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domenica 27 aprile 2025

Prendevano il sole su quel battello incagliato

 

Bordighera (IM): un tratto di litorale in regione Arziglia

Si tramanda come da un bastimento affondato poco al largo di Bordighera alla vigilia del secondo conflitto mondiale defluisse a riva un incredibile numero di casse di legno contenenti arance, con le quali si appagarono di vitamine decine e decine di famiglie locali, e che sino a non molto tempo fa un contenitore di tal fatta - materiale invero pregiato - venisse conservato in una casa di Arziglia.

Si racconta ancora che davanti proprio alla zona Arziglia, più o meno negli Sessanta, causa incendio, venisse inghiottito dai flutti un battello francese, di quelli ai quali in oggi nessuna autorità competente consentirebbe non si dice il bordeggiare ma neppure l'ancoraggio: anche in quella circostanza vennero sospinti verso la battigia molti oggetti, compresi tanti libri, ma non così "utili" come nella prima citata congiuntura.


Viene da aggiungere che "torna a galla" la vicenda della piccola nave - pure questa francese e pure questa della categoria "carrette del pelago" - incagliata a Mortola di Ventimiglia, perché un amabile interlocutore si è ricordato di essere salito almeno una volta su quella tolda in legno, prima che il mare completasse la sua opera di distruzione, e di avervi scorto in un altro periodo non molto lontano persone distese là sopra a prendere il sole.
Non ci si può esimere, pertanto, di mostrare un maldestro "ritaglio" del video realizzato nell'occasione di un'intervista fatta a Francesco Biamonti da studenti del Liceo "Angelico Aprosio" di Ventimiglia, un'immagine che documenta quello che tanti abitanti del ponente ligure, ancorché cronisti o scrittori, non erano mai riusciti a vedere.

Nel corso del tempo sono stati man mano smatellati i residui di bunker disseminati lungo il litorale tra Bordighera e la frontiera, compreso quanto era servito di supporto alla mitragliera tedesca di "Muru Russu" a Latte di Ventimiglia, più volte citata da Arturo Viale nei suoi racconti, ma qualche fotografia, pur fatta per altri scopi, ne conserva in qualche modo la reminiscenza.

Pescatori per diletto, ma capaci, bisbigliavano qualche anno fa di misteriosi relitti davanti alla costa nei pressi del confine con la Francia.

C'é talora da chiedersi quanto di vero e quanto di inventato ci sia nelle rievocazioni di tante spoglie custodite e di tante costruzioni sommerse in mare davanti alla zona intemelia, ma in ogni caso tante affabulazioni pur sempre affascinano, come per la pregressa insistenza di ex-ragazzini degli anni Trenta a riferire di loro tuffi davanti a Nervia di Ventimiglia per ammirare ruderi di case ormai sprofondate.

Adriano Maini

sabato 19 aprile 2025

Anticlericali di un tempo che fu in quel di Perinaldo

 

Perinaldo (IM): Via del Popolo (salita alla Parrocchia ed al vecchio Municipio)

Emilio Croesi fu lo storico sindaco di Perinaldo, ridente (aggettivo scontato nelle cronache, ma in questo caso davvero pertinente) paese situato ad oltre 500 metri di altezza, per la precisione 572, con buona vista sia sul mare che su una parte delle Alpi Marittime. Era un comunista, come, anche per le elezioni politiche, la maggioranza degli elettori, compresi tanti abitanti emigrati nella vicina Costa Azzurra, i quali, tuttavia, in massa tornavano a votare nel borgo natio quasi solo per l'indiretta conferma, tramite le amministrative, del loro beneamato primo cittadino.
Era una situazione che durò a lungo, dal secondo dopoguerra sino a poco dopo la morte del Croesi, in pratica sino all'avvento della cosiddetta Seconda Repubblica.
Al personaggio in questione ha dedicato alcune righe anche Arturo Viale nel suo "Vite Parallele", mutuando ricordi di un suo amabile interlocutore. Emerge così non solo la figura di un caparbio amministratore, ma anche quella del produttore di un Rossese, un vino, il suo, apprezzato anche da fini intenditori quali Veronelli e Mario Soldati. Viale coglie l'occasione per non trascurarne neppure i discreti trascorsi di ciclista professionista vissuti in gioventù nell'anteguerra.
A vivacizzare il sommario ritratto di Viale contribuisce la dialettica tra il puro e duro comunista e l'anarchico, genuino artefice della narrazione, che abitava lassù in collina, e quella, talora, con i parroci, che portò all'installazione sul Municipio di una sirena "laica" - tuttora in funzione - atta a scandire i tempi di lavoro e di riposo dei contadini nei campi in diretta concorrenza con analoga funzione svolta dalle campane della limitrofa parrocchia.
Dalle affabulazioni raccolte non emergerebbero, tuttavia, contrapposizioni come tra un Peppone e un Don Camillo nostrani, anche perché i parroci a Perinaldo si sono succeduti in diversi e qualcuno appare anche sorridente in vecchie fotografie insieme al sindaco, in occasione, ad esempio, della premiazione di alcuni bambini.
Senonché, indagando di più su di una certa tradizione orale, adesso viene fuori che almeno nel caso proprio del parroco citato da Viale, ma che tale non era ancora, sussisteva qualche affinità con il prete di Brescello inventato da Giovanni Guareschi - e interpretato al cinema dal grande Fernandel -, perché questo religioso (non proprio casto, ma questo aspetto lo riporta anche Viale) procedeva immancabilmente, indisturbato, a staccare i manifestini, veri e propri gazebo ante litteram, "contenenti attacchi velonosi contro il parroco ed il curato" del paese, affissi da militanti comunisti nei pressi della Fontana ai piedi della salita che porta alla chiesa: staccava, leggeva e metteva in tasca. Di questo futuro parroco di Perinaldo si può ancora sottottolineare che "i chierichetti erano solo vittime delle sue sberle, quando li trovava a chiacchierare, perché faceva tutto da solo: provvedeva direttamente a passare il messale da una parte all'altra dell'altare e si serviva da solo nel versare acqua e vino nel calice".
Non solo. La vulgata tramanda pure che, a detta di un altro prelato, a Perinaldo un tempo c'erano tanti comunisti perché gli abitanti erano soprattutto anticlericali...
 
