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mercoledì 31 agosto 2022

Da notare come le aperture del PCd’I e dell’Internazionale alla democrazia in chiave antifascista aprano proprio in questi anni le porte a molti nuovi aderenti


Anche in Togliatti, come nell’Internazionale, vediamo il permanere (in un lasso di tempo che va dal 1924 all’inizio della guerra di Spagna) di una doppia tendenza. Se da una parte l’eredità dell’intransigenza classista e comunista è ancora presente, anche per fattori di necessaria rappresentatività all’interno del partito, la componente antifascista e frontista vede l’emergere di una figura che sarà sempre più sensibile alla tematica della mediazione e dell’interclassismo proprio nell’obiettivo di combattere le dittature reazionarie che vanno affermandosi nel suolo europeo. Nelle sue "Lezioni sul fascismo", infatti, troviamo dei netti rimandi a quella che è la politica che va affermandosi per la maggiore lungo la direttrice togliattiana. Troviamo, per esempio, l’ammissione della necessità di difendere le conquiste che il proletariato ha saputo compiere nel sistema democratico precedente all’affermazione del fascismo, sistema che quindi non viene più assimilato, come prima, alla degenerazione fascista, ma che già si presenta come una fase antecedente nella quale è possibile riscontrare delle conquiste da difendere. <3
Una conclusione che pare scontata, meno se la si fa coincidere con una apertura che proprio Togliatti, sulla scorta di un ritorno ad uno status quo ante, inizia a mostrare verso il restante spettro politico europeo, anche non comunista. L’antifascismo stesso proprio in questo decennio di gestazione va definendosi come un coagulatore di forze eterogenee, anche democratiche, che come obiettivo principale non hanno più la realizzazione di un mondo nuovo, o di una
rivoluzione senza compromessi da realizzarsi in un futuro incerto, ma l’eliminazione attuale del comune nemico fascista. In tutta l’opera togliattiana possiamo notare come questa politica di combattimento che egli promuove contro il fascismo da leader comunista preveda anche una abile infiltrazione all’interno dei gangli gestionali e delle organizzazioni fasciste. <4 Una tattica, quella del combattere il nemico dal suo interno, che sarà anch’essa costante, e che in questa fase vede una prima, importante implementazione. Un approccio, quello poc’anzi evidenziato, totalmente diverso rispetto alla tattica riconducibile all’epoca bordighista, all’intransigenza classista o al rifiuto settario del confronto, un approccio fatto ora di una significativa empatia, di un tentativo di comprensione delle dinamiche fasciste per meglio combatterle dal loro interno. Un convincimento continuo della massa avvicinata per svariate ragioni dal regime, che va portata sulla via della conversione ad un messaggio più confacente ai suoi interessi.
Questa “vasta e coraggiosa utilizzazione delle possibilità legali offerte dal fascismo” <5 diventa un lavoro di convincimento e penetrazione che, nelle infime possibilità di lotta offerte dalla situazione di ampia repressione del contesto italiano, deve essere svolta anche con l’aiuto e la collaborazione della socialdemocrazia. Il lavoro di analisi fatto in questi anni dal partito e dal suo leader consiste in un profondo riesame anche della politica comunista, capace di evidenziare pure fasi di autocritica; emblematico è il caso della trattazione del dopolavoro, ammettendo che mai prima del fascismo è esistita una organizzazione capace di centralizzare le necessità culturali e sportive delle masse. E’ essenziale notare come le aperture del PCd’I e dell’Internazionale alla democrazia in chiave antifascista aprano proprio in questi anni le porte a molti nuovi aderenti, che nei partiti comunisti europei trovano non più un intimo ritrovo per pochi rivoluzionari, ma una base popolare di lotta e applicazione reale delle necessità più impellenti dell’attualità.
Un atteggiamento che si ripercuoterà anche sulla grande promotrice di questo atteggiamento, quell’Unione Sovietica staliniana che, grazie all’atteggiamento tenuto in particolare nella guerra di Spagna, vedrà catalizzare su di sé la simpatia di moltissimi politici, intellettuali e uomini di cultura per nulla vicini al comunismo (come ad esempio Aldous Huxley, George Bernard Shaw o Heinrich Mann) ma attirati dalla coerenza antifascista del nuovo corso politico. <6
In questi anni anche il PCd’I svestirà i panni del partito su misura per la sola classe operaia, e nella resistenza antifascista prebellica troverà la prima grande adesione di popolazione eterogenea, su base interclassista. Un approccio che anche in Togliatti tende ad approssimarsi sempre più all’anticlassismo, al compromesso con la borghesia, all’accantonamento di una chiusura settaria che appare sempre più dannosa e inutile ai suoi occhi, una astrazione che negli anni a cavallo tra il secondo e il terzo decennio del Ventesimo secolo poteva essere considerata un peccato imperdonabile, oltre che uno sbaglio senza eguali. Idea, quest’ultima, confortata anche nell’infelice esperienza applicativa portata in dote dalla condanna del social-fascismo e dal rifiuto di collaborazione con la socialdemocrazia, un rifiuto che nella Germania prehitleriana ha significato solamente l’agevolare il compito al partito nazionalsocialista tedesco nella sua presa del potere, con un fronte popolare diviso, indebolito e incapace di offrire una valida diga al trionfo delle istanze naziste. <7 Tra i successi travolgenti ottenuti dai regimi fascisti, la durezza della repressione, l’inefficacia della retorica rivoluzionaria e le nuove esigenze sovietiche, Togliatti porterà a compimento una maturazione fondamentale per la sua figura politica e per il suo partito, una maturazione che, assieme a tutti i suoi responsabili, vedrà una prima, grande applicazione nella guerra civile spagnola [1936-1939], una sorta di battesimo dell’antifascismo che, seppur catastrofico nei suoi esiti, vedrà l’implementazione di una tattica di fondamentale importanza per le future sorti dell’Europa.
[NOTE]
3 Palmiro Togliatti, Lezioni sul fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1976, pag. 13-14
4 Charles F. Delzell, I nemici di Mussolini, Roma, Castelvecchi, 2013, per approfondire l’infiltrazione comunista nelle organizzazioni fasciste si veda in particolare l’analisi contenuta nel capitolo “Il quarto congresso del PCI in Germania”
5 Aldo Grandi, Ruggero Zangrandi. Una biografia, Catanzaro, Abramo, 1994, pag. 76
6 Gabriele Ranzato, L’eclissi della democrazia, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, pag. 336-337
7 Cit., pag. 20-21
Alessandro Catto, Palmiro Togliatti, il PCI e la democrazia progressiva tra lotta antifascista e costituzionalizzazione, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari - Venezia, Anno Accademico 2015/2016

Viceversa, un termine come ‘popolo’ andò via via acquisendo sempre più rilevanza nel discorso comunista italiano. Un più ampio impiego del lemma si ebbe per esempio durante gli anni trenta, soprattutto con la politica del fronte popolare antifascista e dopo il VII congresso del Komintérn, svoltosi tra il 25 luglio e il 20 agosto del 1935, l’ultimo prima del suo scioglimento. Se il termine ‘popolo’ su l’Unità aveva avuto una frequenza trascurabile tra il 1924 e la prima metà degli anni trenta, oltretutto quasi sempre come specificazione nazionale di altri popoli, la situazione apparve <105 rovesciata nel decennio successivo. Sul quinto numero dell’edizione clandestina del 1935, il popolo italiano era protagonista dell’azione contro l’«avventura brigantesca del governo fascista» <106. Ugualmente accadeva sul settimo numero, dove il popolo faceva la sua comparsa tra i destinatari dell’appello del partito <107. Il dodicesimo si rivolgeva poi direttamente al popolo, titolando “Popolo d’Italia, imponi la pace!” <108, e così il tredicesimo, “Il popolo italiano ha parlato!” <109. Sul quindicesimo numero l’Unità scagionava completamente il popolo italiano dalle sanzioni che nell’ottobre del 1935 la Società delle nazioni aveva applicato al paese per l’aggressione all’Etiopia. Infatti spiegava: «È contro i responsabili della guerra, è contro il fascismo aggressore che le sanzioni sono applicate - non contro il popolo italiano. Le sanzioni sono destinate a stroncare la guerra infame e disastrosa in cui il fascismo ha gettato l’Italia - non a soffocare economicamente il popolo italiano» <110.
Nel secondo numero del 1936 l’Unità insisteva proprio su questo punto: “Il popolo italiano non è responsabile della guerra!”, mentre lo era Mussolini, che <111 «[condannava] il popolo italiano alla fame ed alla morte» <112. Non era responsabilità dei «cinquecentomila giovani» che erano stati «mandati lontano, a soggiogare un altro popolo, con le armi» perché era stato «detto loro che ciò era necessario, nell’interesse del popolo italiano». Le «promesse fatte al popolo non [erano state] mantenute»: «il popolo italiano [era] sacrificato e oppresso», «sotto la minaccia di essere trascinato in una nuova guerra», «alla mercé di un pugno di sfruttatori»: «i grandi finanzieri, i grandi industriali, i grandi proprietari terrieri» <113.
[...] Nell’articolo “Una grande lezione”, sull’ottavo numero de l’Unità del 1936, si poteva inoltre leggere: «L’eco dei recenti avvenimenti politici e sociali della Francia è giunta rapidamente nella Penisola, e vi ha portato una vaga speranza. L’istinto della classe operaia e del popolo intero, permette loro di stabilire, senza difficoltà, la identificazione degli obbiettivi [sic] dei popoli che lottano e che vincono, con i propri obbiettivi [sic]. Perciò le lotte del popolo spagnuolo, del popolo francese - e del popolo della lontana Cina! - giungono al cuore del nostro popolo, come il suono della campana che annuncia la nuova alba» <117.
Ugualmente, alla fine del 1937, un articolo di Ruggero Grieco invocava l’«unione del popolo» e la «solidarietà fra tutti i popoli» come arma decisiva contro la guerra <118. Da un lato la comunanza spirituale tra il popolo italiano e gli altri popoli in lotta contro il nazifascismo - che tra il 1937 e il 1939 trovava luogo privilegiato nella guerra civile spagnola <119 -, dall’altro le narrazioni delle promesse al popolo italiano non mantenute dal regime e il discorso del prezzo pagato dal popolo per averci creduto <120, costituirono, nel decennio a seguire (1938-1948), la base discorsiva del processo di totale assoluzione del popolo italiano.
Nel 1937, sulla stampa clandestina il ‘popolo’ cominciò a giocare un’importante funzione nel discorso in merito alla morte di Antonio Gramsci. Nell’articolo “L’estremo saluto del partito”, apparso sul sesto numero de l’Unità 1937, la frequenza del lemma ‘popolo’ era più alta che negli articoli dello stesso periodo.
[NOTE]
105 Come il popolo cinese: “La rivoluzione cinese. L’offensiva contro l’esercito del popolo”, l’Unità, III, 30 (4 febbraio 1926); “L’insurrezione del popolo cinese”, l’Unità, II, 129 (6 giugno 1925). Il popolo russo: “I capi della Seconda Internazionale predicano la guerra civile… contro il Governo dei Soviet”, l’Unità, II, 129 (6 giugno 1925). Il popolo macedone: “Le lotte del popolo macedone nelle dichiarazioni di un capo rivoluzionario”, l’Unità, I, 159 (16 agosto 1924). Il popolo italiano: “Il vivace fermento del popolo italiano”, l’Unità, I, 108 (18 giugno 1924); “Il popolo italiano potrà mai sapere chi sono accusati da Rossi, Finzi e Filippelli?”, l’Unità, I, 145 (31 luglio 1924).
106 “Il popolo italiano reagisce all’avventura brigantesca del governo fascista”, l’Unità, Edizione clandestina, XII, 5 (1935).
107 “Salviamo il nostro paese dalla catastrofe! (Appello del Comitato Centrale del Partito Comunista d’Italia)”, l’Unità, Edizione clandestina, XII, 7 (1935).
108 “Popolo d’Italia, imponi la pace!””, l’Unità, Edizione clandestina, XII, 12 (1935). 109 “Il popolo italiano ha parlato!”, l’Unità, Edizione clandestina, XII, 13 (1935).
110 “Il responsabile delle sanzioni è il governo di Mussolini! Finisca la guerra!, deve essere il grido di tutto il popolo italiano”, l’Unità, Edizione clandestina, XII, 15 (1935).
111 Un gruppo di professionisti, “Il popolo italiano non è responsabile della guerra!”, l’Unità, Edizione clandestina, XIII, 2 (1936).
112 R. Grieco [Ruggero Grieco], “Mussolini prepara un nuovo macello!”, l’Unità, Edizione clandestina, XIII, 1 (1936).
113 R. Grieco [Ruggero Grieco], “Ex combattenti dell’Africa Orientale! Popolo italiano!”, l’Unità, Edizione clandestina, XIII, 1 (1936).
117 “Una grande lezione”, l’Unità, Edizione clandestina, XIII, 8 (1936).
118 Ruggero Grieco, “Unione del popolo e solidarietà fra tutti i popoli per la pace e per la libertà”, l’Unità, Edizione clandestina, XIV, 14 (1937).
119 Nel 1937 fu soprattutto la lotta del popolo spagnolo a occupare le pagine de l’Unità: “Solidarietà del popolo italiano per i repubblicani spagnuoli”, sul secondo numero; “In difesa della Spagna del popolo”, sul terzo, sul quale, nella manchette, era scritto: «La vittoria della Sagna del popolo è anche nelle mani del popolo italiano»; “La solidarietà del popolo italiano con la repubblica spagnuola”, sul quinto; “Lavoratore italiano! Il fronte spagnuolo della libertà passa anche per il nostro paese”, sul settimo; Velio Spano, “Il popolo spagnuolo lotta per la vittoria”, sul decimo.
Giulia Bassi, Parole che mobilitano. Il concetto di ‘popolo’ tra storia politica e semantica storica nel partito comunista italiano, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2015/2016
 
