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martedì 27 giugno 2023

La controversa realizzazione ad Antibes della villa dello scultore parigino André Bloc

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

Nel 1959, André Bloc pubblica un articolo sulla casa sperimentale di Antibes, l’incipit del testo rileva quanto la collocazione dell’edificio sia uno dei punti chiave dell’esito progettuale: «L’emplacement exceptionnel dont bénéficie cette habitation a déterminé le parti architectural. Elle occupe, en effet, au point haut du cap d’Antibes, un site rocheux dominant la mer dans trois directions. La végétation est caractéristique des côtes méditerranéennes: buissons bas serpentant entre les rochers et quelques pins maritimes». <1
 

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

Si capisce quindi come il sistema orografico generi l’assetto compositivo della casa e il suo posizionamento nel lotto: la casa si trova nella parte superiore della parcella, quella che gode della vista e dell’esposizione migliore, nonostante questa collocazione richieda grande impegno sotto il profilo costruttivo. Il suo rapporto col contesto è cruciale; è l’esito di una lettura critica e di una risposta moderna del luogo. Questi presupposti originano un progetto tutt’altro che timido e convenzionale, l’edificio non è mimetizzato nel declivio e non è realizzato con i materiali tipici del linguaggio vernacolare della Costa Azzurra: il tema del rapporto della casa col paesaggio è risolto riducendo al minimo i punti di contatto con il suolo il cui assetto viene minimamente alterato.
 

