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lunedì 27 febbraio 2023

Una piccola raccolta nasce così, da sola


NOTICINA INTRODUTTIVA

Una mattina, era per la precisione il 25 novembre 2022, alle ore 10 e 44 minuti antimeridiane, il Barry (nome con cui confidenzialmente viene talora chiamato Fabio Barricalla) mi scrive, attraverso le vie eteree delle comunicazioni cellulariche, una poesia del genere haikai:

Gocce sul prato
Bianco e nero su verde -
Giorno d'autunno

Io rispondo, alle ore 10 e 51 minuti:

Platano alto
verde contro l'azzurro -
Garibaldi Avenue

Mi trovavo in un bar, effettivamente sito in corso Garibaldi, a Sanremo, ed effettivamente c'era un platano che si stagliava contro il cielo azzurro, lì appresso. La cosa non aveva nulla di sorprendente, giacché il corso Garibaldi di Sanremo è tutto costellato di platani.
Assai più tardi, vale a dire alle ore 15 e 24 minuti, quindi in fascia postmeridiana, il Barry avrebbe replicato:

Quella donna e quel platano
Lungo la via deserta

e la storia é finita lì. Sennonchè, avendo pensato di mettere al corrente l'amica Silvana Maccario delle prime mosse di questa conversazione in versi fra il Barry e me, alle ore 10 e 59 minuti ricevevo, dalla Silvana Maccario medesima, questa poesia:

Perle di corniolo
nel giardino
per gli alati
che non hanno denari

E, alle ore 11 e 6 minuti, quest'altra:

Il caleidoscopio
si arabesca
solo se viene capovolto

La cosa aveva preso una piega imprevista. Di Silvana Maccario conoscevo la delicatezza e la giocosità di certe sue missive, conoscevo la dotta passione con cui lascia vivere un giardino di piante autoctone ed esotiche attorno a casa sua, conoscevo le immagini che crea - "collezionista effimera di colori", per designarla con una definizione da lei stessa coniata - fotografando le sue creature. Nulla sapevo di una sua arsversificatoria.
Su mia richiesta si ha, nei giorni successivi, qualche invio di poesie e di fotografie. Una piccola raccolta nasce così, da sola, in pochissimo tempo, quello impiegato per la crescita di un fungo nel bosco, o per l'aprirsi di un fiore.

Marco Innocenti

[...]


Lo sai che
certe foglie
prima di morire
si vestono a festa?
E che ci sono rose
che per non invecchiare
muoiono senza aprirsi?

La lespedeza
rovescia
cascate di gioia

Le plastiche sugli alberi
sostituiscono gli uccelli.
La civiltà impiccata

Atropo sfingide della notte
porta sulle ali
il vessillo della morte

In uno spazio angusto
un ragno con la preda
si è accasato

Cuscini d'erba
raccontano a grilli distratti
tragedie umane

Erba di mare
dalla prateria di sale
sulla rena
fa la fine di Loth


[...]

 
Silvana Maccario, Margini, Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, gennaio 2023

