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domenica 29 maggio 2011

Botanica nostrana costiera


Devo sempre in qualche modo onorare le indicazioni di ordine storico che l'amico Alfredo Moreschi mi ha fornito su aspetti di botanica locale, ma continuo a rinviare. E cerco di rimediare con il pensare magari ai Giardini Hanbury di Mortola di Ventimiglia (IM), questo importante stabilimento di acclimatazione di piante esotiche, edificato più di cento anni fa, di cui qui sopra si può notare l'ingresso. Dopo tanto tempo, forse qualcosa di nostrano si può ormai ritenere ci sia anche lì, forse.


Sempre in questa zona quasi al confine con la Francia, ho scattato l'immagine di cui sopra, che non so ancora bene perché mi sia stata accettata in un blog specializzato.


Ci sono altri fiori nella frazione in questione, certo.



Ma, nostrano o non nostrano, un albero che da anni mi incanta é la jacaranda, che merita una storia a parte. Arriva da non so più dove, ma ormai é diffusa, a certi climi, in tutto il mondo. Mi ha dato gli spunti per i temi iniziali del mio blog, associando la sua bellezza ad un'idea positiva di natura e paesaggio. Le jacarande non sono ancora in fiore quest'anno. Ed allora sono veramente splendide. Quella della fotografia, poi, ha una storia tutta particolare, perché é praticamente abbandonata: compiuta infine una saggia potatura, ha ripreso il suo lieto ciclo. E pensare che subito non mi ero accorto, così come tanti ancora adesso, della presenza discreta dalle nostre parti di queste piante, che tante volte vengono citate in romanzi ambientati in California, a fare inizio dal mitico Chandler. Da ultimo, anche nelle cronache dei mondiali di calcio in Sudafrica.


Lì vicino, c'è anche un classico vivaio.



Ma anche tanto incolto, come forse si é potuto scorgere dietro quella jacaranda. E c'é un tipo di incolto che a me piace molto, perché sembra proprio che la natura faccia da sola, e bene, la sua parte.


Metto ancora due fotografie. Non di più. Ne potrei mettere delle altre. Anche di alcuni bei giardini della nostra zona. Ma non voglio farmi prendere da una certa enfasi.


Per scrupolo di coscienza metto qui il link ad una delle pubblicazioni di cui mi ha parlato il mio amico fotografo. E' in inglese, ma si parla di Riviera.



giovedì 26 maggio 2011

Cuore di tenebra?

Joseph Conrad - Fonte: Wikipedia
Leggendo dell'ultima fatica di Mario Vargas Llosa ieri su " la Repubblica" in un articolo nientemeno intitolato "Perché Conrad aveva torto" mi sono venute in mente alcune riflessioni, che vado ad esprimere qui di seguito in modo  incompleto e approssimativo.

La prima riguarda il neo Premio Nobel, le cui opere, invero, conosco poco, ma reputo che solo dal brano da "Il sogno del Celta" selezionato dal giornale per l'occasione si evinca, a mio modesto parere, già la statura di un autore capace di una prosa maestosa per stile, contenuti, erudizione ed autentica, ancorché doverosamente rattenuta, passione.

Non é, pero, di questo che intendo precisamente parlare, perché é ben lungi da me, una volta di più, l'idea di cimentarmi in critiche letterarie.

Trovo affascinante e degno di considerazione - su questo vorrei dilungarmi un po' - l'intreccio della trama del romanzo, per come si percepisce da una presentazione siffatta, con suggestioni e richiami che ne possono derivare.

Intanto, ho rinvenuto indiretta conferma di una presenza attiva di Conrad nel cuore dell'Africa Nera, del Congo storicamente inteso, per essere più precisi, in un'avventura, bruscamente interrotta per non essere complice di barbarie inaudite, determinante per la successiva composizione di "Cuore di tenebra". Avevo già letto di quella sua esperienza in un libro, robusto per notizie e sensazioni, "Tenebre sul Congo", di un autore italiano, Luigi Guarnieri, che in quel suo lavoro seppe armoniosamente fondere diversi elementi, spaziando, oltretutto, per diversi decenni di storia coloniale e per una cospicua fascia territoriale dell'Africa dall'Atlantico all'Oceano Indiano.