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

[...] I presupposti sulla complessità edificatoria sono chiari, ma nell’ottobre del 1959 la casa era ancora sulla carta, un’idea ambiziosa libera dai molti aspetti pratici che inaspriranno le difficoltà oggettive già chiare fin dalle premesse. Infatti, la realizzazione del progetto della casa sperimentale di André Bloc a Cap di Antibes richiese, fra operazioni progettuali ed edificatorie, circa 7 anni. La pratica si chiuse con l’ottenimento del certificato di agibilità il 16 dicembre del 1966, dopo un iter avviato con la richiesta del permesso di costruire depositata il 21 dicembre 1959.
Fra tutti gli elementi di difficoltà che contribuirono al compimento del progetto rilevano in modo significativo l’ostilità dell’amministrazione e la stratificazione delle norme che insistevano sul lotto. Infatti, la procedura ebbe differenti livelli di complessità sia dal punto di vista della prassi amministrativa sia dal punto di vista della realizzazione pratica del manufatto. In entrambi i casi le difficoltà trovavano le proprie ragioni nel contesto sul quale, oltre alla già citata complessità orografica, insisteva il vincolo paesaggistico. <3
[...] Il dibattito sull’architettura domestica in quell’epoca era centrale, tutti gli architetti vi si confrontavano e le ville rappresentavano un naturale laboratorio operativo di sperimentazione formale. Per le proprie caratteristiche climatiche e di bellezza naturale la Costa Azzurra fu un luogo nel quale sorgevano molte ville e divenne dunque emblematico polo di confronto sul tema.
[...] Rispetto al repertorio compositivo, le referenze che definivano il tipo dell’architettura tradizionale della Costa Azzurra erano quelle legittimate storicamente dall’esperienza borghese e dal gusto classico sia nelle dimore urbane sia nelle ville di campagna. Questa posizione culturale produsse esperienze progettuali che si sostanziavano della cultura tradizionale e attingevano i motivi formali dalla narrativa pittoresca. Vasto era il catalogo di elementi architettonici disegnati nel dettaglio e che fungevano da dispositivi che favorivano la fedeltà nei fatti formali e nei rapporti funzionali fra interno ed esterno: portici, pergola, portici sugli esterni o, per esempio, il soggiorno ampio e doppia altezza all’interno. Seppure il campo dei riferimenti formali attingesse dall’area culturale classica del mediterraneo - prime fra tutte quella ellenica e, di conseguenza, quella legata alla civiltà romana - la produzione rivierasca esprime la volontà di alterare i suoi modelli rifiutando di limitarsi allo stadio dell’imitazione.
[...] La combinazione della maglia complessa del sistema normativo e paesaggistico e dell’ostilità dell’amministrazione pubblica produsse una licenza edilizia dal percorso progettuale molto travagliato che sortì un esito provvisto di molte riserve. Nonostante ciò, il cantiere ebbe inizio, la realizzazione dell’opera è stata seguita da Jean Heams, ingegnere con lo studio a Nizza, nel ruolo di Direttore dei Lavori.
Come prima cosa venne realizzato lo scheletro dell’edificio. Quest’azione produsse una verifica a grandezza naturale delle ipotesi progettuali e Bloc intervenne in prima persona rilevando la opportunità di modificare le quote d’imposta dei solai sollevandole. Alla base di questa riflessione stavano due ordini di ragioni: favorire la vista mare e produrre una migliore proporzione fra i volumi - quello basamentale e quello sommitale - mediante una ridefinizione
dell’interpiano vuoto fra i due. Era solo l’inizio dell’opera ed il meccanismo era chiaro: il cantiere serviva a riscontrare le ipotesi fatte a tavolino. La realizzazione di ciascuno degli elementi costitutivi della villa era una sorta di piccola sfida tecnica, alle difficoltà oggettive si sommarono le esigenze dettate dai requisiti imposti da Bloc nella duplice veste di committente e conseille plasticien che complicano ulteriormente il compito dell’ingegnere nizzardo.
[...] Il processo di progettazione e costruzione di questo edificio, proprio per la sua natura sperimentale voluta da André Bloc, fu complesso anche tal punto di vista tecnico e fu necessario un processo di revisione complessiva del sistema strutturale dell’abitazione in più riprese. Lo stesso Claude Parent sostenne che « contrariamente alle apparenze, tutto era complicato in questo progetto, in particolare la scala a sbalzo che nessuno sembrava essere in grado di calcolare davvero». Per questo Bloc si rivolse, in prima battuta, ad un ingegnere ritenuto fra i più brillanti dell’epoca Serge Ketoff. Lo strutturista, temendo che le inesattezze delle valutazioni fatte al tavolino potessero essere potenziale causa di problemi statici, con conseguenti ripercussioni sulla propria credibilità professionale mentre era all’apice della sua carriera, chiese a Bloc di poter far realizzare un modello in scala 1/10, per poter
verificare anche sperimentalmente i meccanismi più critici.
Le ragioni di costo prevalsero. Bloc non accettò la proposta dell’ingegnere, che avrebbe avuto un costo difficilmente ammortizzabile nell’economia di un pezzo unico, e decise di muoversi in autonomia realizzando in proprio la scala ripercorrendo la strada che aveva adottato in precedenza nella sua proprietà di Meudon quando costruì la casa del guardiano con l’aiuto di specialisti selezionati ad hoc per la scala d’accesso al primo piano del piccolo edificio (anch’essa con gradini a sbalzo dal muro di perimetro). L’esperimento statico, complici alcuni accorgimenti non prestati durante la realizzazione dell’intero sistema strutturale che sembravano migliorativi sotto il profilo compositivo, non fu un pienamente un successo e in fase di verifica, l’ente di controllo (Socotec) rilevò delle carenze rispetto al controventamento generale e ai collegamenti del piano superiore alla struttura. La priorità data alle scelte plastiche fu una valutazione consapevole e una conseguente di assunzione di rischi, il rapporto tra equilibrio costruttivo ed equilibrio plastico fu cercato come in scultura, seppure qui la scala fosse quella architettonica. La soluzione finale è stata la sintesi di una logica di equilibrio che ha portato alla realizzazione di un telaio di fatto articolato e tutte le soluzioni tecniche ardite per realizzare le quali Bloc fu costretto a nominare dei consulenti tecnici; selezionò lo studio parigino CETAC7 (Cabinet d’études techniques d’architecture et de construction) che condusse lo scultore nella revisione del progetto fino al perfezionamento delle caratteristiche strutturali.
Réne Sarger, architetto capo dello studio, con Miroslav Kostanjevac, ingegnere strutturista, si occupò di fare le verifiche in situ per valutare lo stato dell’arte riguardo alla stabilità dell’edificio.
Per quanto riguarda l’impianto generale, fu rimarcato come il grande baldacchino apicale, che coronava l’edificio nella sua versione originaria, costituisse una rigida cornice alla sommità delle quattro colonne dei portici. La sua rimozione ebbe, in termini generali di rigidezza, un grande impatto al punto che gli strutturisti osservarono come questa operazione, da sola, mise in discussione la stabilità dell’intero dispositivo strutturale.
Identica fu la reazione rispetto all’assenza di collegamenti diretti tra i due piani dello spazio abitativo della struttura che si trovava “sospesa come una campana” completamente priva di fissaggi rigidi ai traversi.
[...] Lo studio parigino compì il proprio dovere predisponendo delle prescrizioni derivate dalle indagini condotte prima in cantiere poi in fase di rielaborazione dei calcoli, queste riguardarono principalmente: l’aggiunta di elementi di irrigidimento sia orizzontali sia verticali, l’inserimento di controventi a croce e la realizzazione di elementi di miglioramento dei fissaggi fra le componenti strutturali.
Anche a questa soluzione finale si giungerà soltanto dopo un dibattito piuttosto articolato e, riguardo alle scelte tecniche definite, fu lo stesso Bloc a scrivere una nota tecnica agli strutturisti nella quale riassume gli interventi di messa in sicurezza  [...]
La soluzione adottata fino a quel momento aveva privilegiato la plastica rispetto ai regolamenti tecnici: il rifiuto di qualsiasi controventatura diagonale e di qualsiasi grande tassello di fissaggio (Bloc pretese che le chiodature fossero saldate alle ali delle travi e che le testa dei chiodi fossero molate affinché rimanessero invisibili) dovette scendere al compromesso di ancorare la struttura direttamente alla roccia tramite una passerella, la soluzione per quanto compromissoria rende praticamente la funzione statica della passerella in forza della sua posizione totalmente a monte e della sua esilità.
[...] Concluse le già impegnative operazioni di consolidamento e messa in sicurezza dell’edificio dal punto di vista statico, i problemi non si esaurirono ed il cantiere, finì nel mirino dell’amministrazione locale che, nell’ottobre del 1960, per mano dello stesso sindaco di Antibes scrisse al dirigente regionale all’urbanistica affinché fermasse i lavori basando la sua richiesta su tre motivazioni:
1. Il progetto non era stato inviato alla commissione edilizia locale
2. L’altezza della facciata realizzata è superiore a quella autorizzata
3. Contrariamente a quanto prescritto il progetto sarà difficilmente assimilabile al contesto paesaggistico.
Il braccio di ferro fra progettisti e amministrazione durò altri 5 anni, fino al 1965, producendo una serie di inasprimenti dei rapporti di Bloc con il sindaco anche in ragione di alcune decisioni che lo scultore parigino, grazie alle proprie connessioni a livello centrale, fece cadere dall’alto sul governatore locale. Bloc ebbe anche problemi di vicinato in relazione alla presunzione del fatto che l’edificio superasse i dieci metri di altezza previsti dai Regolamenti: sul tema vi fu una causa che al secondo grado di giudizio si concluse in favore di Bloc.
[...] Come tutti gli elementi della villa, anche le pareti esterne del piano superiore sono disegnate per essere flessibili anche dal punto di vista tecnologico, l’intento dei dettagli è quello di neutralizzare i fenomeni deformativi sospendendo superiormente le paratie che sono condotte lungo il perimetro dalla guida inferiore da motorizzazioni elettriche. I pochi cassoni opachi che permettono di accogliere e mimetizzare i frangisole di alluminio nella configurazione completamente aperta.
Le due grandi superfici orizzontali sono dapprima trattate come piani astratti, strumento compositivo tipico del repertorio di Mies Van der Rohe, anche l’uso cromatico delle tinte primarie è un rimando evidente ai dettami dell’architettura moderna e dei suoi maestri: per il pavimento fu selezionato un linoleum giallo intenso e per i telai un blu. La forza conferita al volume dalla definizione di questi piani consolida l’effetto di trasparenza e totale apertura verso la natura conseguito dall’uso di pareti completamente vetrate. L’obiettivo è evidentemente quello di superare i riferimenti che pure rimangono chiari nei principi, rimane esplicito oltre a quelli compositivi già citati il nesso con le esperienze dei maestri americani fra tutte la Glass House e Farnsworth House, di trasferire la sensazione di fusione con l’ambiente circostante nella prospettiva interno-esterno che si apre sia sugli elementi costruiti esterni ai volumi abitatici come la scala e il portico sia sull’ambiente circostante che si propone in una doppia lettura di crinale roccioso in primo piano e di orizzonte marino sullo sfondo.
Tutte le viste intermedie sono caratterizzate dalla sensazione di vertigine alla quale contribuisce la sospensione dei volumi e la leggerezza dei sistemi di protezione verso il vuoto, che quando le lamiere scorrevoli a tutt’altezza sono impacchettate in un angolo, è costituita da un semplice corrente orizzontale disposto a 1/3 dell’altezza d’interpiano.
 

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

[...] La porzione di mobili disegnata si limita a due elementi: un mobile-spina composto da un semplice parallelepipedo che separa due sottospazi del vano principale l’allestimento della cucina composto da un piano di lavoro minimalista, fissato ad un tramezzo da un lato e appoggiato su un solo piede dall’altro. Gli arredi commerciali sono ridotti al minimo indispensabile al momento della consegna dell’edificio, ed erano progettati dal designer giapponese Sori Yanagi nel 1954, fra tutti il più famoso è lo sgabello Butterfly il quale faceva parte di una collezione che Bloc pubblicò su l’Architecture d’Aujourd’hui. La selezione dei colori utilizzati per le superfici principali e per le parti strututrali si basa sulla selezione elementare neoplastica che si distingue nettamente dalle scelte cromatiche [...]
 

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

Le linee astratte degli elementi strutturali si moltiplicano visivamente lo spazio verso l’esterno. La scelta dei colori contraddistingue la struttura dei portici i cui i profili sono dipinti di un profondo grigio acciaio blu all’esterno e di un rosso brillante all’interno delle cavità dell’H.
Il pianoro, gli spazi abitativi e la scala sono trattati in una sottile gamma di luce tonica grigi che consente alle strutture del cemento di abbinarsi a quelle dell’acciaio verniciato e dell’alluminio utilizzato nelle parti scorrevoli.
 

