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lunedì 26 maggio 2025

A Milano!

 

Milano, Stadio di San Siro: partita di calcio Milan-Genoa del 10 gennaio 1965

Ci sono sempre molti stimoli per scrivere qualcosa di Milano.
In particolare, più o meno direttamente, ne procura l'interessante blog curato da Chiara Salvini.
Ma se, come si è già detto su queste colonne, anche una piccola località dal modesto raggio può suscitare diversi spunti di racconto, una città dalla storia millenaria come Milano presenta una mole incredibile di scelte.
Conviene ricordare che in merito esiste una vasta documentazione, soprattutto di carattere monografico.
Eppure, di recente Gianrico Garofiglio, ormai noto scrittore, ha affrontato con fare disinvolto su "la Repubblica" questo tema, concentrandosi, invero, sulla Milano misteriosa e sulla Milano criminale (l'autore, quando era magistrato, affrontò trasferte di lavoro nel capoluogo lombardo), realizzando, in ogni caso, un articolo davvero intrigante. Sul primo punto, per approfondimenti, qui si pensa che i più dettagliati resoconti, compilati nel tempo, siano ormai rinvenibili solo in casa di vecchi meneghini o in talune biblioteche pubbliche; per il secondo, il pensiero corre subito, da un lato a Giorgio Scerbanenco ed ai suoi gialli di ambientazione milanese, dall'altro a talune meditate inchieste giornalistiche.

Su questo blog, invece, si ricercano per lo più aspetti curiosi, se non speciosi, oltrettutto esposti in ordine sparso, come talora imputa un lettore, buon romanziere delle nostre parti.

Alla luce di questo assunto, si possono fare degli esempi su Milano.

Nei primi anni Cinquanta - e un po' prima - quando sulla pista del velodromo Vigorelli erano impegnati famosi ciclisti tanto era l'entusiasmo che i boati della folla si sentivano per tutta la zona Fiera-Sempione ed oltre.

Una citazione da una produzione letteraria di modesta levatura attesta che dalle parti di Corso Venezia in quel periodo c'era anche un servizio a pagamento di automobiline a pedali, per la gioia dei bambini i cui genitori potevano permettersi la relativa spesa. Si intende qui trascurare il soggetto Zoo, non fosse altro che risulta molto scontato.

Una recente notizia di cronaca informava che a Milano un'automobile di lusso, una Ferrari, se si è capito bene, era rimasta incagliata in un certo tratto dei binari destinati ai tram: un pericolo certamente corso da tanti altri autisti non pratici, se foresti, delle arterie viarie della metropoli.

Si può anche fare riferimento a quando, di sicuro nella seconda metà degli anni Cinquanta, ma anche un po' oltre, i ferrovieri del personale viaggiante di Ventimiglia svolgevano servizio sui vecchi "rapidi" sino a Milano. Non era così per i macchinisti che, dati i loro particolari più gravosi impegni, ricevevano i cambi a Genova Principe. E si lascia fuori traccia la partecipazione ad altre trasferte, quali per treni merci e per treni pellegrini, anche più lunghe.
Riprendendo il filo del discorso, viene da aggiungere che a quei capitreno e a quei conduttori rimanevano, prima del ritorno, sempre serale, diverse ore libere. Tra le scelte possibili, c'era quella di passare i pomeriggi in quei cinema popolari dove si poteva usufruire della proiezione di due film di seguito, uno dei quali magari ad un certo dunque abbandonato: in genere non viene tramandato, tuttavia, se anche a Milano, come di sicuro a Genova, ci fossero degli esercizi che offrissero, invece, al pubblico una pellicola ed uno spettacolino di varietà, sempre uno dopo l'altro, a modico prezzo di biglietto.
Lo spazio, come alternativa, per andare allo stadio di calcio c'era di sicuro, ma è più probabile che alcuni colleghi si organizzassero - come in effetti accadde tante volte - per ritrovarsi insieme per assistere ad una partita di Inter o di Milan in una domenica di  riposo.
Per tutti quei lavoratori pranzo e cena erano assicurati dalla mensa del Dopolavoro Ferroviario, una memoria ormai quasi mitica, del resto qui già sottolineata in precedente articoletto.
I ferrovieri in parola talvolta si spostavano con i loro figli ancora piccoli, anche si trattava di una pratica non consentita dal regolamento: ne ha scritto talora con la consueta bravura Maristella Lippolis, che non riporta, però, come trascorresse quelle soste, per le quali altre persone oggi rimandano ai consueti film, a musei, a monumenti, anche a visite a parenti.

Concludendo solo per il momento l'argomento Milano, viene da chiedersi con fare cameratesco e scherzoso come mai Arturo Viale non lo abbia mai diffusamente affrontato nei suoi lavori.

Adriano Maini

sabato 3 maggio 2025

Quel bambino si tagliò un piede nell'acqua del Nervia

 




Al di qua ed al di là della foce del Nervia - in sponda orografica sinistra si situa Camporosso, dall'altra parte Ventimiglia - si sono susseguiti, come, più o meno, in tanti luoghi abitati, spezzoni di storia e frammenti di vite vissute. Questi ultimi qualche volta qui già menzionati, altri ancora da riferire, ma sempre con il rischio di ridondanti ripetizioni.
Non esistono nomi mitici per questi luoghi, come è, ad esempio, per la costa di Ventimiglia più di confine con la Francia. Fatti salvi, forse, certi rimandi iniziatici a trinceramenti della guerra di successione austriaca, il che fa anche cogitare di tracce scomparse di un bunker dell'ultima guerra posizionato in spiaggia un po' più a levante.
 




Si riporta in autorevoli testi ufficiali di resti di epoca romana antica in fondo al mare poco al largo dello sbocco del citato torrente. Viene da pensare che anni fa un Piano Regolatore di Ventimiglia prevedeva, al posto dei binari del deposito locomotori, un sito archeologico riferito alla vicina Albintimilium, mentre all'atto pratico è stata sinora realizzata una fascinosa infrastruttura, incrocio di nuove piste ciclopedonali e retaggio della pregressa presenza ferroviaria: un bel risultato di sicuro, ma tutt'altra cosa rispetto alle suscitate aspettative di tipo culturale, destinate, sembra, a rimanere tali.
Chi scrive in ogni caso preferisce cimentarsi in aspetti più banali, per lo più connessi ad estati della fine degli anni Cinquanta e della prima metà di quelli Sessanta.
I bikini erano all'inizio merce rara, forse solo esibiti da ragazze e donne tedesche, magari in compagnia di un quarantenne privo di un braccio, tutti ospiti di un campeggio a tende, che fece da apripista per altre similari e vicine strutture. Rispetto a quel mutilato, invece, i bambini, pur essendo curiosi, non si posero per niente domande sulle vicissitudini di un conflitto armato, la seconda, immane guerra mondiale, bensì pensarono alle conseguenze di un qualche incidente.
 



Crescendo, alcuni di loro si fecero sfacciati e si misero a raccontare con aria di spavalda superiorità di coppiette infrattate tra i canneti a ridosso del muraglione della rimessa ferroviaria e di quanto di piccante poteva accadere tra i teli di quel campo.
Si esibivano, intanto, anche procaci bellezze locali: si conservano alcune fotografie dove si possono notare ormai maturi capifamiglia che nelle riprese di gruppo non sanno dove posare lo sguardo.
 


