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sabato 20 novembre 2021

Firenze è resa esperta dalla sua storia


La città di Firenze è stata motivo d’ispirazione per molti scrittori e registi italiani.
Vasco Pratolini ha collocato la cronaca quotidiana dei suoi personaggi nella città d’origine.
Secondo Marino Biondi «il suo cielo era quello di Firenze, nessun altro cielo lo avrebbe mai ispirato». <88 Anche se lo scrittore non era stato sempre lì, comunque la città era nei suoi ricordi, la guardava da lontano «scrutandola con l’occhio del narratore, fisso al suo spiraglio di verità». <89
L’uomo e la città sono uniti. L’uno non può stare senza l’altro. L’uomo senza la dimora perde la sua identità e la città senza l’uomo rimane vuota, senza ricordi.
"La città era dell’uomo e l’uomo era della città, nella città. L’una e l’altro si appartenevano per potere fare storia, perché si accendesse la scintilla della storia, che lo scrittore poi avrebbe raccontato. Le pietre della città furono i maestri muti dello scrittore". <90
Molti autori hanno scritto di Firenze, sia come protagonista sia usandola come lo sfondo per le loro storie, ma secondo Marino Biondi, Vasco Pratolini è stato uno tra i migliori, perché è riuscito a rappresentare tutta la sua bellezza, dove anche le sporche vie prendono una certa importanza.
"Nessuno ha raccontato Firenze come lui, facendo di Firenze, pur raccontata le mille volte, la sua Firenze, una città con segno pratoliniano, come è esistita una Parigi proustiana. La città pratoliniana è stata quella dei poveri amanti e quella dei duellanti che contendono fra loro nell’infinito conflitto delle avverse parti politiche. Il rosso e il nero. I grandi scrittori lasciano impronte indelebili sulla terra, da cui hanno tratto vigore e ispirazione". <91
Marino Biondi scrive anche: "Pratolini è stato l’ultimo scrittore che l’ha raccontata “intera”, la città, raccontata insieme alla sua vita, vivendo con lei e di lei, con le vecchie mura, i quartieri, dentro l’anima di una città e le reciproche sanguinanti aggressioni". <92
[...] "La città, si legge nelle Cronache di poveri amanti, è resa esperta dalla sua storia, di cui ogni pietra, ogni campana, conservano il ricordo". <95
Secondo Jurij Michajlovič Lotman (1922-1993, il linguista semiotico russo) è possibile caratterizzare moralmente i personaggi letterari attraverso il tipo di spazio artistico a cui appartengono. Si possono distinguere gli eroi dello spazio aperto (le strade, le foreste) e gli eroi dello spazio chiuso (il salotto).
I personaggi di Vasco Pratolini svolgono le loro cronache quotidiane sia in spazi aperti sia in spazi chiusi, con una predilezione per le vie fiorentine. Marino Biondi scrive: "La sua firma di autore era lì a garantire una cronaca della città, un referto realistico ma anche una leggenda, una topografia di strade e di quartieri, una serialità amorosa di cronache e storie, a legittimare una storia, a restituirla a molti di noi come un ricordo dolcissimo e poetico". <96
Henri Lefebvre (1901-1991), filosofo, geografo, saggista, sociologo e partigiano francese, distingue nel suo libro La produzione dello spazio (1975) lo spazio percepito (le concrete pratiche spaziali), concepito (le rappresentazioni dello spazio; lo spazio dominante in una società; lo spazio degli scienziati, degli urbanisti) e vissuto (gli spazi della rappresentazione; lo spazio vissuto attraverso le immagini e i simboli che l’accompagnano; lo spazio degli abitanti, degli utenti, di certi artisti). Lo spazio nelle opere di Vasco Pratolini è quello vissuto, lo scrittore descrive le vie della sua infanzia e giovinezza.
Vasco è stato il cronista-cantore di tutti i fiorentini, nel bene e nel male, nella buona e nella cattiva sorte, per evocare la formula di patto sacro con la propria terra, che era poi terra urbana, la città come luogo per eccellenza della comunità, dell’agire comune, o dell’aspro contendere sulle idee e sui poteri. <97
Secondo Marino Biondi «la città prima fu vissuta, poi divenne oggetto perpetuo di riflessione narrativa». <98  Scrive anche: "Vide Firenze, e l’amò, dalla fine degli anni Trenta sempre da lontano. Solo così ha potuto ricrearla nella memoria e nell’arte. Una ricreazione che è passata attraverso un’indagine prima di scrittura lirica, lieve e poetizzante, e poi di vera storia, trasfusa nella trilogia dei romanzi di storia italiana. Dalle cronache, come quelle degli antichi cronisti della sua città, è passato alle storie". <99
Un’altra distinzione significante è anche quella tra utopie (spazi senza luogo reale, che non trovano riscontro nella realtà, ma vengono proposti come ideali e come modelli <100) ed eterotopie («luoghi reali, riscontrabili in ogni cultura di ogni tempo» <101), data da Michael Foucault (1926-1984, filosofo e storico francese). Gli scrittori neorealisti scrivevano solo di luoghi reali, non immaginari o utopici.
[...] Nella lettera a Alessandro Parronchi del 18 gennaio 1946, Vasco Pratolini precisa che il romanzo Il Quartiere è stato concepito prima del 25 luglio e portato a termine «nelle notti dell’occupazione tedesca di Roma». <104
Vasco Pratolini scrive da Roma a Parronchi il 30 marzo 1944: "Siccome so che ti farà piacere ti dirò che nottata dietro nottata, ho scritto e portato a termine un romanzo, finito ormai da circa due mesi. Si intitola Il Quartiere, e l’azione si svolge nel nostro quartiere di S. Croce, è la storia di cinque uomini e tre donne, dai loro quattordici ai vent’anni, dal 1930 al 1936". <105
Il periodo che va dal 1932 al 1937 è considerato come «gli anni del consenso ma anche quelli più totalitari di un regime che ha già trascinato il paese in più guerre (l’Africa, la Spagna) e si prepara a trascinarlo in una guerra mondiale». <106
Goffredo Fofi (critico teatrale e cinematografico italiano) nella sua prefazione Racconto crudele di gioventù sostiene che Pratolini racconti «un gruppo di ragazzi e un intero quartiere, non un solo vicolo rigorosamente censito in tutti i suoi abitanti vecchi e giovani e nella sua mossa composizione sociale, di popolo e non di classe, come è nelle Cronache». <107 Per il critico si tratta, insomma, di una storia corale.
Il romanzo è scritto in prima persona («qui l’io narrante, che parla per gli altri e insieme agli altri, diviene un “noi”» <108) e ingloba marcati elementi autobiografici. Attraverso il personaggio di Valerio, l’autore rappresenta la proiezione dei suoi anni di formazione. Lo scrittore è onnisciente, in quanto conosce profondamente le storie dei personaggi, i loro pensieri e sentimenti.
I due romanzi di Vasco Pratolini, Il Quartiere e Cronaca familiare, insieme con Bilenchi e i suoi Racconti, vengono considerati come i «maestri di un realismo esistenziale toscano che si sviluppa soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ‘30 e che continua con Carlo Cassola». <109
 


