Pagine

Visualizzazione post con etichetta Firenze. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Firenze. Mostra tutti i post

sabato 17 giugno 2023

Prime missioni alleate in Toscana


Nella nostra regione [la Toscana] esistevano, certamente fin da prima dell’inizio della guerra, cellule dei servizi di informazione alleati, soprattutto di quello britannico <62, che potevano trovare un’efficace mimetizzazione nella consistente e autorevole colonia anglosassone presente in Toscana e almeno in una parte della cerchia di parentele e di amicizie da questa intessute. Una parte di tale colonia si disperse all’inizio del conflitto, ma un’altra, italianizzata per matrimoni ecc, rimase, come rimase in piedi la trama di rapporti stabiliti in precedenza; appare infatti plausibile che questi ambienti abbiano fornito un supporto determinante per la preparazione e la riuscita iniziale dell’evasione dal castello di Vincigliata degli alti ufficiali britannici prigionieri di guerra ivi detenuti, verificatasi alla fine di marzo 1943, poiché la ricostruzione dell’impresa effettuata dalle autorità militari italiane presenta vari punti oscuri <63. In Toscana, ovviamente, erano presenti anche centri dei servizi informativi militari italiani ed è doveroso rilevare che le sezioni locali di tali organismi non passarono in blocco al servizio della Repubblica di Salò e dei nazisti e quelle rimaste fedeli alla casa reale svolsero una preziosa attività per contrastare gli intendimenti germanici: valga per tutti l’esempio della rete messa in piedi da Rodolfo Siviero, che a Firenze operò intensamente, ma sulla cui attività sappiamo qualcosa, non molto, solo in virtù delle avare notizie che egli ha reso note, soprattutto circa il salvataggio delle opere d’arte, anche se non si occupò solo di queste <64. Allo stato attuale non è chiaro se fossero in contatto anche con il gruppo di Siviero o altro gruppo analogo, i livornesi don Roberto Angeli e suo padre, che sembra si siano collegati con l’avvocato Eliso Antonio Vanni già nell’ottobre per provvedere al salvataggio degli ex prigionieri di guerra alleati <65. Ma durante il governo Badoglio alcuni ambienti romani vicini alla casa reale avevano provveduto a stabilire contatti con persone appartenenti alla borghesia medio alta, fedeli alla monarchia, per porre le condizioni atte a dar vita ad altri nuclei informativi, molto probabilmente non agganciati alla rete preesistente, facendo ricorso a figure politicamente appartenenti al mondo moderato-conservatore prefascista, anche se nel loro passato figurava una partecipazione all’iniziale movimento fascista, poi divenuta dissidenza e infine «separazione dal partito al potere, gravida di risentimenti di natura privata [...] nell’intento di determinare una crisi intestina che valesse a reintrodurli nel gioco politico» <66.
Uno di tali personaggi fu il giornalista e finanziere Filippo Naldi <67, coinvolto nelle indagini relative al delitto Matteotti ed espatriato nel 1925 per sottrarsi alle minacciose intenzioni del regime; questi al suo rientro in Italia, avvenuto subito dopo la destituzione di Mussolini, prima di recarsi a Romasi fermò nei pressi di Pescia, dove abitava l’ingegner Tullio Benedetti, con il quale dopo le elezioni del 1921 aveva militato nelle file del gruppo parlamentare della Democrazia liberale; tornò a Pescia alla fine di agosto o ai primi di settembre, dopo che a Roma aveva stabilito contatti ai massimi livelli con la casa reale e aveva incontrato lo stesso Vittorio Emanuele III, cui aveva sottoposto un progetto di coinvolgimento delle sinistre in un ampliamento della base politica del governo Badoglio. Sorpreso a Pescia dall’armistizio, sembra che Naldi abbia elaborato col suo ospite il progetto di collegare il nascente movimento partigiano locale con il governo badogliano di Brindisi e gli Alleati - operazione che avrebbe consentito a entrambi di tornare sulla scena politica - stabilendo verso la metà del mese un primo contatto con una delle prime formazioni partigiane pistoiesi, quella di Silvano Fedi, tramite Vanni La Loggia <68.
Tenuto conto dello spregiudicato pragmatismo del Naldi e del Benedetti, della loro conoscenza degli ambienti governativi e della comune appartenenza alla massoneria, che offriva loro la possibilità di molteplici contatti a livelli, in direzioni e per canali diversificati, appare difficile pensare che essi abbiano escogitato un simile piano senza avere un consistente margine di sicurezza sull’effettiva realizzabilità del collegamento con il governo di Brindisi e gli angloamericani, poiché se ciò si fosse rivelato un bluff la reazione dei resistenti avrebbe potuto essere assai sgradevole, soprattutto per il Benedetti, che, a differenza del Naldi, rimase nel Pesciatino <69.
Nacque così una delle prime maglie della rete informativa messa in piedi all’Office of Strategic Services (OSS) statunitense, rivelatasi in seguito assai utile per gli angloamericani, alla quale Naldi, giunto a Brindisi e divenuto autorevole componente degli ambienti della corte reale, provvide ad agganciare il gruppo pistoiese <70.
La scelta e l’impegno nel rischiosissimo campo della raccolta e trasmissione al Sud delle notizie sul regime e le forze armate nazifascisti furono decisioni prese autonomamente e senza secondi fini, ma solo per riscattare l’onta della guerra condotta dalla parte sbagliata e dell’occupazione germanica, anche da numerosi altri cittadini della nostra regione.
Firenze, in quei mesi a cavallo fra il 1943 e il 1944, era affollata da persone provenienti un po’ da tutta l’Italia, soprattutto da quella meridionale: profughi, persone che vi cercavano rifugio nella speranza che i tesori d’arte ivi raccolti allontanassero le offese belliche, perseguitati politici o razziali e militari fuggiaschi che speravano di far perdere le loro tracce allontanandosi dalle loro città. In questa folla in continuo movimento gli agenti dei servizi d’informazione alleati riuscivano a mimetizzarsi con una certa facilità, potendo inoltre contare sulla diffusa ostilità verso tedeschi e fascisti. Infatti proprio a Firenze il Partito d’Azione, mettendo a punto il suo apparato clandestino, dette vita a una Commissione per gli aiuti ai prigionieri di guerra alleati fuggiaschi e, soprattutto, a una Commissione radio, presto divenuta nota come CORA, che aveva l’obiettivo di mettere in piedi un sistema di collegamenti radio con i centri dirigenti azionisti milanesi e romani, con gli Alleati e con le nascenti formazioni partigiane; entrambi questi organismi nell’esplicazione della loro attività avrebbero avuto modo di entrare in rapporto e collaborare con missioni informative provenienti dall’Italia del Sud. Della prima commissione divenne, fin dall’inizio, parte attiva Ferdinando Pretini, un noto parrucchiere per signora di Firenze, il quale era entrato in contatto con una missione informativa, sbarcata nei pressi di Pesaro da un sottomarino britannico, capeggiata dal capitano Giovanni Tolleri, fiorentino, che egli pose subito in contatto con Max Boris e Luigi Belli, due responsabili dell’apparato militare clandestino azionista; la sera del 24 novembre 1943, giorno in cui fu arrestato dalla Banda Carità, Pretini doveva effettuare il collegamento fra la missione Tolleri e una "seconda missione badogliana, proveniente dall’Italia del Sud, incaricata, con mezzi finanziari a sua disposizione, di proteggere e mettere al sicuro prigionieri alleati, evasi dai campi di concentramento, e di stabilire contatti con il centro di resistenza dei Patrioti [...] La missione in parola era composta da un reverendo e da un signore, che dichiarava di esserne lo zio (era un generale)..." <71.