Nel periodo caldo la foce del Nervia si interrava ad unire i due tratti di litorale. Sulla risultante nuova striscia sassosa si accalcavano i bagnanti. Accadde una volta che un piccolo, sordo agli avvertimenti degli adulti, sguazzando nell'acqua del torrente, si procurasse con un vetro rotto colà celato - al pari di altri rifiuti: la mancanza di civismo è uno sport tuttora ampiamente praticato - un profondo taglio ad un piede: prontamente fasciato con un fazzolettone bianco, venne poi portato all'ospedale per le cure del caso. Ormai pensionato, quell'incauto protagonista avrebbe testimoniato di essere stato trasportato al nosocomio in sella al motorino guidato dallo stesso ferroviere che aveva rimediato il bendaggio di fortuna: davvero previdente quell'uomo in quella sua giornata di riposo, perché non è da ipotizzare che prima del soccorso fosse tornato a casa per inforcare le sue due ruote!
Operavano d'estate anche i pescatori, più su Ventimiglia, invero. Meriterebbero riscontri specifici, ma occorrono competenze adeguate: non mancano, tuttavia, nei loro confronti singolari aneddoti, alcuni qui già riverberati.
Resterebbe da dire in modo più originale del personaggio Pesce Rosso, di cui pochi ormai a Nervia, intesa come località di Ventimiglia, si ricordano ancora, ancora meno dei suoi trascorsi di pescatore.
Adriano Maini

giovedì 20 marzo 2025

Il marciatore... marciava

 







Al giorno d'oggi si assiste - solo a fare qualche esempio di tipo nostrano nel settore dei passatempi e della cura dei corpi - ad un gran novero di persone di ogni età che praticano il cosiddetto footing, che si danno al ciclismo amatoriale o che affollano le piscine che ormai ci sono un po' dappertutto: in gran parte in abbigliamenti adeguati, se non di gran classe, di discreta evidenza.
 
Camporosso (IM): uno scorcio dell'ex Piazza d'Armi

Ancora qualche decennio fa chi per motivi agonistici - vale a dire chi era tra i pochi che erano stati avviati ad una qualche pratica di atletica - faceva qualche corsa individuale di allenamento partendo da casa sua veniva, invece, considerato come un eccentrico. Probabilmente per questi motivi un discreto marciatore, già riserva azzurra alle Olimpiadi di Roma del 1960, preferiva all'inizio scendere sino a Piazza d'Armi di Camporosso Mare dal suo paesello di Val Nervia per inanellare giri e giri della sua specialità, anche se poi doveva fare questo nelle stradine della zona non presentando - al netto delle pallonate che fioccavano dappertutto - quel campo di calcio in genere selvaggiamente affollato non si dice una qualche forma di pista perimetrale, ma neppure lo spazio adeguato per muoversi lungo i lati: con il passare del tempo, tuttavia, quel futuro attivista della Caritas, potendo contare - forse per emulazione - sulla dedizione al suo sport di un giovane compaesano si dava a procedere con metodo in siffatta compagnia ai margini di quella pericolosa strada provinciale.
In tema di vestiario ed articoli connessi, non si può fare a meno di rammentare che nei mitici (solo per la musica?) anni Sessanta agli allievi degli Istituti superiori della zona di Ventimiglia, selezionati per i campionati studenteschi provinciali, poteva capitare in sorte di ritrovarsi ad usare scarpette - quasi mai delle misure giuste - in cuoio con qualche chiodino traballante o ad indossare canottiere da gara molto stinte. 
 
Ventimiglia (IM): la palestra ex G.I.L.

Le selezioni locali avevano luogo con ragazzi che portavano - va da sè! - proprie scarpette da ginnastica sul ghiaino del cortile - oggi parcheggio pubblico - della palestra ex G.I.L. della città di confine. Per non dire della confusione, se non di colori, perlomeno di tipi di magliette e di pantaloncini: un aspetto ancora più allegro in occasione delle partite di pallavolo quando, tuttavia, la rete divisoria aiutava lo scarso pubblico presente a capire un po' degli avvenimenti.


Qualcosa del genere capitava anche alle selezioni allievi e juniores della Ventimigliese Calcio: una sorta di gemellaggio con il Torino di Serie A prevedeva il regalo di indumenti usati da quest'ultimo sodalizio alla Ventimigliese, ma i ripetuti lavaggi probabilmente avevano prodotto dei risultati non desiderati, tanto è vero che esiste almeno una fotografia che attesta magliette molto strette addirittura per i corpi ancora acerbi di teenagers, al punto che un malcapitato poteva esibire all'obiettivo una bella striscia di pancia nuda con tanto di vigoroso ombelico.
C'é da dire, però, che sui campi da tennis a quei tempi tutti giocavano vestiti rigorosamente di bianco.


Ci sono adesso più strutture: di recente anche piccole aree pubbliche di fitness.
Ma queste sono solo alcune pennellate di carattere locale.
 
Adriano Maini

giovedì 20 febbraio 2025

Spigolature

Dolcedo (IM)

Le persone che nel ponente ligure assistevano negli anni Cinquanta al passaggio dei carrozzoni di famosi circhi, ma in particolare degli elefanti, probabilmente nulla sapevano di Grock anche se questo grande artista da tempo aveva fatto erigere ad Imperia una villa oggi praticamente monumento nazionale.

Sanremo vuol dire anche Casinò: non è dato sapere oggi, ma sul finire degli anni Sessanta quel sito così riservato era in talune occasioni aperto per una qualche sorta di festa goliardica - una balera "una tantum"? - cui per accedere forse era sufficiente essere giovani, molto giovani, non soltanto universitari con tanto di libretto.

Sul finire degli anni Ottanta rappresentanti dell'Associazione - delle Alpi Marittime - delle piccole imprese del settore costruzioni, CAPEB, in missione esplorativa presso omologhi italiani di Sanremo si sentivano autorizzati a raccontare, soddisfatti dell'evento,  che ad Antibes, se con degli scavi venivano rinvenuti resti dell'antichissima città fondata dai coloni greci, ci si affrettava a ricoprire il tutto.

Nel 2007 a Nizza in un bar sulla Promenade, al buffet "in piedi" preparato dopo un Convegno svolto nell'attiguo Albergo Negresco, un noto senatore, seduto comodo ed attorniato da alcune tardone, veniva servito con insolita solerzia da altro robusto partecipante, futuro presidente di associazione di imprese della provincia di Imperia, desideroso di carpire chissà quali segreti di affari immobiliari della Costa Azzurra. Quasi ad ogni passaggio di quel giovanotto, tuttavia, un buontempone della sua vera compagnia, senza mai alzarsi dal tavolo dove era in corso una fitta conversazione, riusciva a carpirgli un piatto di portata per sé e per gli altri.

Una prova sintomatica di Web agli albori venne condotta - ultimo quarto degli anni Novanta - a Dolcedo (IM), un bel paese in Val Prino: in buona sostanza con la collaborazione dell’Amministrazione Comunale la presentazione in pubblico (abbastanza folto, per essere agli esordi del mezzo e in un piccolo centro) di pagine, anche interattive, di informazione su determinate politiche praticate dalla Commissione Europea di sviluppo economico, segnatamente sul turismo, il tutto ideato e curato da un consulente decisamente appassionato.
Occorre aggiungere che il sito che ospitava quel lavoro era di una signora, il cui marito è attualmente un autorevole funzionario pubblico e che i giovani coniugi, esperti in materia, che fecero allora i più precisi collegamenti ed i più forti coinvolgimenti tra gli attori in causa, sono professionisti sempre più affermati nel mentovato campo. Simpatici, tutti, insomma: quella serata nel suo complesso ed i vari animatori della medesima.

Adriano Maini

lunedì 13 gennaio 2025

Negli anni Settanta sulla collina del Castello a Nizza

 

Uno scorcio di Cap Martin a Roquebrune - Cap Martin nella zona de "Il Pirata"

A Ventimiglia c'era un dancing dove negli anni '50 era d'obbligo entrare eleganti (ma un po' di tempo dopo le cronache popolari lo indicavano già quale sede elettiva - causa l'ampio spazio disponibile, ivi compreso un tavolo da biliardo - di diversi studenti delle superiori che marinavano la scuola).
 