Il Partito Comunista d'Italia (PCdI) nasce il 21 gennaio 1921 da una scissione dal Partito Socialista Italiano (PSI) in occasione del XVI Congresso di quest'ultimo (Spriano 1967-1975, I: 108-121). Il dibattito di lungo corso tra massimalisti (radicali, favorevoli al perseguimento del programma massimo) e minimalisti (riformisti, per una declinazione graduale degli obiettivi) registra un salto di qualità in seguito alla Rivoluzione d'Ottobre (1917) e alla conseguente costituzione del Comintern (1919), l'Internazionale Comunista che si propone di coordinare i partiti comunisti periferici sulla base delle indicazioni dell'organizzazione centrale, il Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS). Dal ruolo dell'organizzazione sponsorizzatrice nella fondazione del PCdI deriva dunque la “legittimazione esterna” del partito che ne condizionerà gli sviluppi successivi. Il processo di “bolscevizzazione” del partito promosso dal Comintern è tuttavia interrotto dall'avvento del fascismo e dal “passaggio alla illegalità” del PCdI (Panebianco 1982: 157-158). Nel 1923 la leadership di Amadeo Bordiga nel partito viene sconfessata direttamente da Mosca che, approfittando dell'arresto di quest'ultimo, lo rimuove accusandolo di eterodossia e di trockismo (Spriano 1967-1975, I: 429-456). Questo intervento apre la strada a un cambiamento al vertice del PCdI clandestino: nel corso del III Congresso (1926) si afferma una coalizione dominante di osservanza sovietica diretta da Antonio Gramsci (che assume il ruolo di Segretario) e da Palmiro Togliatti (Spriano 1967-1975, I: 510-513). L'8 novembre dello stesso anno Gramsci viene arrestato e morirà in carcere dopo undici anni di prigionia; i suoi 'Quaderni' contribuiranno in maniera decisiva alla ridefinizione dell'identità comunista nella seconda metà degli anni Cinquanta. Ormai scisso tra una direzione in esilio e un'organizzazione clandestina in Italia, il partito attraversa una fase turbolenta, decimato dalla repressione fascista e dalle epurazioni sovietiche, prima di stabilizzarsi con l'ascesa alla Segreteria di Togliatti (Agosti 1999: 26-33). Gli anni Trenta vedono un inasprirsi del controllo del Comintern sulle organizzazioni affiliate: nel 1938 il Comitato centrale del PCdI viene sciolto; Togliatti consolida così la sua preminenza nel partito grazie al rapporto diretto con Iosif Stalin (Spriano 1967-1975, III: 246-261). Il patto tedesco-sovietico (1939) e la conseguente formulazione della teoria della “guerra imperialista” da parte di Mosca mettono in difficoltà la tattica frontista che il PCdI stava portando avanti assieme agli altri partiti antifascisti, confermando ancora una volta come il Comintern agisse come strumento della politica estera dell'URSS (Spriano 1967-1975, III: 309-316). L'Operazione Barbarossa che i nazisti inaugurano nel 1942 produce un nuovo rivolgimento, ovvero la definizione di “guerra antifascista”, e ha quindi conseguenze anche sul PCdI, che torna a promuovere larghe intese tra le forze che si oppongono al regime per provocarne la caduta. Nel 1943 il Comintern viene sciolto e il PCdI assume la denominazione di Partito Comunista Italiano (PCI). Con le dimissioni di Benito Mussolini, l'ascesa di Pietro Badoglio e la sconfessione del Patto d'acciaio che legava l'Italia alla Germania, inizia nel Centro-Nord la Resistenza all'occupazione nazista. Dopo aver faticosamente riorganizzato la propria struttura clandestina, i comunisti si rivelano i principali animatori degli scioperi e delle lotte antinaziste (Spriano 1967-1975, IV: 345-358). Ottenuto l'assenso di Stalin, Togliatti rientra in Italia nel marzo 1944 e avvia la “Svolta di Salerno”, ovvero la disponibilità dei comunisti a entrare in un governo di pacificazione nazionale: si vuole privilegiare la guerra contro gli invasori tedeschi rispetto alla disputa sulla questione istituzionale causata dalla pregiudiziale antimonarchica degli altri partiti laici (Agosti 2009: 51). Togliatti promuove inoltre il “partito nuovo”, nazionale e di massa, ponendo le basi “per uno sviluppo che contiene una sensibile «deviazione» dal modello sovietico”, cioè l'organizzazione di quadri formata da rivoluzionari di professione (Panebianco 1982: 158). La funzione originale del rinnovato PCI è nella “democrazia progressiva” ovvero nell'inclusione delle grandi masse popolari nella gestione politica del Paese: “L'obiettivo che noi proporremo al popolo italiano di realizzare, finita la guerra, sarà quello di creare in Italia un regime democratico e progressivo. […] Questo vuol dire che non proporremo affatto un regime il quale si basi sulla esistenza e sul dominio di un solo partito” (Togliatti in Spriano 1967-1975, V: 389). Il PCI entra quindi a far parte dei governi Badoglio, Bonomi, Parri e De Gasperi (con Togliatti al Ministero di Grazia e Giustizia), prima di essere estromesso da quest'ultimo nel maggio 1947, a causa dell'irrigidimento dei rapporti tra USA e URSS e della fedeltà atlantica della DC. Per il resto della sua vicenda storica, il PCI non ricoprirà più incarichi di governo: è la “conventio ad excludendum” che accomuna le esigenze internazionali degli USA e i vantaggi interni della DC.
Alle prime elezioni dopo il ventennio fascista, il PCI sfiora il 19% dei voti e nel 1948 si presenta assieme ai socialisti nel Fronte Democratico Popolare ottenendo però un deludente 31% (alle precedenti consultazioni la somma dei due partiti superava il 39%). Il sistema elettorale proporzionale e la consistente affermazione della DC (48%) stabilizzano il Paese sul perno centrista che ne costituirà la costante per quasi mezzo secolo (Mack Smith 1997: 571).
La difficile transizione post-fascista e la ricostituzione del Comintern sotto nuove vesti (Cominform) provocano un riflesso difensivo nel PCI, che ripiega su se stesso con un parziale ritorno organizzativo al modello leninista (Agosti 1999: 63-65).
Francesco Andreani, The dissolution of the Italian Communist Party and the identity of the Left: ideology and party organisation, a thesis submitted to the University of Birmingham, 2013 