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

[NOTE]
1. Habitation expérimentale au cap d’Antibes: conception architecturale d’André Bloc et Claude Parent ; René Sarger, ingénieur, L’Architecture d’aujourd’hui, n°86, oct.-nov.
1959
3. La casa verrà poi iscritta nel registro dei beni con vincolo puntuale il 16/11/1989, questa la descrizione riportata sulla scheda dedicata sulla pagina web del ministero della cultura francese: “Maison de vacances construite en 1961 par l’architecte Claude Parent pour André Bloc, architecte, peintre et sculpteur et fondateur en 1930 de la revue L’Architecture d’Aujourd’hui. Cette “maison expérimentale” est caractérisée par sa mise en œuvre des produits de la sidérurgie moderne. Le commanditaire collabore avec l’architecte, notamment pour la conception de l’escalier extérieur.” Fonte

 

Immagine * pubblicata in Francesco Testa, Op. cit. infra

Francesco Testa, Fenomenologia del tradimento. Storie di committenti, architetti e delle loro case, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2021-2022
* Casa Sperimentale a Cap d’Antibes, Claude Parent e André Bloc. Foto: Gilles Ehrmann. Fonte: Fond Andre Bloc, Bibliothèque Kandinsky MNAM-CCI Centre Pompidou, Paris