Non risulta che l’arresto di Pretini abbia avuto conseguenze sulla sorte di queste due missioni, delle quali però non è nota l’ulteriore attività. La Commissione radio, invece, i cui obiettivi comportavano ovviamente un’attività di intelligence, divenne il supporto fondamentale di una missione dell’8a Armata britannica dotata di radio ricetrasmittente, giunta a Firenze nel gennaio 1944, divenuta nota come Radio CORA dopo che uno degli animatori della commissione azionista, l’avvocato Enrico Bocci, di fronte alle esitazioni dei dirigenti locali del suo partito, del resto rapidamente superate, aveva accettato di assumersi personalmente la responsabilità di una collaborazione organica con detta missione, divenendo il capo riconosciuto di un’organizzazione, che riuscì a ramificarsi in ogni settore, civile e militare, potendo contare sullo spontaneo contributo di funzionari e semplici cittadini <72. L’importanza dell’attività svolta da Radio CORA ebbe il riconoscimento di un encomio - trasmesso per radio e quindi intercettato anche dai nazifascisti, da parte dello stesso generale Alexander, di cui i componenti della missione avrebbero anche fatto volentieri a meno - che, forse, contribuì in qualche misura alla tragica conclusione dell’impresa, ormai ampiamente nota <73.
Nel ribollente calderone umano di Firenze fra il dicembre 1943 e gli inizi di gennaio 1944 trovarono ricettacolo altri agenti e varie missioni provenienti dal Sud: agli inizi di dicembre vi era Giangiacomo Vismara, emissario dell’OSS, che ristabilì regolari collegamenti con il Benedetti a Pescia e venne raggiunto pochi giorni dopo dalla coppia Mario Rivano e Giovanni Fabbri - rispettivamente sottotenente d’artiglieria il primo, sottufficiale di marina e operatore radio il secondo - la quale faceva parte, con l’altra coppia formata da Renato Parenti, anch’egli sottotenente d’artiglieria, e il suo radiotelegrafista “Renatino”, sottufficiale di marina, della missione Pescia <74, posta alle dipendenze del Benedetti <75. Tra la fine del mese e i primissimi giorni di quello successivo giunse in città una missione del Servizio informazioni militari (SIM) italiano, di cui facevano parte il guardiamarina Antonio Fedele e il suo operatore radio Alfredo Shermann, destinati a rimanere in città, il sottotenente Dante Lenci, l’allievo ufficiale Ezio Odello e il radiotelegrafista Giuseppe Jacopi, destinati a operare sulla costa fra Livorno e Carrara <75.
[NOTE]
62 Interessanti a tale proposito, anche se, ovviamente, non espliciti, risultano i ricordi di K. Beevor, Un’infanzia toscana, La Tartaruga, Milano 2002, passim. Secondo un documento dello Special Operation Executive (SOE) del febbraio 1943, risulterebbe addirittura attivo a Firenze, oltre che in altri capoluoghi italiani, un gruppo di tale organizzazione, che aveva tra i suoi compiti principali la sovversione e il sabotaggio; la notizia, priva di riscontri oggettivi a oggi noti, deve essere presa con molta cautela, poiché non confermata da altri documenti della stessa fonte, cfr. P. Sebastian, I servizi segreti speciali britannici e l’Italia, Bonacci, Roma 1986, pp. 94-96.
63 La documentazione relativa a quest’evasione si trova in AISRT, Fondo Regione Toscana; NAW, T821, bob. 100, Ministero della Guerra, fasc. «Evasioni prigionieri di guerra»; per sintetiche notizie al riguardo cfr. Verni, Popolazione e partigiani dall’Alpe della Luna all’Abetone, cit., p. 169, nota 1.
64 Cenni sull’attività dell’organizzazione Siviero in R. Siviero, Seconda mostra nazionale delle opere d’arte recuperate in Germania, Sansoni, Firenze 1950, pp. 13-31; S. Ungherelli [Gianni], Quelli della “Stella rossa”, Polistampa, Firenze 1999, pp. 121, 129, 321, 334; Frullini, La liberazione di Firenze, cit., p. 98; qualche notizia in più in W. Lattes, ...E Hitler ordinò: “Distruggete Firenze”. Breve storia dell’arte in guerra, 1943-1948, Sansoni, Milano 2001, passim.
65 AISRT, Fondo CVL, b. 17, fasc. «Gruppo bande Teseo», s.fasc. «Banda di Pozzolatico», relazione dell’avvocato Eliso Antonio Vanni per il SIM allegata alla copia di attestato rilasciato al Vanni.
66 M. Franzinelli, I tentacoli dell’OVRA, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 37.
67 Per sintetiche note biografiche su Naldi, ivi, p. 39 e nota 7.
68 G. Petracchi, Al tempo che Berta filava, Mursia, Milano 1995, pp. 46-51, passim.
69 Ivi, pp. 50-52.
70 Ivi, pp. 65-66.
71 AISRT, Carte processo Banda Carità, fasc. «Ferdinando Pretini», «Il mio diario. Deposizione resa all’Ill.mo Presidente della Corte d’Assise di Lucca al processo della banda Carità il 9 maggio 1951», dattiloscritto, pp. 2-3. Sui due componenti della seconda missione non disponiamo di altre notizie, ma le indicazioni fornite da Pretini suggeriscono che potrebbe forse essersi trattato di don Angeli e di suo padre.
72 G. Larocca, La “radio CORA” di piazza D’Azeglio e le altre due stazioni radio, Giuntina, Firenze 1985, pp. 39-44. Circa la spontanea partecipazione alla raccolta delle notizie, essa ricorda, ad esempio, le informazioni relative alla Linea Gotica, fornite a Bocci da un suo cliente residente in Mugello, ivi, p. 50.
73 Ivi, p. 67. Oltre a tale opera, fondamentale poiché l’autrice fece parte fin dall’inizio del gruppo, ci limitiamo a segnalare, fra gli altri testi C. Francovich, La Resistenza a Firenze, La Nuova Italia, Firenze 1962, passim; L. Tumiati Barbieri (a cura di), Enrico Bocci. Una vita per la libertà, Barbera, Firenze 1969; Contini Bonacossi, Ragghianti Collobi (a cura di), Una lotta nel suo corso, cit., pp. 313-318.
74. Petracchi, Al tempo che Berta filava, cit., pp. 70-73.
75 AISRT, Fondo CVL, b. 17, fasc. «Gruppo bande Teseo», s.fasc. «Banda di Pozzolatico», relazione dell’avvocato Eliso Antonio Vanni per il SIM allegata alla copia di attestato rilasciato al Vanni. Sull’attività e la sorte del gruppo comandato dal Lenci cfr. F. Bergamini, G. Bimbi, “Per chi non crede”. Antifascismo e Resistenza in Versilia, ANPI Versilia, Viareggio 1983, p. 79.
Giovanni Verni, La resistenza armata in Toscana in (a cura di) Marco Palla, Storia della Resistenza in Toscana. Volume primo, Carocci editore, 2006