Arrivando per lo meno al dunque del personaggio di Vargas Llosa, qualora qualcuno non avesse letto l'articolo in questione, specifico che si tratta di un diplomatico britannico, Roger Casement. Casement, tuttavia, era soprattutto un irlandese che, terminati i suoi impegni all'estero, si trovò coinvolto nelle lotte irredentiste della sua patria, di cui, per ovvii motivi, non dico di più, come per il resto della sua attività. Di qui il "Celta" del titolo in parola, di qui, per lo meno nella ricostruzione di Vargas Llosa, sue considerazioni verso Conrad, di cui auspica ad un certo punto una presa di posizione favorevole, se non alla sua scarcerazione, alla salvezza della propria vita minacciata (1916) in Inghilterra di pena capitale.
Roger Casement - Fonte: Wikipedia

Solo questi aspetti, appena da me riassunti, valgono, credo, il massimo di attenzione da parte di un lettore moderno che ami la storia.

Casement, che aveva fondato l'Associazione per la riforma del Congo, dopo che erano cadute nel vuoto le denunce della missione britannica di cui aveva fatto parte circa le vessazioni compiute laggiù contro i nativi dai belgi, in Vargas Llosa - non so nella realtà - introduce in un dialogo a distanza con Conrad elementi di responsabilità anche di esponenti africani, un tema che ho visto riprendere a distanza di decenni nell'attuale temperie di quel tormentato Continente. Il romanziere anglo-polacco batteva, invece, di più il tasto sull'imbarbarimento provocato dai conquistatori europei.

Fonte: Wikipedia
Pietro Savorgnan di Brazzà in una celebre fotografia di Félix Nadar - Fonte: Wikipedia

Ci sono stati, dunque, nel pieno delle conquiste coloniali, europei coscienziosi, che pur poco poterono fare: a questo novero penso vada ascritto il Brazzà, che operò per la Francia con i cui governanti dovette presto scontrarsi con conseguente abbandono degli incarichi in Africa Equatoriale.  Alla luce del volume del Guarnieri dovrei aggiungere tra le persone che almeno qualcosa di positivo cercarono di fare in quei frangenti anche i Comboniani ed un altro nostro connazionale, Gaetano Casati, che spero sul serio abbia scontato, scontrandosi, come già Brazzà, con Stanley e cercando di "redimere" Emin Pascià, la pecca di avere partecipato in gioventù alla repressione del brigantaggio meridionale.
Gaetano Casati - Fonte: Wikipedia

Tutti personaggi, quelli che ho citato, che non solo, magari sporadicamente, incrociarono i loro destini, ma che nel bene e nel male hanno vissuto vite degne di essere immortalate in romanzi. E si può aggiungere tra gli italiani che ebbero un forte ruolo in quelle vicende ormai consegnate agli annali, più ancora che Bottego,  Romolo Gessi.


sabato 21 maggio 2011

Imprimatur ed altro ancora

Un indice di libri proibiti




Un altro indice
Ancora un indice
 

Un imprimatur
 
Con il post precedente,  Imprimatur,  mi sono venuti in mente ulteriori elementi, tra i tanti richiami che si potrebbero produrre ancora.