sabato 17 giugno 2023

Prime missioni alleate in Toscana


Nella nostra regione [la Toscana] esistevano, certamente fin da prima dell’inizio della guerra, cellule dei servizi di informazione alleati, soprattutto di quello britannico <62, che potevano trovare un’efficace mimetizzazione nella consistente e autorevole colonia anglosassone presente in Toscana e almeno in una parte della cerchia di parentele e di amicizie da questa intessute. Una parte di tale colonia si disperse all’inizio del conflitto, ma un’altra, italianizzata per matrimoni ecc, rimase, come rimase in piedi la trama di rapporti stabiliti in precedenza; appare infatti plausibile che questi ambienti abbiano fornito un supporto determinante per la preparazione e la riuscita iniziale dell’evasione dal castello di Vincigliata degli alti ufficiali britannici prigionieri di guerra ivi detenuti, verificatasi alla fine di marzo 1943, poiché la ricostruzione dell’impresa effettuata dalle autorità militari italiane presenta vari punti oscuri <63. In Toscana, ovviamente, erano presenti anche centri dei servizi informativi militari italiani ed è doveroso rilevare che le sezioni locali di tali organismi non passarono in blocco al servizio della Repubblica di Salò e dei nazisti e quelle rimaste fedeli alla casa reale svolsero una preziosa attività per contrastare gli intendimenti germanici: valga per tutti l’esempio della rete messa in piedi da Rodolfo Siviero, che a Firenze operò intensamente, ma sulla cui attività sappiamo qualcosa, non molto, solo in virtù delle avare notizie che egli ha reso note, soprattutto circa il salvataggio delle opere d’arte, anche se non si occupò solo di queste <64. Allo stato attuale non è chiaro se fossero in contatto anche con il gruppo di Siviero o altro gruppo analogo, i livornesi don Roberto Angeli e suo padre, che sembra si siano collegati con l’avvocato Eliso Antonio Vanni già nell’ottobre per provvedere al salvataggio degli ex prigionieri di guerra alleati <65. Ma durante il governo Badoglio alcuni ambienti romani vicini alla casa reale avevano provveduto a stabilire contatti con persone appartenenti alla borghesia medio alta, fedeli alla monarchia, per porre le condizioni atte a dar vita ad altri nuclei informativi, molto probabilmente non agganciati alla rete preesistente, facendo ricorso a figure politicamente appartenenti al mondo moderato-conservatore prefascista, anche se nel loro passato figurava una partecipazione all’iniziale movimento fascista, poi divenuta dissidenza e infine «separazione dal partito al potere, gravida di risentimenti di natura privata [...] nell’intento di determinare una crisi intestina che valesse a reintrodurli nel gioco politico» <66.
Uno di tali personaggi fu il giornalista e finanziere Filippo Naldi <67, coinvolto nelle indagini relative al delitto Matteotti ed espatriato nel 1925 per sottrarsi alle minacciose intenzioni del regime; questi al suo rientro in Italia, avvenuto subito dopo la destituzione di Mussolini, prima di recarsi a Romasi fermò nei pressi di Pescia, dove abitava l’ingegner Tullio Benedetti, con il quale dopo le elezioni del 1921 aveva militato nelle file del gruppo parlamentare della Democrazia liberale; tornò a Pescia alla fine di agosto o ai primi di settembre, dopo che a Roma aveva stabilito contatti ai massimi livelli con la casa reale e aveva incontrato lo stesso Vittorio Emanuele III, cui aveva sottoposto un progetto di coinvolgimento delle sinistre in un ampliamento della base politica del governo Badoglio. Sorpreso a Pescia dall’armistizio, sembra che Naldi abbia elaborato col suo ospite il progetto di collegare il nascente movimento partigiano locale con il governo badogliano di Brindisi e gli Alleati - operazione che avrebbe consentito a entrambi di tornare sulla scena politica - stabilendo verso la metà del mese un primo contatto con una delle prime formazioni partigiane pistoiesi, quella di Silvano Fedi, tramite Vanni La Loggia <68.
Tenuto conto dello spregiudicato pragmatismo del Naldi e del Benedetti, della loro conoscenza degli ambienti governativi e della comune appartenenza alla massoneria, che offriva loro la possibilità di molteplici contatti a livelli, in direzioni e per canali diversificati, appare difficile pensare che essi abbiano escogitato un simile piano senza avere un consistente margine di sicurezza sull’effettiva realizzabilità del collegamento con il governo di Brindisi e gli angloamericani, poiché se ciò si fosse rivelato un bluff la reazione dei resistenti avrebbe potuto essere assai sgradevole, soprattutto per il Benedetti, che, a differenza del Naldi, rimase nel Pesciatino <69.
Nacque così una delle prime maglie della rete informativa messa in piedi all’Office of Strategic Services (OSS) statunitense, rivelatasi in seguito assai utile per gli angloamericani, alla quale Naldi, giunto a Brindisi e divenuto autorevole componente degli ambienti della corte reale, provvide ad agganciare il gruppo pistoiese <70.
La scelta e l’impegno nel rischiosissimo campo della raccolta e trasmissione al Sud delle notizie sul regime e le forze armate nazifascisti furono decisioni prese autonomamente e senza secondi fini, ma solo per riscattare l’onta della guerra condotta dalla parte sbagliata e dell’occupazione germanica, anche da numerosi altri cittadini della nostra regione.
Firenze, in quei mesi a cavallo fra il 1943 e il 1944, era affollata da persone provenienti un po’ da tutta l’Italia, soprattutto da quella meridionale: profughi, persone che vi cercavano rifugio nella speranza che i tesori d’arte ivi raccolti allontanassero le offese belliche, perseguitati politici o razziali e militari fuggiaschi che speravano di far perdere le loro tracce allontanandosi dalle loro città. In questa folla in continuo movimento gli agenti dei servizi d’informazione alleati riuscivano a mimetizzarsi con una certa facilità, potendo inoltre contare sulla diffusa ostilità verso tedeschi e fascisti. Infatti proprio a Firenze il Partito d’Azione, mettendo a punto il suo apparato clandestino, dette vita a una Commissione per gli aiuti ai prigionieri di guerra alleati fuggiaschi e, soprattutto, a una Commissione radio, presto divenuta nota come CORA, che aveva l’obiettivo di mettere in piedi un sistema di collegamenti radio con i centri dirigenti azionisti milanesi e romani, con gli Alleati e con le nascenti formazioni partigiane; entrambi questi organismi nell’esplicazione della loro attività avrebbero avuto modo di entrare in rapporto e collaborare con missioni informative provenienti dall’Italia del Sud. Della prima commissione divenne, fin dall’inizio, parte attiva Ferdinando Pretini, un noto parrucchiere per signora di Firenze, il quale era entrato in contatto con una missione informativa, sbarcata nei pressi di Pesaro da un sottomarino britannico, capeggiata dal capitano Giovanni Tolleri, fiorentino, che egli pose subito in contatto con Max Boris e Luigi Belli, due responsabili dell’apparato militare clandestino azionista; la sera del 24 novembre 1943, giorno in cui fu arrestato dalla Banda Carità, Pretini doveva effettuare il collegamento fra la missione Tolleri e una "seconda missione badogliana, proveniente dall’Italia del Sud, incaricata, con mezzi finanziari a sua disposizione, di proteggere e mettere al sicuro prigionieri alleati, evasi dai campi di concentramento, e di stabilire contatti con il centro di resistenza dei Patrioti [...] La missione in parola era composta da un reverendo e da un signore, che dichiarava di esserne lo zio (era un generale)..." <71.
Non risulta che l’arresto di Pretini abbia avuto conseguenze sulla sorte di queste due missioni, delle quali però non è nota l’ulteriore attività. La Commissione radio, invece, i cui obiettivi comportavano ovviamente un’attività di intelligence, divenne il supporto fondamentale di una missione dell’8a Armata britannica dotata di radio ricetrasmittente, giunta a Firenze nel gennaio 1944, divenuta nota come Radio CORA dopo che uno degli animatori della commissione azionista, l’avvocato Enrico Bocci, di fronte alle esitazioni dei dirigenti locali del suo partito, del resto rapidamente superate, aveva accettato di assumersi personalmente la responsabilità di una collaborazione organica con detta missione, divenendo il capo riconosciuto di un’organizzazione, che riuscì a ramificarsi in ogni settore, civile e militare, potendo contare sullo spontaneo contributo di funzionari e semplici cittadini <72. L’importanza dell’attività svolta da Radio CORA ebbe il riconoscimento di un encomio - trasmesso per radio e quindi intercettato anche dai nazifascisti, da parte dello stesso generale Alexander, di cui i componenti della missione avrebbero anche fatto volentieri a meno - che, forse, contribuì in qualche misura alla tragica conclusione dell’impresa, ormai ampiamente nota <73.
Nel ribollente calderone umano di Firenze fra il dicembre 1943 e gli inizi di gennaio 1944 trovarono ricettacolo altri agenti e varie missioni provenienti dal Sud: agli inizi di dicembre vi era Giangiacomo Vismara, emissario dell’OSS, che ristabilì regolari collegamenti con il Benedetti a Pescia e venne raggiunto pochi giorni dopo dalla coppia Mario Rivano e Giovanni Fabbri - rispettivamente sottotenente d’artiglieria il primo, sottufficiale di marina e operatore radio il secondo - la quale faceva parte, con l’altra coppia formata da Renato Parenti, anch’egli sottotenente d’artiglieria, e il suo radiotelegrafista “Renatino”, sottufficiale di marina, della missione Pescia <74, posta alle dipendenze del Benedetti <75. Tra la fine del mese e i primissimi giorni di quello successivo giunse in città una missione del Servizio informazioni militari (SIM) italiano, di cui facevano parte il guardiamarina Antonio Fedele e il suo operatore radio Alfredo Shermann, destinati a rimanere in città, il sottotenente Dante Lenci, l’allievo ufficiale Ezio Odello e il radiotelegrafista Giuseppe Jacopi, destinati a operare sulla costa fra Livorno e Carrara <75.
[NOTE]
62 Interessanti a tale proposito, anche se, ovviamente, non espliciti, risultano i ricordi di K. Beevor, Un’infanzia toscana, La Tartaruga, Milano 2002, passim. Secondo un documento dello Special Operation Executive (SOE) del febbraio 1943, risulterebbe addirittura attivo a Firenze, oltre che in altri capoluoghi italiani, un gruppo di tale organizzazione, che aveva tra i suoi compiti principali la sovversione e il sabotaggio; la notizia, priva di riscontri oggettivi a oggi noti, deve essere presa con molta cautela, poiché non confermata da altri documenti della stessa fonte, cfr. P. Sebastian, I servizi segreti speciali britannici e l’Italia, Bonacci, Roma 1986, pp. 94-96.
63 La documentazione relativa a quest’evasione si trova in AISRT, Fondo Regione Toscana; NAW, T821, bob. 100, Ministero della Guerra, fasc. «Evasioni prigionieri di guerra»; per sintetiche notizie al riguardo cfr. Verni, Popolazione e partigiani dall’Alpe della Luna all’Abetone, cit., p. 169, nota 1.
64 Cenni sull’attività dell’organizzazione Siviero in R. Siviero, Seconda mostra nazionale delle opere d’arte recuperate in Germania, Sansoni, Firenze 1950, pp. 13-31; S. Ungherelli [Gianni], Quelli della “Stella rossa”, Polistampa, Firenze 1999, pp. 121, 129, 321, 334; Frullini, La liberazione di Firenze, cit., p. 98; qualche notizia in più in W. Lattes, ...E Hitler ordinò: “Distruggete Firenze”. Breve storia dell’arte in guerra, 1943-1948, Sansoni, Milano 2001, passim.
65 AISRT, Fondo CVL, b. 17, fasc. «Gruppo bande Teseo», s.fasc. «Banda di Pozzolatico», relazione dell’avvocato Eliso Antonio Vanni per il SIM allegata alla copia di attestato rilasciato al Vanni.
66 M. Franzinelli, I tentacoli dell’OVRA, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 37.
67 Per sintetiche note biografiche su Naldi, ivi, p. 39 e nota 7.
68 G. Petracchi, Al tempo che Berta filava, Mursia, Milano 1995, pp. 46-51, passim.
69 Ivi, pp. 50-52.
70 Ivi, pp. 65-66.
71 AISRT, Carte processo Banda Carità, fasc. «Ferdinando Pretini», «Il mio diario. Deposizione resa all’Ill.mo Presidente della Corte d’Assise di Lucca al processo della banda Carità il 9 maggio 1951», dattiloscritto, pp. 2-3. Sui due componenti della seconda missione non disponiamo di altre notizie, ma le indicazioni fornite da Pretini suggeriscono che potrebbe forse essersi trattato di don Angeli e di suo padre.
72 G. Larocca, La “radio CORA” di piazza D’Azeglio e le altre due stazioni radio, Giuntina, Firenze 1985, pp. 39-44. Circa la spontanea partecipazione alla raccolta delle notizie, essa ricorda, ad esempio, le informazioni relative alla Linea Gotica, fornite a Bocci da un suo cliente residente in Mugello, ivi, p. 50.
73 Ivi, p. 67. Oltre a tale opera, fondamentale poiché l’autrice fece parte fin dall’inizio del gruppo, ci limitiamo a segnalare, fra gli altri testi C. Francovich, La Resistenza a Firenze, La Nuova Italia, Firenze 1962, passim; L. Tumiati Barbieri (a cura di), Enrico Bocci. Una vita per la libertà, Barbera, Firenze 1969; Contini Bonacossi, Ragghianti Collobi (a cura di), Una lotta nel suo corso, cit., pp. 313-318.
74. Petracchi, Al tempo che Berta filava, cit., pp. 70-73.
75 AISRT, Fondo CVL, b. 17, fasc. «Gruppo bande Teseo», s.fasc. «Banda di Pozzolatico», relazione dell’avvocato Eliso Antonio Vanni per il SIM allegata alla copia di attestato rilasciato al Vanni. Sull’attività e la sorte del gruppo comandato dal Lenci cfr. F. Bergamini, G. Bimbi, “Per chi non crede”. Antifascismo e Resistenza in Versilia, ANPI Versilia, Viareggio 1983, p. 79.
Giovanni Verni, La resistenza armata in Toscana in (a cura di) Marco Palla, Storia della Resistenza in Toscana. Volume primo, Carocci editore, 2006