L'interno del citato locale di Ventimiglia nel 1953

Un giovanotto ventimigliese, cliente abituale del citato locale, ebbe l'onore di ballare con Kim Novak; non si è mai detto dove; forse a "Il Pirata" di Roquebrune Cap-Martin, frequentato, come riportato dai soliti rotocalchi, anche da divi hollywoodiani, tra i quali spesso si infiltravano dei "pappagalli" nostrani", ma anche visitato per esigenze professionali da Dario, un valente fotografo di Bordighera, i cui specifici scatti dovrebbero essere oggi nell'Archivio Alinari di Firenze. Puntuale, compariva ad un certo punto su noto social media la fotografia che attestava l'episodio danzante.
 
Così come non si possono dimenticare scene di vita mondana nella vicina Costa Azzurra con partecipazione "straordinaria" di cittadini del Ponente Ligure.


Quando (ancora circa alla metà degli anni Settanta) per andare dalla Liguria in Costa Azzurra si doveva uscire dall'autostrada a La Turbie, una delle strade percorribili per arrivare alla Moyenne Corniche finiva - come tuttora finisce - all'incrocio della foto, un punto all'epoca molto funestato da incidenti. Verso Nizza un raddoppio della Moyenne effettuato da pochi anni la faceva - la fa tuttora - passare tra alcuni piccoli canyon artificiali.


Negli anni Settanta, ma anche nei primi Ottanta, sulla collina del Castello a Nizza erano grandiose e molto affollate le feste estive del Partito comunista francese (Pcf): singolare il caso dello standista di origine italiana, un idraulico che per l'occasione adattava il suo furgoncino a rosticceria di salsicce...



Chissà se ancora adesso entrando in La Turbie ci sono automobilisti che si fermano a guardare dall'alto le prove, se non le gare stesse del Gran Premio di automobilismo di Monaco Principato?

Adriano Maini

martedì 3 settembre 2024

Sciamavano numerosissime le lucciole



C'è un pino marittimo a Bordighera, ultracentenario, che poteva essere una delle perle di un progetto di valorizzazione dell'alberatura storica della Via Romana (comprensiva di un tratto anche in Vallecrosia), progetto di cui non si è saputo più nulla.
L'albero in questione, oggi forse non molto distinguibile per la successiva crescita lì vicino di qualche suo simile, si trova pressoché all'incrocio - una rotonda - della richiamata arteria con la strada per Vallebona, ma un tempo fiancheggiava i pilastri del cancello d'ingresso alla sovrastatante, ormai scomparsa, Villa Cappella, pilastri ancora visibili alla svolta degli anni Sessanta.
A fianco di quel pino veniva eretto a quel tempo - un po' prima, un po' dopo - il capannone dove veniva realizzato per la Battaglia di Fiori di Ventimiglia il carro della compagnia "I Galli del Villaggio", destinata a vincere molti concorsi, ma anche a vedere qualche sua opera squalificata perchè - a termini di regolamento - troppo grande.
Accorrevano in quei casi ad aiutare per infilzare con spilloni i garofani destinati a dare colore ai carri ragazzini della limitrofa - a ponente - regione Cabane (in una carta del Touring Club degli anni Venti del secolo scorso Regione Luco), ma anche del complesso Gallinai, posto al lato di nord-est della zona, destinato in oggi ad essere assorbito in un'operazione edilizia ventilata da tempo, complesso meritevole per la sua pregressa storia di considerazioni a parte.
Dirigevano le operazioni adulti, alcuni di grande esperienza, anche di Vallecrosia, anche un affabile geometra di Ventimiglia, disegnatore delle figure dei carri.


Tra questi chi - come testimonia una vecchia fotografia - si era fatto le ossa da giovane con una compagine, che aveva forse agito in un'unica occasione, ma pur sempre operante nelle vicinanze.
Difficile sapere se in quegli operosi momenti qualcuno ricordasse che Villa Cappella, requisita dal regime fascista ad una vedova inglese, era pur stata durante la guerra sede di un reparto di SS tedesche, ma degli eventi bellici almeno un episodio uno di quegli attivisti si sarebbe ricordato tanti anni dopo, quello riguardante l'apparecchio da caccia statunitense che, colpito dalla contraerea, si era abbattutto nella non lontana collina dei Mostaccini.  


Sciamavano numerosissime le lucciole nel lato - di levante - di Via Romana adiacente l'orto giardino di Villa Pendice per la gioia dei già citati ragazzini dei Gallinai e di altri loro amici, tutti impegnati a giocare a nascondino: nei ricordi di tanti sembra che questo accadesse dopo la Battaglia di Fiori e le infiorate delle ringhiere del ponte Bigarella (scomparso per la copertura vastissima del torrente Borghetto) per la processione dedicata a Sant'Antonio da Padova, quindi a giugno inoltrato, mentre più di recente chi ha avuto la fortuna di ammirare nel ponente ligure i piccoli luminosi messaggeri ne sottolinea una precoce apparizione, ma forse potrebbe trattarsi di un fenomeno come quello che riguarda la fioritura delle jacarande, vale a dire conseguenze di un anticipo di calura estiva.

Adriano Maini

mercoledì 14 agosto 2024

A Nervia c'era ancora il passaggio a livello?

Ventimiglia (IM): l'abitazione un tempo dei custodi del passaggio a livello di Nervia

Nel 1975

Storie più nervine che ventimigliesi degli anni Cinquanta del secolo scorso, una o due più recenti.

A quanto pare verso il 1954 il cavalcavia di Nervia non era ancora stato ricostruito se è vero che le studentesse e gli studenti diretti a Ventimiglia centro si rallegravano dei congrui ritardi procurati alle loro corriere dagli abbassamenti delle sbarre del passaggio a livello.

Capitava che in Chiesa - la Parrocchiale di Cristo Re - a Nervia - levante di Ventimiglia - entrasse talora a fare le sue devozioni un'anziana donna che viveva in una casa diroccata dai bombardamenti dell'ultima guerra, ubicata tra l'ormai dismesso deposito locomotori - detto Campasso - e l'Officina del Gas, anche questa reperto di archeologia industriale: inopinatamente il termine per designare la signora era quello di "barbona".

Per associazione di idee verrebbero in mente sussurri e grida su prelati - e ambienti democristiani, compreso un autorevole ministro - noti ormai solo a pochi eletti.

Al piano di calpestio di ogni pianerottolo della palazzina (deposito personale viaggiante) dove capitreno e conduttori di Ventimiglia si recano a prendere gli ordini di servizio e a consegnare le note dei loro viaggi si poteva anche inciampare in strani oggetti, sorta di larghi piatti di metallo dipinti di bianco sporco e pieni di sabbiolina di pari colore, definiti sputacchiere, a tutti gli effetti ben capaci posacenere.

La matura signora si autoconvinse di avere risolto taluni suoi malanni fisici col bere un po' di acqua di Lourdes, che aveva mal pensato di chiedere ad un ferroviere, vicino di casa di sua figlia a Nervia, sperando che l'uomo potesse intercettare alla bisogna qualche ben disposto pellegrino di ritorno in convoglio speciale dal Santuario dei Pirenei, ma il birbante si era tolto l'impaccio attingendo a qualche rubinetto di servizio della stazione ferroviaria.  

Troppo risaputa per rivisitarla appieno - anche perché non unica nel suo genere - la vicenda della locomotiva a vapore di manovra che, uscita dal citato Campasso e lasciata poco dopo la partenza momentaneamente incustodita dai suoi due addetti scesi a terra per chiacchierare con altri colleghi, arrivò lentamente sbuffando in stazione, all'ultimo dirottata su binario morto.

Adriano Maini

martedì 9 luglio 2024

Peglia e dintorni...