martedì 23 agosto 2022

Trattasi di una comune bomba a mano tipo Balilla

Roma: Corso Vittorio Emanuele II. Fonte: mapio.net

L'assimilazione verso la scelta legalitaria prospettata dalla nascita del MSI per lo più spense i fuochi dei Fasci d'azione rivoluzionaria. “Già alla fine del 1947 - ha scritto Mario Tedeschi - solo pochissimi elementi, non più organizzati ma collegati sulla base di rapporti personali, restavano ancora fermi su quelle che erano diventate pian piano posizioni di natura puramente estetica” <87. La sigla FAR infatti ricomparirà nelle cronache cittadine soltanto nell'ottobre del 1948, in occasione dell'anniversario della marcia su Roma.
"Mentre la Polizia era intenta a rastrellare fascisti in Corso Vittorio, quattro bombe-carta sono state fatte esplodere dal MSI a Porta Pia, a P. Ungheria, a P. Flaminia [sic] e sotto la Galleria Colonna. Le bombe, esplodendo, hanno diffuso manifestini dei FAR (fasci di azione rivoluzionaria) di cui da tanto tempo non sentivamo più parlare. Il testo dei manifestini somiglia assai a una predica […]" <88.
Il rastrellamento cui accenna l'articolo de «l'Unità» era seguito al malriuscito tentativo di tre neofascisti, nella mattinata di quel 28 ottobre, di affiggere dal “fatidico balcone [di Palazzo Venezia] un tricolore con in mezzo disegnato a inchiostro un fascio repubblichino” <89. Per l'affissione e le esplosioni delle bombe carta la Questura arrestò e denunciò una dozzina di persone <90.
Quelle dei FAR tuttavia non erano le uniche micce della città. Tra il dicembre del 1947 e il gennaio del 1948, infatti, Roma fu teatro di cinque attentati tutti perpetrati dallo stesso gruppo che appare essere per lo più scollegato dal resto del contesto neofascista romano.
Il 25 novembre '47, verso le dieci di sera “un giovane dall'apparente età di 16 anni <91 lanciò una bomba a mano di tipo SRCM contro il palazzo di via IV novembre dove aveva sede la tipografia che stampava «l'Unità» e l'«Avanti», allontanandosi poi a bordo di una macchina scura. La bomba esplose sul marciapiede a mezzo metro dal portone, provocando la rottura di una vetrata" <92.
L'indomani su «l'Unità» il governo veniva rabbiosamente accusato di acquiescenza: “È chiaro che i neo fascisti si fanno forti dell'impunità e della compiacente tolleranza del governo. E l'attentato di ieri sera, compiuto a pochi giorni di distanza dall'approvazione della legge per la difesa della Repubblica, assume un evidente carattere di sfida e di provocazione” <93.
Meno di un mese dopo, il 19 dicembre, poco dopo le nove di sera, veniva lanciata un'altra bomba all'ingresso della sezione “Italia” del PCI in via Catanzaro. “Le caratteristiche di questo ennesimo criminale attentato - viene fatto notare ancora da «l'Unità» - sono identiche a quelle dell'ultimo, compiuto contro la nostra tipografia, e dimostrano l'esistenza dì una organizzazione clandestina che si prefigge lo scopo di colpire sistematicamente le sedi dei partiti democratici” <94.
La dinamica dell'attentato, in effetti, è estremamente simile, come si legge nel rapporto stilato la sera stessa dalla Questura:
"svolte le prime indagini, è risultato che nell'ora anzidetta un'automobile, secondo alcuni testimoni, tipo Augusta, ma della quale non sono state rilevate altre caratteristiche, proveniente da via Padova traversava lentamente via Catanzaro diretta via Belluno, rallentando ancor più la marcia all'altezza della sezione comunista. Intanto un individuo, dall'apparenza giovanile, che indossava un trence [sic], ignorasi se sia disceso dalla macchina o già in sosta nei pressi della sede comunista si arrampicava sulla ringhiera antistante l'ingresso di questa, lanciando la bomba. Subito dopo, mentre la macchina accelerava la corsa costui si aggrappava allo sportello sinistro della vettura, dileguandosi con essa verso via Belluno. […] Non si hanno a lamentare danni alle persone. Trattasi di una comune bomba a mano tipo Balilla. Disposte attivissime indagini. Sul posto si sono recati anche l'On. D'Onofrio e il Dr. Natoli segretario della federazione comunista" <95.
L'esplosione mandò in frantumi i vetri della porta della sezione e di una finestra dell'appartamento al piano superiore e provocò la caduta di un metro di cornicione all'interno della sezione <96. Cinque giorni dopo venne identificato il modello dell'auto ma non la targa <97.
La sequenza di attentati si protrasse dunque anche nell'anno nuovo. Nella notte tra il 12 ed il 13 gennaio una carica di tritolo detonò nei pressi di una finestra della sezione Mazzini del PCI in via Monte Zebio, distruggendo la finestra stessa e mandando in pezzi i vetri delle finestre circostanti nel raggio di circa quindici metri. Un ordigno “di scarsa potenzialità” osservava il commissario capo del commissariato di P.S. Piazza d'Armi, posto unicamente a scopo dimostrativo, anche in considerazione del fatto che la sezione era chiusa <98. Due settimane dopo, nella notte tra il 26 ed il 27 gennaio, un altro ordigno a basso potenziale esplose sotto la porta di accesso della sezione “Saverio Tunetti” del Partito Socialista Italiano in via Tiepolo, al quartiere Flaminio, scardinando la porta e infrangendo i vetri della sezione e delle finestre attigue per un raggio di circa cinquanta metri <99. Ancora, nella notte tra il 13 ed il 14 febbraio un ciclista lanciò una bomba, di maggiore potenza rispetto alle due precedenti, nel giardino circostante la sede nazionale dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia (ANPI) in via Savoia.
" Impiegato ANPI - comunicò la Questura - che ivi pernotta Zelli Giuseppe […], che si era appartato in lavori di ufficio aveva modo di notare fumo nel cortile e raccolto involucro circa 600 grammi dal quale sprigionava miccia accesa, lo lanciava per strada, preoccupandosi con gesto lodevole di correre fuori at avvertire pericolo ai passanti rimasti sconosciuti, coadiuvato in ciò da guardia notturna Ficini Benedetto fu Leopoldo nato a Subiaco il 22-8-1893. Dopo circa quattro minuti verificavansi esplosione sul margine esterno del marciapiede frantumando lo stesso e molti vetri abitazioni circostanti. Nessun danno alle persone. Nei pressi sede veniva rinvenuta qualche cartolina raffigurante militare con mitra et elmetto con la scritta “SAM - GC Barbarigo - Buon sangue non mente” " <100.
Nel giro di un mese la Questura, rafforzando il suo convincimento di un'unica organizzazione a monte di questa sequela di attentati, orientò le indagini verso “una combriccola di individui dall'attività sospetta” di stanza nei rioni Ponte e Sant'Eustachio, che si aggirava attorno all'ex Colonnello della milizia, per breve tempo Questore di Forlì durante la RSI, Riccardo Voltarelli <101. Il dirigente dell'ufficio politico della Questura di Roma Tommaso Audiffred spiegò in proposito che
"L'Ufficio politico teneva d'occhio il Voltarelli a causa del passato politico; l'idea che egli, e le persone che lo frequentavano, potessero sapere qualche cosa [degli attentati] alle sedi dei Partiti di Sinistra, non aveva una base sicura e concreta, ma cominciò a consolidarsi quando dai servizi normali di vigilanza nei confronti del Voltarelli, emerse che il suo atteggiamento era molto equivoco […]" <102.
L'ex questore di Forlì, nativo della provincia di Catania (1895), era noto all'ufficio politico per essere uno dei dirigenti del Movimento anticomunista rivoluzionario italiano (MACRI) <103, costituito clandestinamente nella seconda metà del 1946 e rimasto per lo più inerte fino al dicembre 1947. Nell'estate dell'anno successivo, pur mantenendo l'acronimo, l'associazione aveva mutato nome in Movimento di azione cristiana per la ricostruzione italiana al fine di assumere una veste legale, e ne venne stabilita la sede presso il convento degli agostiniani, in piazza S. Agostino. Presidente e vicepresidente ne erano, riferisce sempre il dirigente dell'ufficio politico, i generali, entrambi massoni, Fulgenzio Dall'Ora e Giuseppe Pieche, che tuttavia comunicarono le dimissioni dalle loro cariche sociali nel novembre 1947. "Fino a quell'epoca, continua Audiffred, animatore del movimento sarebbe stato padre Prisco, rettore del convento di S. Agostino, sede che sempre in quel periodo il MACRI abbandonò per mancanza di fondi. Ciò nonostante non è risultato che Voltarelli abbia intrapreso quei due mesi di fuoco per “mandato dei dirigenti del MACRI […] sta di fatto però che egli ha svolto una attività nell'orbita del MACRI, servendosi di uomini che a questo erano iscritti” <104.
Tra il 10 e il 15 di marzo, dunque, sei (di nove) membri della “combriccola di individui dall'attività sospetta” vennero arrestati: il 10 Domenico Palladino, Marcello Carini e lo stesso Voltarelli, il 12 Angelo Lispi e Saverio Capogreco, il 13 Cesare Monti, il 15 Luigi Arione. Il 5 maggio verrà arrestato Aldo Baroni mentre Cristoforo Marullo non sarà arrestato (verrà poi assolto per insufficienza di prove) <105. Al gruppo vennero attribuiti tutti e cinque gli attentati, giacché “sebbene si sia riusciti ad accertare in modo inequivocabile solo alcune precise loro responsabilità, non si ha dubbio date le modalità di esecuzione riscontrate in altri attentati congeneri, che essi siano di loro opera” <106. Durante gli interrogatori, infatti, gli arrestati confessarono la responsabilità degli attentati alle sezioni del PCI di via Catanzaro e di via Monte Zebio, entrambi organizzati da Voltarelli e compiuti il primo da Barone, Capogreco, Lispi e Palladino, il secondo dal solo Voltarelli <107.
Diversamente da quanto osservato nel caso dei FAR (e dei gruppi di persone che vi si avvicinarono, anche per poco), questo gruppo riunitosi attorno a Voltarelli appare decisamente disomogeneo sia sotto l'aspetto anagrafico, sia, conseguentemente, sotto quello della condivisione di esperienze nella RSI, sia ancora da un punto di vista di appartenenza politica. Si può infatti notare che i cinque confessi esecutori degli attentati alle due sezioni del PCI avevano cinque età diverse, e tra il più giovane ed il più anziano vi erano ventisette anni di differenza. I soli ad aver militato insieme nei corpi della RSI risultano essere Palladino e Carini nella GNR nel veronese <108 e la stessa formazione del gruppo sembra essere abbastanza casuale; Lispi ad esempio confessò di aver conosciuto Voltarelli, Palladino e Capogreco nella sede dell'Associazione Nazionale Arditi d'Italia nell'autunno 1947 <109. Quanto all'identità politica si noti che Marullo, l'unico fra gli imputati ad essere assolto per insufficienza di prove, avrebbe avuto un ruolo di collegamento tra il MACRI e “le squadre d'azione che erano state costituite in seno al Movimento Monarchico” <110.
Elementi di un certo interesse si rilevano invece nei primi interrogatori di Voltarelli (che poi ritratterà sistematicamente), in cui spavaldamente sostenne essere nelle sue intenzioni la formazione di una “organizzazione terroristica a sistema cellulare del tipo slavo e allo scopo organizzavo singoli attentati contro sedi comuniste, per addestrare gli uomini ad una maggiore e più grande impresa. Tale impresa consisteva nella distruzione della nuova sede del P.C.I. di via delle Botteghe Oscure” <111. Un proposito ai limiti del delirio di onnipotenza, anche in considerazione del fatto che gli attentati realmente compiuti avevano evidentemente uno scopo meramente dimostrativo. Al riguardo, è anche interessante l'opinione di Salvatore Immè, commissario della Pubblica Sicurezza presso la Squadra politica della Questura, laddove rileva che lo scopo della campagna di Voltarelli fosse “quello di dimostrare ai partiti di sinistra esistere ancora una forza capace di fronteggiarli se fossero passati all'azione diretta” <112, il che rappresenterebbe, oltre al generico anticomunismo, il vero dato politico espresso dal gruppo: un dato fortemente conservatore, tutt'altro che rivoluzionario. Ciò che appare mancare del tutto, e l'assenza di elementi di coesione interna ne è un aspetto, è proprio quell'urgenza identitaria che s'è vista invece nel caso dei FAR, la condizione morale e psicologica dell'azione clandestina; non è un caso che la banda di Voltarelli, che ha compiuto azioni ben più rumorose di quanto non abbiano fatto i FAR, sia svanita del tutto dalla memoria neofascista.
[NOTE]
87 M. Tedeschi, Fascisti dopo Mussolini, cit., p. 163.
88 Una povera pazza fermata dalla P.S. mentre accende un cero al “salmone”, in «l'Unità», 29/10/1948.
89 Ibidem.
90 Cfr. ACS, MI, GAB (1950-1952), b. 18, fasc. “Roma. Omicidio di Billi Achille (del MSI) (6.4.1949)”, rapporto della Questura di Roma n. 0596643/UP, cit. Gli arrestati furono Antonio Grande, Famiano Capotondi e Luciano La Face (condannati a cinque mesi e venti giorni di reclusione); Giovanni Inzani, Giorgio Luparini, Gastone Proietti, Gabriele Fusco, Augusto Procesi, Giannangelo De Merulis e Giuseppe Berti (condannati a quattro mesi e venti giorni); Salvatore Vancati e Luigi Capotorti, cui venne concesso il perdono giudiziale in quanto minorenni.
91 ASR, Tribunale Penale (1948), b. 8, Voltarelli+7, rapporto della Questura di Roma n. 064048/UP, Esplosione bomba via IV Novembre, Roma, 26/11/1947, ff. 83-84.
92 Cfr. ibidem e ACS, MI, GAB (1947), b. 2, fasc. “Roma. Incidenti (III fascicolo)”, fonogramma della tenenza dei carabinieri S. Lorenzo in Lucina n. 50/255, Roma, 25/11/1947
93 L'attentato all'Unità e all'Avanti,in «l'Unità», 26/11/1947. Il riferimento normativo è alla legge 11 novembre 1947, n. 1317, “Modificazioni al codice penale per la parte riguardante i delitti contro le istituzioni costituzionali dello Stato”.
94 Una bomba lanciata contro la Sezione P.C.I. del quartiere Italia, in «l'Unità», 20/12/1947. Va rilevato che un mese prima, il 21 novembre (due giorni dopo le bombe contro «l'Unità»), nello stesso quartiere Italia erano state lanciate due bombe, a un quarto d'ora di distanza l'una dall'altra, contro le sezioni della Democrazia cristiana di via Ravenna e dell'Uomo qualunque di via Giovanni da Procida. Cfr. Due bombe al quartiere Italia nelle sedi democristiana e U.Q., in in «l'Unità», 21/11/1947.
95 ACS, MI, GAB (1947), b. 2, fasc. “Roma. Incidenti (III fascicolo)”, fonogramma della Questura di Roma n. 208490/Gab., 19/12/1947.
96 Cfr. anche ASR, Tribunale Penale (1948), b. 8, Voltarelli+7, , Tribunale Penale (1948), b. 8, Voltarelli+7, fonogramma del commissariato di P.S. Porta Pia n. 06448, 20/12/1947, f. 100.
97 Cfr. ivi, rapporto del commissariato di P.S. Porta Pia [protocollo illeggibile], 25/12/1947, ff. 101-102.
98 Cfr. ivi, rapporto del commissariato di P.S. Piazza d'Armi n. 0277/Gab., Esplosione di ordigno presso la Sezione del P.C.I. a via Monte Zebio n. 9, Roma, 19/1/1948, f. 93. Cfr. anche ACS, MI, GAB (1948), b. 15, fasc. “Roma. Agitazioni e incidenti (fascicolo I), s. fasc. “Sezione partito comunista di Monte Zebio. Esplosione ordigno”, fonogramma della Questura di Roma n. 5442/Gab., 13/1/1948.
99 ACS, MI, GAB (1948), b. 15, fasc. “Roma. Agitazioni e incidenti (fascicolo I), s.fasc. “Sezione Partito Socialista di via Tiepolo. Esplosione ordigno”, fonogramma della tenenza dei Carabinieri Flaminio, n. 5442/Gab., 27/1/1948 e fonogramma della Questura di Roma n. 13540/01000/UP, 27/1/1948.
100 ACS, MI, GAB (1948), b. 15, fasc. “Roma. Agitazioni e incidenti (fascicolo I), s.fasc. “Roma. Attentato alla sede dell'ANPI”, fonogramma della Questura di Roma n. 23396/Gab., 14/2/1948.
101 ACS, MI, GAB (1948), b. 15, fasc. “Roma. Agitazioni e incidenti (fascicolo I), rapporto della Questura di Roma n. 053748/UP, Attentati terroristici compiuti nella Capitale, 12/3/1948.
102 ASR, Tribunale Penale (1948), b. 8, Voltarelli+7, Verbale di istruzione sommaria, 5/4/1948, ff. 139-140.
103 Parlato ha sciolto l'acronimo in “Movimento anticomunista reduci italiani”, sigla di cui tuttavia non si è trovata altra traccia. Cfr. G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, cit., p. 265.
104 Ibidem. È opportuno sottolineare come questa descrizione fatta agli inquirenti dal dirigente l'ufficio politico della Questura coincida nel dettaglio con quella pubblicata da «l'Unità» più di venti giorni prima. Cfr. Un questore repubblichino e un prete a capo della banda di terroristi fascisti, in «l'Unità», 13/3/1948. Il generale dei carabinieri Giuseppe Pieche è stato, secondo lo studioso dell'intelligence italiana De Lutiis, “la figura che più di ogni altro rappresenta emblematicamente, con la propria carriera, la continuità dei servizi segreti dal periodo fascista alle strutture civili di sicurezza del Ministero dell'Interno del dopoguerra […]. Capo della terza sezione del Sim dal 1932 al 1936, nel 1937 coordinò gli aiuti militari italiani all'esercito franchista. Fu poi incaricato da Mussolini di svolgere un controllo discreto e riservato dei gerarchi e delle loro personali strutture occulte. […] con il primo governo De Gasperi, Pieche fu richiamato in servizio dal ministro degli interni Scelba, che gli affidò l'incarico di Direttore Generale dei servizi antincendi, carica solo apparentemente di secondo piano”. G. De Lutiis, Storia dei servizi: guerra fredda, stragismo, depistaggi, in Storia, sicurezza e libertà costituzionali. La vicenda dei servizi segreti italiani, Atti del convegno del 23/24 marzo 2007, Casa memoria di Brescia, Brescia, 2008, pp. 25-39. La citazione è alle pp. 29-30.
105 Cfr. ACS, MI, GAB (1948), b. 15, fasc. “Roma. Agitazioni e incidenti (fascicolo I), rapporto della Questura di Roma n. 053748/UP, Attentati terroristici compiuti nella Capitale, 22/3/1948.
106 Ibidem.
107 I componenti del commando furono condannati il 26/7/1948 rispettivamente: Voltarelli a 3 anni di reclusione, Palladino, Lispi e Capogreco a 2 anni e 6 mesi, Baroni a 1 anno e 8 mesi, Carini, Monti e Arione a 1 anno e 4 mesi. La sentenza sarà poi confermata in appello il 26/2/1949. Cfr. ASR, Tribunale Penale (1948), b. 8, Voltarelli+7, 9/19 registro Sentenze, 26/2/1949, ff. 1-21.
108 Cfr. ivi, verbale di interrogatorio di Domenico Palladino, 11/3/1948, f. 41 e verbale di interrogatorio di Marcello Carini, 16/3/1948, f. 53.
109 Cfr. ivi, verbale di interrogatorio di Angelo Lispi, 12/3/1948, f. 46.
110 Ivi, verbale di interrogatorio di Riccardo Voltarelli, 15/3/1948, f. 35.
111 Ivi, verbale di interrogatorio di Riccardo Voltarelli, 15/3/1948, f. 35.
112 Ivi, verbale di istruzione sommaria, 6/4/1948, f. 146.
Carlo Costa, "Credere, disobbedire, combattere". Il Neofascismo a Roma dai FAR ai NAR (1944-1982), Tesi di Dottorato, Università degli studi della Tuscia - Viterbo, 2014

