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domenica 29 gennaio 2023

A Cuneo venni processata nel settembre del '25

Garessio (CN). Fonte: Borghi Storici

Il giorno che venne a Garessio un responsabile regionale dei chimici ci fu un tafferuglio con i carabinieri sul ponte sul Tanaro: un operaio prese un fucile ad un carabiniere e lo gettò nel fiume. Sul momento presero nota solo del nome, ma due anni dopo quell'operaio fu arrestato.
Nel frattempo i fascisti pubblicarono a Garessio un manifesto firmato da Gigetto Malatesta, un parente del famoso Malatesta, l'anarchico, che aveva fatto scoppiare la bomba al Diana di Milano, causando molte vittime.
Ricordo ancora il tono di quel manifesto, frasi come "perché tutti sappiano cos'è il fascio di combattimento" oppure "i conigli saranno schiacciati".
I carabinieri ricevettero l'ordine dalla Questura di perquisire alcune abitazione e prima ancora di effettuare la perquisizione arrestarono il compagno responsabile della commissione interna della Lepetit.
I carabinieri vennero a perquisire anche casa mia. La sezione si era disfatta; molto materiale era a casa mia; la moglie del segretario della sezione, che in quei giorni era fuori Garessio, venne da me la sera prima della perquisizione portandomi un fascio di documenti, perché non voleva passare dei guai. Il maresciallo dei carabinieri mise sottosopra la casa, io mi sentivo umiliata davanti ai miei genitori.
Ricordo che dopo la perquisizione il maresciallo dimenticò la sciabola da noi; quando tornò a riprenderla mi comunicò che, non essendoci stanze libere per trattenermi quella notte stessa in caserma, mi sarei dovuta preparare per essere accompagnata il mattino seguente a Mondovì.
Ricordo ancora mia madre che mi venne ad avvisare il giorno dopo, per dirmi che i carabinieri mi stavano aspettando: fu davvero un brutto momento.
Mi portarono a Mondovì, davanti a tre delegati di pubblica sicurezza, tre persone di cui non conoscevo neppure il nome. Nel materiale sequestrato il giorno avanti a casa mia, c'erano tutti i documenti relativi alla sezione, i nominativi degli iscritti, le tessere. L'interrogatorio durò dalla mattina alle nove alla sera alle cinque. Cercavo di inventare delle frottole per coprire i compagni. Romagnolo era già stato arrestato, ma dopo di me non presero più nessuno. Rimasi sette o otto giorni a Mondovì, poi mi trasferirono nel carcere di Cuneo. A Cuneo venni processata nel settembre del '25 e mi diedero nove mesi con il beneficio della condizionale.
Quando ero in carcere venne un giorno da me una donna con un biglietto indirizzato a me. Le parole che vi erano scritte sono rimaste impresse nella mia memoria, diceva: "Lucia, piccola maestrina, cosa insegnavi alle tue alunne? La filosofia di Aristotele o l'astronomia? O forse era meglio la teoria di Marx e di Gramsci? Ti ho visto mentre guardavi le rondini sul tetto. Forse pensavi alla tua, o meglio alla nostra libertà". Non sono mai riuscita a scoprire chi mi aveva mandato quel biglietto in cui mi chiamava maestrina, non sapendo che non avevo avuto la possibilità di studiare.
Nel '26 sono di nuovo in carcere con un nuovo processo a carico. Il titolo che apparve nell'articolo del "Subalpino" era: 'Il processo ai sovversivi'.
L'antefatto era questo: nel 1926 il Partito Comunista era già fuori legge; venne convocata una riunione a Mondovì, mi pare in un caffè dell'altipiano. Non potendo recarmi alla riunione scrissi una lettera ai compagni, informandoli della mia assenza e dei suoi motivi.
Il motivo era la presenza a Ceva del principe, accompagnato da tutte le autorità fasciste. Ricordo che usai queste parole: "...non posso transitare per Ceva a causa di tutto quel bordello..."; avevo l'abitudine di scrivere come parlo.