Località  Peglia di Ventimiglia (IM), a nord del ponte della ferrovia per la Francia.
C'era un po' più in su una pista di go-kart con annesso pubblico servizio: un'area molto frequentata ed oggi molto rievocata in tante memorie. Con base di partenza e di arrivo da quel sito e con deviazione su sentieri sull'addomesticato greto o solo su quel cemento - si tenne almeno in un'occasione (anno di grazia 1966) una sorta di pre-selezione (sub-provinciale) dei campionati studenteschi di corsa campestre.
A valle della strada ferrata l'area forse ha un altro nome, ma un tempo aveva una maggiore interconnessione con la precedente: c'erano anche anche delle piccole peschiere; il vecchio mattatoio; un po' a ponente, a fianco della strada che attualmente concede solo un minimo accesso a Peglia, ai suoi vecchi mulini, alla Bocciofila del Dopolavoro Ferroviario, c'era una fabbrica di liquirizia, un edificio purtroppo devastatato dallo scoppio di una caldaia agli inizi degli anni '70, con la conseguenza di gravi danni alle persone, soprattutto con la morte di una giovane ragazza che frequentava il Bar Irene, vero centro sociale e culturale dell'epoca nella città di confine. Ed ancora un camping sempre molto affollato d'estate...
 



 
Sino a tutti gli anni Sessanta alcuni carri della Battaglia di Fiori, una volta finita la manifestazione, venivano portati, o riportati, davanti al mattatoio.
La via principale per Peglia, che passava per un varco del ponte della ferrovia, è stata resa intransitabile in quel proseguimento per motivi di sicurezza rispetto alle piene del limitrofo fiume Roia.
Per arrivare all'altra Bocciofila (quella storica ed affiliata al CONI), ai campi da tennis, ai rettangoli verdi del calcio occorre adesso sottoporsi ad un lungo giro.
Il campo di calcio di Peglia forse venne realizzato man mano che veniva dismesso quello vecchio in Piazza d'Armi a Camporosso (IM), ancora utilizzato nel 1964.

Adriano Maini

sabato 18 maggio 2024

Rosso, bianco e...

Sanremo (IM): la ormai dismessa vecchia stazione ferroviaria

A metà anni Cinquanta per i conduttori della linea ferroviaria Ventimiglia-Genova era normale scambiare qualche parola quando verificavano i documenti permanenti di viaggio di deputati e di senatori, tutte persone affabili, tutte vestite modestamente: era particolarmente cordiale un parlamentare democristiano di Savona che talvolta indossava un abito che presentava il rammendo di qualche strappo.

Sempre in quel torno di tempo - ma ancora dopo -, era illegare distribuire volantini politici sui treni. Ma non solo in tali casi. Ancor più si affrontavano i rischi di sanzioni se tali operazioni le facevano italiani in territorio francese. Capitava a militanti comunisti della zona di Ventimiglia (come di altre zone di frontiera, specie quelle con la Svizzera) correre di tali alee in occasione del rientro in patria (quella vera! quella del cuore e degli affetti umani!) su strada ferrata di migliaia e migliaia di connazionali emigrati per le elezioni politiche, che, invero, usufruivano degli sconti - riduzione a metà - sui prezzi dei biglietti, ma indubbiamente affrontavano spese non indifferenti - ancorché motivate anche dalle visite ai loro cari rimasti nel Paese e/o ai loro luoghi - per i magri bilanci familiari dell'epoca. Ad attendere i citati attivisti "rossi" alla stazione di Sanremo in tante occasioni era Libero Alborno, il Libero de "La curva del Latte" di Nico Orengo, che, quale personaggio reale, probabilmente sapeva di essere schedato dalla CIA perché organizzatore di attraversamenti clandestini oltre confine di repubblicani spagnoli e di altri profughi politici, come già prima, insieme a Luigi Lorenzi, detto "Luigiò", di quelli di ebrei, stranieri e non, in fuga per le leggi razziali di Mussolini. Ma di Libero manca tuttora una storia per così dire ufficiale, dalla sua attività - già avviata dal padre - di ibridazione di rose alla sua presenza nel primo e nel terzo - l'ultimo - CLN di Ventimiglia e tanto altro ancora, mentre nella tradizione popolare il ricordo che si tramanda di lui è quello di generoso benefattore.

I giovani della Federazione Giovanile Comunista di Roma attorniavano attenti - in quella primavera del 1971, all'indomani di quella imprevista, straordinaria e storica nevicata, in quel giardino della scuola di Partito delle Frattocchie - un sorridente Angelo Oliva con l'eterna sigaretta Gitanes Maïs in bocca.

Il funzionario comunista imperiese - alla svolta degli anni Ottanta - sosteneva con il suo accompagnatore che il deputato comunista di Nizza, già segretario di quella Federazione, gli ricordava molto un bandito corso.

Ai tempi dello scandalo sessuale di Gary Hart - del quale ancor oggi si scrive che senza le citate attenzioni mediatiche sulla sua vita privata avrebbe tranquillamente vinto nel 1988 le elezioni a Presidente degli Stati Uniti - il futuro deputato, poi senatore, democristiano, professore universitario, affermava bonariamente in amabile conversare per una via della cittadina intemelia che in Italia Hart non solo avrebbe potuto candidarsi, ma avrebbe anche riscosso un grande successo.

Il funzionario della Chambre de Métiers et de l'Artisanat delle Alpi Marittime teneva nel suo ufficio di Saint Laurent du Var un vecchio calendario de "Le Patriote", periodico dei comunisti locali, tuttora edito online. Il visitatore italiano lo riconobbe come tale, ma il collega francese fece mostra di non avere inteso. Mesi dopo quel documento non appariva già più. Di sicuro l'ambiente dei dirigenti dell'Artigianato del Nizzardo non era - e non è - dei più progressisti.

Si potevano - se di ritorno dalla capitale - incontrare al bar dell'aeroporto di Fiumicino il deputato di Imperia ed il senatore della zona, leghisti, eletti nella tornata del 1994: esempi di uomini politici scomparsi da tempo dalla scena.

Adriano Maini

domenica 12 maggio 2024

Partire da Sanremo per degustare a Ventimiglia baguette farcite con acciughe e cipollotti

Ventimiglia (IM): la zona Borgo

Sul finire degli anni '40 in un rinomato bar del centro di Ventimiglia molti clienti pretendevano di bere il caffé solo se fatto dal cameriere più giovane.

In quegli anni si diffondevano in tutta la zona alcune contaminazioni tra cucina locale ed altre regionali, tutte usanze all'insegna del necessitato risparmio: singolare il fatto che nelle arbanelle di pomodori secchi sott'olio venissero sempre più spesso aggiunti aglio e basilico.

A Bordighera era ancora su piazza una caratteristica venditrice ambulante di farinata, ancora oggi ricordata con tanta nostalgia.

Ad un altro esercizio di Ventimiglia al primo quarto degli anni '50 affluivano anche da Sanremo gruppi di giovanotti della piccola borghesia per degustare baguette - rigorosamente acquistate in giornata dal titolare a Mentone - farcite con acciughe e cipollotti nostrani ed intrise di burro ed aceto.

E diversi erano i siti per quelle che si potrebbero definire "merende fuori porta", in genere ubicati in campagna o in collina.

Sempre sul piano della memoria, si rincorrono e si accavallono tuttora le voci sulle migliori "pisciadele" della città di confine, tutte realizzate - altri tempi! - in condizioni di igiene che lasciavano molto a desiderare.

I locali in linea con la decenza gareggiavano giocoforza per attirare i ghiottoni non con la singola specialità, ma con l'offerta complessiva di prodotti da forno: l'eccellenza di uno di questi viene tramandata di generazione in generazione.