Adriano Maini

giovedì 10 aprile 2025

Il partigiano Andrea scriveva a Milano

La prima pagina della missiva - cit. infra - di Andrea. Fonte: Fondazione Gramsci

Non risulta menzionata nei libri di storia riguardanti la Resistenza Imperiese una lunga lettera (relazione) indirizzata da un misterioso Andrea ad un responsabile - si presume nazionale - di Giustizia e Libertà a Milano, di data non anteriore al febbraio 1945.
Il dispaccio, conservato negli archivi della Fondazione Istituto Gramsci, si dilunga con enfasi particolare sui vari momenti ed aspetti della lotta di Liberazione sin lì condotta nel ponente ligure.
Ne risultano giudizi inediti, anche sulle difficoltà incontratete e sui pericoli corsi, ma soprattutto di preoccupazione per il ruolo assunto dai comunisti in seno alle formazioni garibaldine, al punto da considerare a posteriori avventate alcune delle azioni condotte da antifascisti di primo piano quali Candido Queirolo e Silvio Bonfante, caduti il primo in combattimento, il secondo suicida per non cadere in mano ai tedeschi dopo la tragedia di Upega. E senza dimenticare di lanciare qualche strale all'indirizzo di Nino Curto Siccardi, già comandante della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione", ma ormai emigrato" a dirigere la I^ Zona Operativa Liguria: guarda caso, un altro comunista!
Il mittente, che tra le righe asseriva di essere di Genova, dove era tornato clandestinamente in missione alcune volte, si considerava ormai tranquillo sul fronte dei suoi problemi politici, perché vicino al "tranquillo" Vitò e a Fragola Doria, altro esponente di Giustizia e Libertà: non entrava nei particolari, ma, se l'asserzione è veritiera, si trattava del comando della Divisione Cascione.
Rimane l'ironia del fatto che Vitò, al secolo Giuseppe Vittorio Guglielmo, il comandante più famoso della Resistenza Imperiese, che le sue direttive le firmava Ivano e che si distinse in tante occasioni per grande umanità, era un comunista.

Poco note sono anche le traversie di italiani che sul finire della guerra si ritrovarono immatricolati nel 21/XV Bataillon Volontaires Etrangérs francese che operava a ponente della Val Roia. Questi connazionali non furono mai abilitati al combattimento perché nelle gerarchie militari transalpine era troppo pungente il ricordo della "pugnalata alla schiena" voluta da Mussolini il 10 giugno 1940. Furono già fortunati, perché tra chi per vari motivi era rimasto oltre frontiera e tra i partigiani che oltrepassarono il confine per unirsi agli alleati liberatori, molti vennero internati perché considerati potenziali spie.
Molti punti di questo intreccio furono analizzati da Giorgio Lavagna (Tigre) nel suo intrigante Dall’Arroscia alla Provenza - Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza (IsrecIm, 1982), un libro sul quale sarà opportuno ritornare.

Merita maggiore attenzione la figura di Luigi Raimondo, maggiore degli alpini a riposo, che si incontra attivo nella Resistenza sia in occasione della Missione Flap che della prima Missione Corsaro. Raimondo, poi, aveva asserito (documento IsrecIm, copia di Giorgio Caudano), di essere stato incaricato dal capitano Gino Punzi di portare una radio ricetrasmittente a Vallecrosia, ma si può presumere che si trattasse di Bordighera, dove sia Giuseppe Porcheddu in Arziglia sia i Chiappa, padre e figli, sempre in Bordighera, nel loro garage situato quasi in centro città, risultano da diverse fonti essere stati coinvolti nella vicenda testè richiamata. Nella testimonianza, ancora, di Paolo "Pollastro" Loi (documento IsrecIm, copia di Giorgio Caudano, già parzialmente pubblicato in diverse opere sulla Resistenza), nella parte mirata al racconto del suo arrivo ad aprile 1945 dalla Francia (con sbarco a Vallecrosia e prosecuzione dell'incarico - affidato al suo gruppo dagli alleati - di portare materiale ai garibaldini in montagna) si viene a sapere del suo incontro dalle parti della Valle Argentina con il maggiore Raimondo ormai in fuga. Infine, per la registrazione dell’atto di morte del capitano Punzi presso il comune di Ventimiglia - Dario Canavese di Ventimiglia, per la preparazione del libro di Francesco Mocci, Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019, annotava: "l’ufficiale dello Stato Civile di Ventimiglia ricevette dal Tribunale di Sanremo, mediante copia di sentenza dell’11.08.1947, l’autorizzazione ad eseguire la compilazione tardiva dell’atto di morte" - comparvero come testimoni Luigi Raimondo ed il figlio Mario (Mario Raimondo "Mariun", che si era a suo tempo speso, oltre che con il padre, anche con Efisio "Mare" Loi, a sua volta genitore del mentovato Paolo Loi e di Pietro Loi - quest'ultimo coinvolto nella Missione Flap ed in altre operazioni con gli alleati -, e Albino Machnich, nella raccolta di informazioni militari).

Adriano Maini