giovedì 6 gennaio 2022

L'illusione viaggia in tranvai


Luis Buñuel, partito da feroci esperienze d’avanguardia, vale a dire i film sceneggiati con l’allora suo amico Salvador Dalì, sembrò presto abbandonare i precetti surrealisti: e cominciò, in Spagna, in Francia, in Messico, persino a Hollywood, a dirigere film narrativi, con trame talvolta avventurose o passionali, finanziati dai produttori del cinema e immessi nei circuiti commerciali. Ma in realtà l’intiera sua opera cinematografica ha un’interna coerenza e potremmo dire che in nessun film, anche in quelli apparentemente più innocui, don Luis viene meno ai suoi valori e alla sua poetica: se non sempre la zampata del leone, perlomeno qualche graffio ben assestato riusciamo sempre a percepirlo e a godercelo.
Alcuni suoi film della maturità, degli anni ’60 e ’70, poi, sono assai notevoli: apparentemente leggeri, svagati, divertentissimi. E usando quest’ultimo aggettivo non vogliamo cadere in equivoco: perché certe deliziose operette morali dell’ultimo periodo, se non sono divertenti nel senso etimologico del termine (non divergono, anzi, tengono ben salda la mira sugli obiettivi da colpire) sono però spumeggianti, trascinanti, umoristiche, e hanno dei momenti francamente comici. E di questo Buñuel ne era ben consapevole, anzi, teorizzava tutto ciò, e se non arrivò mai a girare, come pure ipotizzava insieme all’amico e collaboratore Jean-Claude Carrière, un film basato su gag da film muto, con le torte in faccia, alla Mack Sennett, però fu sempre - per così dire - sul punto di farlo, e in un certo senso lo fece, con altre forme e modi. Ma lasciamogli subito la parola. Una dichiarazione del 1965 ribadisce il suo credo anarchico: "È possibile che, oggi, il pronunciarsi come prima contro la Famiglia, la Patria, il Lavoro, sia un po’ demodè, poiché noi sappiamo per esperienza che la distruzione fisica della famiglia non è più necessaria per costruire una società nuova. Ma il mio atteggiamento nei confronti di questi principi non è cambiato: bisogna distruggerli in quanto categorie supreme, in quanto principi intoccabili".
E un’altra, del 1974, verte proprio sulla questione dell’umorismo: "Lo humour è sempre humour nero. È molto importante saper non prendere sempre tutto seriosamente. Detesto le freddure, non mi fanno ridere. Ma io non chiedo alle persone soltanto di ridere, chiedo anche di comprendere lo humour. Faccio sempre dello humour mio malgrado. Quando scrivo una sceneggiatura, se una storia mi fa ancora ridere il giorno dopo, la tengo, altrimenti la scarto. Ma mi è indifferente che il pubblico rida o non rida vedendo i miei film. C’è di tutto nel pubblico, è un’immagine della società. La sola cosa importante per me è che ai miei amici il film sia piaciuto".
Naturalmente, quando pensiamo a un Buñuel “che fa ridere”, ci viene subito da citare Simon del desierto (1965), Belle de jour (1966), La voie lactée (1969), Le charme discret de la bourgeoisie (1972).
Ironico, raffinato, dissacrante. Riesce a spiazzare, a capovolgere i luoghi comuni: è un autore satirico di prim’ordine. Con Le charme, per dire, attraverso i modi di una commediola borghese distrugge divertito tutta l’impalcatura ideologica su cui si regge la borghesia.
Quello che ci piace annotare, ora, è che il divertimento di Buñuel investe anche il linguaggio dei suoi film. Già. Perché girare le sequenze dello Charme con i toni appunto di una pochade, con tutti i modi e i convenevoli e le battutine salottiere, è già una bella trovata (e il finale di El, 1952, così ostentatamente edulcorato? E Belle de jour? Con una Catherine Deneuve nel parco, incerta sul da farsi, e il tutto sembra proprio un film commerciale, coi suoi colori morbidi e la diva e tutto il resto - e invece…).
Ma Buñuel va oltre, usa tutti i generi cinematografici: in qualche modo li deride, li sottolinea, li parodizza: e in Belle de jour si va dall’erotico al poliziesco sino a una sequenza western, e lo stesso discorso vale per lo Charme (c’è persino una strepitosa sequenza da cinema horror, con l’episodio della “notte del brigadiere insanguinato”).
Un’altra tecnica comica è quella dell’interruzione, dell’inciampo, del blocco. Personaggi che non riescono a portare a termine una certa operazione. Non riescono a uscire da un edificio, e non ne capiscono il perché (El angel exterminador, 1962) o semplicemente non riescono a finire un pranzo - e poi continuano a camminare su una strada, come senza una meta (il solito Charme, film impalpabile e profondissimo).
Sono cose già note, queste che stiamo dicendo, a chi ama i film del gran cineasta spagnolo. Ma ci piace rilevarle ancora una volta, in qualche modo ridelinearle, e concludere con un riferimento, un parallelismo, che non ci pare sia stato colto da molti.
Perché c’è una sorta di antecedente a Le charme discret de la bourgeoisie. È un film di cui Buñuel parlava malissimo. Egli spesso denigrava certe sue pellicole, negli ultimi anni ogni film che faceva era sempre accompagnato dalla dichiarazione che sarebbe stato l’ultimo, e l’autore si rammaricò persino di aver fatto il regista, quando gli sembrava sarebbe stata una scelta migliore fare lo scrittore. Ma di questo film parlava veramente male, come l’opera d’uno stolto.
Saremo stolti anche noi, che lo riteniamo un piccolo capolavoro. Si tratta de La ilusion viaja en tranvia, del 1953. Anche qui la compresenza di vari generi, le trovate stralunate, le sciabolate sarcastiche (il borghese che protesta: perché non si paga il biglietto? perché si viaggia gratis? cosa c’è sotto?), e un’ossessiva interruzione, che consiste in questo caso nel non riuscire a riportare un tram alla base (quel tram appunto su cui si è viaggiato in totale libertà), senza farsene accorgere, poiché prelevato abusivamente, durante una notte brava: e anche qui i più bizzarri e inaspettati casi intervengono a non rendere possibile l’operazione.
Marco Innocenti, Luis Buñuel si diverte in IL REGESTO, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM), Anno X n° 3 (39), luglio-settembre 2019

