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mercoledì 25 agosto 2021

Chissà dove si andrebbe a finire, se tutti si mettessero a studiare veramente


Se temete di essere magnificamente avvincenti e pensate che troppo entusiasmo da parte degli ascoltatori/interlocutori possa nuocervi, potete far uso di particolari accorgimenti - alcuni, peraltro, di facile applicazione e alla portata di qualsivoglia oratore o didatta - in grado di smorzare l’attenzione, la curiosità, il piacere e quindi di riportare il tutto su un normale tono di comunicazione vacua e burocratica.
Un metodo sempre valido è quello che potremmo definire delle “letture obbligatorie”. Lo si può applicare nei più svariati contesti, non solo nella scuola dove probabilmente ha avuto la sua origine (un esempio classico sono i compiti per le vacanze - che delizioso ossimoro! - imposti prima dal prof e in seconda istanza da un genitore), ma nelle esposizioni, nei concerti, in famiglia. Negli anni ’70 era assai diffuso in molti gruppi politici, specie in quelli di estrema sinistra. Consiste nel porre un determinato compito, non necessariamente una lettura ma anche la stesura di un testo, la visione di un film, ec., come un qualcosa da doversi eseguire assolutamente, al di là di qualsiasi motivazione esposta in chiaro o di ogni convincimento personale, pena l’incorrere in gravi conseguenze, che possono andare dal subire severi rimbrotti e reprimende sino all’essere considerato un reietto e un rifiuto della società. In questa classe di fenomeni potremmo far rientrare le letture punitive, imposte al reo per ammenda. Le cosiddette pene alternative saranno alternative, e vabene, ma sicuramente sono anche pene, e la pena è cosa ben diversa dal sacrosanto impegno che un soggetto si auto-impone per arrivare ad un certo risultato, od approssimarvisi, o volutamente mancarlo per decisa deviazione atta ad ottenere altro risultato che il quel momento lo aizza e scatena vie più. Invece, l’obbligo ci farà dispiacere tutto il nostro lavoro, che cercheremo di portare a compimento il più velocemente possibile onde passare ad altre attività e rimuovere al più presto tutti gli eventuali elementi appresi (o, più che appresi, appiccicati lì, come poveri ditteri sulla carta moschicida).
Un altro metodo, oggi molto in voga, è quello di fare discorsi o tenere lezioni seguendo le indi-cazioni dei corsi di Public Speaking. Ora, come un racconto scritto da un tizio che ha appena fatto un corso di scrittura creativa lo intercetti subito per la sua fragranza di finto, di sciapo, di com’è ben scritto, così, un oratore che vuol essere accattivante e probabilmente ha studiato tanto all’uopo, lo noti già nei primi secondi di loquela. Muove le mani, sorride, ha una voce ben impostata. Non è importante quello che dice, è importante come lo dice. A volte fa uso di buffe espressioni, sgrana gli occhi, fa le faccine e le faccette, si avvicina e si allontana dal pubblico (o dalla videocamera), mette qui e là dei punti esclamativi. Dice cose facili, magari già note od ovvie, che quindi sono ben accette perché si riesce a capire tutto all’istante. Escogita degli stratagemmi comunicativi, una spiritosata qui, una parolaccia là, per colorire un po’ l’insieme. Lo vedi, che fa l’autocompiaciuto, scherza, si fa l’autobiografia oppure fa il satirico, parla come si mangia (però bene, eh!), ha la sicurezza e la verità in tasca. È aggressivo, deciso, mima il pensiero (apre le virgolette con le dita, le chiude), dice “piuttosto che” in luogo di “oppure”, fa premesse e promesse da imbonitore, magari fa un lunghissimo preambolo per creare un senso di attesa, buon erede dei ciarlatani e del dottor Dulcamara. Vuole attirare, coinvolgere la platea, suscitare emozioni. Il tedio è assicurato.
Se però voi volete davvero annoiare, e a lungo, allora l’uso delle diapositive - oggi digitalizzate e definite slides - resta per ora insuperato. Tu spieghi una cosa e intanto si vede la slide: una sorta di tabella dove ci sono scritte proprio le cose che stai dicendo tu. Le diapositive di cartoline o quadri, poi, che meraviglia. Si fanno avanzare automaticamente, quindi hanno tutte un uguale tempo di visione, si procede con lo stesso monotono ritmo. Non ti soffermi quanto vuoi, secondo i tuoi interessi, ma sei costretto a seguire passivamente lo scorrere delle immagini. Purtroppo Emilio Praga, in una delle sue cronache d’arte, ahimè, scrive:
"Come giungere ad ordinare questo miscuglio di tele che ci opprimono e ci schiacciano tra loro, quest’orgia di colori che mutualmente si insultano e si distruggono? Calcolarli in categorie, quadri di storia, battaglie, paesaggi, mi sa troppo di espediente farmaceutico, e poi diventano inevitabili i confronti, mezzo di critica di cui non è bello abusare. Convien lasciarsi trascinare dalle proprie impressioni, far come il pubblico, gironzolare di sala in sala, fermarsi là dove l’attenzione è attratta o da un difetto o da una bellezza? Io mi appiglierò a questo ultimo partito, che mi sembra il migliore e potrò seguirlo ora che , aperta a tutti quanti l’esposizione, c’è modo e tempo di potervisi attendare. Per ora rassegniamoci a camminar difilati dall’uscio d’ingresso a quello d’uscita, e ci basti notare, come sono notati in una guida i principali monumenti di una città, le tele che ci balzeranno prime e così di sfuggita allo sguardo. Nei seguenti articoli ritornando su questi nomi, vi aggiungeremo quelli dimenticati nella fretta, o sottrattisi alle nostre ricerche".
Bisogna evitare atteggiamenti come questi del Praga. Non date retta ai teorici del disordine. Tutto deve essere sminuzzato, distribuito in parti uguali, imposto. Altro che lasciare libertà agli interessi soggettivi. La gente rischierebbe di imparare, acquisire capacità critiche, magari con uno studio che diventa anche piacere. Ma figuriamoci, ma non diciamo corbellerie! Chissà dove si andrebbe a finire, se tutti si mettessero a studiare veramente.

Marco Innocenti, Come annoiare il pubblico in IL REGESTO (Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno XII N° 3 (47), luglio/settembre 2021

 

[altri scritti di Marco Innocenti: articoli in IL REGESTO, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM); articoli in Mellophonium; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l'Europa. L'immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d'occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sandro Bajini, Del modo di trascorrere le ore. Intervista a cura di Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2012; Sull'arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 - 11/2013; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006]