venerdì 19 agosto 2022

I coniugi Sverzut si prestano al recapito della corrispondenza a sovversivi

Parigi: nell'XI arrondissement. Fonte: Wikipedia

Altro membro della Milice du XI arr. di cui mi è stato possibile ritrovare un certo numero di informazioni è Fausto Sverzut, che dopo la liberazione di Parigi fece parte del CILN, sezione dell'XI arr. come tesoriere aggiunto. Lo Sverzut fu una persona che assunse un atteggiamento ostile al regime fascista e militò attivamente per il partito comunista in Italia. Espatriato poi in Francia continuò a professare le sue idee politiche senza però aderire ad un movimento politico né sindacale negli anni precedenti la II guerra mondiale. Durante il periodo dell'occupazione prestò aiuto alla resistenza ma senza compiere in prima persona azioni armate contro l'occupante fino al mese della Liberazione.
Fausto Sverzut era nato nel 1909 a Cervignano del Friuli in provincia di Udine. Figlio di una famiglia di sentimenti antifascisti, il padre professava idee comuniste mentre il fratello Giovanni era iscritto al partito socialista unitario, emigrò insieme al padre in Romania. Tornato in seguito a vivere in Italia, fu responsabile della ricostituzione del gruppo clandestino comunista di Monfalcone e fu anche il coordinatore delle attività delle varie cellule della zona. In seguito a denuncia <522 venne condannato al carcere per avere ricostituito la disciolta cellula comunista. Tuttavia nell'agosto del 1928 il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, ne ordinò la scarcerazione, dichiarando “non luogo a procedere”. <523
Richiamato alle armi nel 1929, prestò servizio militare in qualità di allievo fuochista artificiere nella Regia Marina. Imbarcato a bordo della R.N. Trento, di ritorno da un viaggio a Buenos Aires fu trovato dal comandante in possesso di manifestini sovversivi stampati alla macchia. Venne così trasferito sul Regio Posamine Fasana, ancorato nel porto di La Spezia, e “anche su questa nave lo Sverzut manifestò facendo quasi esplicita professione, di nutrire idee comuniste e sentimenti di avversione pel Regime e pel Governo nazionale.”. <524 Sottoposto quindi ad una più attenta vigilanza, la polizia si riservava di prendere provvedimenti contro di lui non appena avesse finito gli obblighi di leva, ma durante una breve licenza, lo Sverzut espatriò clandestinamente e raggiunse la Francia. Pertanto con sentenza contumaciale del 5 dicembre 1930 del Tribunale militare Marittimo di La Spezia, venne condannato a 5 anni di reclusione militare ed alla perdita di ogni diritto in quanto uomo di marina verso lo Stato. Su disposizioni del Prefetto di Udine, venne iscritto nel bollettino delle ricerche e nella rubrica di frontiera nel 1931 col la dicitura: “Comunista colpito da mandato di cattura per diserzione”.
Nel gennaio 1933 in un lettera indirizzata alla famiglia, e intercettata dall'UPI del Comando della 58 legione della M.V.S.N., lo Sverzut, dopo aver parlato dei suoi problemi di salute, descrisse le sue idee politiche di militante comunista fiducioso nella futura «rivoluzione proletaria» e nel declino del mondo capitalista. “(...) Per il momento non posso lamentarmi che di un malessere generale pur non condannandomi a letto. Faccio di tutto per curarmi e così prolungare la mia salute tanto contaminata che forse io non ne comprendo la gravità. Una sola cosa mi dà fiducia e speranza aiutandomi così a sopportare tutto, la rivoluzione proletaria in tutto il mondo e il comunismo vincitore. Avendo fiducia nella rivoluzione penso pure che curarmi potrò un giorno in qualche angolo d'Italia al sole e all'aria pura. Penso che non lontano sarà il giorno in cui si realizzerà quello che come le cento e cinquanta milioni di senza lavoro e operai occupati con salari di fame pensano e non invano guardando la realizzazione del socialismo in U.R.S.S. e il declino del mondo capitalista. <525 Non posso fare a meno di dirti il soggetto delle mie idee pur non sapendo che ti possono urtare i sentimenti che certo non corrispondono ai miei. Saluti.”. <526
Il 25 giugno 1933 venne arrestato a Parigi mentre incitava alle porte di una fabbrica gli operai a mettersi in sciopero. Nell'informativa della fonte fiduciaria si legge che “(...) Al momento dell'arresto si è dichiarato anarchico e fuggito dall'Italia perché disertore.”. In seguito a questo avvenimento, la polizia francese ne dispose quindi l'allontanamento dalla Francia facendolo accompagnare alla frontiera del Belgio.
Tuttavia nel 1935 era ancora a Parigi, e come annotava un informatore del Ministero degli Interni continuava a professare i suoi sentimenti comunisti ed antifascisti, senza esplicare attività politica degna di particolar rilievo. Per un periodo la residenza dello Sverzut era in Passage du Genie presso l'hotel-ristorante Mazzocchi, luogo di ritrovo per gli antifascisti italiani dell'XII arr. e della Parigi nord-est, in seguito ad accertamenti fatti eseguire dalla polizia italiana, risultò che si faceva recapitare la posta presso il Mazzocchi ma che non abitava in quell'hotel.
Dalla lettura di un'altra lettera che lo Sverzut spedì al padre nel 1937 alla quale la polizia fascista non dette corso, si apprende che era riuscito a regolarizzare la sua posizione in Francia ottenendo i documenti per il soggiorno “(…) incomincio per dirti che la vita per me qui in Francia è divenuta un poco migliore di quella che era qualche anno fa. Sono riuscito a regolarizzarmi con le carte», che si era sposato con la cittadina francese Margherita Baumer, nata a Parigi il 2.08.1909, che risiedeva insieme a lei nell'XI arr., al n. 96 del Boulevard Charonne, e che avevano un bambino di nome Michel nato nel 1936. La Baumer, per aver frequentazioni con il 'disertore' Sverzut fu seguita e interrogata a Parigi già nel 1933, <527 così si legge in un Telegramma della regia ambasciata d'Italia al Ministero dell'Interno, del 5 maggio 1933, essa dichiarò di non avere nessuna informazione sul suo conto, al Casellario venne anche aperto un fascicolo a suo nome per gli anni 1933-1938.
In una nota del Ministero degli Esteri, del 31.10.1938, è comunicato al Ministero degli Interni che i coniugi Sverzut si prestano al recapito della corrispondenza a sovversivi ed esplicano attività antifascista. Queste considerazioni del Ministero degli esteri nascono in seguito al sequestro di una lettera di Bacchi Giovanni, emigrato a Parigi, e indirizzata a Domenica Trieste, nella quale viene messo come indirizzo del mittente quello di Margherita Baumer. In questa lettera, il Bacchi, schedato come comunista presso il CPC, parla della condizione degli stranieri dopo i provvedimenti adottati nel 1938 dal Governo Daladier e delle sue difficoltà a Parigi, in quanto espulso, privo di documenti in regola, senza lavoro e costretto a vivere nell'illegalità. <528
Dopo il 1938, le ultime informazioni che si ricavano dal fascicolo personale del CPC sullo Sverzut riguardano l'anno 1943, quando lo stesso richiese il rilascio del passaporto con visto per espatrio poiché doveva recarsi in Italia per urgenti motivi familiari. Il Ministero degli Interni si espresse favorevolmente il 24 agosto “Si prega di disporre la rettifica del provvedimento d'iscrizione del predetto nel Bollettino delle Ricerche analogamente a quella ora richiesta da questo Ministero per la rubrica di frontiera e cioè col provvedimento da 'segnalare e vigilare'”, tuttavia fu il Ministero degli Esteri ad esprimere parere contrario, il 20 settembre, poiché il mandato di cattura per diserzione a carico dello Sverzut era ancora eseguibile. Inoltre nel 1943 è data notizia della sua presenza a Parigi dove risiede al n. 27 della rue Alexandre Dumas, nell'XI arr.
Riguardo al periodo dell'occupazione nazista di Parigi, le uniche informazioni che ho potuto trovare sono quelle contenute nelle attestazioni sulla sua attività di resistenza presenti nel Fondo Maffini. All'archivio della Préfecture de Police hanno un fascicolo a suo nome, in quanto venne arrestato il 20 maggio del 1944 a Parigi, tuttavia non m'è stato possibile consultare il fascicolo: mi è stato solo comunicato la data di arresto dello Sverzut, il 22.04.1944 e il numero del fascicolo (7737). Dalle due attestazioni, rilasciate da Maffini, nel 1968 e nel 1977, risulta che lo Sverzut, che è nella lista dei Garibaldini dell'XI arr., era entrato nella resistenza, Front National, nel maggio del 1942 ed
era incaricato, dall'organizzazione clandestina MOI, di occuparsi del reclutamento di resistenti, della propaganda e della distribuzione della stampa clandestina; distribuì i giornali "Italie Libre" e "Front National" e volantini che incitavano al sollevamento e alle azioni armate contro l'occupante.
Dopo il 9 settembre 1943 il suo domicilio servì ad ospitare alcuni soldati italiani della IV armata che si erano rifiutati di servire sotto il comando tedesco, e i resistenti che dovevano compiere una missione. Inoltre la sua casa servì da nascondiglio per armi e munizioni. Venne arrestato e internato alla prigione della Santé il 14 aprile 1944 e venne liberato dai resistenti delle F.F.I. il 17 agosto 1944. Purtroppo non è specificato nelle due attestazioni il motivo dell'arresto, né mi è stato specificato presso l'Archivio della Prefettura. Una volta rilasciato, fece parte, in qualità di sergente, della Milice du XI e collaborò alla confezione di bombe Molotov alla Mairie dell'XI, prese parte a dei combattimenti, costruì le barricate della rue des Immeubles e della rue Montreuil il 22 e 23 agosto, come al recupero di armi. Il 25 agosto prese parte alla cattura dei soldati tedeschi che occupavano la Caserma Prince Eugène. In seguito fece parte del Comité local du XI “Italie Libre”, in rue de Montreil, sezione del Movimento Italie Libre” ex Comité italien de Liberation national, in rue de Babylon. <529 Dopo la II guerra mondiale in Francia, è rimasto a lungo a vivere a Parigi per poi tornare a vivere in Italia.
[NOTE]
522 La Regia Prefettura di Trieste con lettera in data 1 giugno 1929, trasmette copia della denunzia inoltrata l'8 settembre 1927 al Tribunale Militare di Trieste contro il Quarantotto Mario ed altri otto giovani comunisti. “Da detto
rapporto si rileva quanto segue: che la mattina del 7 ottobre 1927 circa alle ore 9,00 un contadino si accorse che in una boscaglia sita presso la Bargellina scoperse un gruppo di giovani comunisti che si riunivano colà
clandestinamente. Subito il contadino Colsutti Giuseppe denunziò il fatto a quel Comando della SVSS il quale subito dispose per accerchiare gli adunati e procedere al loro fermo. Fu così possibile fermare i comunisti sotto elencati e
identificati. Silvestri Giovanni, Belbianco Eugenio, Marega Ferdinando, Sverzut Fausto, Buttignon Volmaro, Sellan Egidio, Budicin Antonio, Quarantotto Mario, Buttignon Bruno. Gli arrestati sono stati portati alle carceri mandamentali dove sono stati denunziati a quell'autorità giudiziaria.” in CPC; fascicolo ad nomen Sverzut Fausto, b. 4991.
523 Cfr. L. Patat, Fra carcere e confino: gli antifascisti dell'isontino e della Bassa Friulana davanti al Tribunale speciale, Centro isontino di ricerca e documentazione storica e sociale Leopoldo Gasparini, Gradisca d'Isonzo, 2006,
pp. 158-160.
524 Informativa della Prefettura di Udine al Consolato di Parigi, del 20 febbraio 1931 in ACS, CPC, fascicolo Fausto Sverzut, b. 4991.
525 Lettera datata 24 gennaio 1933. Ivi.
526 Ivi, Lettera del 24.01.1933.
527 Telegramma Regia Ambasciata d'Italia al Ministero Interno (CPC), del 5 maggio 1933; ACS, CPC, f. Sverzut Fausto, b. 4991.
528 Dalla lettera “(…) Felicissimo nel sentire che state tutti bene, in quanto a me si può dire le stesse da un solo atto e cioè salute tutto il resto abbastanza male. Credo sarete a conoscenza attraverso i giornali quali sono le nuove leggi emanate dal governo Daladier concernenti gli stranieri, e in special modo contro gli espulsi. Ora io in qualità di espulso mi trovo in condizioni di dover vivere illegalmente, perché l'art. 11 di detta legge dice che gli espulsi che verranno presi verranno condotti alla frontiera d'origine e che solamente se il colpito potrà dimostrare che si trova impossibilitato di essere rimpatriato gli verrà assegnato un domicilio forzato e cioè (domicilio coatto). Allora pensate un po' voi in quale condizione poco piacevole mi trovo, così pure detto governo ha creato la legge della percentuale degli stranieri sul lavoro e cioè il 10% così la possibilità di lavorare è difficile per coloro che sono in regola con le carte, immaginate quali sono le difficoltà per me. Con questo non è il caso di disperare, tanto lo sapete bene che io sono temprato a tutte le temperature, ma però non avrei mai pensato che un governo che si dice di Fronte Popolare non tollerasse i veri amici della democrazia. In questa mia vi prego tanto di voler spedirmi quel documento che vi ho lasciato il giorno della mia partenza, perché detto libretto solamente potrà salvarmi in più prego parlare con mia sorella e domandargli tutti gli altri documenti concernenti la mia politicità. (…) ”. Citazione da copia di lettera proveniente dalla Francia, Parigi, XI, rue Merceaur, diretta alla Sig.ra Domenica Sbisà, Trieste, 11/06/1938; Ivi.
529 APP, dossier Darno Maffini, n. 466081/77W184, Documento del 20 novembre 1945.
Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013