[NOTE]
88 BIONDI M., Pratolini, Cent’anni di cronache, cit., p. 23.
89 Ivi, p. 10.
90 Ivi, p. 34.
91 Ivi, p. 83.
92 Ivi, p. 209.
95 BIONDI M., Pratolini, Cent’anni di cronache, cit., p. 22.
96 Ibidem
97 Ivi, p. 33.
98 Ivi, p. 86.
99 Ivi, pp. 86 - 87.
100 Tratto da: http://www.treccani.it/vocabolario/utopia/, (Sito consultato il 29 settembre 2018).
101 Tratto da: http://www.treccani.it/enciclopedia/eterotopia_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/, (Sito consultato il 29 settembre 2018).
104 Ivi, p. 89.
105 Ibidem
106 PRATOLINI V., Il Quartiere, cit., p. IX.
107 Ivi, p. VII.
108 La letteratura italiana diretta da Ezio Raimondi, Il Novecento, 2. Dal neorealismo alla globalizzazione, a cura di Gabriella Fenocchio, cit., p. 86.
109 LUPERINI R., MELFI E., Neorealismo, neodecadentismo, avanguardie, cit., p. 58.
 

Sanja Bajić, Le rappresentazioni della cronaca quotidiana negli scritti di Vasco Pratolini, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pola, 27 marzo 2019