Tullio Benedetti era il leader nazionale dei monarchici, che avevano formato la lista denominata Blocco della Libertà.
Ma chi era Tullio Benedetti, l’agente “Berta” collegato con lo spionaggio alleato durante il periodo bellico?
[...] Intorno all’8 settembre 1943 era suo ospite, nella villa di S.Lucia, l’amico Filippo Naldi, già suo collega parlamentare nel 1921. Entrambi monarchici e massoni “pensarono che, aiutando concretamente la gestazione di un movimento di resistenza sulle falde dell’Appennino, avrebbero allargato la base del consenso al governo Badoglio” <5.
Benedetti presentò Naldi a La Loggia (a cui Naldi disse essere un agente dell’Intelligence Service) per parlare della possibilità di aiuti aviolanciati per i partigiani. Fu così che Benedetti (in codice “Berta”) si trovò al centro di un’attività di collegamento tra l’OSS (Office of Strategic Services) dell’esercito americano e una parte delle forze partigiane, quelle che facevano capo ai “libertari” di Silvano Fedi e La Loggia e, dopo gli iniziali tentennamenti di “Pippo”, quelle dirette da Manrico Ducceschi. Ma quando nella primavera del 1944 lo smascheramento di Tullio Benedetti (“Berta”) fu totale e la minaccia perentoria e incombente, egli non ebbe altra scelta che sottrarsi alla cattura lasciando Pescia e riparando dietro le linee alleate a sud di Roma. Egli effettuò il passaggio del fronte, nella prima decade di maggio del 1944, comodamente trasportato in un’ambulanza che il genero, dottor Scanga (membro del Consiglio Nazionale delle Ricerche e commissario provinciale della Croce Rossa Italiana del Lazio) aveva inviato apposta da Roma per prelevarlo.
5 Giorgio Petracchi: Al tempo che Berta filava - MURSIA Editore - Milano, 1995 - pag.50
Pier Luigi Guastini, Tullio Benedetti: il quinto costituente, QF Quaderni di Farestoria Anno X - N. 2-3 maggio-dicembre 2008 

Anche il sessantacinquenne Filippo “Pippo” Naldi, personaggio controverso <54, riuscì a oltrepassare le linee nemiche verso gli Alleati allo scopo di offrire i suoi servigi alla causa comune. Naldi presentò a Bourgoin uno degli uomini 'più utili che io abbia utilizzato durante la campagna dei servizi segreti americani in Italia (…), esponente molto agiato della finanza e dell’industria' <55: Tullio Benedetti, denominato “Pippo”. Residente a quel tempo a Santa Lucia Uzzanese in Toscana, Benedetti aveva formato il primo gruppo di resistenti immediatamente dopo l’8 settembre, i quali erano collocati sulle regioni montuose degli Appennini, in attesa di ricevere aiuto dagli Alleati nella guerra contro il nemico.
[NOTE]
54 Secondo la testimonianza di Bourgoin, il 'gentleman' Filippo Naldi, noto giornalista prima del ventennio e impegnato in missioni di pace con il Governo Giolitti, fu esiliato dal regime fascista nel 1925 e fino al 9 agosto 1943 visse a Parigi. A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 36. Peter Tompkins, invece, ha scritto che “Pippo” Naldi aveva procurato a Mussolini finanziamenti francesi per il suo 'Popolo d’Italia'. Poi, in disaccordo con il Duce, si era rifugiato a Parigi, dove nel 1937 aveva incontrato un altro esule, Indro Montanelli, che, nel 1953, in un elzeviro fece un ritratto alquanto impietoso di 'Pippo Naldi faccendiere'. Per Tompkins, anche il Naldi era stato mandato da Badoglio per controllare la missione dell’OSS aggregato alla V Armata. Cfr. P. Tompkins, L’altra Resistenza cit., p. 395.
55 Bourgoin, così, lo definisce 'a very wealthy financier and industrialist, Tullio Benedetti'. A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 36. In un rapporto dell’OSS, Tullio Benedetti è ritratto quale 'uomo d’affari, monarchico, con uno spiccato carattere impetuoso e deciso. Dirige Il Giornale della sera'. P. Tompkins, L’altra Resistenza cit., nt. 5, p. 395.

Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012 

Il 28 [dicembre 1943] cinque operatori del S.I.M. di due missioni dirette in Toscana (Livorno e Firenze), furono sbarcati dal MAS 510, partito dalla Maddalena, vicino al punto di sbarco di Castiglioncello (Buca dei Corvi) <94.
[NOTA]
94 Quella diretta a Firenze era formata dal guardiamarina Antonio Fedele, Tonino, e dal radiotelegrafista Alfredo Scirman. Di quella diretta a Livorno facevano parte il sottotenente del Genio Navale Dante Lenci (che aveva già preso parte alla resistenza fin dal 29 settembre 1943), il sergente universitario, ex-allievo dei corsi normali dell’Accademia Navale, Ezio Odello, e il secondo capo radiotelegrafista Lorenzo Iacopi. Svolgendosi nel periodo di massimo contrasto nazi-fascista all’attività della Resistenza nell’Italia Centrale, le due missioni furono molto accidentate. Alcuni dei collaboratori reclutati sul posto furono arrestati, anche a Roma, dove erano stati inviati per portare informazioni e ricevere istruzioni. Ai primi di aprile alcuni membri dell’organizzazione di Livorno, compreso Lenci e Iacopi, furono arrestati. Odello lasciò Livorno e avvertì personalmente Fedele di quanto accaduto; quindi, con le notizie in suo possesso, e con quelle fornitegli da Fedele relative alle fortificazioni e agli armamenti tedeschi, Odello si recò, in compagnia del partigiano Emilio Angeli, il nonnino, a Roma. Qui giunti i due furono arrestati, il 10 maggio 1944, e furono condannati a morte. Ai primi di giugno furono riuniti, con altri 26 condannati, nel cortile del carcere di via Tasso. Un primo gruppo di condannati fu caricato su un camion e raggiunse Bologna. Un secondo gruppo, che comprendeva Bruno Buozzi e Brandimarte, giunto alla Giustiniana, fu trucidato da uomini della G.N.R. in fuga. L’ultimo camion fece avaria, ciò che impedì di trasferire i 12 superstiti rimasti nel carcere di via Tasso, fra cui l’Odello, che furono liberati dalla popolazione il 4 giugno. Lenci fu fucilato l’11 settembre 1944 nel campo di concentramento di Bolzano.

Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale - Anno XXIX - 2015, Editore Ministero della Difesa