Il tema ha indubbiamente a che fare con i dettami sui "Libri proibiti" sanciti dal Concilio di Trento.
In materia un fatto tragicamente emblematico fu quello di Ferrante Pallavicino, la cui vicenda (in odore di lesa maestà e apostasia fu strenuamente perseguitato sino ad esecuzione avvenuta in Avignone), pur antecedente a quella di Imprimatur, si ascrive perfettamente se non in un giallo, di sicuro in un noir, che del resto qualcuno di recente ha ripercorso in un agile romanzo, collocandovi in qualche modo un grande intemelio del passato, anzi, nel Seicento il "Ventimiglia" per antonomasia, Angelico Aprosio, fondatore dell'omonima Biblioteca nella sua città natale, la "Libraria": nella realtà, si conobbero e furono corrispondenti letterari.
Stava per aprirsi la stagione dei "Fogli volanti", veri e propri giornali dell'epoca, diffusi in tutta Europa, sostanzialmente cronache di storie giudiziarie, che unitamente ad altre opere a stampa anche antecedenti, specie se "Libri proibiti", costituiscono una ricca miniera di vicende incredibili, quasi tutte atroci e crudeli, ridondanti, tra altri efferati aspetti, di torture, roghi, decapitazioni, caccia alle streghe, persecuzioni degli ebrei, lupi mannari, mummie, vampiri veri e presunti. Da molti dei libri in questione, rari esemplari dei quali sono custoditi nella Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia, successivamente attinsero in larga misura gli autori del gotico, dell'horror, del terrore, del fantasy, compresi nomi illustri come Stocker, Melville, Hawthorne, Poe, Maria Shelley, Herbert George Wells.

Un altro erudito ventimigliese, Domenico Antonio Gandolfo, continuatore per diversi aspetti, non solo come successore quale Bibliotecario dell'Aprosiana, dell'opera dell'Aprosio, aveva dovuto indagare in precedenza in Roma sulla morte per certi versi tragica e misteriosa della Regina Cristina di Svezia, probabilmente dovuta ad un attacco d'ira per non essere riuscita a fare assassinare tale abate Vaini, che aveva violentato una sua ancella. E pensare che questa donna famosa, che nella Città Eterna fece notevoli cose dal punto di vista culturale sino ad avere esercitato influenza con una sua Accademia sulla successiva costituzione dell'Arcadia, aveva una folla paura di invecchiare, al punto da voler prestare orecchio non solo all'alchimia, ma pure a vari imbroglioni.
Erano tempi così!

Mentre io devo ringraziare Cultura-Barocca, cui spesso attingo preziose informazioni, nonché, come in questo caso, rare immagini.

lunedì 16 maggio 2011

Imprimatur


Quando qualche giorno fa ho letto su "Il Fatto Quotidiano" la notizia del boicottaggio in Italia di "Imprimatur" e di altre successive opere della coppia dei suoi autori, quel romanzo me lo ero quasi dimenticato, di sicuro non ne ricordavo il titolo, pur avendolo letto con grande attenzione ed entusiasmo, anzi, con la sicurezza a me solita in casi come questo che lo avei presto riletto: il che non mi é ancora capitato di fare. Si tratta di un giallo storico ambientato a fine '600 a Roma, in piena età Barocca, dunque, intessuto con vera ispirazione dei giusti ingredienti dei due generi di riferimento, denso, considerato il periodo in esame, di personaggi, riferimenti e particolari interessanti, con poche concessioni - ma una molto significativa - alla fantasia: un bel libro, insomma, a mio modesto giudizio.

Non mancano, dirette o sottese, ma mai pedanti, riflessioni amare sul potere e sulla società, soprattutto in ordine alla Francia del Re Sole e al Papato: in riferimento a quest'ultimo una chiave di lettura in termini di attualizzazione spiegherebbe, a detta degli autori e di altri loro commentatori, la mancata ristampa e il subitaneo ritiro delle copie ancora in circolazione di quel volume e l'assoluta carenza di editori nazionali per i romanzi che ne sono seguiti.