Al processo, l'avv. Lastrucci mi domandò se avevo partecipato alla riunione per cui erano stati arrestati gli altri compagni e io negai. Avevano però in mano la mia lettera di adesione alla riunione e mi chiesero spiegazione dell'uso della parola "bordello", riferita al principe e alla sua visita a Ceva. Ovviamente era stata interpretata come un'offesa al principe stesso e a tutta la casa reale. Io mi difesi dicendo che in piemontese questa parola si usa per indicare una gran confusione, e io del resto l'avevo veramente adoperata intendendo questa accezione, e comunque Dante l'aveva usata prima di me nei famosi versi: "Ahi serva Italia di dolore ostello/non donna di provincia ma di bordello".
Fummo assolti, ma nel frattempo avevo fatto un altro po' di galera.
Tornai alla vita di tutti i giorni. Sbrigavo le faccende domestiche e per un certo periodo lavorai ad imballare la frutta. Mi presentai anche alla Lepetit, avendo saputo che assumevano manodopera femminile. Andai con un'amica, ma né io né lei fummo assunte. Il direttore mi disse esplicitamente che temeva che "facessi fare la rivoluzione là dentro".
I contatti con il Partito erano in quegli anni piuttosto sporadici. Una volta andai ad Alba per una riunione. All'epoca c'era ancora Roberto. Arrivò un compagno ad avvisarci che c'era la polizia, così ci trovammo in un campo un po' fuori città. In quella riunione si decise di cercare di mantenere i contatti con Torino, perché troppo difficile era riuscire a tessere una trama di punti di riferimento in provincia di Cuneo, perché questa era troppo estesa e quindi i contatti difficili e sporadici.
Ricordo che tornando dalla riunione incontrammo la ronda (erano i tempi in cui si cantava "lenta va in giro la ronda"), così il compagno che era con me mi abbracciò e facemmo finta di essere due fidanzatini a passeggio, per passare inosservati.
Anche a Garessio discutemmo su come potevamo mantenere i collegamenti con gli altri gruppi. Una volta ricevetti una lettera di recarmi a Torino, in Via Nizza, in un caffè; ci andai ma non incontrai nessuno. Un altra missiva mi invitava a recarmi a Mondovì, in occasione del congresso eucaristico, dove avrei potuto incontrare altri compagni. Anche quella volta non incontrai nessuno.
Ricevetti in seguito un'altra lettera di convocazione a Torino, ma non ci andai più perché temevo una trappola.
Dopo il 1926 feci per un certo periodo la segretaria per una mutua di contadini della zona di Ormea, Garessio, Priola. I contadini avevano assicurato i capi di bestiame contro la mortalità, insomma se morivano dei capi di bestiame la società ne risarciva una parte del valore; io facevo la segretaria per questa società per L. 100 all'anno. I fascisti non potevano digerire la faccenda perché avevo sempre dei contadini in casa; un paio di volte all'anno facevamo delle riunioni pubbliche e in quelle occasioni avevo sempre presenti al mio fianco due carabinieri: io quasi mi divertivo a provocarli.
Poi venne la guerra. Quando la guerra cominciò ad andare male cercavamo di incontrarci, su in montagna per tentare di riorganizzarci. Dopo l'8 settembre il Partito si ricostituì e incominciammo di nuovo a lavorare. Mandammo tutti gli sbandati della 4^ Armata che transitavano nella nostra zona, specialmente quelli che arrivavano da Albenga, a Valcasotto. Vestivamo quei soldati con abiti civili e li accompagnavamo in montagna, a Valcasotto dove si stavano organizzando le formazioni di Mauri.
Testimonianza di Lucia Canova in Sergio Dalmasso, Lucia Canova, donna e comunista, CIPEC, Quaderno n° 1, Cuneo, 1995

giovedì 19 gennaio 2023

Meridiano d’Italia si compiace di descrivere un Visconti furioso che abbandona immantinente Venezia


All’uscita di "Ossessione" (1942) Visconti raccolse con cura le recensioni in due album suddividendole tra favorevoli e contrarie. Tra di esse, ve n’erano fatalmente molte provenienti da giornali allineati al regime e capaci persino di invocare «legnate» <1 per il regista di quella che venne accolta come un’opera di esemplare degenerazione. In seguito Visconti prese a ostentare disinteresse per la critica, fatta eccezione per alcuni recensori con cui intratteneva rapporti personali, e certamente non ha continuato a occuparsi di quella d’estrema destra. Non è però vero il contrario: il regista è stato infatti per molti anni un bersaglio di questa stampa, tanto da stabilire un poco invidiabile primato eguagliato solo da Pier Paolo Pasolini.