Tullio Benedetti era il leader nazionale dei monarchici, che avevano formato la lista denominata Blocco della Libertà.
Ma chi era Tullio Benedetti, l’agente “Berta” collegato con lo spionaggio alleato durante il periodo bellico?
[...] Intorno all’8 settembre 1943 era suo ospite, nella villa di S.Lucia, l’amico Filippo Naldi, già suo collega parlamentare nel 1921. Entrambi monarchici e massoni “pensarono che, aiutando concretamente la gestazione di un movimento di resistenza sulle falde dell’Appennino, avrebbero allargato la base del consenso al governo Badoglio” <5.
Benedetti presentò Naldi a La Loggia (a cui Naldi disse essere un agente dell’Intelligence Service) per parlare della possibilità di aiuti aviolanciati per i partigiani. Fu così che Benedetti (in codice “Berta”) si trovò al centro di un’attività di collegamento tra l’OSS (Office of Strategic Services) dell’esercito americano e una parte delle forze partigiane, quelle che facevano capo ai “libertari” di Silvano Fedi e La Loggia e, dopo gli iniziali tentennamenti di “Pippo”, quelle dirette da Manrico Ducceschi. Ma quando nella primavera del 1944 lo smascheramento di Tullio Benedetti (“Berta”) fu totale e la minaccia perentoria e incombente, egli non ebbe altra scelta che sottrarsi alla cattura lasciando Pescia e riparando dietro le linee alleate a sud di Roma. Egli effettuò il passaggio del fronte, nella prima decade di maggio del 1944, comodamente trasportato in un’ambulanza che il genero, dottor Scanga (membro del Consiglio Nazionale delle Ricerche e commissario provinciale della Croce Rossa Italiana del Lazio) aveva inviato apposta da Roma per prelevarlo.
5 Giorgio Petracchi: Al tempo che Berta filava - MURSIA Editore - Milano, 1995 - pag.50
Pier Luigi Guastini, Tullio Benedetti: il quinto costituente, QF Quaderni di Farestoria Anno X - N. 2-3 maggio-dicembre 2008 

Anche il sessantacinquenne Filippo “Pippo” Naldi, personaggio controverso <54, riuscì a oltrepassare le linee nemiche verso gli Alleati allo scopo di offrire i suoi servigi alla causa comune. Naldi presentò a Bourgoin uno degli uomini 'più utili che io abbia utilizzato durante la campagna dei servizi segreti americani in Italia (…), esponente molto agiato della finanza e dell’industria' <55: Tullio Benedetti, denominato “Pippo”. Residente a quel tempo a Santa Lucia Uzzanese in Toscana, Benedetti aveva formato il primo gruppo di resistenti immediatamente dopo l’8 settembre, i quali erano collocati sulle regioni montuose degli Appennini, in attesa di ricevere aiuto dagli Alleati nella guerra contro il nemico.
[NOTE]
54 Secondo la testimonianza di Bourgoin, il 'gentleman' Filippo Naldi, noto giornalista prima del ventennio e impegnato in missioni di pace con il Governo Giolitti, fu esiliato dal regime fascista nel 1925 e fino al 9 agosto 1943 visse a Parigi. A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 36. Peter Tompkins, invece, ha scritto che “Pippo” Naldi aveva procurato a Mussolini finanziamenti francesi per il suo 'Popolo d’Italia'. Poi, in disaccordo con il Duce, si era rifugiato a Parigi, dove nel 1937 aveva incontrato un altro esule, Indro Montanelli, che, nel 1953, in un elzeviro fece un ritratto alquanto impietoso di 'Pippo Naldi faccendiere'. Per Tompkins, anche il Naldi era stato mandato da Badoglio per controllare la missione dell’OSS aggregato alla V Armata. Cfr. P. Tompkins, L’altra Resistenza cit., p. 395.
55 Bourgoin, così, lo definisce 'a very wealthy financier and industrialist, Tullio Benedetti'. A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 36. In un rapporto dell’OSS, Tullio Benedetti è ritratto quale 'uomo d’affari, monarchico, con uno spiccato carattere impetuoso e deciso. Dirige Il Giornale della sera'. P. Tompkins, L’altra Resistenza cit., nt. 5, p. 395.

Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012 

Il 28 [dicembre 1943] cinque operatori del S.I.M. di due missioni dirette in Toscana (Livorno e Firenze), furono sbarcati dal MAS 510, partito dalla Maddalena, vicino al punto di sbarco di Castiglioncello (Buca dei Corvi) <94.
[NOTA]
94 Quella diretta a Firenze era formata dal guardiamarina Antonio Fedele, Tonino, e dal radiotelegrafista Alfredo Scirman. Di quella diretta a Livorno facevano parte il sottotenente del Genio Navale Dante Lenci (che aveva già preso parte alla resistenza fin dal 29 settembre 1943), il sergente universitario, ex-allievo dei corsi normali dell’Accademia Navale, Ezio Odello, e il secondo capo radiotelegrafista Lorenzo Iacopi. Svolgendosi nel periodo di massimo contrasto nazi-fascista all’attività della Resistenza nell’Italia Centrale, le due missioni furono molto accidentate. Alcuni dei collaboratori reclutati sul posto furono arrestati, anche a Roma, dove erano stati inviati per portare informazioni e ricevere istruzioni. Ai primi di aprile alcuni membri dell’organizzazione di Livorno, compreso Lenci e Iacopi, furono arrestati. Odello lasciò Livorno e avvertì personalmente Fedele di quanto accaduto; quindi, con le notizie in suo possesso, e con quelle fornitegli da Fedele relative alle fortificazioni e agli armamenti tedeschi, Odello si recò, in compagnia del partigiano Emilio Angeli, il nonnino, a Roma. Qui giunti i due furono arrestati, il 10 maggio 1944, e furono condannati a morte. Ai primi di giugno furono riuniti, con altri 26 condannati, nel cortile del carcere di via Tasso. Un primo gruppo di condannati fu caricato su un camion e raggiunse Bologna. Un secondo gruppo, che comprendeva Bruno Buozzi e Brandimarte, giunto alla Giustiniana, fu trucidato da uomini della G.N.R. in fuga. L’ultimo camion fece avaria, ciò che impedì di trasferire i 12 superstiti rimasti nel carcere di via Tasso, fra cui l’Odello, che furono liberati dalla popolazione il 4 giugno. Lenci fu fucilato l’11 settembre 1944 nel campo di concentramento di Bolzano.

Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale - Anno XXIX - 2015, Editore Ministero della Difesa

lunedì 12 giugno 2023

Campolonghi voleva polarizzare attorno alla sua persona tutto il movimento antifascista di Nizza

Nizza: Rue Bonaparte

La vita in provincia non arrestò la campagna giornalistica di Luigi Campolonghi. Grazie alla sua versatilità, riuscì infatti ad alternare collaborazioni da giornali come l'«Oeuvre» o «Le Petit Parisien» a fogli scritti parzialmente in italiano, vedi ad esempio «La France de Nice». Creò od animò giornali rivolti appositamente alla popolazione italiana come «La Libertà», «Il Mezzogiorno» - fondato da Alceste De Ambris - e «L'Attesa». I suoi contatti, alla luce della lunga professione, gli consentirono infine di scrivere anche in testate regionali del Sud-Ouest come «La Depeche de Toulouse» e «La France de Bordeaux» nelle quali non mancò di stigmatizzare il crescente zelo a favore del fascismo delle autorità consolari, contrapponendo ed esaltando l'antica amicizia franco-italiana. Non mancò mai di rimarcare il valore ed il significato - politico ed umano - che comportavano l'accoglienza e l'ospitalità della Francia.
L'importanza di queste testate - talvolta dalla vita molto breve - viene sottolineato dalla costante attenzione delle autorità impegnate a ridurne l'influenza agli occhi delle direzioni di polizia italiane, ma in realtà molto attente alle evoluzioni politiche dei gruppi antifascisti in Francia.
La diffusione ed i problemi attorno a «La France de Nice», ad esempio, sono osservati con attenzione dal Consolato Italiano di Nizza che nei suoi rapporti a Roma sottolinea con soddisfazione l'insuccesso di Campolonghi nel suo sforzo di costituire un Fronte unico antifascista <243.
Anche tenendo conto della parzialità della fonte, non può essere ignorato il dato della scarsa vendita del foglio, in gravi difficoltà economiche dopo un'iniziale raddoppio della tiratura dovuto al tentativo di Campolonghi di creare una testata bilingue.
Stigmatizzando la mancanza di professionismo dei redattori, ed in particolare di Leonida Campolonghi [n.d.r.: figlio di Luigi], le autorità consolari ne annunciano la futura rimozione dall'incarico. Lo sforzo unitario, che sarà una costante di Campolonghi durante il ventennio fascista, traspare chiaramente dalla disamina del Consolato: «Campolonghi voleva polarizzare attorno alla sua persona tutto il movimento antifascista di Nizza, realizzando il “Fronte Unico”. […] Venne a Nizza varie volte da Nérac e Parigi, ma non fu seguito. Anche in occasione della morte di Amendola ritentò, ma rimase solo a gridare. […] Come mestatore qui non ha avuto la fortuna che credeva e non l'avrà più» <244.
Cercando di ricondurre il suo operato ad un continuo fallimento: Campolonghi «si è logorato» <245, l'attivismo del Consolato di Nizza nella denuncia di attività antifasciste si contestualizza nella vicinanza al confine italiano. Per quanto venga ostentato lo scarso radicamento “sovversivo”, i ricorrenti viaggi di Campolonghi nella città sono fonte di preoccupazione.
La presunta incapacità di Leonida viene ribadita anche in rapporti successivi, fino al 1927. Luigi Campolonghi, proveniente da Draguignan, dove aveva tenuto una delle sue numerose conferenze, sarebbe stato gravemente redarguito da parte della Redazione de «La France de Nice», da dirigenti repubblicani e socialisti e della stessa LIDU «per l'azione svolta dal figlio, Leonida, sia come giornalista, sia come militante antifascista» ridottasi «ad un banale pettegolume su segnalazioni e fatti il più delle volte falsi ed inventati di sana pianta» <246. L'ingenuità di Leonida, che aveva all'epoca solo 25 anni, è al centro di un altro rapporto che getta un'ombra di complessità sull'attività dello stesso Luigi Campolonghi. Un fiduciario della Polizia Politica, introdottosi di nascosto nella stanza di Leonida a Nizza, riuscì a leggere una lettera indirizzatagli dal padre: «In essa il Campolonghi pregava il figlio di comunicargli tutti gli ordini del giorno, che erano stati approvati dai vari gruppi di operai italiani, residenti al sud di Nizza, dovendoli comunicare urgentemente a … (e qui si faceva il nome di un funzionario del Quai d'Orsay)» <247.
La notizia si sarebbe diffusa rapidamente in quanto Leonida, avendo scoperto la spia, avrebbe riferito l'aneddoto ai gruppi antifascisti, in particolare ai repubblicani mazziniani cui era molto vicino. La comunicazione continua di Campolonghi con il governo francese allarmò parte degli antifascisti della zona che avanzarono dubbi sulla sua affidabilità e buona fede <248.
Di sicuro il documento testimonia il persistere di un canale privilegiato - ininterrotto e trasversale - tra Luigi Campolonghi e le autorità governative francesi. I frequenti contatti con il Ministro dell'Interno Albert Sarraut, infatti, sono documentati per tutto il 1927 dal Consolato Italiano di Nizza.
Ritornando sul duplice viaggio a Draguigan di Campolonghi, il Consolato esprime preoccupazione per la sua attività e le sue ripercussioni sull'ordine pubblico in caso di successo «poiché l'adesione di masse di operai, darebbe all'agitazione antifascista […] ben altro carattere, facendo degenerare le abituali sparute riunioni in veri e propri comizi, con relative manifestazioni turbolente» <249. A Draguignan Campolonghi aveva presidiato ad un congresso della LIDU e pochi giorni dopo avrebbe incontrato a Nizza diversi esponenti dei partiti antifascisti, compreso il Partito Comunista <250.
La convergenza tra partiti antifascisti ed autorità francesi è confermata dalla presenza, alla citata conferenza antifascista di Draguignan, di Sindaco, Consigliere Generale e Segretario del Partito Socialista locale, oltreché di soci della LIDU.
«Il Campolonghi ha trattato del fascismo, della dittatura di S.E. Mussolini, della situazione di persecuzione instaurata in Italia e per la quale un numero considerevole di rifugiati trovano ospitalità della Francia, che chiama generosa, e ove essi possono vivere in libertà, organizzandosi in attesa di tempi migliori. Ha espresso la gratitudine dei fuoriusciti italiani per la Repubblica Francese, e termina affermando che i due popoli latini, che sono stati uniti per la grande guerra, non potranno che essere pure uniti nel comune ideale della fraternità sociale e della pace». Alla conferenza espresse un breve discorso anche l'Avvocato Thomas <251. Pessimo amministratore delle proprie finanze, il suo successo più grande fu senza dubbio l'opera di accoglienza degli italiani nella zona. Campolonghi si fece “cantore” dell'integrazione, sotto tutti i punti di vista, svolgendo azione pedagogica sugli immigrati, pur non arrivando mai a caldeggiare una completa naturalizzazione francese. Partigiano dell'istruzione pubblica nazionale, cercò, con successo, di sottrarre i figli degli immigrati all'influenza fascista e cattolica <252.
[NOTE]
243 Rapporto Console Generale in Nizza 30/07/1926, FLC, CPC, ACS.
244 Ibidem.
245 Ibidem.
246 Telespresso Consolato Generale Nizza 15/02/1927, FLC, CPC, ACS.
247 Appunto per Direzione affari generali e riservati, Divisione P.P., 26/01/1927, FLC, CPC, ACS.
248 Ibidem.
249 Telespresso Consolato Generale Nizza 21/02/1927, FLC, CPC, ACS.
250 Ibidem.
251 Telespresso Consolato Generale Nizza 17/02/1927, FLC, CPC, ACS.
252 Delpont, cit., pp. 38-39; cfr. Landuyt, cit., p. 480.
Mattia Ringozzi, La dignità degli sconfitti. Per una biografia di Luigi Campolonghi, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2015/2016