Riprendo ora un sunto della vicenda dal Web: "Imprimatur è un romanzo storico ambientato nella Roma del 1683, nella settimana di settembre che coincise con la battaglia di Vienna tra le truppe cristiane e quelle turche. Rita Monaldi e Francesco Sorti, gli autori, sono all'esordio letterario. L'editore Mondadori, acquisisce il manoscritto e lo pubblica nel marzo del 2002. All'inizio il libro scala le classifiche ma a un certo punto l'editore sembra non crederci più. Il libro non viene più ristampato. Imprimatur sparisce dai cataloghi e dai siti di vendita usuali. Gli autori ottengono nuovamente i diritti. Vanno all'estero e cominciano a contattare gli editori più importanti. Il risultato è che ad oggi Imprimatur è stato stampato in almeno quarantacinque paesi e ha venduto più di un milione di copie nel mondo. Ma perché il romanzo era sparito dal novero delle "creature del creato"? Come mai non veniva più recensito? Come mai era sparito dai motori di ricerca librari su internet? Le risposte arrivano a fatica, tra silenzi e "no comment" d'ordinanza." 

Aggiungo ancora, ma su Internet di sicuro c'é ancora di più: "A causa della valanga di ordinazioni effettuate dopo la trasmissione televisiva “Complotti” (su la7 - n.dr.) l´edizione italiana di “Imprimatur” è andata esaurita. L´editore olandese l´ha ristampata e anche la seconda edizione è terminata dopo pochi giorni. La terza edizione è in vendita non solo presso la libreria online olandese e belga Proxis , ma anche presso la libreria on line Hoepli, che nel frattempo ha richiesto all´editore olandese di poter vendere in Italia IMPRIMATUR. Una vera novità, dato che finora tutte le librerie on line italiane si erano rifiutate di accettare il libro…" Insomma, la notizia giornalistica da cui sono partito non era del tutto uno scoop, ma se non altro ha l'indubbio pregio di tenere desto il dibattito.

Tra l'altro Wikipedia sostiene: "Imprimatur è il primo romanzo di una serie che dovrebbe essere formata da sette thriller storici, ognuno il seguito dell'altro. I titoli dei romanzi compongono una frase latina che racchiude in sé il senso dell'intera saga: "IMPRIMATUR SECRETUM VERITAS MISTERIUM UNICUM ... ...". "Si pubblichino tutti i segreti del mondo, ma la verità è sempre un mistero. Alla fine rimane solo...". I due titoli mancanti sono tenuti segreti dagli autori e verranno rivelati solo al momento della pubblicazione ... Poco dopo la pubblicazione il libro, edito da Mondadori, gli autori denunciarono un boicottaggio dalle case editrici italiane le quali, su presunta pressione vaticana, che non avrebbe gradito la pubblicazione di fatti storici riguardanti le trame di papa Innocenzo XI, ne evitarono la ri-pubblicazione nonostante il successo conseguito."

Ora di questo Papa qualcuno sostiene che avesse finanziato (o la sua famiglia di banchieri) l'insediamento degli Orange, protestanti, sul trono inglese: il che - pare! - non faccia onore ad un beato, proclamato tale solo nel 1956, anche se fu determinante per mandare soccorsi a quella capitale austriaca assediata dagli "infedeli".

Insomma, tutte queste cronache hanno la cadenza di un giallo con tutte le credenziali a posto. E pensare che  io il libro, se ben ci ripenso, ho avuto la fortuna di trovarlo in un negozio dove si mettono in commercio le rese invendute, mentre al pari di altri devo ben aspettare, a questo punto,  le edizioni italiane dei seguiti di quella prima fatica di Monaldi e Sorti, libri che all'estero stanno avendo anch'essi grande successo.

sabato 14 maggio 2011

Ampelio



In questa uggiosa giornata, che in questo sembra proprio ripercorrere la tradizione, si celebra in Bordighera la Festa Patronale di S. Ampelio, mentre la kermesse popolare in suo nome, organizzata dalla giovane Pro Loco, é iniziata già mercoledì scorso nella Spianata del Capo del Paese Alto, come si può vedere qui sopra: il che mi consente di dare qualche approssimativa idea sia dell'ubicazione del Centro Storico che della "scibretta" per antonomasia, cioé uno dei grandi ficus esistenti nella Città delle Palme.