È possibile persino seguire il migrare di questi suoi oppositori (critici anzitutto, ma anche scrittori, giornalisti e burocrati) dal regime alla Repubblica.
Lo scrittore Marco Ramperti, ad esempio, che nel 1944 attacca «quello sporco rigagnolo» <2 che è per lui "Ossessione", diverrà il più sguaiato dei corsivisti di “Meridiano d’Italia”; Adriano Baracco, che l’anno prima su “Film” aveva apprezzato l’esordio di Visconti ma insinuava sul modo in cui Clara Calamai era «tenuta un po’ in secondo piano da una regia banchettante con esagerato compiacimento sui muscoli di Girotti» <3, sotto lo pseudonimo Ugo Astolfo diverrà il critico cinematografico dello “Specchio”.
“Candido” (1945-1961), “Meridiano d’Italia” (1946-1962), “Il Borghese” (1950-1994) e “lo Specchio” (1958-1975), su cui concentreremo l’attenzione, sono solo quattro delle testate che nel dopoguerra raccolgono le spoglie della cultura di destra transitata dal regime <4. Le differenze che le separano non sono trascurabili, soprattutto nel rapporto che intrattengono con il ventennio, variabile tra la nostalgia dichiarata e l’atteggiamento più prudente di una destra «non più fascista ma nello stesso tempo estranea all’antifascismo» <5. Ma queste differenze, così come le vicissitudini interne delle singole testate, non impediscono loro di riflettere nell’insieme un immaginario coerente, fondato - nella sintesi di Germinario - sull’avversione per l’antifascismo, per la modernità, per la Repubblica e per il comunismo <6. Una consonanza, come vedremo, riscontrabile anche nell’atteggiamento assunto da questi giornali nei confronti di Visconti.
[...] non sorprende che "Senso" (1954) venga criticato per la sua rilettura gramsciana del Risorgimento. Sorprende semmai la pacatezza dei toni <7, ancora lontani dall’aggressività di cui i rotocalchi dell’estrema destra daranno prova in seguito, ad esempio quando Baracco definirà "Senso" «uno stupendo vassoio con sopra una carogna in putrefazione» <8. Anche nel caso di “Meridiano”, benché i suoi recensori siano sempre suscettibili quando la guerra è coinvolta o anche solo evocata in metafora, le espressioni salaci sono per ora riservate al neorealismo, con i suoi soggetti «trovati nelle pattumiere e nelle fogne dei suburbi» <9, i suoi «vergognosi e menzogneri miti della “liberazione”» <10, i suoi «concimi merdosi» <11. Visconti invece non provoca ancora insofferenza e in questi anni non è fatto oggetto di attenzioni privilegiate, come del resto non lo è lo spettacolo in generale: composto di sole quattro pagine fino al 1950, “Meridiano d’Italia” si occupa quasi esclusivamente di politica e di storia recente. Per il primo pezzo polemico sul cinema occorre aspettare il 1951, così come per la prima rubrica di recensioni <12, la cui attenzione si sposta presto dal cinema al teatro.
[...] Per il resto, "La terra trema" (1948) è appena citato in una serie di articoli dedicati a ricostruire il modo in cui i comunisti, non potendo fare aperta propaganda senza perdere l’appoggio del pubblico, preferirebbero mimetizzarsi con apporti di sceneggiatura e regia apparentemente privi di risvolti politici <14, mentre "Le notti bianche" (1957) riscuote misurati apprezzamenti, al punto che si esprime l’augurio che Visconti trovi i soldi per fare un nuovo film nonostante la crisi <15.