sabato 20 novembre 2021

Firenze è resa esperta dalla sua storia


La città di Firenze è stata motivo d’ispirazione per molti scrittori e registi italiani.
Vasco Pratolini ha collocato la cronaca quotidiana dei suoi personaggi nella città d’origine.
Secondo Marino Biondi «il suo cielo era quello di Firenze, nessun altro cielo lo avrebbe mai ispirato». <88 Anche se lo scrittore non era stato sempre lì, comunque la città era nei suoi ricordi, la guardava da lontano «scrutandola con l’occhio del narratore, fisso al suo spiraglio di verità». <89
L’uomo e la città sono uniti. L’uno non può stare senza l’altro. L’uomo senza la dimora perde la sua identità e la città senza l’uomo rimane vuota, senza ricordi.
"La città era dell’uomo e l’uomo era della città, nella città. L’una e l’altro si appartenevano per potere fare storia, perché si accendesse la scintilla della storia, che lo scrittore poi avrebbe raccontato. Le pietre della città furono i maestri muti dello scrittore". <90
Molti autori hanno scritto di Firenze, sia come protagonista sia usandola come lo sfondo per le loro storie, ma secondo Marino Biondi, Vasco Pratolini è stato uno tra i migliori, perché è riuscito a rappresentare tutta la sua bellezza, dove anche le sporche vie prendono una certa importanza.
"Nessuno ha raccontato Firenze come lui, facendo di Firenze, pur raccontata le mille volte, la sua Firenze, una città con segno pratoliniano, come è esistita una Parigi proustiana. La città pratoliniana è stata quella dei poveri amanti e quella dei duellanti che contendono fra loro nell’infinito conflitto delle avverse parti politiche. Il rosso e il nero. I grandi scrittori lasciano impronte indelebili sulla terra, da cui hanno tratto vigore e ispirazione". <91
Marino Biondi scrive anche: "Pratolini è stato l’ultimo scrittore che l’ha raccontata “intera”, la città, raccontata insieme alla sua vita, vivendo con lei e di lei, con le vecchie mura, i quartieri, dentro l’anima di una città e le reciproche sanguinanti aggressioni". <92
[...] "La città, si legge nelle Cronache di poveri amanti, è resa esperta dalla sua storia, di cui ogni pietra, ogni campana, conservano il ricordo". <95
Secondo Jurij Michajlovič Lotman (1922-1993, il linguista semiotico russo) è possibile caratterizzare moralmente i personaggi letterari attraverso il tipo di spazio artistico a cui appartengono. Si possono distinguere gli eroi dello spazio aperto (le strade, le foreste) e gli eroi dello spazio chiuso (il salotto).
I personaggi di Vasco Pratolini svolgono le loro cronache quotidiane sia in spazi aperti sia in spazi chiusi, con una predilezione per le vie fiorentine. Marino Biondi scrive: "La sua firma di autore era lì a garantire una cronaca della città, un referto realistico ma anche una leggenda, una topografia di strade e di quartieri, una serialità amorosa di cronache e storie, a legittimare una storia, a restituirla a molti di noi come un ricordo dolcissimo e poetico". <96
Henri Lefebvre (1901-1991), filosofo, geografo, saggista, sociologo e partigiano francese, distingue nel suo libro La produzione dello spazio (1975) lo spazio percepito (le concrete pratiche spaziali), concepito (le rappresentazioni dello spazio; lo spazio dominante in una società; lo spazio degli scienziati, degli urbanisti) e vissuto (gli spazi della rappresentazione; lo spazio vissuto attraverso le immagini e i simboli che l’accompagnano; lo spazio degli abitanti, degli utenti, di certi artisti). Lo spazio nelle opere di Vasco Pratolini è quello vissuto, lo scrittore descrive le vie della sua infanzia e giovinezza.
Vasco è stato il cronista-cantore di tutti i fiorentini, nel bene e nel male, nella buona e nella cattiva sorte, per evocare la formula di patto sacro con la propria terra, che era poi terra urbana, la città come luogo per eccellenza della comunità, dell’agire comune, o dell’aspro contendere sulle idee e sui poteri. <97
Secondo Marino Biondi «la città prima fu vissuta, poi divenne oggetto perpetuo di riflessione narrativa». <98  Scrive anche: "Vide Firenze, e l’amò, dalla fine degli anni Trenta sempre da lontano. Solo così ha potuto ricrearla nella memoria e nell’arte. Una ricreazione che è passata attraverso un’indagine prima di scrittura lirica, lieve e poetizzante, e poi di vera storia, trasfusa nella trilogia dei romanzi di storia italiana. Dalle cronache, come quelle degli antichi cronisti della sua città, è passato alle storie". <99
Un’altra distinzione significante è anche quella tra utopie (spazi senza luogo reale, che non trovano riscontro nella realtà, ma vengono proposti come ideali e come modelli <100) ed eterotopie («luoghi reali, riscontrabili in ogni cultura di ogni tempo» <101), data da Michael Foucault (1926-1984, filosofo e storico francese). Gli scrittori neorealisti scrivevano solo di luoghi reali, non immaginari o utopici.
[...] Nella lettera a Alessandro Parronchi del 18 gennaio 1946, Vasco Pratolini precisa che il romanzo Il Quartiere è stato concepito prima del 25 luglio e portato a termine «nelle notti dell’occupazione tedesca di Roma». <104
Vasco Pratolini scrive da Roma a Parronchi il 30 marzo 1944: "Siccome so che ti farà piacere ti dirò che nottata dietro nottata, ho scritto e portato a termine un romanzo, finito ormai da circa due mesi. Si intitola Il Quartiere, e l’azione si svolge nel nostro quartiere di S. Croce, è la storia di cinque uomini e tre donne, dai loro quattordici ai vent’anni, dal 1930 al 1936". <105
Il periodo che va dal 1932 al 1937 è considerato come «gli anni del consenso ma anche quelli più totalitari di un regime che ha già trascinato il paese in più guerre (l’Africa, la Spagna) e si prepara a trascinarlo in una guerra mondiale». <106
Goffredo Fofi (critico teatrale e cinematografico italiano) nella sua prefazione Racconto crudele di gioventù sostiene che Pratolini racconti «un gruppo di ragazzi e un intero quartiere, non un solo vicolo rigorosamente censito in tutti i suoi abitanti vecchi e giovani e nella sua mossa composizione sociale, di popolo e non di classe, come è nelle Cronache». <107 Per il critico si tratta, insomma, di una storia corale.
Il romanzo è scritto in prima persona («qui l’io narrante, che parla per gli altri e insieme agli altri, diviene un “noi”» <108) e ingloba marcati elementi autobiografici. Attraverso il personaggio di Valerio, l’autore rappresenta la proiezione dei suoi anni di formazione. Lo scrittore è onnisciente, in quanto conosce profondamente le storie dei personaggi, i loro pensieri e sentimenti.
I due romanzi di Vasco Pratolini, Il Quartiere e Cronaca familiare, insieme con Bilenchi e i suoi Racconti, vengono considerati come i «maestri di un realismo esistenziale toscano che si sviluppa soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ‘30 e che continua con Carlo Cassola». <109
 


[NOTE]
88 BIONDI M., Pratolini, Cent’anni di cronache, cit., p. 23.
89 Ivi, p. 10.
90 Ivi, p. 34.
91 Ivi, p. 83.
92 Ivi, p. 209.
95 BIONDI M., Pratolini, Cent’anni di cronache, cit., p. 22.
96 Ibidem
97 Ivi, p. 33.
98 Ivi, p. 86.
99 Ivi, pp. 86 - 87.
100 Tratto da: http://www.treccani.it/vocabolario/utopia/, (Sito consultato il 29 settembre 2018).
101 Tratto da: http://www.treccani.it/enciclopedia/eterotopia_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/, (Sito consultato il 29 settembre 2018).
104 Ivi, p. 89.
105 Ibidem
106 PRATOLINI V., Il Quartiere, cit., p. IX.
107 Ivi, p. VII.
108 La letteratura italiana diretta da Ezio Raimondi, Il Novecento, 2. Dal neorealismo alla globalizzazione, a cura di Gabriella Fenocchio, cit., p. 86.
109 LUPERINI R., MELFI E., Neorealismo, neodecadentismo, avanguardie, cit., p. 58.
 