Un'insidia era, tuttavia, in agguato, perché, soprattutto a Bordighera, i piccoli forni annessi alle panetterie offrivano la possibilità di cottura a buon prezzo a frotte di massaie dalle mani d'oro, per un tripudio di verdure ripiene, di torte verdi e di dolci.

Ancora nei primi anni Sessanta per tante persone, non solo immigrate di recente, che non si potevano permettere che molto raramente di comprarli, le ricette concernenti le castagnole di Ventimiglia e i biscottelli di Bordighera - per non dire di altre prelibatezze del posto! - apparivano, invero, misteri esoterici, così come è ancora alla data odierna per le "bane" di Camporosso.

Indimenticabili, inoltre, le limonate fatte rigorosamente "con olio di gomito" in uno (oggi allocato un po' più a sud) dei due storici bar della zona Borgo - ponte sul fiume Roia a Ventimiglia.

Al fianco di ristoranti prestigiosi, meta di personaggi famosi, erano ancora diffuse, soprattutto nell'entroterra, locande e trattorie dai piatti caratteristici - coniglio, capra e fagioli, ecc - ma con l'apertura del primo esercizio che vendeva pizza al taglio (si potrebbe, tuttavia, pure scegliere un altro esempio) - forse si può intravvedere simbolicamente un deciso cambio di assetto strutturale, quale si prolunga in età contemporanea, non solo connotato di raffinatezze o di novità, d'ambiente e di portate, o di veloce consumo, ma anche di diffusione di manuali di cucina dalla più o meno facile consultazione, di negozi di gastronomia varia e di altro ancora.

Adriano Maini

venerdì 8 dicembre 2023

Francesco Biamonti sapeva di trovare spesso Sergio "Ciacio" Biancheri sul lungomare di Bordighera

Bordighera (IM): il Lungomare Argentina

Si racconta che Bruno Fonzi avesse preso in carico una borsa di svariati appunti, tutti di Giacomo Ferdinando Natta, una volta defunto quest'ultimo, con l'impegno di condividere, in funzione di future occasioni di valorizzazione, il materiale per così dire ereditato con diversi attori dei cenacoli letterari ed artistici che facevano perno anche su Bordighera: da quel lontano 1960 si sono perse, purtroppo, le tracce di quel prezioso retaggio.

Francesco Biamonti sapeva di trovare spesso Sergio "Ciacio" Biancheri sul lungomare di Bordighera intento ad abbozzare talune delle sue splendide "Marine": capitava altrettanto di sovente che chiedesse ed ottenesse in dono dall'amico pittore alcuni degli schizzi di prova, che al futuro scrittore di San Biagio della Cima sarebbero in seguito serviti per atti delicati di galanteria in ambito femminile.

Un altro amico pittore di Biamonti, Ennio Morlotti, introdotto casualmente in quella compagnia (i nomi che qui corrono ed altri ancora che non verranno citati animarono irripetibili stagioni culturali di Bordighera, talvolta anche della zona e del ponente) da Guido Seborga, trovò nella vicina Ventimiglia un mecenate molto discreto che, ospitandolo vicino a Porta Marina, gli diede l'occasione di studiare con calma i paesaggi, in particolare quelli aspri, e la natura del ponente ligure.

Guido Seborga, dal canto suo, non pago di avere già suscitato alti pensieri e valorizzato giovani di intelletto, una volta dedicatosi anche alla pittura, ben volentieri impartiva in Bordighera, sul finire degli anni Sessanta, disinteressate lezioni in materia, molto apprezzate da freschi virgulti.

Nico Orengo, il vero scopritore di Francesco Biamonti, quando presente nella zona di Ventimiglia e Bordighera, si teneva in genere più defilato in prossimità del confine francese e in Val Nervia, in località che furono per lui (come noto) grandi fonti di ispirazione.

Di Lalla Romano e di Francesco Biamonti esiste una fotografia che li colse in un intenso, plastico conversare. La scrittrice - ed artista - che già in gioventù aveva frequentato la Riviera, segnatamente Sanremo, cui in seguito la legarono anche altri affetti, nella sua intensa vita, conclusa in un luogo altamente evocativo, quale Brera in Milano, fu anche una grande amica di Bordighera, come tante tracce lasciate ancora documentano. A Lalla Romano in Bordighera è stata intestata una viuzza pressoché di campagna, a settentrione di regione Due Strade, non discosto dalla Frazione Borghetto San Nicolò.

Quasi a chiudere un minuto racconto, non si può dimenticare che Enzo Maiolino, sodale apprezzato da tanti personaggi, qui menzionati e non,  e da sempre al fianco di Luciano De Giovanni, il quale non disdegnava, pertanto, frequentazioni di Bordighera, meditava ancora poco prima della morte, sulla base di scritti che forse si illudeva di ritrovare ancora, e proprio nella città delle palme, di realizzare un'opera altamente compiuta sulla figura di Giacomo Natta, a cui, peraltro, aveva continuamente dedicato forte attenzione sotto forma di saggi critici e, addirittura, di cura di ristampa di talune opere.