[ tra i lavori di Marco Innocenti: articoli in Mellophonium; Scritti danteschi, Lo Studiolo, 2021; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l'Europa. L'immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d'occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 - 11/2013; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sull'arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; Pensierini, Lepomene, Sanremo, 2010; Sgié me suvièn, Lepomene, Sanremo, 2010; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008;  con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006 ]

venerdì 15 ottobre 2021

Questa mia singolarità doveva essere imbarazzante


Ionesco, in una conversazione con Edith Mora, apparsa nel 1960 e poi raccolta in Note e contronote, ad un certo punto ricorda le sue opere di prosa narrativa: Ho scritto tre racconti, comico-tragici, molto fantastici, come il mio teatro, che sono diventati tre commedie: Amedeo, poi Sicario senza paga e Il rinoceronte. Quando furono scritti, mi resi conto che erano, effettivamente, delle commedie in nuce. Ma un racconto è rimasto tale. Si tratta de Il solitario, 1973, dove il protagonista narra in prima persona la vita che gli capita di vivere, grazie ad un’eredità, dopo un precoce ritiro dal lavoro impiegatizio: dedito all’alcool, scettico sulla politica (“non è il pallone a contare, e quando quelle squadre più grandi che sono le nazioni si scagliano le une contro le altre o le classi sociali si fanno la guerra, non è per ragioni economiche né patriottiche né di giustizia o libertà, ma semplicemente per il conflitto in sé, per il bisogno di farsi la guerra”), ossessionato dal timore di cadere nella noia, l’uomo registra i piccoli avvenimenti della quotidianità, quasi insignificanti (“Attraversai il viale sulle strisce, una ragazza mi urtò con il gomito e si scusò, poi io urtai il gomito di un uomo e mi scusai”) e trascorre una vita oziosa, anonima, insignificante. È un everyman, e ad un certo punto ci mostra un suo autoritratto.

Mi passavo la mano sul viso. Sentivo i peli duri che cominciavano già a imbiancare, mi guardavo e non mi piacevo: il naso era troppo grande, gli occhi di un azzurro slavato, inespressivi, il viso un po’ gonfio, i capelli mal pettinati e troppo lunghi perchè non andavo abbastanza spesso dal barbiere, le orecchie troppo grandi, le rughe nel gonfiore, nessuno era come me, tutti senza dubbio avvertivano che non era come gli altri.

Nessuno è come lui? O tutti sono come lui?

Questa mia singolarità doveva essere imbarazzante. Non che il mio viso avesse qualcosa di anormale. Ero come gli altri e allo stesso tempo non ero come gli altri. Il carattere insolito della mia persona traspariva certo attraverso la pelle. È vero, per strada non mi fissavano, la gente non si voltava a guardarmi. Però, è vero, c’era la portinaia, la vicina con il suo cagnolino, Jeanine, la domestica, che scuoteva spesso il capo guardandomi, e la cameriera del ristorante che aveva nei miei confronti un atteggiamento decisamente particolare, in parte di amicizia, in parte di disprezzo.

ll paese, intanto, è attraversato da scontri violenti, incomprensibili:

«Entri in fretta» mi gridò la cameriera. «Forse domani saremo ancora aperti. Dopodomani è difficile.» Sedetti al mio solito posto. Nella vetrata c’erano fori e grosse incrinature. «Sì» disse «quelli di dentro hanno sparato a quelli di fuori e quelli di fuori ai nostri clienti. Oggi c’è testina di maiale all’aceto.» «Andate via?» «Il proprietario non ha voluto mettersi a fare il capofila della rivoluzione. Non ne ha più l’età. E poi non è sicuro di vincere. Allora, ce l’hanno con lui. »

«Se fossero rivoluzionari veri» disse il proprietario sopraggiunto in quel momento «forse andrei ad aiutarli. Ma in realtà sono reazionari.» «E i loro avversari?» «Sono reazionari anche quelli. Sono due bande di reazionari. Una pagata dai lapponi, l’altra dai turchi.»

Tutto verrà distrutto, e poi inizierà l’opera di ricostruzione (a cui seguirà, viene subito da pensare, un’ennesima opera di distruzione). In questa vita che procede in modo insensato non si intravede speranza di salvezza, se non in una sorta di visione celestiale, che conclude la narrazione:

Avrei potuto toccare il cespuglio, la scala. La luce era molto forte, ma non faceva male agli occhi. Gli scalini brillavano. Il giardino si avvicinava a me, mi circondava, ne facevo parte, ero al centro. Passarono anni, o secondi. La scala si avvicinò a me. Si fermò quando era quasi sopra la mia testa. Passarono anni, o secondi. Poi tutto si allontanò, sembrò dissolversi. La scala scomparve, poi il cespuglio, gli alberi. Poi le colonne con l’arco trionfale. Qualcosa di quella luce che era penetrata in me rimase. Pensai che era un segno.

Che Ionesco sia un miscredente nei confronti della storia lo sappiamo da sempre: “Esiste un mito della storia che sarebbe ora di«demitizzare», per usare una parola alla moda. Infatti sono sempre state alcune coscienze isolate a rappresentare, contro tutti, la coscienza universale”, dice in un’altra pagina delle Note, conversando con Claude Sarraute. Ed è proprio all’inizio di questo dialogo che Ionesco esprime una sua visione dei conflitti umani, che sembra un commento - anticipato, perché siamo qui nel gennaio 1960 - alle descrizione dei disordini politici nel Solitario:

Ricordo d’essere sempre stato colpito nel corso della mia vita da quelli che si potrebbero chiamare movimenti d’opinione, dalla loro rapida evoluzione, a cui forza di contagio uguaglia quella di una vera e propria epidemia. Improvvisamente la gente si lascia sopraffare da una religione, una dottrina, un fanatismo nuovi, insomma da ciò che i professori di filosofia e i giornalisti con pretese filosofiche chiamano «l’esigenza del momento storico». Assistiamo allora ad una vera mutazione mentale. Non so se l’ha notato, ma quando le persone non condividono più la nostra opinione, quando non possiamo più interderci con loro abbiamo l’impressione di aver a che fare con dei mostri.

E in Chi osa non odiare diventa un traditore, sempre nelle Note, infine:

Mi sembra che oggi come sempre le religioni e le ideologie non siano e non siano mai state altro che alibi, maschere, pretesti di questa volontà di assassinio. Dell’istinto di distruzione, di un’aggressività fondamentale, dell’odio profondo che l’uomo nutre verso l’uomo […] I guardiani della società hanno isti-tuito i bagni penali, i nemici della società assassinano: credo persino che i bagni penali siano apparsi prima ancora dei delitti. Non dico nulla di nuovo se dichiaro di temere coloro che desiderano ardentemente la salvezza o la felicità dell’umanità. Quando vedo un missionario, fuggo come quando vedo un criminale demente armato di pugnale. Si dirà che oggi «bisogna scegliere». «Bisogna scegliere il male minore. Ha più valore ciò che va nel senso della storia»: ma dov’è il senso della storia? Io credo che questo sia un nuovo inganno, una nuova giustificazione ideologica dello stesso impulso all’assassinio: poiché in questo modo si è «impegnati», e si ha una ragione più sottile di patteggiare o di iscriversi nell’uno o nell’altro partito di massacratori.