Sanja Bajić, Le rappresentazioni della cronaca quotidiana negli scritti di Vasco Pratolini, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pola, 27 marzo 2019

mercoledì 14 luglio 2021

Caro Sereni / Mi compiaccio con Lei per la sua buona volontà

Ottone Rosai, Carlo Betocchi, 1954-’55 - Firenze, Museo Novecento - Fonte: il Manifesto  

Tullio Pericoli, Vittorio Sereni, 1993 - Fonte: Tullio Pericoli

A volte le lettere trasmettono la ‘voce’ mentale di un poeta più chiaramente delle sue opere. Accade, in particolare, per Vittorio Sereni: si ha l’impressione, o l’illusione, che le situazioni e i dialoghi delle poesie entrino in risonanza con il suo epistolario, ne proseguano il discorso. Non è una questione di autenticità o di utilità: i carteggi di Sereni sono preziosi per commentare i suoi libri, certo, ma non più di quanto accada per altri autori novecenteschi. Il punto è che Sereni scrive le poesie come scrive le lettere, con la stessa postura e il medesimo pathos della ferialità. Per fortuna, abbiamo molte occasioni per ascoltare quella ‘voce’: dal centenario della nascita (2013) a oggi sono stati pubblicati i carteggi con Anceschi, Bodini, Gallo, Luzi, Ungaretti, che si sommano tra gli altri a quelli con Bertolucci, Parronchi, Saba usciti in precedenza. Un nuovo volume si aggiunge ora alla serie: Vittorio Sereni-Carlo Betocchi. Un uomo fratello. Carteggio (1937-1982),  Mimesis, pp. 248, euro 24,00. Clelia Martignoni firma il saggio introduttivo, mentre l’edizione e il commento, ampio e preciso, sono curati da Bianca Bianchi, già redattrice dell’Almanacco «La Rotonda», diretto dallo stesso Sereni con Piero Chiara. I materiali, conservati a Luino nell’Archivio Sereni, comprendono 172 documenti, tra i quali 150 lettere, per lo più manoscritte, la maggior parte delle quali ha per mittente Betocchi. Anche per questo, Un uomo fratello è un libro che parla di Betocchi almeno quanto parla di Sereni, sebbene il primo, per attitudine all’umiltà, finisca per assumere un ruolo tra il maieutico e l’ausiliario nei confronti del secondo. Tra le qualità di Betocchi c’è infatti la capacità di intuire gli esiti della poesia di Sereni e di trovare i giusti toni per incoraggiarlo o interpellarlo; a volte perfino per rimproverarlo, come in una lettera della fine del 1955: «Non mi dare dispiaceri. Fai l’uomo, smetti di ricoverarti dietro tante timidezze».
Milano-Firenze, crescente distanza
L’estensione cronologica del carteggio permette di seguire la vita e l’opera dei due autori nell’arco di un mezzo secolo denso di cambiamenti. Nell’esistenza di Sereni s’inanellano la prigionia, la famiglia, gli onori e gli oneri del lavoro editoriale (cui spesso queste lettere alludono); in quella di Betocchi, le trasferte e la fede perduta dopo la malattia e la morte della moglie. Per entrambi conta e resiste la scrittura, mentre le trasformazioni della società italiana lasciano segni profondi su uomini e libri. Di anno in anno, attraverso le parole e le idee condivise dai due amici, si percepisce ad esempio la crescente distanza tra la Firenze di Betocchi, capitale di una cultura primonovecentesca in esaurimento, e la Milano industriale di Sereni, necessaria alla maturazione dei suoi grandi libri, anche se non sempre amata. «E del resto se mi guardo attorno, che cosa dà più Milano?», scrive Sereni in una lettera del luglio ’54; e prosegue: «Sì, qualche amicizia davvero cara e di cui ho bisogno; ma per il resto pagliacciata e commercio anche di quelle poche ragioni che una volta ci facevano vivi».
All’anagrafe, poco meno di una generazione separava Betocchi (nato nel 1899) da Sereni (nato nel 1913): «In fondo io sono ancora uno, quanto a spirito e conoscenza del mondo, uno del primo ventennio del secolo», scrive Betocchi nell’ottobre del 1980. In effetti, le prime lettere, risalenti all’estate del ’37, tradiscono ancora una certa asimmetria dei ruoli: Betocchi è un poeta già noto (Realtà vince il sogno era uscito nel 1932), Sereni un esordiente. Il carteggio prende spunto proprio dalla pubblicazione dei primi versi sereniani sul «Frontespizio», la rivista fiorentina fondata da Bargellini, per la quale Betocchi curava la rassegna poetica. Fin dall’inizio, però, il tenore delle lettere è tale da ridurre le distanze: «Caro Sereni / Mi compiaccio con Lei per la sua buona volontà; mi dolgo per quel che di meno sereno ha potuto turbarlo nella cerchia dei suoi amici, che sono anche i miei, che si amano poeti». Non è un caso se tra le parole ricorrenti nel carteggio, quasi come un suo Leitmotiv, risalta l’aggettivo ‘umano’, che qualificherà il titolo del libro più importante di Sereni, Gli strumenti umani (per il quale l’autore aveva pensato anche a un’alternativa, Teatro di parole, di ascendenza betocchiana). Del resto, è proprio in una lettera all’amico (4 luglio ’54) che si riconosce l’occasione di partenza più tardi rielaborata da Sereni nella poesia Il muro degli Strumenti: «Vorrei raccontarti d’una sera che andai a vedere un torneo notturno di calcio proprio dietro la chiesa del cimitero e si levò una specie di bufera con lampi e gran polvere».
Quanto all’‘età’ letteraria, i due poeti si consideravano coetanei. Betocchi, convinto della prossimità fra gli autori della cosiddetta terza generazione (in particolare Sereni, Caproni e Luzi), si sentiva più vicino a loro che non a Montale e Ungaretti. È su questa base che, ne primi anni cinquanta, insiste (invano) con Sereni perché gli dia una raccolta delle sue poesie da pubblicare per Vallecchi: «Da una conversazione lunga, fatta ieri sera con Luzi che si è convinto - scrive Betocchi il 3 aprile 1953 - emergevano altre ragioni, per tutti, richiedenti la raccolta in volume, la presentazione compatta in catalogo, e l’uscita poco dopo distanziata delle poesie di Luzi, Sereni, Caproni, Parronchi, Betocchi». L’opportunità di allineare questi autori, fra i quali Betocchi s’include, dipendeva tanto dalla volontà di superare la categoria di ‘ermetismo’ per un «nucleo di poeti, che ha carattere assai compatto di nascita e d’interessi»; quanto dall’esigenza di «presentare la poesia soprattutto dei primi fra i poeti nominati per quello che è realmente, l’unico punto stabile di necessario passaggio dagli Ungaretti Montale ai poeti futuri».
Il problema della linea lombarda
Irriducibile all’ermetismo, Sereni si sottrae anche ad altre forzate assimilazioni: come osserva giustamente Martignoni nell’introduzione, «l’elogio “lombardo” di Betocchi» è un’«altra cosa rispetto all’angusta chiusura nella “linea lombarda” prospettata a suo tempo nell’antologia omonima». Il riferimento è a uno scambio avvenuto tra il marzo e l’aprile del ’58. «Quando sei lombardo - aveva scritto Betocchi - sei della migliore stirpe per interpretare la modernità della storia». «Dalle tue parole - risponde Sereni - sono quasi indotto a pensare che dal poco di nuovo che ho messo fuori vada facendosi strada quel tanto, non più di lombardo, ma di milanese addirittura con cui lotto ogni giorno, non per sopprimerlo ma per ridurlo a ispirazione». È quasi una sintesi della poetica che di lì a pochi anni si compirà negli Strumenti umani. «Nella sua disperazione», quel libro rappresenta, secondo Betocchi, «la giustificazione più intensa» di tutta la storia di Sereni (23 ottobre ’65). La lettera «mette il dito nella piaga», risponde l’autore pochi giorni dopo (31 ottobre), perché lo «raggiunge più nel segreto», con tutte le «vergogne scoperte». Il nuovo libro è poco congeniale a Betocchi, che in una lettera a Caproni - lo ricordano Bianchi nel commento e Martignoni nell’introduzione - confessa di preferire le opere precedenti alla «poesia Milano-Industria».
Ha ragione Sereni allora quando, nell’articolo sugli Strumenti scritto da Betocchi per il «Giornale d’Italia», legge «un’insoddisfazione e un rammarico, non di ordine critico-estetico, ma umano e morale», una sorta di «nostalgia» per com’era o appariva «una volta» (lettera del 5 aprile ’66). È il tratto in cui il carteggio diventa più acuto, ma non polemico o recriminatorio. Tant’è vero che l’attenzione e la comprensione non vengono meno. Betocchi prevede ad esempio l’importanza che Char, tradotto da Sereni, avrà anche per la poesia dell’amico: un lavoro - gli scrive in una lettera del novembre ’74 - «che, penso, ti sarà fonte di altro tuo lavoro personale». E così sarà: quel «lavoro personale» si realizza nella sezione quarta (Traducevo Char) dell’ultima raccolta sereniana, Stella variabile. La lettera finale del carteggio, datata 6 febbraio 1982, si chiude proprio sui «rinnovati rallegramenti» per l’uscita di quella raccolta. Tempo un anno e Sereni, l’«uomo fratello» (così ‘battezzato’ in una lettera del maggio ’48), muore nella sua casa di Milano. Betocchi gli sopravvive fino al 1986, quasi cinquant’anni dopo la sua presentazione delle prime poesie sereniane nel «Frontespizio».
Niccolò Scaffai, Fra Sereni e Betocchi risalta l'aggettivo umano, il Manifesto, 6 giugno 2019
 