Alla fine del decennio però qualcosa cambia irreversibilmente il rapporto con Visconti. Annunciando la lavorazione di "Rocco e i suoi fratelli" (1960), il giornale si concede un primo affondo, ancora misurato: «[…] senza nulla togliere al merito di Luchino Visconti, perché questo regista va sempre in cerca di soggetti che han sempre da farsi perdonare qualcosa dalla vita?» <16. A settembre si colloca orgogliosamente fuori dal coro approvando la scelta della giuria di Venezia: nell’oltraggio generale di chi ritiene sopravvalutato "Le passage du Rhin" (Il passaggio del Reno) anche quando non si voglia compromettere con un appoggio esplicito a Visconti, “Meridiano d’Italia” difende il film di André Cayatte dalle accuse di essere «“fascista” o “nazista” […] per il semplice fatto che i personaggi tedeschi non sono dipinti con la solita tavolozza conformista del dopoguerra, come gente bieca, selvaggia, truce e bestiale; ma hanno caratteristiche umane come tutti gli altri», e di conseguenza si compiace di descrivere un Visconti furioso che abbandona immantinente Venezia <17. A distanza di qualche settimana prende inoltre posizione a favore dell’intervento della magistratura e quindi dell’oscuramento in proiezione dei punti ritenuti scabrosi: di fronte alla «sinistra sporca» e a coloro i quali «dovendo fare del teatro o del cinema ricorrono, per fare presa sul pubblico o per dar sfogo ai loro istinti, alle oscenità di ogni genere», “Meridiano” è persino disposto, con malcelato sforzo, a dichiarare che «si può dare ragione anche al Governo Fanfani» e a una censura addirittura «coraggiosa» <18.
Sin qui le ragioni della polemica sembrano legate nuovamente alle modalità di rappresentazione della guerra e a generiche questioni di moralità che coinvolgono sì Visconti, ma accanto a Fellini e a tutta una schiera di imitatori che stanno accelerando il processo di erotizzazione della cinematografia italiana.
Una virata fortemente sentita se il giornale arriva ad avallare l’operato di una DC che ha appena chiuso le porte al MSI dopo il disastroso naufragio di Tambroni. Se infatti la difesa di un film accusato di fascismo si accorda pienamente con la linea editoriale della rivista, l’anticomunismo (su questa come su tutte le riviste che andiamo considerando) si accompagna di solito ad altrettanta diffidenza nei confronti del partito di maggioranza relativa, soprattutto perché reo di rinnegare i trascorsi fascisti di molti suoi rappresentanti.
Nemmeno la posizione sulla censura può dirsi scontata se si considera come sia più diffusa nell’ultradestra la tesi della sua sostanziale inutilità, o peggio di una sua esizialità (perché fonte di pubblicità) rispetto alla quale si preferirà dare appoggio alla magistratura. La svolta va posta sullo sfondo della trasformazione radicale subita da “Meridiano” nel 1959 quando, conclusa la pubblicazione di una biografia a puntate di Mussolini che ne aveva monopolizzato le pagine per quasi due anni, adotta il modello del rotocalco e si apre ad argomenti variegati. Occorre inoltre tenere presente come "Rocco e i suoi fratelli" inneschi una reazione a partire da contenuti oggettivamente provocatori, aggravati dallo sfruttamento ideologico del film fatto da una sinistra incurante di deformarne in parte il senso. Visconti può infatti ora tornare a forme e contenuti che aveva già fatto affiorare nei suoi esordi sia cinematografici sia teatrali (aggirando la censura fascista e approfittando della sua temporanea abolizione nell’immediato dopoguerra) e che erano stati poi inibiti dalla censura restaurata da Andreotti (tanto a teatro quanto al cinema), come accade con l’affossamento di tutti gli adattamenti di Tennessee Williams progettati da Visconti tra il 1954 e il 1957 <19.
Tuttavia queste considerazioni non bastano a comprendere la portata del mutamento e il motivo per cui si instaura una campagna stampa che non muterà toni e contenuti di fronte a più innocui lavori successivi e che coinvolge tutta la stampa di destra, al di là del caso specifico dell’organo del MSI. Occorre dunque guardare a un quadro più ampio, di cui cinema e teatro sono parte integrante ma non costituiscono la totalità.
[NOTE]
1 L.L., Ossessione... di brutti film, in: “Italia Giovane”, 19 giugno 1943. I due album sono conservati presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, Fondo Visconti, serie 7, unità 10, sottofascicoli 16 e 41.