domenica 14 agosto 2022

Passavo spesso anche da via del Campo

Genova: uno scorcio di Via del Campo

"Via del Campo è una straducola stretta e tortuosa nel cuore di Genova vecchia. Appartiene a quella rete di vicoli che, collocate a ridosso dell’angiporto, fa storcere il naso ai Catoni della società bene, ma piace ai poeti. Piace, dunque, a Fabrizio, che già in altra occasione ne ha cantato “l’aria spessa carica di sale e gonfia di odori”, che si sposa al tanfo della spazzatura accumulata lungo i marciapiedi, all’odor di vino e di fumo che esce dalle bettole (poco distante, all’imbocco della via, l’ombra austera di una chiesa e la sede della ‘Protezione della giovane’ sembrano messe lì a bella posta da un folletto in vena di sfottò)" [ROMANA 1970].
Le note di copertina della seconda edizione dell’LP Vol. 1° (1967), firmate da Cesare Romana, mostrano la chiara intenzione di eleggere "Via del Campo", pubblicata in quel disco, <1 a simbolo di una realtà scomoda e lontana da perbenismi; ma anche quella di nominare De André quale poeta e cantore dei diseredati. Il brano, continua Romana, «non è soltanto una pagina di amarissima poesia ma, soprattutto, il ritratto emblematico di una condizione umana, la dimostrazione di quanto possa essere disagevole - oltre che improduttivo - il mestiere di vivere» [ROMANA 1970]. Con il tempo, la canzone è divenuta l’emblema delle frequentazioni “irregolari” del giovane De André, che mal si rapportava all’ambiente borghese familiare, preferendo piuttosto le scorribande tra i vicoli della città vecchia. In più di un’occasione, egli ha raccontato episodi avvenuti nella strada citata nel titolo, il che ha sancito il cristallizzarsi dell’interpretazione della canzone come fatto biografico: «Passavo spesso anche da via del Campo, la strada dei travestiti. Una volta salii in camera con un certo Giuseppe, che si faceva chiamare Joséphine e mi apparve come una bellissima ragazza bionda. Ma una volta venuti al dunque, scopriì facilmente che era un uomo e che non era ancora andato a Casablanca» [De André in ROMANA 1991, p. 32]. Pur non avendo motivo di dubitare della veridicità della vicenda, la semplicistica riduzione della canzone a racconto autobiografico non rende giustizia all’articolata operazione di scrittura, che già nel 1967 rivela tecniche e caratteristiche che sarebbero state approfondite nella produzione successiva. Ciò non toglie, inoltre, che quanto vissuto in prima persona potesse essere stato trasfigurato per mezzo di altre fonti, secondo un’attitudine che si è visto essere piuttosto diffusa nel suo modo di lavorare.
Un libro conservato presso l’archivio senese fornisce un indizio in tal senso significativo. Si tratta di una raccolta di storie e leggende genovesi, "Semmo da taera de Colombo" di Alberto Pasolini [1990], <2 nella quale viene segnalato con una crocetta un racconto a pagina 91, intitolato "A rossa di Pre". Protagonisti della storia sono una prostituta (la Rossa di Pre) e un limonaio, che si incontrano tutti i giorni in strada senza mai rivolgersi parola; un giorno, non vedendo più il limonaio all’angolo della strada, la Rossa cerca sue notizie e, appreso della sua morte, si adopera per organizzargli il funerale.
La storia presenta vari elementi in comune con "Via del Campo", tra i quali l’ambientazione della vicenda in via Pre, separata da via del Campo solo da Porta dei Vacca; ma anche la presentazione dell’umanità dei suoi protagonisti, a dispetto delle loro occupazioni poco consone ai benpensanti. Tra i passaggi del testo sottolineati: «all’incontro del vicolo delle Foglie Vecchie, davanti al Broklin Bar» e «al mio posto, di giorno ci stava sempre un tale che vendeva limoni, un uomo senza età, senza storia, senza nome, con due occhi grigi, pieni di malinconia» [PASOLINI 1990, p. 91]. Si riconoscono, nei passaggi indicati, alcuni motivi che sembrano rievocare il testo della canzone, nello specifico nella caratterizzazione degli occhi della graziosa («gli occhi grandi color di foglia», v. 2) e di quelli della bambina («gli occhi grigi come la strada», v. 7). È evidente che, considerata la data di pubblicazione del libro, questo non possa costituire una fonte diretta; tuttavia, trattandosi di un racconto di origine popolare, è possibile che De André lo conoscesse all’epoca tramite altre fonti. <3
Che questo sia vero o no, quello che interessa sottolineare è l’emergere di temi, motivi, situazioni che da sempre sono stati messi in relazione con l’esperienza biografica del cantautore e sulle sue frequentazioni dei quartieri più malfamati della vecchia Genova, ma che potrebbero essere stati assorbiti e integrati anche mediante altri canali, tra i quali le fonti di tradizione orale di area ligure. Una simile eventualità, tra l’altro, ben si adatta al contesto di quegli anni, che si è visto essere segnato da modelli stilistici di derivazione popolare ed esemplificato nel paragone con la figura del cantastorie.
La data di pubblicazione della canzone coincide con un evento centrale nella storia della cosiddetta “canzone d’autore”: non bisogna dimenticare, infatti, che il 1967 è l’anno della morte di Luigi Tenco a Sanremo, un evento che agisce quale trauma culturale [SANTORO 2010] portando a un’estremizzazione dell’opposizione tra la canzone “di qualità” e quella “di consumo” [FACCI/SODDU 2011; SANTORO 2010].
Una simile dicotomia partecipa senz’altro nel processo di autenticazione e nella ricerca di una propria specificità stilistica; ma è anche un ulteriore incentivo per l’editore a caratterizzare in modo inequivocabile il prodotto venduto, secondo precise e mirate strategie di marketing.
La seguente analisi è volta a verificare quanto parzialmente già emerso nei capitoli precedenti, ovvero come i riferimenti a formule e modelli di area prevalentemente italo-francese si integrassero in questi anni con istanze del tutto personali: la definizione di un’individualità artistica si esplicitava nell’organizzazione complessiva dell’opera e nella rielaborazione di materiali preesistenti, ma anche nel farsi strada di un sound distintivo, ampiamente incentrato sul dato vocale.
[NOTE]
1 Nello stesso anno il brano fu pubblicato anche come singolo, abbinato a "Bocca di rosa".
2 AFDA, Materiale Librario, V. PASA-SEM.
3 È presente, ad esempio, nel testo "Genova sentimentale" di Carlo Otto Guglielmino [1961]. Il racconto è in questo caso intitolato "Funerale nel vicolo".
 