Sabato 5 ottobre, alle ore 17.30, nella Sala Conferenze di Palazzo Verbania di Luino si terra’ la Presentazione del volume “Vittorio Sereni - Carlo Betocchi. Un uomo fratello. Carteggio (1937-1982)” - Mimesis Editore, - a cura di Bianca Bianchi, introduzione di Clelia Martignoni.
Ne parlano Gianmarco Gaspari e Giulia Raboni con Bianca Bianchi e Clelia Martignoni. Documento di una profonda solidarietà umana e intellettuale, il carteggio fra Vittorio Sereni e Carlo Betocchi illumina di nuovi riflessi il dibattito sul fare poesia in Italia negli anni del secondo conflitto mondiale e della ricostruzione.
Lo scambio epistolare inizia alla fine degli anni Trenta, quando Betocchi favorisce l’esordio di Sereni su «Frontespizio», e si sviluppa ininterrottamente fino al tempo della sua piena maturità e della definitiva affermazione, chiudendosi solo in seguito alla prematura scomparsa del poeta luinese avvenuta nel 1983.
Bianca Bianchi, laureatasi all’Università di Milano con Marino Berengo, è stata redattrice dell’Almanacco Luinese “La Rotonda” (1979-1984), diretto da Vittorio Sereni e da Piero Chiara. Ha pubblicato alcuni saggi sul carteggio con Carlo Betocchi (2010, 2012), e ha curato il volume Poeti francesi letti da Vittorio Sereni (2002).
Redazione, Sereni, Betocchi: grande letteratura a confronto, VareseNews, 4 ottobre 2019