2 M. Ramperti, Incontri e letture, in: “Stampa Sera”, 6 maggio 1944.
3 A. Baracco, Dalle zero alle 24, in: “Film”, a. VI, n. 23, 5 giugno 1943, p. 5.
4 Cfr. M.B. Sentieri, Dal neofascismo alla nuova destra. Le riviste 1944-1994, Roma, Nuove Idee, 2007.
5 R. Liucci, L’Italia borghese di Longanesi. Giornalismo politica e costume negli anni ’50, Venezia, Marsilio, 2002, p. 194.
6 Cfr. F. Germinario, Da Salò al governo. Immaginario e cultura politica della destra italiana, Torino, Bollati Boringhieri, 2005. È altresì significativo che vi siano firme comuni a diverse redazioni: ad esempio, le differenze tra “Candido” e “Il Borghese”, pur rilevanti, non impediscono a Giovannino Guareschi di collaborare con quest’ultimo quando il suo giornale viene chiuso.
7 Cfr. Mario Monti, Senso, in: “Il Borghese”, 4 febbraio 1955, e Marco Monti, Dalle cannonate di Custoza ai carri di El Alamein, in: “Meridiano d’Italia”, 13 febbraio 1955.
8 U. Astolfo, Le stelle putrefatte, in: “lo Specchio”, 3 ottobre 1965, p. 31.
9 L. Jocca, Decima Musa, in: “Meridiano d’Italia”, 2 marzo 1952, p. 3.
10 E. Canevari, Cinema italiano, in: “Meridiano d’Italia”, 26 ottobre 1952, p. 3.
11 M. Ramperti, Crollo d’un baraccone, in: “Meridiano d’Italia”, 26 settembre 1954, p. 3.
12 In precedenza compaiono solo, nel 1946, la rubrica “Tra le quinte dello spettacolo” (dedicata ad aneddoti e folclore popolare legato a cinema e teatro, ma non a un vero e proprio esercizio critico) e, nel 1949, una serie di articoli in cui Ramperti rievoca la sua esperienza del cinema in lavorazione a Salò.
14 Cfr. A. Bolzoni, Falliscono i film comunisti, in: “Meridiano d’Italia”, 14 febbraio 1954.
15 Cfr. A. Bolzoni, Cinema, in: “Meridiano d’Italia”, 11 febbraio 1958.
16 A. Desmain, Rocco, il cocco di Luchino, in: “Meridiano d’Italia”, 24 aprile 1960, p. 11.
17 N. Frati, È caduto il festival dell’“apertura”, in: “Meridiano d’Italia”, 18 settembre 1960, p. 29.
18 Cfr. s.n., L’equivoca Arialda, in: “Meridiano d’Italia”, 27 novembre 1960, p. 34. Cfr. anche XYZ, L’offensiva dei pornografi, in: “Meridiano d’Italia”, 4 dicembre 1960.
19 Cfr. M. Giori, Poetica e prassi della trasgressione in Luchino Visconti. 1935-1962, Milano, Libraccio, 2011, pp. 186-188. Sui rapporti tra Visconti e il teatro di Tennesse Williams si veda ora A. Clericuzio, Tennessee Williams and Italy. A Transcultural Perspective, London, Palgrave, 2016
Mauro Giori, Alla corte di Re Luchino. Visconti visto dalla stampa dell’estrema destra laica in (a cura di) Massimo De Grassi, "Luchino Visconti oggi: il valore di un’eredità artistica", Trieste EUT Edizioni Università di Trieste, 2020, pp. 85-116

sabato 7 gennaio 2023

Hồ Chí Minh giunse a Guìlín, utilizzando il nome di Hú Guāng


La crescente minaccia giapponese in Cina preoccupò Nguyễn Ai Quốc [n.d.r.: di lì a breve avrebbe assunto il nome di Hồ Chí Minh] che, dopo il periodo di convalescenza dalla tubercolosi, vi ritornò nell’agosto del 1938. Il paese tuttavia non era lo stesso di cinque anni prima: Chiang Kai-Shek, dopo aver ripulito dai comunisti le aree a sud del fiume Yángzǐ <4, nel 1937 fu convinto a formare un secondo fronte unito col PCC, per contrastare la minaccia nipponica. Questo episodio fu un’opportunità fortuita per NAQ: l'istituzione del fronte unito avrebbe potuto fornirgli una maggiore libertà di movimento nel tentativo di ripristinare i contatti con i rivoluzionari vietnamiti che operavano nel sud della Cina. In secondo luogo, ravvivò le probabilità di una guerra totale nell’Asia dell’Est, con la possibile espansione in Indocina  e la conseguente fine del dominio francese. Dopo aver soggiornato a Xi’ān e Yán'ān, il leader giunse a Guìlín, utilizzando il nome di Hú Guāng, dove gli fu assegnato un impiego come giornalista. Alcuni dei suoi articoli, che riguardavano la situazione cinese in tempo di guerra, furono inviati al quotidiano vietnamita - in lingua francese - di Hà Nội Notre Voix, firmati col nome di P. C. Line <5.