Mentre il sito dove approdò, visse ed operò il monaco arrivato dalla Tebaide egiziana intorno al 400 dell'era volgare é decisamente più in basso, come cerco di documentare in qualche modo con le soprastanti immagini, che consentono oltrettutto di fissare spunti per altre interessanti vicende, immagini messe più o meno in ordine geografico degradante, sino ad arrivare alla chiesetta sul mare, teatro di tanti matrimoni locali, dedicata  e contenitore della grotta, oggi cripta, che ospitò Ampelio.



Non so se all'epoca in cui arrivò - e la leggenda in proposito é intrigante - Ampelio (talvolta si dice anche Ampeglio, tanto é vero che nella consuetudine ormai desueta si potevano e possono trovare persone o con l'uno o con l'altro nome) abbia arrancato sugli scogli che a memoria sono da sempre prossimi al luogo di culto.
Di sicuro la venerazione per questo santo ha comportato un fattore storico di rilievo, pur non costituendosi qui un nucleo abitato degno di questo nome prima della fine del '400: l'attuale Paese Alto, insomma.
Le sue reliquie vennero portate a Genova già nel 1258 e tornarono solo finita la seconda guerra mondiale con tanto di traslazione via mare e con invero grande festa di popolo.

Nel corso dei secoli il convento benedettino (della Congregazione Olivetana) che venne eretto su quel sito ebbe una notevole funzione, al punto che, a fare un mero esempio non esaustivo, nella guerra di Savona, Albenga e Ventimiglia (da cui dipendeva l'attuale zona di Bordighera) contro Genova del 1238-'39, i soldati della Superba ne distrussero gran parte dei beni immobili, tra cui una torre.
E qui si apre il capitolo, da me scoperto relativamente da poco, non tanto della valenza dei Benedettini (a loro si deve l'introduzione dell'olivo che fornisce il giustamente rinomato olio delle nostre parti) nei periodi bui dell'Alto Medio Evo, quanto di una loro significativa continuità - al pari, credo, di altri monaci - di presenza (anche di frati, in verità), che porta anche a pensare agli antichi pellegrinaggi che passavano, in genere per diramazioni, da queste parti e ad altri viaggi di insigni personaggi.

Una fitta trama di storia, per l'appunto, su cui potrò eventualmente tornare.


martedì 10 maggio 2011

Sulla Nervia Romana

Quando da bambino o ancora da ragazzo passavo sul Cavalcavia di Nervia, frazione orientale di Ventimiglia, l'antica Ventimiglia Romana, non sapevo che i massi evidenziati nella soprastante fotografia erano componenti in pietra de la Turbie dell'antico lastricato della Via Romana Iulia Augusta, appositamente collocati come in un museo all'aperto.

Ricordo, però, quando nella prima casa bianca a sinistra venne rinvenuto un mosaico romano, che fu poi sempre, come lo é adesso, malamente visibile dalla rampa del ponte. Ma la ricostruzione virtuale di una Domus Romana che qui allego, non compie riferimento al contenitore di quell'impianto musivo, bensì ad altro edificio più a ponente che ospitava anche un ... lupanare.


Sul Teatro Romano ho rinvenuto da poco nuove - per me - informazioni in materia, ma penso sia anche interessante rivederne, insieme alla zona nervina, le vicende posteriori alle prime invasioni barbariche, quando fu adibito al nuovo culto cristiano. 

La città medievale, che qui sopra si può scorgere parzialmente ripresa proprio dalle vicinanze di quel Teatro, crebbe e il conseguente abbandono insediativo della piana di Nervia avvenne più lentamente di quanto avessi mai supposto prima in base alle informazioni che avevo avute.

Dal lato sud del Cavalcavia si possono ammirare quegli scavi. Ma é anche interessante sapere come si sia persa memoria nei secoli dell'antica città romana, sì che ai primi rinvenimenti lo stupore popolare fu grande: quasi una storia nella storia più grande.