Nuovo appuntamento con la cultura presso Palazzo Verbania a Luino, con la presentazione del volume “Vittorio Sereni - Carlo Betocchi. Un uomo fratello. Carteggio (1937-1982)”, in programma per il pomeriggio di oggi, sabato 5 ottobre.
Il libro, edito da Mimesis, verrà presentato da Gianmarco Gaspari e Giulia Raboni, che divideranno il microfono con l’autrice Bianca Bianchi e con Clelia Martignoni che ha curato l’introduzione del progetto.
Il carteggio tra Sereni e il poeta torinese Betocchi è un documento di profonda solidarietà umana e intellettuale. Illumina di nuovi riflessi il dibattito sul fare poesia in Italia negli anni del secondo conflitto mondiale e della ricostruzione.
Lo scambio epistolare, come spiegheranno i relatori, parte dalla fine degli anni Trenta, quando Betocchi favorisce l’esordio di Sereni su “Frontespizio”, e si sviluppa interrottamente fino al tempo della sua piena maturità e della definitiva affermazione, chiudendosi solo in seguito alla prematura scomparsa del poeta luinese, avvenuta nel 1983.
Bianca Bianchi, laureatasi all’università di Milano con Marino Berengo, è stata redattrice dell’almanacco luinese “La Rotonda” (1979-1984), diretto da Vittorio Sereni e da Piero Chiara. Ha pubblicato alcuni saggi sul carteggio con Carlo Betocchi (2010, 2012), e ha curato il volume “Poeti francesi letti da Vittorio Sereni (2002).
Redazione, Luino, i carteggi di Vittorio Sereni e Carlo Betocchi a Palazzo Verbania, Luinotizie, 5 ottobre 2019
 
[...] Il 22 ottobre 1956 Sereni dattiloscrisse a Betocchi una lettera dedicando un disponibile e al contempo cauto pensiero a De Giovanni: "A proposito di De Giovanni debbo dirti che non ho visto il numero di «Letteratura» di cui mi parli. È una rivista ormai quasi fantomatica che non ricevo e che non mi capita mai tra le mani. Si potrebbe avere una copia del numero? Forse però non ti ho spiegato che la mia collezione della Meridiana è finita. C’è in corso un’altra iniziativa in cui ho parte, senza però la responsabilità così precisamente personale che avevo prima. Bisogna almeno vedere come si avvia per prendere in considerazione il nome di De Giovanni. Per questo dovrà passare del tempo, ma se intanto riceverò il numero di «Letteratura» potrò farmene un’idea". <14
[...] Betocchi, non ignaro della situazione né incurante, volle ancora ma delicatamente ricordare a Sereni di prendere in considerazione De Giovanni in apertura di una lettera (conservata, anche questa, a Luino) del 22 dicembre 1956:
"Mio caro Vittorio,
abbi gli auguri di Natale e di capo d’Anno: riprendo una tua lettera d’un mese fa, <22 che non aveva avuto risposta. Ti ringrazio se, col tempo, potrai dare uno sguardo ai versi di quel De Giovanni: se poi non incontreranno il gusto tuo e della tua nuova collezione (il bel “Levania” di Sergio Solmi, da lui ricevuto, ma che - con la tua nota - devo ancora leggere, è forse il primo numero della tua nuova raccolta?) fammelo sapere: proverò altrove, il poeta De Giovanni, autentico stagnino, è così ingenuo e fiducioso nell’aiuto di noi che pensa contiamo qualcosa!
" [...]
14 Si rimanda al carteggio Sereni-Betocchi in corso di stampa.
Alessandro Ferraro, «Almeno il suo giudizio». L’esordio poetico di Luciano De Giovanni nello scambio epistolare con Carlo Betocchi e Vittorio Sereni, «Quaderni del '900», XVIII, 2018

Ecco dunque come Sereni ridimensiona la narratività praticata da uno «scrittore a base autobiografica», quale lui è:
"L’esistenza lascia certi segni - quelle lesioni o ustioni o ferite, quegli attriti e magari anche conflitti d'idee che appartengono al tempo, che passano nell'esistenza di un uomo. Che cosa fa lo scrittore a base autobiografica che una volta che abbia deciso di operare uno scarto rispetto ad essi e al quale non basti il documentarli o il descriverli o - sia pure - il 'cantarli'? Si affida ad una forza inventiva che non può non venirgli se non da una combinazione o connessione di fatti e di dati, dell’intuizione <3 di certi nessi... egli demanda, conferisce mandato a determinate situazioni e scorci di sviluppare la fecondità supposta dei moventi. Impropriamente pensavo dunque a una mia inclinazione essenzialmente narrativa, nonostante un certo apporto che tale può essere considerato, una certa piega frequentemente narrativa. Mi esprime meglio una frase colta a caso in un recente ‘pezzo’ di Betocchi, fondato probabilmente su presupposti affatto diversi: «E così, penso ora alla poesia quasi come a un TEATRO DI PAROLE, dove le parole sono come persona, e e penso con i miei difetti, vizi, infinite mutabilità». Strano, non avevo mai pensato al teatro (ed ero quasi tentato di rubare l’espressione a Betocchi per dare questo titolo al libro: teatro di parole. Continuerebbe a non piacere a Niccolò con la giustificazione che sto fornendo?). Il mio sforzo sempre più evidente è appunto quello del mandato ad altri (situazioni e figure evocate, evocazioni di situazioni e figure) a interposte persone, lo sviluppo dell’emozione di partenza". <4
Non ci sarebbe forse bisogno di sottolineare come la nozione, già caproniana, di «interposta persona», messa criticamente in auge una quindicina d’anni fa da Enrico Testa, <5 aiuti qui a Sereni a tematizzare il tipo di ‘alienazione’ espressiva (il fortiniano mandato) da lui posto in essere. Narrare attraverso contenuti che non appartengono direttamente al soggetto lirico, ma che lo hanno segnato e continuano a condizionarlo, significa rappresentare un accadimento in actu; secondo un’intenzionalità ben diversa da quella che mira a riferire e ordinare eventi ed esistenti in sequenze testuali dotate di una loro diegetica coerenza. (Ma su questa distinzione dovrò peraltro tornare più avanti.)
3  Sic: ma forse andrà letto «dall’intuizione».
4  Vittorio Sereni, cit. nella Nota introduttiva di Giulia Raboni a PP 30-31.
5  Enrico Testa, Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento, Roma, Bulzoni, 1999.

Paolo Giovannetti, Se, e come racconta la poesia di Vittorio Sereni, Vittorio Sereni, un altro compleanno, a cura di Edoardo Esposito, Ledizioni, 2014