Nel 1939, mentre Nguyễn Ai Quốc continuava a lavorare per il fronte unito in Cina, l’Europa si apprestò ad affrontare lo scoppio la Seconda Guerra Mondiale. A febbraio, il quartier generale del PCC istruì il comandante Yè Jiànyīng di organizzare un programma di addestramento militare a Héngyáng: NAQ a giugno fu promosso commissario politico presso la missione, istruendo le truppe cinesi del fronte unito <6. Dopo aver completato il suo incarico, alla fine di settembre il leader partì per Lóngzhōu, nella speranza di stabilire un contatto con i membri del Partito Comunista Indocinese (PCI), ma senza risultati. Infatti, gli eventi in Europa ebbero un impatto catastrofico sulle operazioni del PCI: il 24 agosto la Germania nazista e l’Unione Sovietica firmarono il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop, e una settimana dopo, le forze militari tedesche attraversarono il confine polacco, con la conseguente dichiarazione di guerra di Gran Bretagna e Francia. In Indocina, l’alleanza moscovita con Hitler ebbe come conseguenza la messa al bando di tutte le attività del PCI e di altre organizzazioni politiche radicali <7. Tale provvedimento del governatore generale Georges Catroux (1877-1969) fu dettato anche dalla necessità di rafforzare la sicurezza interna del paese, conscio dei venti di guerra che presto avrebbero soffiato8. Nel mentre, NAQ si recò a Chóngqìng, dove Chiang Kai-Shek aveva stabilito la sua capitale dopo l’occupazione giapponese della valle dello Yángzǐ, e riprese i contatti con Zhōu Ēnlái, che stava servendo come rappresentante del PCC. Oltre a quest’ultimo, pochi in ufficio conoscevano la vera identità del leader vietnamita <9.
Nel 1940 Ai Quốc riuscì a stabilire i rapporti con due membri del PCI, che diventeranno i suoi più fedeli seguaci: Phạm Văn Đồng (1906-2000) e Võ Nguyên Giáp. Il leader dunque, travestito da vecchio contadino e facendosi chiamare Ông Trần (Sig. Tran), si mise in viaggio da Chóngqìng per giungere a fine maggio a Kūnmíng, dove attese i due inviati del PCI <10. Phạm Văn Đồng, figlio di un mandarino, fu membro della TN dal 1929 e, in seguito alle retate francesi nell’aprile 1931, trascorse diversi anni in prigione finché non gli fu concessa l’amnistia nel 1937. Anche Võ Nguyên Giáp nacque da una famiglia di mandarini, e riuscì a frequentare l'Accademia Nazionale di Huế. Successivamente si unì all’ICP ma poco tempo dopo fu arrestato per aver preso parte alle manifestazioni studentesche a Huế. Quando venne rilasciato nel 1933, riprese gli studi e si laureò in giurisprudenza presso l’Università di Hà Nội. Dopo la laurea accettò un posto come insegnante di storia e divenne anche giornalista per il Notre Voix. I due infine si aggregarono al PCI e cominciarono a prepararsi per la missione che li avrebbe portati in Cina. Giunti a Kūnmíng a inizio giugno, i rappresentanti locali del PCI dissero loro di aspettare un certo signor Vương (Nguyễn Ai Quốc), il quale avrebbe assegnato loro nuovi compiti. Vương ordinò loro di recarsi al quartier generale del PCC a Yán’ān per iscriversi a un corso militare presso l’istituto del Partito. I recenti eventi in Europa, dove l'offensiva tedesca lanciata nel maggio 1940 aveva portato alla resa finale della Francia il 22 giugno, avrebbero portato rilevanti cambiamenti in Indocina. La creazione del regime fantoccio di Vichy fu una sentita sconfitta per la Francia, e per il leader un'opportunità favorevole per attuare la rivoluzione in Việt Nam <11.