La scena politica italiana in Francia fu dominata allora da capi carismatici come Andrea Costa o Oddino Morgari, venuti dalle file libertarie, o dai sindacalisti rivoluzionari Alceste De Ambris e Pietro Chiesa, o ancora da giornalisti destinati a divenire icone nazionali oltralpe come Luigi Campolonghi, figura-simbolo dell’esilio antifascista, o da dirigenti del calibro di Giacinto Menotti Serrati, legati indissolubilmente al nome di Marsiglia.
[...] La celebrità dei personaggi di Rosselli, della famiglia Campolonghi e di Trentin avrebbero valicato i confini, facendone le figure più note ed esplorate della produzione francese dedicata agli esuli italiani, come da Antonio Bechelloni, dal gruppo Cedei e dalla sua rivista «La Trace», tesa a dimostrare la portata europea della loro riflessione politica e dell’esperienza di militanza.
[...] Legato alla figura di Campolonghi è l’archivio della Lega dei diritti dell’uomo, che comprende i dossier nominativi di coloro che si rivolgevano all’associazione per riceverne l’assistenza, trovare un lavoro in Francia e ottenere di conseguenza un permesso di soggiorno; molti antifascisti si rivolsero alla Lidu per evitare l’estradizione, e fu soprattutto negli anni di crisi che la Lega si concentrò su questa attività. L’archivio comprende anche i fascicoli della sezione della Lidu tunisina, ma né in quelli francesi, né in quelli dell’Africa coloniale ho potuto riscontrare nomi di antifascisti liguri.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, Anno accademico 2014-2015