Genova: Via Prè intravvista da Via del Campo attraverso l'arco di Porta dei Vacca

Vera Vecchiarelli
, Riunire le teste dell’idra: una rilettura della produzione di Fabrizio De André attraverso i suoni, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Anno Accademico 2018-2019

sabato 13 agosto 2022

Storie di antifascisti italiani nella Parigi dei quartieri rossi


Il secondo e terzo capitolo di questa ricerca hanno come oggetto la partecipazione di emigrati e emigrate italiani alla resistenza contro l'occupante tedesco a Parigi. In particolare l'analisi ha riguardato alcuni franc-tireurs et partisans legati alla Main d'oeuvre immigrée quindi al partito comunista e attivi contro i nazisti fin dalla fine del 1940 inizi 1941 e alcuni aderenti alle Formazioni Garibaldine dell'XI e XII arr. formatesi a partire dal 1941 e che presero parte successivamente, inquadrati nelle Milices patriotiques - Front National, alla Liberazione di Parigi. Dall'analisi delle biografie di questi aderenti, circa 40 persone, emergono quelle che erano le caratteristiche dell'emigrazione politica-economica italiana negli anni trenta e che risiedeva in quei quartieri rossi della Parigi nord-Est.
Come ricorda William Valsesia, che era nato a Parigi nel 1924 in una famiglia di militanti comunisti fuggiti dall'Italia, in questa zona: “C'era un modo di pensare gli spazi urbani conforme a chi abitava nell'XI, XII, XVIII, XIX e XX arr. preferivamo stare alla destra della Seine con uno spirito da Rive Droite. Se si passava sulla sinistra si attraversava un ponte per raggiungere il quartiere latino. Noi, vivendo a Belleville o a Menilmontant, eravamo più di casa a Montmartre che a Montparnasse, al Bois de Vincennes che al Bois de Boulogne. La nostra era la parte più antica, in cui si erano sviluppati il commercio, gli affari, la haute culture, della capitale. La Rive Gauche era soprattutto intellettuale, ministeriale, sede delle ambasciate straniere. Preferivamo l'atmosfera vivace della Rive Droite alla serenità della Rive Gauche.” <120
Gli aderenti alle Formazioni garibaldine e ai FTP-MOI di cui ho potuto leggere il fascicolo redatto a loro nome dalla polizia fascista per il Casellario politico centrale, sono per la maggior parte schedati come comunisti. <121
Alcuni di questi sono dei veri militanti del PCd'I costretti a scappare da una paese all'altro perchè braccati dalla polizia dei vari paesi e oggetto più volte di mandati di espulsione. Come ad esempio, Vilhar Stanislao, originario di Gorizia, tra 'i più accesi esponenti del partito giovanile comunista' emigrato clandestinamente nel 1929 per sfuggire ad un processo dove era stato chiamato a testimoniare riguardo ad un omicidio a sfondo politico. Si rifugiò prima in Jugoslavia, dove a causa della propaganda sovversiva, venne arrestato insieme a suo fratello Felice Vilhar, per propaganda comunista. Scontò 4 mesi di carcere a Lubiana, poi venne espulso e accompagnato alla frontiera con l'Austria, dove rimase per qualche mese a spese del Soccorso Rosso. In seguito passò in Belgio dove svolse attiva propaganda per il partito comunista italiano. A Bruxelles venne arrestato insieme ad altri comunisti, quali Dino Scapini, Marco Sfiligoi, Augusto Felician, Nunzio Marinangeli, durante una riunione della cellula di Bruxelles 'indetta per preparare una manifestazione di protesta contro la celebrazione dell'XI anniversario della marcia su Roma'. Durante la perquisizione nella stanza d'albergo dove alloggiava il Vilhar a Bruxelles, venne rinvenuto 'importante materiale comunista' <122 che gli valse l'accusa di essere 'il capo dei comunisti in Belgio, o per lo meno, l’individuo che aveva in consegna tutti i documenti riferentisi al movimento comunista italiano nel Belgio'. Da qui arrivò a Parigi dove visse clandestinamente per circa 6 anni. Nel 1937 gli venne ratificato un divieto di soggiorno per mancanza di documenti in regola, mentre alloggiava nella rue Compans nel XIX arr., ma venne meno a tale divieto e alla fine dell'anno si recò come volontario a combattere in Spagna nelle Brigate Internazionali, assegnato alla Brigata Garibaldi combatté con questa in Estremadura, a Caspe e sull'Ebro. <123 Al momento della sconfitta della Repubblica spagnola rientrando in Francia venne internato ad Argelès, poi a Gurs, dove gli venne ratificato il mandato di espulsione dalla Francia. Tuttavia liberato nel 1941, riuscì a tornare clandestinamente a Parigi in zona occupata dai tedeschi. <124
Mentre per Nunzio Marinangeli, militante socialista e poi comunista, arrestato insieme al Vilhar in Belgio nel 1933, emigrato clandestinamente nel 1927 <125 è più difficile indicare l'appartenenza politica, schedato come comunista al CPC, in Italia prima di emigrare aveva aderito al partito socialista rivoluzionario. In Belgio nel 1933, secondo una nota informativa, pare avesse chiesto di passare dal partito socialista al partito comunista, in quell'anno la sua attività politica è basata sulla frequentazione delle riunioni dei comunisti e di quelle del Fronte Unico a cui aderisce. Inoltre è uno dei 27 iscritti al Soccorso Rosso Internazionale, della sezione italiana in Belgio, e al Comitato dei patronati. Successivamente raggiunta Parigi nel 1934, le notizie sul Marinangeli si fanno più sporadiche: nel '34 si fa indirizzare la posta nel comune di Saint-Denis nella regione parigina dove abita anche suo fratello Felice, nel 1937 si sposa con una cittadina rumena naturalizzata francese con la quale risiede nel X arr., e che, pur non essendo iscritto al partito riformista provvede al piazzamento del Nuovo Avanti e alla raccolta di abbonamenti al giornale del sindacalista Rugginenti Pallante. Il Marinangeli si recò anche come volontario in Spagna dove si arruolò nella Compagnia Carlo Marx, dell'Artiglieria Internazionale, <126 tornato poi a Parigi, continuò a risiedere con la moglie al n. 13 della rue Alibert, nel X arr.
Se Stanislao Vilhar come Ardito Pellizzari, (la cui biografia è descritta nel III capitolo) si possono fare rientrare nella categoria del 'rivoluzionario di professione', altri come Domenico Zaccheroli o Giuseppe Rolando o Fausto Sverzut (la cui biografia è descritta nel III capitolo) sono più dei simpatizzanti del partito comunista che non esplicano una vera attività o che l'hanno praticata prima di espatriare. Lo Zaccheroli, operaio ceramista, già noto in Italia quale comunista, emigrò in Francia per motivi di lavoro essendo stato assunto nelle miniere dell'Est nel 1930. Abitò per un periodo nella città di Parigi, dove vendeva giornali, e prendeva parte ad alcune riunioni del 'gruppo comunista con Silimbeni Mario, fratello del noto Silimbeni Sante e Remondini Giovanni'. Rientrato in Italia nel 1932 è arrestato poiché trovato in possesso di un volantino di contenuto antifascista. Liberato, diffidato, è posto sotto vigilanza nella sua città natale, Imola. Tornò poi a vivere a Parigi nel 1936 e nell'ottobre raggiunse la Spagna, dove si arruolò nel Battaglione Garibaldi. Rimase ferito a Casa de Campo nel novembre del 1937 e rientrò in Francia nel gennaio 1937. Nel gennaio del '38 è di nuovo in Spagna dove andò a combattere sul fronte di Albacete. Al termine della guerra civile spagnola tornò definitivamente a vivere nella capitale francese. <127
Giuseppe Rolando, è anche lui un comunista, emigrato nel 1924 a Parigi, dalla provincia di Novara, in patria aveva già professato principi comunisti e durante la conferenza interalleata del 1922 a Genova, fece parte della guardia rossa del diplomatico sovietico Cicerin. A Parigi, Rolando lavora alle dipendenze del Consolato e dell'Ambasciata russa quale portinaio nei locali della rue de Grenelle 79, ed abita nella rue des Abbesses (XVIII arr.). Dall'aprile del 1932 lavora alla rappresentanza commerciale dei Soviets nella rue de la Ville l'Evêque dove anche risiede. Secondo un'informativa della polizia italiana del 1933, è membro del partito comunista a Parigi, e, una volta trasferitosi ad Annemasse nel 1934, prese parte alle organizzazioni comuniste locali dove svolse un'attiva propaganda contro il regime. Poi non si hanno più notizie a suo riguardo e la polizia non riuscì più a rintracciarlo.
Altra persona schedata al CPC come comunista è Gottardo Rinaldi. Era nato in provincia di Bologna nel 1898. Prese parte alla I guerra mondiale; nel dopoguerra fu più volte aggredito dalle squadre fasciste. Espatriò nel 1924 in Francia con regolare passaporto rilasciato per motivi di lavoro. Si recò in Belgio, dove rimase qualche anno nella cittadina di Charleroi, nel 1928 il Regio Consolato lo segnala quale muratore, tra i più accesi antifascisti e frequentatore di tutti i cenacoli sovversivi. Nel 1931 è espulso dal Belgio, per cattiva condotta morale e politica. Si recò quindi a Bordeaux e nel 1935 è segnalato per la prima volta a Parigi, dove risiedeva al n. 84 del Boulevard Diderot nell'XI arr. <128 Nel 1936 andò in Spagna dove divenne comandante della Centuria Gastone Sozzi. Gravemente ferito nel dicembre del 1936, ritornò a Parigi. Alla dichiarazione di guerra Italia-Francia si trova a lavorare nel Loiret, la polizia francese lo prelevò da casa e l'accompagnò alla Caserma di Orleans, dove gli furono presentate due alternative: o firmare il lealismo verso la Francia, o essere inviati immediatamente in campo di concentramento. In seguito sarebbe diventato capitano dei FTP della regione parigina. <129
Oltre ai citati comunisti, in questa lista di resistenti presente nel Fonds Maffini, aderenti alle Formazioni Garibaldine di Parigi, vi sono anche alcune persone, schedate dal CPC come socialiste.
E' il caso di Luigi Bottai, nato a Cascina nel 1898, che una volta espatriato con la moglie nel 1929 con regolare passaporto andò ad abitare a Parigi al n. 11 della rue de Boulets, traversa del Faubourg Saint-Antoine, e in seguito nella regione parigina della Seine-Oise. Nel suo fascicolo non si fa mai accenno alla sua presenza alle riunioni dei socialisti o nei locali da loro frequentati. Secondo una nota per la Direzione Generale di Polizia Politica, del 14 settembre 1938, il Bottai è un membro del partito repubblicano per il quale svolge anche attività organizzativa. <130 Tuttavia non essendo ritenuto elemento pericoloso, dal 1939, è richiesta la revoca dell'iscrizione del 'sovversivo' Bottai dalla
rubrica di frontiera.