Adriano Maini

mercoledì 18 ottobre 2023

Scalfari occupa una posizione anomala


«Nonostante la proliferazione memorialista degli ultimi anni, rimangono dei grandi buchi neri nella memoria collettiva del passato» scrive Colmeiro a proposito del contesto spagnolo. Un'analisi che nel caso italiano è ancora più azzeccata. Tuttavia alcuni elementi de "L'aspra stagione" permettono di fare luce su queste zone d'ombra.
Le due pagine di apertura de "L'aspra stagione" rappresentano un elemento del tutto anomalo rispetto al resto del libro. Non c'è alcuna indicazione numerica che le identifichi come un capitolo e le pagine successive, che costituiscono il primo capitolo hanno come numero identificativo lo “0”. Il testo iniziale del libro sembra dunque esterno rispetto al resto dell'apparato narrativo, eppure si trova nella pagina che segue il titolo del libro, la dedica e l'epigrafe in esergo. Si trova dunque dislocato in una sorta di non-luogo letterario che non è quello della classica introduzione. Anche la scrittura è anomala, dato che il testo è in corsivo. È anche l'unico capitolo ad avere una data, «Roma, gennaio 2010», che fornisce le indicazioni per storicizzare quanto scritto: "l'Italia non sogna più. Ha smesso di farlo un mattino di maggio del 1978. Da allora ha imparato a ingurgitare di tutto pur di restare con gli occhi sbarrati. Non lucida. Soltanto sveglia. Un Paese senza sonno. E senza sogni. Un Paese in cui non c'è differenza tra il giorno e la notte. Un Paese in cui sono successe troppe cose. Ma è come se niente fosse successo. Niente, dall'ultimo risveglio. Da quando ci siamo alzati e siamo usciti diretti al porto, per imbarcarsi sull'unica nave galleggiante. La nave sulla quale abbiamo viaggiato fino a oggi. Navigando a vista". <417
L'immagine della nave rende l'idea di un Paese che ormai ha abbandonato il proprio passato e le proprie sicurezze, senza tuttavia mai distaccarsene troppo. Il viaggio è la direzione intrapresa dal Paese dopo gli anni del passaggio storico descritto nel libro. La storia di Carlo Rivolta riguarda i momenti immediatamente precedenti all'inizio del viaggio, «è la storia del tragitto dalle piazze al molo, dalle case al porto. È la storia degli ultimi passi sulla terraferma» <418.
Al di là di Carlo Rivolta («l'uomo che se n'è andato un attimo prima che la nave salpasse»), il “prologo” contiene una serie di riferimenti che è necessario ricostruire per chiarire la filosofia del resto del libro. Prima di tutto la metafora, che in realtà è presa da un'immagine di Bettino Craxi, di cui nelle ultime pagine viene riportata la frase “E la nave va”, pronunciata nel 1983. Craxi appare nell'ultimo capitolo del libro senza essere mai stato citato prima, perlomeno in forma esplicita. È il Presidente del Consiglio che si incarica di stabilizzare il cambiamento e che vince lo scontro con il segretario del Partito Comunista, Enrico Berlinguer. È lui, dunque, il “Nostromo” del “prologo” che, all'epoca dei fatti «studiava da ammiraglio». Assieme al “Nostromo”, a salire sulla «unica nave galleggiante» c'è un intero equipaggio composto anche da «corsari e bucanieri» che hanno fretta di imbarcarsi e che sono «promossi - sul ponte - al rango di ufficiali». Una frase ambigua in cui però non è difficile individuare, tra gli altri, chi tramite la violenza o tramite l'inganno è riuscito a superare la fase di passaggio diventando potente. Da questo punto di vista è possibile ricollegare a questa immagine i nomi degli appartenenti alla loggia P2 che, all'interno del libro, appaiono nel capitolo dedicato alla narrazione dei convulsi eventi del 1981. Si tratta di un caso unico all'interno del testo, che vede l'alternanza sincopata dei testi in corsivo e in stampatello: il nome degli esponenti della P2 viene scritto in stampatello, secondo una forma rigorosa che fa eco allo stile formale burocratico “Cognome Nome, lavoro, numero di tessera”, gli eventi vengono invece scritti col carattere in stampatello e uno stile del tutto frenetico. L'effetto finale è quello della perdita dei punti di riferimento, come se nel bombardamento continuo di eventi disperati ciò che rimane sotto traccia fosse il filo dei nomi, ciascuno dei quali rimanda ad un percorso differente che caratterizza i successivi anni della storia d'Italia: Vito Miceli, Maurizio Costanzo, Mino Pecorelli, Roberto Calvi, Bruno Tassan Din, Franco di Bella e Silvio Berlusconi, i nomi citati vengono ripresi attraverso un salto multiplo in avanti: "un elenco di nomi. Una serie di numeri. E un «Piano di rinascita democratica». Alcuni anni prima. Durante i giorni del piccolo Rampi. Molti anni dopo. Fino ad oggi. Accade in Italia". <419 Alfredo Rampi è il bambino caduto in un pozzo il 12 giugno 1981, morto durante una diretta TV seguita da trenta milioni di persone. Un evento che anche Giuseppe Genna, in "Dies Irae", individua come un momento di svolta. Così come in "Dies Irae" <420, gli autori non cedono ad un'ipotesi che vede nel il caso di Alfredo Rampi un “complotto televisivo” <421 utile a coprire lo scandalo P2. Essi lasciano piuttosto al lettore il compito di un'interpretazione, concentrandosi ancora una volta sull'immagine dello sconfitto, Carlo Rivolta, il quale «accusa il colpo» <422. Che esista un complotto o meno, si tratta comunque di un momento in cui lo scandalo sfugge all'attenzione dei media.
Esiste infine una terza lacuna all'interno del libro, che corrisponde ad un'assenza che incide anche nei materiali a disposizione dei due autori. Eugenio Scalfari, il fondatore de "La Repubblica", rifiuta la richiesta degli autori di essere intervistato sulla vita di Carlo Rivolta: le sue interviste contenute nel libro provengono da materiali di archivio. E tuttavia la metafora sul mare è legata anche alla sua vicenda. Grazie alla successione tra il “prologo” e l'inizio del capitolo “0” viene suggerito un altro accostamento possibile:
"Acqua.
Tonnellate di acqua.
A mollo la pasta di legno, miscela concentrata di fibre in sospensione nel liquido. Abeti e pioppi spogliati, scortecciati, trasformati, trattati fino a ottenere polpa succosa. Cellulosa. Impasto diluito che diventerà carta". <423
Se da una parte il paese Italia avrà Craxi come “Nostromo”, Scalfari è il personaggio in grado di avere abbastanza preveggenza per dominare il “mare di carta” dell'informazione, un elemento non secondario all'interno di un libro che narra le vicende di un cronista. Scalfari viene presentato con uno stile che amplifica il mistero attorno alla sua figura; il suo nome viene svelato solo alla fine della descrizione della sua idea di fondare il giornale dopo che nelle due pagine precedenti ci si è riferiti alla sua figura come “lui” o “l'uomo”: "in un edificio tra piazza Indipendenza e via dei Mille, l'uomo - montatura leggera, lanugine candida - scandisce il mantra degli ultimi tempi: «Sessanta Righe”. Il limite è tassativo. Che tutti se ne facciano una ragione".
Pur essendo una figura decisiva, Scalfari rimane sempre molto distaccato dalle vicende narrate: le discussioni di redazione avvengono senza di lui, così come le liti, mentre le contrarietà alla linea del giornale rispetto alla politica mantenuta durante il sequestro Moro sono destinate a non emergere mai in maniera esplicita.
Nella modo in cui presenta il progetto per il suo quotidiano, Scalfari viene descritto come una persona in grado di ammaliare e ottenere ciò che vuole: "lui […] di anni ne ha cinquantadue. Gli ultimi dodici mesi li ha passati illustrando un progetto pazzesco presso i circoli degli industriali progressisti: «Vorrei fare un giornale liberal, della borghesia illuminata, un giornale nuovo sia nel formato che nella grafica, che nella stessa impostazione: diciamo non paludata, un giornale che non sia al servizio di nessuno, ma di una visione più moderna e avanzata del Paese. Cerco un po' di soldi e sono venuto da lei, perché mi sembra appartenere a quella ridotta categoria di imprenditori che ha una visione che supera l'interesse immediato nel profitto d'impresa»".
Il progetto è legato ad un discorso di mercato: il tema del “pubblico” e delle vendite è più volte sottolineato dagli autori che proprio nel capitolo “0” inseriscono la progressione dell'aumento del prezzo dei giornali nel corso degli anni Settanta. Lo stesso mutamento della linea editoriale viene ricollegato ad una scelta di mercato.
Innanzitutto c'è la scelta di conquistare i lettori del Partito Comunista, che comporta uno spostamento della linea editoriale che, prima del rapimento di Moro, «è sottile, ma percepibile» <424, e in seguito c'è la scelta della linea della fermezza rispetto alle Brigate Rosse, con cui Rivolta è in disaccordo: "la questione, per certi versi, è anche di mercato, perché - secondo Villoresi - «Carlo è entrato in contrasto con la linea di “Repubblica” quando le cose di cui amava occuparsi passano in secondo piano, quando - in virtù d'una particolare alchimia editoriale - si guarda ad altri target e ad altri mondi»". <425
Scalfari occupa una posizione anomala: è uno dei personaggi noti più citati nel romanzo, ma non rientra di fatto tra i “potenti”, coloro che determinano l'andamento del paese. Eppure la sua immagine si addice perfettamente alla figura del Grande Vecchio, del calcolatore che ha in mente un piano preciso per il futuro. La particolare prospettiva da cui Tommaso de Lorenzis e Mauro Favale osservano la storia mette dunque in luce un cono d'ombra ancora poco investigato. Gettare una luce su questa figura potrebbe forse rivelare attraverso quali discorsi e attraverso quali processi materiali (quali decisioni, quali interessi), nel corso degli anni, è andato formandosi un giudizio così univoco e inequivocabile sulla stagione che ancora oggi viene identificata attraverso la formula “anni di Piombo”.
[NOTE]
417 Tommaso de Lorenzis, Mauro Favale, L'aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, p. 5.
418 Ivi.
419 Tommaso de Lorenzis, Mauro Favale, L'aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, p. 216-217.
420 CFR. Claudia Boscolo, Stefano Jossa, “Finzioni metastoriche e sguardi politici della narrativa
contemporanea”, in Claudia Boscolo, Stefano Jossa (a cura di), Scritture di resistenza. Sguardi politici
nella narrativa italiana contemporanea, Carocci Editore, Roma, 2014, p. 23.
421 Claudio Milanesi, Il grande complotto televisivo: Giuseppe Genna Dies Irae, in “Cahiers d'études italiennes”, 2010, n. XI.
422 Tommaso de Lorenzis, Mauro Favale, L'aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, p. 218.
423 Tommaso de Lorenzis, Mauro Favale, L'aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, p. 7.
424 Tommaso de Lorenzis, Mauro Favale, L'aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, p. 113.
425 Tommaso de Lorenzis, Mauro Favale, L'aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, pp. 122-123.
Paolo La Valle, Raccontare la storia al tempo delle crisi, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015

lunedì 31 ottobre 2022

Ai primi anni Cinquanta risalgono molte delle operazioni clandestine più ambiziose messe in atto dalla Cia


