 - 1982) è stato uno scrittore e dirigente comunista, Medaglia di bronzo al valor militare per il suo impegno nella Resistenza. Fu espulso dal PCI nel '57 in seguito ad una polemica con Togliatti sullo stalinismo.
57 Marco Cesarini Sforza è stato un giornalista e membro del PCI.
58 Antonello Trombadori (Roma, 1917 - Roma, 1993) è stato un giornalista, critico d'arte e politico italiano. Partecipò alla Resistenza e dopo la Liberazione entrò a far parte del Comitato centrale del PCI. Collaboratore di importanti riviste come 'La Ruota', 'Primato', ‘Città’, ‘Corrente’, ‘Cinema’ e ‘Rinascita’, fu eletto quattro volte deputato. Dopo il 1968, si avvicinò dapprima alla corrente migliorista di Paolo Bufalini e Giorgio Napoletano, quindi alle posizioni socialiste. Giorgio Galli, Storia del Partito Comunista Italiano, Milano, Kaos edizioni, 1993.
59 Celeste Negarville (Avigliana, 1905 - Torino, 1959) è stato un politico italiano. Antifascista, nel dopoguerra sarà uno dei maggiori esponenti del PCI e il primo a dirigere l’Unità dopo gli anni di diffusione clandestina. Fu deputato alL’Assemblea Costituente, quindi senatore e più volte sottosegretario. E' stato sindaco di Torino nell’immediato dopoguerra. Ha contribuito alla sceneggiatura del film di Rossellini Roma città aperta.
60 Giuseppe Di Vittorio (Cerignola, 1892 - Lecco, 1957) è stato un politico e sindacalista italiano. Proveniente da una famiglia di contadini, partecipò da antifascista alla guerra civile spagnola e quindi alla Resistenza in Italia nelle Brigate Garibaldi. Nel 1945 fu eletto segretario della CGIL che aveva contribuito a rifondare e che guidò fino alla sua morte.
61 Giorgio Amendola (Roma, 1907 - Roma, 1980) è stato un politico italiano, autore di numerosi libri. Figlio di Giovanni Amendola e dell’intellettuale lituana Eva Kuhn, aderì al PCI nel 1929 militando nell’antifascismo e quindi nella Resistenza, entrando nel comando generale delle Brigate Garibaldi assieme a Luigi Longo, Pietro Secchia, Gian Carlo Pajetta e Antonio Carini. Fu deputato per il PCI dal 1948 fino alla morte. Fu cognato di Maria Antonietta Macciocchi, che sposò il fratello Pietro Amendola.
62 Giovanni Amendola (Salerno, 1882 - Cannes, 1926) è stato un politico italiano. Docente di filosofia teoretica all’Università di Pisa, parlamentare liberale, fu ispiratore del Manifesto degli intellettuali antifascisti e uno dei principali artefici della secessione aventiniana. Inviso al regime, fu una delle prime vittime del fascismo. Morì a Cannes, in Francia, in seguito ad una lunga agonia, per le percosse ricevute a Serravalle Pistoiese (PT) il 20 luglio 1925 da un gruppo di squadristi.
63 Maciocchi, Duemila anni di felicità, cit, p. 70.
64 G. Galli, op. cit, p. 239.
65 L’Unità era il quotidiano della sinistra italiana, quindi organo ufficiale del PCI, fondato il 12 febbraio 1924 da Antonio Gramsci. Messo fuori legge nel 1925 dal Prefetto di Milano, uscirà clandestinamente, tra Francia e Italia, sino alla seconda guerra mondiale; solo con l’arrivo degli alleati, dal 1944 riprese a Roma la pubblicazione ufficiale del giornale. Il nuovo direttore era Celeste Negarville.
66 M. Mafai, Addio alla Macciocchi, comunista eretica, ‘La Repubblica’, 16/04/07. In realtà Mafai sembra ricalcare il suo ricordo della Resistenza con Macciocchi dalle pagine di Duemila anni di felicità, cit., p. 77
67 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit, p. 85
68 Ivi, p. 88
69 Sulle donne e la guerra alcune considerazioni interessanti si trovano in F. Thébaud, La Grande Guerra, in Storia delle donne. Il Novecento, a cura di F. Thébaud. Bari, Laterza, 1997 “Gli anni della guerra hanno costituito per le donne un‟esperienza positiva, e persino - interrogativo provocatorio quant‟altri mai - un happy time?”, si chiedeva la storica francese analizzando L’impatto della Grande Guerra sulla condizione femminile. Ivi, p. 42. La studiosa rileva come numerose fonti femminili ci rimandino quest‟immagine. L’espressione “good time” è stata usata dalla femminista inglese C. Gasquoine Hartley in Women’s Wild Oats, mentre di “fine time” ha parlato L. Pruette. La propagandista inglese Jessie Pope e la romanziera americana Willa Cather hanno esaltato il rovesciamento dei ruoli sessuali. L’Inghilterra di Harriot Stanton Blatch nel 1918 era un mondo di sole donne, che apparivano sicure nel loro spazio, capaci, felici, gli occhi brillanti.
70 Ivi, p. 46
71 Ivi, p. 49
72 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 87
73 Ivi, p. 89
 


Eleonora Selvi, Maria Antonietta Macciocchi: profilo di un'intellettuale nomade nel secolo delle ideologie, Tesi di Dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2009