lunedì 5 giugno 2023

Il romanzo "Il Clandestino" è attento anche alla stratificazione sociale


Come Il partigiano Johnny, anche Il Clandestino <12 di Mario Tobino è un affresco della Resistenza - in particolare dei suoi inizi - in cui l'evento storico in questione non è più allontanato e demonizzato ma assunto come momento positivo del riscatto di un'umanità fino a quel momento soffocata dal regime. È il primo romanzo in cui Tobino affronta questo nodo tematico, che toccherà tangenzialmente nel racconto Una giornata con Dufenne <13 e riprenderà poi con Tre amici. <14 Opera dalla lunga gestazione <15 e dall'origine autobiografica, Il Clandestino racconta i primi passi del movimento partigiano nato nell'immaginario paese di Medusa, dietro cui si distingue Viareggio. Al centro non è più un singolo personaggio come nei romanzi fenogliani ma un'intera comunità, che rivive nell'impostazione corale di un intreccio in cui le figure centrali sono alter ego di donne e uomini realmente esistiti. Il titolo stesso guida il lettore a far attenzione non ad un solo personaggio, come per il Partigiano, ma ad un protagonista collettivo: questo fa del romanzo di Tobino una tappa evolutiva da segnalare nel percorso della narrativa sulla Resistenza.
Non ci si concentra più sulle reazioni di un individuo che si trova perso ed isolato di fronte ad un evento più grande di lui; al contrario, la voce narrante pone l'accento su un cenacolo di persone, diverse per cultura ed estrazione sociale, che si uniscono, con entusiasmo e determinazione, nella lotta contro un nemico comune.
L'abilità pittorica dello scrittore si esercita nel ritrarre una gamma di personaggi molto diversi l'uno dall'altro. Guida l'organizzazione clandestina della lotta il Summonti, giovane di estrazione borghese ma convinto comunista - è conosciuto da tutti come il “prete rosso” - spesso frenato nelle sue decisioni da un credo politico che non lo aiuta a risolvere i tanti interrogativi della guerra civile; gli fa da spalla e da contrappeso il Mosca, ingegnere lontano dalle strette di partito e votato all'impeto, all'azione. Altro intellettuale e pensatore è Gustavo Duchen, docente di filosofia altruista e riflessivo, spesso riservato, che si lascia trasportare dall'entusiasmo della lotta; come lui Marino, scrittore e poeta che rifiuta la sua torre d'avorio e si unisce al gruppo clandestino, svincolandosi così dal ruolo iniziale dell'intellettuale inetto.
Il romanzo è attento anche alla stratificazione sociale: Adriatico, umile calafato orfano dei genitori, rappresenta la voce popolare di una città votata al mare e all'attività marinara. Uno spazio è riservato all'elemento nobiliare, con Saverio - ammiraglio nostalgico del Risorgimento e degli ambienti monarchici radiato dalla Marina per discorsi sovversivi - e l'amante Nelly, contessa civettuola e apparentemente superficiale, accompagnati dal loro entourage. Non mancano i rappresentanti della parte avversa: i fascisti bastonatori di Medusa, il podestà e i repubblichini.
Con pochi tratti descrittivi o sfruttando episodi salienti, la voce narrante sa mantenere tutti i personaggi su uno stesso livello di approfondimento caratteriale, tanto che risulta impossibile individuare un protagonista che svetti sugli altri. Il romanzo, inoltre, si apre grazie all'ampio respiro del narratore onnisciente ad abbracciare l'intera collettività che in esso si agita.
Si deve ammettere certo che il romanzo di Tobino è popolato da personaggi così calati nel loro ruolo, così solidali gli uni con gli altri e decisi nelle loro azioni da risultare irreali: la determinazione priva di qualsiasi paura, l'indomito coraggio che li smuove, l'universale accordo nato tra loro rasenta un ideale che difficilmente può essere creduto possibile. Nel mondo di Tobino, i buoni e i cattivi, i valorosi e gli opportunisti sono divisi con l'accetta, senza chiaroscuri.
La coralità del romanzo coinvolge anche la cittadina di Medusa con le sue vie, il mare e il territorio circostante, tanto che può essere considerata una protagonista alla pari degli altri. Apre il primo capitolo, infatti, la descrizione della città, con le sue passioni e i suoi difetti, che reagisce al messaggio radio del 25 luglio allo stesso modo di una persona, in carne ed ossa: "A questi messaggi Medusa, come avvenne in tutte le città d'Italia, si risvegliò, immediatamente fu dimenticata la stagione balneare; Piazza Grande riebbe tutti i suoi diritti. Medusa oltre la celebrità balneare è giustamente nota per essere sensibile alla politica, per partecipare agli impeti ribelli e anarchici della regione dove è situata. Forse è il rischio del mare e il duro lavoro dei calafati che la sospinge a generose intemperanze; e la frequenza con gli oziosi bagnanti estivi oltre a donare ai medusiani il senso dell'ingiustizia sociale obbliga a constatare come la ricchezza di rado si accompagna alla virtù". <16
Lungo il romanzo, la voce narrante getta spesso uno sguardo alle sorti della cittadina, inerme spettatrice e vittima delle scelte umane. Ecco come la città è descritta, attraverso gli occhi di Anselmo, dopo l'arresto di alcuni componenti del gruppo clandestino. Medusa è come morta, privata dell'impeto della sua gioventù di ribelli: " 'Li hanno arrestati! Chi è stato? Da chi è partito, che gli faranno?' e rientrando in casa Anselmo ebbe la sensazione che la città fosse stata dissanguata, orbata della sua linfa gentile, ignobili mani l'avessero profanata, udì nella testa un brusio di pensieri, uno sciame che vola caldo nel sole". <17
Ulteriore esempio è la descrizione della città dopo la partenza degli antifascisti del gruppo clandestino, decisi a creare una formazione in montagna. Qui si legge chiaramente l'importanza che l'uomo riveste nel dare vita e storia allo spazio. Denudata dalle ruberie dei tedeschi e priva dei suoi combattenti, la città resta indifesa, quasi stupita di quel vuoto: "Laggiù Medusa era rimasta sola, senza neppure un cittadino. Chi poi per caso straordinario ci capitò raccontava che era immersa in un silenzio, uno stupore; lungo i marciapiedi erano cresciute delle erbe, dei ramoscelli. Se si percorrevano in bicicletta le strade risuonava netto e quasi pauroso il fruscio delle gomme, il ticchettio della ruota libera. Tutte le porte delle case erano aperte, c'entrava l'aria, la luce, il buio. Quando si alzava il libeccio le porte sbattevano. Sulla spiaggia si erano formate le dune, i pesci arrivavano indisturbati alla riva. I tedeschi avevano fatto crollare tutti i campanili delle chiese, anche il più antico, quello di Santa Rosalia; i rottami giacevano su un lato". <18
La città vive, quindi, nei suoi abitanti: privata di essi, risulta un corpo vuoto, inerte. Ambientato per la più parte in una città marittima, di marinai e calafati, raramente nel romanzo si intravede l'ambiente, collinare o montuoso, tipico dei racconti partigiani. Nelle poche pagine in cui questo avviene, anche il paesaggio naturale, come la città, assume connotati e sentimenti umani, razionali, e porta l'impronta della comunità che vi si muove: elemento, questo, che differenzia molto Tobino da Fenoglio, per il quale la natura è invece una forza indipendente dall'uomo, che agisce su di lui inducendolo ad assumere comportamenti ferini, fino alla completa disumanizzazione.
Nel Clandestino la montagna, per esempio, è sempre collegata all'immagine della famiglia di Duchen, che lì vive; il prato scelto per il lancio è detto «il prato della Teresa», <19 e come il prato anche la caverna individuata per nascondere la merce ha un nome: la caverna «della Scimmia Pelosa». <20 La grotta stessa è descritta con termini più adatti ad illustrare un'abitazione o uno spazio antropizzato piuttosto che un luogo scavato dalla natura dentro al cuore della montagna: "Gli parve di essere tornati ragazzi, quando la prima volta si ascolta la descrizione della casa dell'orco. Si entrava nella caverna per un varco, giusto la misura di un uomo. Al di là c'era un atrio di pochi passi; dirimpetto iniziava un cunicolo, un corto e stretto corridoio. Per percorrerlo si scontrava nelle gibbosità delle pareti. Al di là si apriva il salone, un largo; la volta in certi punti era schiacciata, in altri era nera d'ombra come un camino, tanto era alta. In terra si scontrava in sassi aguzzi. Un uccello notturno cominciò a stridere e a volare; quando era investito dalla luce delle lampade gli si vedeva il ventre color topo, tumido. Il salone era largo numerosi metri". <21
È la presenza dell'individuo, quindi, ad essere preponderante e non la forza vitale della natura. Anche quando non è antropico, l'ambiente perde i suoi attributi naturali per assumere sentimenti tipicamente umani. Ciò rende ancora più evidente che il romanzo ha al suo centro la coralità di un gruppo variegato di uomini e donne, i quali animano spazio e tempo con i loro progetti, errori e traguardi.
Il racconto si snoda tra i primi tentativi di organizzazione del gruppo, gli iniziali fallimenti causati dall'eccessivo impeto, il trasferimento inconcludente a Saltocchio, il ritorno in città. Dall'altra parte, si vedono anche i movimenti dei repubblichini, ma sono descritti in trasparenza, come se questi ultimi fossero già dati per perdenti, votati al fallimento ancora prima che la lotta inizi. L'azione dei partigiani, per quanto alle prime armi, e l'entusiasmo positivo che li sostiene, sono invece centrali: la prima operazione ben riuscita è la bomba innescata al Balipedio di Medusa, deposito dei proiettili dell'esercito italiano.
In seguito, il gruppo si attiva per stabilire un contatto con gli Alleati, avvalendosi del coraggio di Rosa - dietro di lei si nasconde la medaglia al valore militare Vera Vassalle - che attraverserà le linee e tornerà a Medusa con una radio e con le istruzioni per poterla utilizzare.
[NOTE]
12 MARIO TOBINO, Il Clandestino, Milano, Mondadori, 1962, da cui citerò.
13 M. TOBINO, Una giornata con Dufenne, Milano, Bompiani, 1968.
14 M. TOBINO, Tre amici, Milano, Mondadori, 1988.
15 L'introduzione di Paola Italia all'edizione del 2013 (PAOLA ITALIA, Introduzione, in M. TOBINO, Il Clandestino, Milano, Mondadori, 2013, pp. VII-XX) ricostruisce le tappe di stesura del romanzo, mostrando che l'autore ne accarezzava l'idea già all'indomani della Liberazione.
16 M. TOBINO, Il clandestino, cit., p. 13.
17 Ivi, p. 501.
18 Ivi, p. 558.
19 Ivi, p. 311.
20 Ivi, p. 313.
21 Ibid.
Sara Lorenzetti, Narrativa e resistenza: "invenzione" della letteratura e testimonianza della storia, Tesi di dottorato, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” - Vercelli, Anno Accademico 2014/2015