Il Giappone, approfittando della caduta di Parigi, colse il momento propizio per estendere la sua influenza sui territori del Sud Est Asiatico. Nella primavera del 1940, Tokyo iniziò a esercitare forti pressioni sulle autorità coloniali francesi per vietare la spedizione di attrezzature e rifornimenti militari in Cina. Oltre alle pressioni dall’esterno, anche internamente la situazione indocinese non era delle migliori. A seguito dei reclutamenti dei vietnamiti per servire nelle unità militari in Europa, il malcontento generale scatenò un'ondata di ribellioni, specialmente nelle aree rurali, che vennero represse col sangue <12. Il governatore Catroux, in assenza di qualsiasi sostegno da parte del governo assediato di Parigi e dopo aver rivolto una fallimentare richiesta di aiuto agli Stati Uniti <13, decise di aderire alle file della Francia Libera, l’organizzazione politico-militare organizzata dal generale Charles de Gaulle per contrastare il governo di Vichy <14. Quest’ultimo nominò come governatore dell’Indocina l’ammiraglio Jean Decaux (1884-1963). A seguito degli accordi franco-giapponesi del 30 agosto, Decaux diede ai nuovi invasori il permesso di utilizzare le basi aeree e navali, oltre allo stanziamento delle truppe nipponiche in Việt Nam: anche se il Paese del Sol Levante riconobbe la sovranità francese in Indocina, l’avanzata giapponese era ormai inevitabile <15.
[NOTE]
4 Evento che segnò l’inizio della Lunga Marcia e la conseguente istituzione della nuova base comunista a Yán'ān, nel nord della Cina. Duiker, Ho Chi Minh, 172.
5 Duiker, Ho Chi Minh, 173-74.
6 Lacouture, Ho Chi Minh, 80.
7 Duiker, Ho Chi Minh, 179.
8 Taylor, A History of the Vietnamese, 524.
9 Duiker, Ho Chi Minh, 177.
10 Lacouture, Ho Chi Minh, 83.
11 Duiker, Ho Chi Minh, 178-80.
12 Duiker, Ho Chi Minh, 184.
13 Il presidente Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) respinse la richiesta sulla base del fatto che qualsiasi aereo militare disponibile nella regione sarebbe stato utilizzato solamente per difendere gli interessi nazionali degli Stati Uniti. Duiker, Ho Chi Minh, 182.
14 Charles André Joseph Marie de Gaulle (1890-1970) fu un generale e statista francese. Nel giugno del 1940, de Gaulle fuggì a Londra, e col sostegno britannico, unì i francesi nelle aree controllate da Vichy alle sue forze della Francia Libera appena organizzate. Il 26 agosto 1944 tornò a Parigi e insediò il suo governo provvisorio nella Francia metropolitana e nel novembre 1945 ne fu eletto presidente provvisorio. Tuttavia, di fronte a una forte opposizione politica tuttavia fu costretto a dimettersi l’anno seguente. In seguito alla crisi del 1958 (rivolta algerina) tornò alle cariche pubbliche come premier, per essere eletto come primo presidente della Quinta Repubblica di Francia nel gennaio 1959. Dopo diversi turbolenti mandati, si dimise ancora una volta e andò in pensione nel 1969. Archimedes L. A. Patti, Why Viet Nam?: Prelude to America’s Albatross (University of California Press, 1982), 507.
15 Taylor, A History of the Vietnamese, 525.
Giada Secco, Zio Hồ, Zio Sam. Le relazioni tra Hồ Chí Minh e gli Stati Uniti prima della Guerra del Việt Nam, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari Venezia, Anno Accademico 2019/2020