Sull’argomento delle covert operations sarebbero successivamente tornate due direttive: la Nsc 5412/1 del 15 marzo 1954, e la Nsc 5412/2 del 28 dicembre 1955, che ampliavano le regole sulla base delle quali la Cia aveva agito sino ad allora <213. Questi ultimi due documenti arricchivano infatti la rosa degli obiettivi delle covert operations, che consistevano nel creare e sfruttare i problemi del comunismo internazionale; screditare il prestigio e l’ideologia del comunismo internazionale; limitare il controllo del comunismo su ogni area del mondo e rafforzare il consenso dell’opinione pubblica mondiale nei confronti degli Stati Uniti. Infine, alle covert operations veniva assegnato lo scopo di sviluppare un piano di resistenza efficace che, in caso di guerra, prevedesse la presenza di elementi civili di appoggio all’esercito, una base a partire dalla quale le forze militari potessero espandere le loro forze all’interno del territorio, e la presenza di facilities per eventuali fughe <214.
Nel quadro giuridico relativo alle covert operations rientra anche la direttiva Nsc 68 dell’aprile 1950, intitolata United States Objectives and Programs for National Security <215. Questo documento nasceva in un contesto profondamente mutato. Nel 1950, infatti, la nascita della Repubblica popolare cinese, la fine del monopolio nucleare statunitense e la guerra in Corea avevano aperto scenari cupi per la leadership americana e rendevano necessaria una revisione della strategia estera. L’Unione sovietica si stava infatti dimostrando un avversario ancor più temibile e tecnicamente competente di quanto previsto. La Nsc 68 rifletteva quindi l’esigenza di ristabilire la supremazia statunitense e di uscire dalla logica del contenimento, accusata di inerzia e passività. Era necessario reagire all’avanzata comunista in maniera più incisiva in quanto “una sconfitta in qualsiasi luogo” sarebbe stata percepita come “una sconfitta ovunque” <216. Nello specifico, il documento contiene gli strumenti necessari per garantire integrità e vitalità al sistema occidentale e per correggere le storture tipiche dei regimi democratici che l’Unione sovietica, spinta da una “fede fanatica” ed erede dell’imperialismo russo, avrebbe cercato di sfruttare per portare il continente euroasiatico sotto il proprio dominio. Nella realizzazione di questo disegno, gli Stati Uniti rappresentavano una minaccia permanente, in quanto l’idea di libertà di cui erano incarnazione era totalmente incompatibile con quella di schiavitù sovietica <217. La direttiva Nsc 68 contiene numerosi riferimenti al concetto di “credibilità”, una componente fondamentale per riaffermare la supremazia americana <218. Oltre alla reale distribuzione del potere, infatti, ciò che contava era il modo in cui l’immagine di forza e di fermezza degli Usa era percepita esternamente dal nemico sovietico, dagli alleati europei e dal resto del mondo. La direttiva ebbe tra i suoi principali effetti la “successiva militarizzazione della presenza americana in Europa, premessa per il riarmo della Germania e per la trasformazione del Patto Atlantico in North Atlantic Treaty Organization (Nato), una struttura militare che rendesse possibile la creazione di un esercito permanente in tempo di pace”. Inoltre, la Nsc 68 portò ad un incremento delle spese militari, che dai 22,3 miliardi di dollari (1951) salirono a 44 miliardi (1952) <219. “Ideologicamente e retoricamente sovraccarico”, il documento si inserisce nella serie di direttive volte ad imprimere un cambiamento alla politica estera e a integrare i mezzi tradizionali della politica, inadeguati nel contenere la crescita sovietica, attraverso il dispiegamento di mezzi dall’efficacia più diretta e immediata <220.
Un altro organismo che prese parte attiva nella guerra non ortodossa al comunismo fu, fin dalla sua creazione, la Nato stessa, che diede luogo ad una profonda revisione dei sistemi di sicurezza e di difesa statunitensi, con particolare riferimento alle operazioni clandestine condotte nei paesi dell’Europa occidentale <221. Attraverso protocolli segreti, la Nato assegnava ai servizi segreti dei paesi firmatari compiti di guerra non ortodossa contro il comunismo <222. Nel settembre 1951, ad Ottawa, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia crearono lo Standing Group, un comitato d’emergenza e direzione militare interno alla Nato, creato con lo scopo di dividere gli scacchieri militari in “gruppi regionali di operazioni”, e tra i cui compiti rientravano anche quelli relativi alla pianificazione di una strategia di guerra non convenzionale <223. Sempre a partire dal 1951, iniziò ad operare un altro organismo interno alla Nato nell’ambito della guerra non ortodossa: il Clandestine Planning Committee (Cpc), nato dall’approvazione di una direttiva del Saceur (Supreme Allied Commander in Europe) <224, da parte di Eisenhower, allora comandante delle forze Nato presso il Supreme Headquarters Allied Powers Europe (Shape) con sede a Bruxelles. Il Cpc aveva lo scopo di pianificare, preparare e dirigere guerre clandestine condotte da Forze speciali e dalla Stay Behind net in Europa <225. Quest’ultima rappresentò una rete clandestina operante in tutti i paesi del Patto Atlantico allo scopo di impedire l’espansione del comunsimo in Europa occidentale e, in caso di aggressione esterna, di organizzare la resistenza in ottemperanza della dottrina Nato della “difesa arretrata e manovra in ritirata” <226. In assenza di un attacco diretto, che effettivamente non avvenne mai, la rete servì principalmente ad organizzare una guerra occulta contro i Partiti comunisti dell’Europa occidentale, cui doveva essere impedito di ottenere il potere pena la compromissione della collocazione atlantica dei paesi stessi. Di fatto, le organizzazioni di Stay behind furono coinvolte, a partire dagli anni Cinquanta, in azioni sfuggite al controllo dei governi europei e non conformi alle loro costituzioni. Tali strutture avrebbero inoltre agito subordinatamente agli obiettivi di un più vasto e continuativo disegno atlantico, cui erano strettamente legati per mezzo di accordi militari e protocolli segreti. Rimasta a lungo occultata, dell’esistenza della Stay behind si sarebbero avuto le prime informazioni nell’ottobre 1990, grazie alle dichiarazioni dell’allora Presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti <227. Un’altra costola della guerra non ortodossa in Europa fu l’Allied Clandestine Committee (Acc), che a partire dal 1958 fu preposto al coordinamento delle varie reti di Stay behind europee e, come il Cpc, direttamente sottoposto al controllo degli Stati Uniti e collegato al Saceur <228.