Altro schedato come socialista nel CPC, è Renato Balestri, figlio di un sindaco socialista della provincia di Pisa. Il suo fascicolo è ben nutrito: iscritto all'associazione giovanile del partito socialista prima del fascismo, una volta emigrato in un primo momento non si mise in evidenza pur professando apertamente idee sovversive, successivamente 'prese a esplicare notevole attività antifascista'. Risiede prima nel comune di Pavillons sous Bois e poi in quello di Montreuil sous Bois. Nel 1935, partecipa al congresso antifascista di Bruxelles, al momento della guerra di Spagna si impegnò nel reclutamento di volontari per la Spagna rossa, nel 'Comitato per l'aiuto al popolo spagnolo,' Cité du Paradis n. 1 a Parigi diretto da Romano Cocchi. Si recò a combattere in Spagna nell'ottobre 1937, dove diventa commissario politico del II Battaglione della Brigata Garibaldi, XII Brigata Internazionale. Ferito in varie parti del corpo sulla Sierra Cabals, fece ritorno in Francia nel dicembre 1938. <131 Fu poi molto attivo nell'Unione popolare italiana, tanto da rivestire la carica di sottosegretario nazionale. Fece diverse missioni in varie regioni della Francia per fare propaganda in favore dell'associazione. La sua appartenenza al partito socialista non è indicata nelle numerose note informative italiane a suo riguardo, vi è solo un accenno in una nota del dicembre 1939, dove il Ministero degli Interni riporta quanto riferito da una fonte fiduciaria: il Balestri avrebbe chiesto di passare dal partito comunista a quello socialista. Nelle memorie del comunista Antonio Tonussi, è riportato che il Balestri all'inizio degli anni '30 era un membro della direzione del Comitato regionale dei gruppi di lingua della zona di Parigi. <132 Nel fascicolo a suo nome redatto dalla Polizia francese si apprende che il Balestri, con lo pseudonimo di Esule, era iscritto al PCd'I da dove, dopo la firma del Patto Molotov-Ribbentrop, era stato espulso perché non aveva approvato il patto, così come aveva fatto lo stesso presidente dell'UPI, Romano Cocchi. Nel settembre del 1939 sottoscrisse l'arruolamento volontario nella Legione Garibaldina, fu mobilitato il 10.06.1940 fino al 24.08.1940. In seguito, sapendosi ricercato, si trasferì nel sud della Francia, ad Agen dove fu attivo in un réseau prima di essere catturato dalla Gestapo e deportato a Buchenwald. <133
Altre persone presenti nell'elenco dei resistenti garibaldini nel Fonds Maffini, di cui ho trovato un fascicolo al CPC, sono schedate con la parola generica di antifascisti, e sono in totale quattro persone.
Romeo Amadori, emigrato nel 1923 in Argentina, raggiunse in seguito la città di Parigi, il suo fascicolo al CPC è aperto nel 1935 a causa di una lettera che egli invia alla cognata e nella quale si schiera apertamente contro la guerra fascista in Abissinia. Egli che di mestiere fa l'ebanista, risiede nell'XI arr. nella rue Planchat, successivamente il suo recapito cambia, ma la polizia fascista scopre solo il luogo dove si fa indirizzare la posta, il 'noto ritrovo di sovversivi', il Bar dei 'Trois Mosquetiers' con ingresso sia nella rue de Montreuil che nel Boulevard de Charonne. Ma l'Amadori non è un militante, non fa politica, non aderisce ad alcun partito antifascista, né fa parte di un'associazione, in due informative presenti nel suo fascicolo si legge che “(...) pur dimostrandosi di sentimenti contrari al Regime non esplica attività politica né frequenterebbe riunioni sovversive.” in un'altra che “(...) pur dimostrandosi di sentimenti contrari al Regime non esplica attività politica né frequenterebbe riunioni sovversive”. <134
L'antifascista Leonello Mattioli, espatriato clandestinamente nel 1930, dopo che si era visto rifiutare il rilascio del passaporto nello stesso anno “per mancanza di motivate giustificazioni”, tentò di raggiungere la Francia passando per l'Austria, ma alla frontiera svizzera venne respinto dalle autorità elvetiche per mancanza di documenti. Interrogato dalla polizia locale, affermò di nutrire “sentimenti avversi al regime ma di non appartenere ad alcun partito politico” e che si era deciso all'espatrio perché annoiato dalle vessazioni cui era sottoposto con frequenti visite domiciliari da parte dei carabinieri e della milizia. Raggiunta la città di Parigi nel 1932 dove risiedeva già suo fratello Aldo, non esplicò 'attività degna di nota', abitò nell'XI arr. da irregolare presso l'Hotel 50 rue de Popinecourt (XI) e in seguito, nel XX arr. nella rue des Pyrénées. Nel 1938 si sposò con una cittadina francese con la quale andò ab abitare nella zona della Tour Eiffel. <135
Altro antifascista è Franz Vai, anche il suo fascicolo presso il CPC contiene poche informazioni, egli che di mestiere faceva il falegname, espatriò con regolare passaporto nel gennaio 1930 essendo stato arruolato per conto della ditta Renard Pierre di Parigi. Il suo recapito è ancora una volta un ristorante, il noto ristorante Bouboule, gestito dai fratelli Schiavina, al n. 84 del Boulevard Diderot, “ritrovo dei peggiori sovversivi del quartiere della Gare de Lyon”. A Parigi, secondo un informatore dell'OVRA, “professava idee antifasciste senza dare luogo a rilievi particolari, e senza mettersi in particolare evidenza con la sua condotta politica.” <136
Dalle liste Garibaldine del Fondo Maffini, l'unico che possiede un fascicolo al CPC come anarchico è Carlo Sannazzaro, originario della città di Torino, nato nel 1879. Ha un fascicolo al CPC per gli anni 1936-1944, emigrato in Francia nel 1922 e residente precedentemente in America Latina, viene notato più volte alle riunioni di Giustizia e Libertà e anche alle riunioni del partito repubblicano, sezione di Parigi, come quella tenuta al Caffè de la Chope nel giugno 1938. <137 Il Sannazzaro, che faceva di mestiere il decoratore, risiedeva con una donna francese al numero 117 della rue Saint Maur nell'XI arr. fino al 1938; in seguito, la polizia non riesce più a sapere dove abita. L'ultima notizia che si ha su di lui è del maggio 1939, quando compare tra un elenco di nomi di italiani residenti a Parigi abbonati al giornale L'Avanti. <138
Altro antifascista è Pietro Paolo Senna, fece parte della Formazione Garibaldina nella Milice du XI arr. Su di lui il fascicolo del CPC, che copre gli anni 1938-1942, contiene pochissime informazioni le quali riguardano per la maggior
parte il suo internamento nel campo del Vernet di ritorno dalla Spagna. Emigrò a Parigi nel 1933, aderì ai gruppi di lingua del PCF e andò a combattere per la repubblica spagnola nell'agosto del 1936. Fece parte della Centuria Gastone Sozzi e poi del Battaglione 'Commune de Paris', successivamente fu internato al Vernet nel settembre del 1938. La data di rilascio non è certa, per le carte della polizia italiana chiese il rimpatrio nel giugno del 1942, lo ottenne successivamente ma non giunse mai in Italia, nelle carte francesi risulta a Parigi già nel 1941. <139
[NOTE]
120 W. Valsesia, P. Manca (a cura di), Un antifascista europeo: dai fuoriusciti di Parigi ai partigiani del Biellese, Recco: Le mani; Alessandria: ISRAL, 2011, p. 53.
121 ACS, CPC, fascicolo Marinageli Nunzio, b. 3063.
ACS, CPC, f. Pirazzoli Giacomo, b. 3998.
ACS, CPC, f. Rinaldi Gottardo, b. 4334.
ACS, CPC, f. Rubini Roberto, b. 4480.
ACS, CPC, f. Dardi Luigi, b. 1620.
ACS, CPC, f. Frausin Rizziero, b. 2175.
ACS, CPC, f. Sverzut Fausto, b. 4991.
ACS, CPC f. Rolando Giuseppe,b. 4375.
ACS, CPC, f. Cuccagna Giovanni, b. 1550.
ACS, CPC, f. Zaccheroli Domenico, b. 5488.
ACS, CPC, f. Cantarelli Renato, b.1012.
ACS, CPC, f. Pellizzari Ardito, b. 3831.
ACS, CPC, f. Gavardi Aldo, b. 2317.
ACS, CPC, f. Stabellini Alfredo, b. 4928.
ACS, CPC, f. Alzetta Muran, b. 83.
ACS, CPC, f. Pirazzoli Giacomo, b. 3998.
ACS, CPC, f. Proci Giuseppe, b. 4135.
ACS, CPC, f. Stroppolo Giordano, b. 4976.
ACS, CPC, f. Vilhar Stanislao, b. 5418.
ACS. CPC, f. Sfiligoi Marco, b. 4784.
122 Circolari, schede di sottoscrizione, a favore di organismi comunisti, lettere di comunisti, indirizzi di compagni, corrispondenze per l’ex 'Riscatto', situazione finanziaria dell’ex 'Riscatto', del S.R.I. e dei patronati, tessere, in ACS, CPC, fascicolo Stanislao Vilhar, b. 5418.
123 Biografia di Vilhar Stanislao, in AICVAS ( a cura di), La Spagna nel nostro cuore, op. cit., p. 491.
124 APP, dossier Vilhar Stanislao, n. 403137/77W2134.
125 In Italia nel 1925 arringò un centinaio di militari del 17 Regg.to Fanteria nel quale era incorporato come caporalmaggiore, inneggiando alla Russia e al bolscevismo (con grida di Viva Lenin e Viva la repubblica). Il 24 giugno 1923 fu tratto in arresto a Pietrasanta perché trovato in possesso di commendatizie degli ex deputati socialisti Mingrino e Volpi, per la Sezione di Marsiglia. Il 17 maggio 1927 fu arrestato a Nizza e denunziato per minacce contro fascisti. ACS, CPC, f. Marinangeli Nunzio, b. 3063.
126 AICVAS, pratiche personali, Nunzio Marinangeli, busta 5, fasc. 32 e busta 10, fasc. 69. In quest'ultimo sono contenuti dei ritagli di giornali e alcune lettere dove si evidenzia l'amicizia di Marinangeli, già dall'esilio in Francia, con l'ex Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Nel testo curato dall'AICVAS, nella stringatissima biografia sul Marinangeli, egli è indicato come socialista. AICVAS (a cura di), La Spagna nel nostro cuore, op. cit., p. 291.
127 ACS, CPC, fascicolo Domenico Zaccheroli, b. 5488; Cfr la voce Zaccheroli Domenico in A. Albertazzi, L. Arbizzani, N.S. Onofri, Dizionario Biografico Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese, (1919-1945), consultabile al seguente indirizzo: http://www.comune.bologna.it/iperbole/isrebo/strumenti/Z.pdf Domenico Zaccheroli, in AICVAS, La Spagna nel nostro cuore, op. cit., p. 499.
128 ACS, CPC, fascicolo Gottardo Rinaldi, b. 4334
129 Rinaldi Gottardo in AICVAS, La Spagna nel nostro cuore, op. cit., p. 394. A. Lopez, Dalla Spagna alla Resistenza in Europa in Italia ai campi di sterminio, Quaderno Aicvas n. 3, Roma, 1983, p. 14. Sugli anni durante la seconda guerra mondiale non ho trovato altre informazioni, né all'Archivio della prefettura di Parigi vi è un dossier a suo nome.
130 ACS, CPC, fascicolo Luigi Bottai, b. 791.
131 AICVAS, La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939, op. cit., p. 60; A. Lopez, Dalla Spagna alla Resistenza in Europa in Italia ai campi di sterminio, op. cit., p. 30. Cfr., ISGREC (a cura di), Volontari antifascisti toscani, tra guerra di Spagna, Francia dei campi, Resistenze. consultabile in rete al seguente indirizzo: http://www.isgrec.it/sito_spagna/ita/all_ita_details.asp?id=2382
132 A. Tonussi, Ivo: una vita di parte, Treviso: Matteo, 1991, p. 72.
133 ACS, CPC, fascicolo Renato Balestri, b. 287. APP, dossier Renato Balestri, n. 51621/1W181.
134 Due informative datate in ACS, CPC, f. Romeo Amadori fascicolo, b. n. 222.
135 ACS, CPC, f. Leonello Mattioli, b. 3162.
136 ACS, CPC, f. Vai Franz, b. 5283.
137 In una informativa per la Divisione Affari Generali e Riservati, scritta da Parigi e datata 9 giugno 1938 si legge che: “Ieri sera ha avuto luogo la riunione della Sezione Repubblicana di Parigi al Caffè 'Chope de Strasbourg'. I presenti erano pochi; questo dipeso soprattutto perchè l'amico Abbati non aveva fatto in tempo di inviare le regolari convocazioni e d'altra parte per la scelta del giorno non troppo indicata. Erano presenti: Randolfo Pacciardi, Ottavio Abbati, Alvaro Savi, Mario Galli, Perentin, Giannoni, Pietro Fantini, Pasquale Candelli, Scarselli, Sannazzaro (il solo residente in Francia, è annotato a lato), Attilio Orioli ed un altro amico romagnolo di cui mi sfugge il nome.”.
ACS, CPC, f. Carlo Sannazzaro, b. 4575.
138 Ivi
139 APP, dossier Pietro Paolo Senna, n. 22282/1W619. ACS, CPC Pietro Senna, b. 4746. AICVAS (a cura di), La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939, op. cit., p. 428; Qui si afferma che fu consegnato alle autorità italiane il 18 luglio 1943. Dopo la Liberazione visse a Milano.
Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013