L'argomentazione in materia sarebbe, invero, molto più vasta, con almeno un capitolo a parte che riguarda la foce del torrente Nervia, ma mi riservo di tornarvi in altra occasione.

Mi preme comunicare che la Villa della madre di Agricola, cui il genero Tacito dedicò quell'opera che forse più si ricorda perché tramandò la memoria della regina Boadicea e della sua eroica lotta contro gli invasori romani della Britannia, che quella Villa, dove quella donna trovò la morte ai tempi delle guerre civili che terminarono con l'insediamento di Vespasiano, doveva trovarsi nella zona più ad occidente ancora di Ventimiglia: quella città romana, pur piccola per noi moderni, aveva un territorio vasto da amministrare. Riporto quanto ho prima scritto non fosse altro che ho appena letto un giallo storico, scritto da una professoressa americana, che non solo colloca Agricola tra i protagonisti quale governatore Oltre Manica, ma che un minimo di riferimento a quell'avvenimento lo produce: quando si dicono le combinazioni!

Intanto, anche le colline sovrastanti o visibili da Nervia presentano altri reperti ed altre vicende meritevoli di narrazione.
E sono tanti gli altri aspetti della storia locale che devo ancora finire di scoprire.




martedì 3 maggio 2011

Varaldo o del giallo italiano

Pur essendo (stato?) un accanito lettore di romanzi polizieschi, il nome del ventimigliese Alessandro Varaldo mi era sempre un po' sfuggito, nonostante il fatto che pubblicazioni locali ne facessero spesso cenno e che un lungomare della città di confine da anni ne riportasse il nome.

Forse tenevo più da conto altri autori italiani degli anni '30, di cui percepivo, come poi riscontrato in autorevoli commentatori, le grandi potenzialità inesorabilmente tarpate dalle forbici censorie fasciste.

Eppure Varaldo fu espressamente incaricato dal fondatore della storica collana, che doveva ubbidire alle direttive schizoidi di quel regime tese ad alternare in un certo numero pubblicazioni nostrane a quelle straniere, di stendere il primo romanzo giallo italiano. Schizoidi perché - e mi spiace rovinare eventualmente la sorpresa a qualcuno - gli assassini, ad esempio fondamentale, dovevano essere invariabilmente stranieri.

Nel dopoguerra i lettori faticarono sia a trovare che ad appassionarsi per le opere dei pochi autori italiani di genere. Ruppe alquanto il ghiaccio Scerbanenco, che venne subito, credo, dimenticato. 

Oggi, a mio avviso, il mercato sforna sin troppi libercoli che sembrano videogames in carta stampata, forse conseguenza imitativa del difficile successo ottenuto dagli specialisti italiani che infine un po' di attenzione hanno ottenuto, scrivendo opere degne, spesso - ironia della sorte! - ambientate negli anni bui del fascismo, e contribuendo a creare un vero e proprio giallo sociale italiano.

Anche queste righe sono, da parte mia, una sorta di appunti, in parte ripresi da precedenti post, come per sottolineare che in modo più organico prima o poi dovrò decidermi a dare libero sfogo al mio entusiasmo per tanti autori nostrani di questo settore.

Sì, perché lo spunto per accingermi a scrivere quanto sopra me lo ha fornito il corrente 135° anniversario della nascita di Alessandro Varaldo, occasione nella quale a Ventimiglia ne é appena stata rieditata una trilogia di romanzi storici, quanto meno interessanti per la ricostruzione di vicende e luoghi. Nella prefazione viene ricordato, altresì, come venisse restaurato a cura di Bartolomeo Durante il "Fondo Varaldo" conservato nella storica Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia, che a sua volta meriterebbe diversi capitoli a parte. E a parte merita, credo, ora che ne so di più, parlare ancora di Varaldo, che fu anche drammaturgo e fondatore e presidente, prima di essere sostituito da un gerarca, della SIAE.

Sullo sfondo la spiaggia delle Asse di Ventimiglia cara - come ho letto mentre mi documentavo un po' - ad Alessandro Varaldo