La convinzione che le operazioni di tipo non convenzionale fossero lo strumento più efficace nella lotta al comunismo portò gli Stati Uniti ad impegnarsi in molte parti del mondo, attraverso una grande molteplicità di strumenti: l’elargizione di cospicui finanziamenti ai partiti di centro, il sostegno ai sindacati anticomunisti, la propaganda e l’infiltrazione di gruppi di resistenza armata. Oggi, le attività illegali della Cia sono note grazie ai lavori delle diverse commissioni di inchiesta statunitensi che si susseguirono in seguito allo scandalo Watergate, e che finirono per travolgere la reputazione dell’agenzia di intelligence <229. Le prime attività clandestine di carattere offensivo furono rivolte ai paesi dell’Europa dell’Est e ai paesi satelliti dell’Unione Sovietica, in particolare nei confronti dei paesi baltici e dell’Ucraina. In queste “denied areas” i servizi segreti americani operarono su due fronti: da un lato, misero in campo un’intensa attività di propaganda contro l’Unione sovietica, attraverso i canali ufficiali come The Voice of America, ma anche attraverso la creazione di apposite stazioni radiofoniche come Radio Liberty e Radio Free Europe <230. Gli Stati Uniti sfruttarono inoltre i contatti con le forze politiche antistaliniste, e l’infiltrazione di agenti locali. Le prime azioni di carattere difensivo furono invece destinate all’Europa occidentale, soprattutto a Francia e Italia, ove il peso del Partito e del sindacato comunista rischiava di consegnare i due paesi al blocco comunista. L’intervento più significativo ebbe luogo nei mesi che precedettero le elezioni italiane del 1948. In quell’occasione, gli Stati Uniti affiancarono a interventi di propaganda palese, volti alla costruzione di una immagine positiva di sé, covert operations come il finanziamento occulto alle forze politiche e ai sindacati anticomunisti <231.
A partire dagli anni Cinquanta, la stabilizzazione dell’Europa e il cambio ai vertici dell’amministrazione statunitense, con l’elezione di Eisenhower, portarono la Cia a rivolgere il proprio interesse verso scenari extra europei, ove il processo di decolonizzazione apriva nuovi contrasti con l’Urss <232. A questi anni risalgono molte delle operazioni clandestine più ambiziose messe in atto dalla Cia <233. Molte di queste si conclusero con clamorosi insuccessi, causati dalla superficialità e dalla scarsa lungimiranza con cui la componente operativa della Cia ne faceva un uso indiscriminato. Più che per gli effetti prodotti sul comunismo, queste operazioni sono ricordate per essersi tradotte in limitazioni “della libertà di espressione e di associazione”, in piani di detenzione d’emergenza per presunti “sovversivi”, in violazioni di diritti civili, e soprattutto in “liste nere”, “esecuzioni sommarie”, arresti per semplici “reati di opinione”, e nel “ricorso a dittature militari” <234. Nonostante ciò, le covert operations poterono godere sempre di una grande popolarità all’interno dell’establishment statunitense, divenendo uno strumento il cui ricorso fu costante per tutta la durata della guerra fredda <235. Questo fu principalmente dovuto alla “ubiquità strategica” delle covert operations, quindi alla loro flessibilità, “standardizzazione”, e alla facile applicabilità in contesti e situazioni diverse <236. Un’altra caratteristica che rese le covert operations uno strumento imprescindibile della politica estera americana fu la loro economicità, funzionale a contenere le spese militari senza compromettere la sicurezza e la difesa del blocco occidentale <237. In ultimo luogo, alla legittimazione delle covert operations concorse il ruolo svolto “dalla mentalità della guerra fredda ma anche dalla crescente frustrazione riguardo la passività della politica estera statunitense, che in quegli anni tendeva al “contenimento” dell’Unione sovietica. Alla crescente legittimazione della Cia corrispose così un costante potenziamento delle strutture e degli strumenti destinati alle covert operations” <238.
[NOTE]
213 L. Sebesta, L’Europa indifesa. Sistema di sicurezza atlantico e caso italiano. 1948-1955, Firenze, Ponte alle Grazie, 1991, p. 215.
214 Frus, 1950-1955, The Intelligence Community, NSC 5412/1, Covert Operations, Washington, 12 marzo 1955, pp. 624-625, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1950-55Intel/pg_624; Frus, 1950-1955, The Intelligence Community, NSC 5412/2, Covert Operations, Washington, undated, pp. 746-747, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1950-55Intel/pg_746.
215 Nsc 68, United States Objectives and Programs for National Security, 14 aprile 1950, disponibile al link: https://www.trumanlibrary.org/whistlestop/study_collections/coldwar/documents/pdf/10-1.pdf.
216 Ibid. p. 8.
217 Ibid., p. 38.
218 M. Del Pero, Libertà e impero, cit. p. 301.
219 E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, cit. p. 774.
220 M. Del Pero, Libertà e impero, cit. p. 302.
221 D. Ganser, Gli eserciti segreti della Nato. Operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale, Roma, Fazi, 2008, p. 38.
222 P. Willan, I Burattinai. Stragi e complotti in Italia, Napoli, Tullio Pironti, 1993, p. 33.
223 E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, cit. p. 788; G. Pacini, Le altre Gladio. La lotta segreta anticomunista in Italia. 1943-1991, Torino, Einaudi, 2014, p. 178.
224 Il Saceur nacque come il comando unificato supremo, con uno stato maggiore (lo Shape), che riuniva gli ufficiali dei diversi paesi alle dipendenze dell’autorità comune della Nato.
225 D. Ganser, Gli eserciti segreti della Nato, cit. p. 39.
226 Tale dottrina prevedeva che fosse lasciata, “all’inizio delle ostilità, una parte del territorio nazionale in mano all’avversario, per poi rallentarne l’avanzata e logorarlo”. Lo scopo era quello di far arretrare le proprie forze e sistemarle in posizioni più idonee da cui sarebbe partita la controffensiva. In estrema sintesi, quindi, tale dottrina comportava la nascita di determinate strutture paramiliari che, “anziché cercare di respingere sul nascere un’invasione e rischiare di essere decimati fin da subito, rimanessero “in sonno” per alcune ore, lasciando avanzare il nemico per poi prenderlo alle spalle”. G. Pacini, Le altre Gladio.p. 179.
227 D. Ganser, Gli eserciti segreti della Nato, cit. p. 7.
228 Ibid., cit. p. 39.
229 Verso la metà degli anni Settanta il Parlamento statunitense avviò tre indagini, le cui relazioni finali restano ancora oggi un punto di riferimento per ricostruire l’espansione dei poteri della Cia e del Pentagono al di fuori fuori del controllo democratico. Le tre Commissioni incaricate di condurre queste indagini furono la Pike Committee, la Church Committee, e la Murphy Committee. D. Ganser, Gli eserciti segreti della Nato, cit. p. 377.
230 J. Campbell, American Policy Toward Communist Eastern Europe: The Choices Ahead, Minneapolis, The University of Minnesota Press, 1965, p. 88; V. Marchetti, J. Marks, Cia, cit. p. 43.
231 A. Silj, Malpaese. Criminalità, corruzione e politica nell’Italia della prima Repubblica. 1943-1994, Roma, Donzelli, 1994, p. 31.
232 La questione coloniale fu centrale nella definizione dei rapporti tra le due potenze. Il modello socialista e l’Urss, per le loro posizioni notoriamente antiimperialiste e a favore dei paesi sottosviluppati, furono assurti a modello di riferimento delle forze nazionaliste locali, e Stalin strumentalizzò questa posizione, con conseguenze nefaste per il modello di sviluppo e di indipendenza dei Paesi del Terzo mondo, che finirono sotto una nuova forma di imperialismo. E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, cit. p. 924.
233 A. Colonna Vilasi, Storia della Cia, Roma, Sovera Edizioni, 2014, p.17.
234 Ibidem.
235 L. K. Johnson, American Secret Power, cit. p. 100.
236 M. Del Pero, Cia e covert operation nella politica estera americana, p. 709.
237 J. L. Gaddis, Strategies of Containment, cit. pp. 225 e ss; L. Sebesta, L’europa indifesa, cit. pp. 213-215.
238 A. Colonna Vilasi, Storia della Cia, cit. p. 18.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020