sabato 6 agosto 2022

La Resistenza prese le mosse in Friuli nel marzo 1943


L’organizzazione di un movimento di opposizione armata all’occupante nazista e politicamente antagonista al regime fascista prese le mosse in Friuli sei mesi prima che nel resto d’Italia, cioè sei mesi prima dell’8 settembre 1943, col formarsi del 1° distaccamento Garibaldi nel marzo 1943. Si trattò di un piccolo reparto armato che ebbe da 12 a 25 uomini a seconda dei momenti.
Questa significativa specificità, come del resto la maggior parte dei caratteri distintivi assunti dal movimento resistenziale nella regione, deve la propria origine alla particolare posizione geografica del Friuli, terra di confine tra Italia, Jugoslavia e Austria e al fatto che fin dal 1942 comparvero sul nostro territorio i reparti partigiani sloveni. <4 Fu proprio questa presenza partigiana slovena sulle montagne del Friuli, con cui le formazioni comuniste presero contatti e accordi fin dal 1942, a determinare l’esigenza dell’insorgere di una formazione partigiana italiana prima dell’8 settembre 43. <5
Questa vicinanza territoriale e la collaborazione basata su una certa affinità ideologica riproponeva, però, anche antichi e irrisolti problemi di convivenza tra etnie diverse, rivendicazioni territoriali e rivalità nazionali che si esacerbarono verso la fine del conflitto.
In principio, in seguito ai fatti dell’8 settembre, il movimento partigiano friulano si andò allargando. L’originale distaccamento Garibaldi si trasformò in battaglione e contemporaneamente si costituì ex novo, presso Faedis, sulle Prealpi Giulie, il battaglione Friuli.
Accanto a queste formazioni, a prevalente direzione comunista, sorsero nello stesso lasso di tempo altri due gruppi di combattenti: uno di Giustizia e Libertà, creato dagli uomini del Partito d’Azione, organizzato da Fermo Solari (Somma-Sergio) e Carlo Comessatti (Spartaco) a Subìt, una frazione del comune di Attimis, e uno, a prevalenza democristiana e costituito in gran parte da ex militari, organizzato sempre nella zona di Attimis da Manlio Cencig (Mario).
Il gruppo di Giustizia e Libertà entrò subito in contatto, tramite il commissario Solari, con Mario Lizzero (Andrea), commissario della formazione Garibaldi Friuli e le due unità operative instaurarono una stretta collaborazione tattica militare, pur non riuscendo a rimuovere gli ostacoli che le separavano dalla realizzazione di un’effettiva unificazione dei comandi.
Quello del comando unico delle formazioni partigiane fu anche uno dei primi problemi ad essere affrontato, benché senza successo, dal neocostituito CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Udine. Esso era composto da Giovanni Cosattini per il Partito Socialista, don Aldo Moretti (Lino) per la Democrazia Cristiana, Carlo Comessatti per il Partito d’Azione ed Emilio Beltrame per il Partito Comunista. La controversia tra le varie componenti del comitato traeva origine da proposte mal conciliabili, in base alle quali si sarebbe dovuto scegliere il criterio da usare per l’indicazione del comandante. Azionisti e democristiani desideravano che la designazione del comandante unico venisse effettuata, per selezione, nella ristretta cerchia dei militari di carriera, mentre i comunisti, inclini a dare più valore alle azioni effettivamente svolte nell’ambito della lotta partigiana piuttosto che ai gradi conseguiti nell’esercito, si rifiutavano di accettare un comandante rigidamente imposto dall’alto.
In ogni caso, nonostante queste prime diatribe, gli accordi militari tra garibaldini e giellisti restarono operanti fino ai grandi rastrellamenti tedeschi dell’ottobre-novembre 1943, in occasione dei quali le due formazioni furono costrette a separarsi. Successivamente il Partito d’Azione avrebbe svolto una parte importante nella costituzione delle formazioni Osoppo, in totale antitesi rispetto a quanto avvenne nel resto dell’Italia, in cui le brigate di Giustizia e Libertà rimasero sempre al fianco delle Garibaldi. <6
I feroci rastrellamenti tedeschi dell’autunno 1943, misero a dura prova non solo le giovani formazioni italiane, ma anche le più solide formazioni slovene. I partigiani in parte scesero in pianura mantenendo l’attività, in parte si dispersero, tutti comunque furono costretti a ripiegare. Da quella terribile esperienza, le forze della Resistenza italiana uscirono estremamente provate. Rimasero in tutto, sui monti, una cinquantina di uomini delle formazioni Garibaldi Friuli, che si erano ritirati, almeno la maggior parte, in una zona sicura a occidente del Tagliamento, sul monte Ciaurlec, mentre a est, sul Collio, restò il battaglione Mazzini, con una decina di uomini in tutto.
Un’altra importante formazione italiana prese le mosse in questo tempestoso periodo: il 24 dicembre 1943 il CLN di Udine, vista l’impossibilità di giungere ad un accordo sul problema del comando unificato delle formazioni di montagna, autorizzò la costituzione di un altro gruppo partigiano, che avrebbe dovuto impegnarsi a combattere a fianco delle Garibaldi, ma in modo autonomo.
La nuova formazione, che avrebbe in seguito adottato il nome di Osoppo <7, era destinata ad assumere un ruolo particolarmente importante nella società rurale friulana. A differenza delle unità garibaldine, più unite dal punto di vista ideologico, nelle Osoppo confluirono forze varie, spesso distanti le une dalle altre per posizioni, sentimenti e propositi. Intorno al partigianesimo “politico” del PdA e della DC, si muovevano un generico sentimento socialisteggiante delle masse popolari che invocava giustizia sociale, il modernismo cattolico e del clero friulano, il patriottismo degli ex militari, soprattutto degli ufficiali, fedeli al giuramento e, in genere, l’apporto degli apolitici, civili o militari che fossero.
Un ruolo fondamentale nell’aggregazione delle spinte potenzialmente antagoniste al nuovo ordine nazifascista fu svolto dal clero friulano, che vedeva nelle nascenti formazioni osovane un argine al dilagare del comunismo. Numerose furono le parrocchie che si occuparono dall’assistenza ai partigiani sbandati, ai militari e agli ex prigionieri, dell’attività di informazione e di sostegno materiale alle bande armate, nonché della diffusione, all’interno della società contadina friulana, della quale spesso rappresentavano l’unico centro di coesione e partecipazione, di sentimenti antinazisti e patriottici che esortavano ed incoraggiavano la popolazione alla resistenza passiva. Alcune parrocchie e istituti religiosi friulani divennero, inoltre, veri e propri centri di reclutamento del personale da inviare in montagna, in particolare, ovviamente, presso le formazioni Osoppo. Numerosi anche i preti “patrioti”, schierati in prima linea nelle file dell’antifascismo militante: si trattò perfino, a volte, di veri e propri preti combattenti, come fu ad esempio don Ascanio De Luca (Aurelio).
Ma è a don Aldo Moretti, figura decisamente più moderata, che deve tributarsi il merito di aver contribuito al superamento di tutte quelle remore di carattere etico e religioso che rendevano difficoltosa per qualunque cattolico l’ammissione della necessità e del dovere, in determinati frangenti, di aderire alla lotta armata. Per il clero infatti l’adesione alla guerriglia presuppose una serie di approfondimenti e di premesse, senza le quali esso sentiva di non poter agire. <8
Le discussioni che ebbero luogo a Udine, nel “Cenacolo di Studi Sociali per sacerdoti”, tra il 10 novembre 1943 e il 29 marzo 1944, furono in tal senso decisive, in quanto finirono per riconoscere la legittimità della resistenza non solo passiva ma anche militarmente attiva.
Quest’ultima tuttavia, seppur imposta dalle tragiche circostanze del momento, doveva essere praticata il meno possibile e, salvo il caso di legittima difesa, solo quando tutti gli altri mezzi di dissuasione avessero dimostrato la loro inefficacia. La Resistenza, inoltre, si configurava come emanazione della volontà del governo nazionale, espressione di tutto il popolo e dopo la dichiarazione di guerra alla Germania, proclamata dal re il 13 ottobre 1943, non poteva più configurarsi come guerriglia anarcoide o rivoluzionaria.
Tale impostazione era ben diversa da quella del partigianato comunista, e ciò suscitò non pochi attriti. I cattolici vennero accusati di "attendismo", soprattutto nella prima fase della Resistenza, mentre ai comunisti veniva spesso rimproverato di non tener conto, nelle loro azioni, dei costi umani pagati dalle popolazioni. <9
Le distanze tra le posizioni osovane e quelle garibaldine risultarono piuttosto evidenti anche su altri temi. Se i garibaldini ritenevano che la lotta contro il nemico dovesse puntare ad una partecipazione quanto mai estesa e popolare, gli osovani cercavano invece di limitare il ricorso alle armi e tendevano a privilegiare il reclutamento, soprattutto ai livelli di comando, di personale specializzato, generalmente ex ufficiali dell’esercito.
Oltre a ciò, a dividere e differenziare le due organizzazioni della Resistenza c’era la questione dei rapporti con gli sloveni. I garibaldini sostenevano e avrebbero continuato a sostenere, che nonostante le ripetute ed intransigenti prese di posizione jugoslave sulla questione territoriale, sarebbe stato impensabile combattere da rivali una stessa guerra contro lo stesso nemico e che del resto il modo migliore per lavare l’onta del fascismo, che macchiava il nome del popolo italiano, era quello di mostrare attraverso il combattimento comune il volto diverso e umano dello stesso popolo. La linea adottata dai comunisti friulani fin dalle prime trattative con gli sloveni, si fondò sul rifiuto di dibattere questioni che riguardassero la futura sistemazione del territorio, e sul rinvio a fine guerra e alle trattative dei futuri governi, del problema dei nuovi confini. Da parte osovana si registrava, invece, una maggiore diffidenza alla collaborazione con l’esercito di Tito e la netta ripulsa delle rivendicazioni territoriali slovene. <10
Dopo una stasi invernale, con la primavera del 1944 le formazioni di montagna ripresero ad aumentare in numero e dimensioni.
[NOTE]
4 In Jugoslavia, infatti, la Resistenza iniziò già nel 1941, dopo che il 6 aprile fu invasa da Germania e Italia (con l’appoggio di Bulgaria e Ungheria) e occupata nel giro di soli 11 giorni.
5 M. Lizzero, Considerazione sui reparti partigiani e sui gruppi di resistenza passiva nel ‘43 in Friuli, in “Storia Contemporanea in Friuli” n°10, anno IX, 1979, pp.255-256. Per una panoramica generale sulla Resistenza in Friuli vedi G.C. Bertuzzi, La Resistenza in Friuli e Venezia Giulia, in “Storia del ‘900”, IRSML-LEG, Gorizia 1997, pp.371-382, cui si rinvia anche per l’ampia bibliografia.
6 M. Lizzero, Origini e peculiarità della Resistenza in Friuli, in “Storia Contemporanea in Friuli”, n°2/3, anno II, 1972, pp.221-223
7 Il nome fu tratto dall’omonima località friulana dove nel 1848 i patrioti resistettero all’assedio austriaco.
8 R. Mascialino, La Resistenza dei cattolici in Friuli (1943-1945), Udine 1978, pp.70-71
9 M. Lizzero, Considerazione sui reparti partigiani e sui gruppi di resistenza passiva nel ‘43 in Friuli, in “Storia Contemporanea in Friuli” n°10, anno IX, 1979, pp.249-250
10 D. Franceschini, Porzûs. La Resistenza lacerata, IRSML, Trieste, pp.1-12
Eleonora Buzziolo, Partigiane in Friuli: storia e memoria, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2003/2004