Si può essere d’accordo in tutto, in parte o per nulla con le posizioni di Ionesco. Ma il suo anarchismo disperato è puro e sincero. In questo cupo inizio millennio dove ci si continua a uccidere in nome dei “grandi ideali”, dove l’ipocrita slogan della fine delle ideologie si accompagna ad eccidi e tirannie motivati da forti e folli e torve e ridicole giustificazioni ideologiche (costruite con associazioni concettuali arbitrarie e falsi sillogismi e apposizioni acritiche di pochi elementi rigidi, pseudo-esplicativi), dove, in molti casi, si è astanti di una degenerazione dell’intelligenza in rigidità e stupidità, dove ancora gli stati nazionali sono retti da retorici discorsi sull’amor di patria e sui sacri valori, ec., bene, non possiamo non amare Ionesco. I nichilisti ci aiutano a mantenerci sempre in dubbio, a cercare altrove, a non cadere nei dogmatismi. Non è poco, anzi, è moltissimo.

Marco Innocenti, Ionesco il solitario in IL REGESTO (Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno X, N° 4 (40), ottobre-dicembre 2019

[Marco Innocenti è autore di diverse opere, tra le quali: articoli in Mellophonium; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l'Europa. L'immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d'occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sandro Bajini, Del modo di trascorrere le ore. Intervista a cura di Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2012; Sull'arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 - 11/2013; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006]

mercoledì 25 agosto 2021

Chissà dove si andrebbe a finire, se tutti si mettessero a studiare veramente


Se temete di essere magnificamente avvincenti e pensate che troppo entusiasmo da parte degli ascoltatori/interlocutori possa nuocervi, potete far uso di particolari accorgimenti - alcuni, peraltro, di facile applicazione e alla portata di qualsivoglia oratore o didatta - in grado di smorzare l’attenzione, la curiosità, il piacere e quindi di riportare il tutto su un normale tono di comunicazione vacua e burocratica.
Un metodo sempre valido è quello che potremmo definire delle “letture obbligatorie”. Lo si può applicare nei più svariati contesti, non solo nella scuola dove probabilmente ha avuto la sua origine (un esempio classico sono i compiti per le vacanze - che delizioso ossimoro! - imposti prima dal prof e in seconda istanza da un genitore), ma nelle esposizioni, nei concerti, in famiglia. Negli anni ’70 era assai diffuso in molti gruppi politici, specie in quelli di estrema sinistra. Consiste nel porre un determinato compito, non necessariamente una lettura ma anche la stesura di un testo, la visione di un film, ec., come un qualcosa da doversi eseguire assolutamente, al di là di qualsiasi motivazione esposta in chiaro o di ogni convincimento personale, pena l’incorrere in gravi conseguenze, che possono andare dal subire severi rimbrotti e reprimende sino all’essere considerato un reietto e un rifiuto della società. In questa classe di fenomeni potremmo far rientrare le letture punitive, imposte al reo per ammenda. Le cosiddette pene alternative saranno alternative, e vabene, ma sicuramente sono anche pene, e la pena è cosa ben diversa dal sacrosanto impegno che un soggetto si auto-impone per arrivare ad un certo risultato, od approssimarvisi, o volutamente mancarlo per decisa deviazione atta ad ottenere altro risultato che il quel momento lo aizza e scatena vie più. Invece, l’obbligo ci farà dispiacere tutto il nostro lavoro, che cercheremo di portare a compimento il più velocemente possibile onde passare ad altre attività e rimuovere al più presto tutti gli eventuali elementi appresi (o, più che appresi, appiccicati lì, come poveri ditteri sulla carta moschicida).
Un altro metodo, oggi molto in voga, è quello di fare discorsi o tenere lezioni seguendo le indi-cazioni dei corsi di Public Speaking. Ora, come un racconto scritto da un tizio che ha appena fatto un corso di scrittura creativa lo intercetti subito per la sua fragranza di finto, di sciapo, di com’è ben scritto, così, un oratore che vuol essere accattivante e probabilmente ha studiato tanto all’uopo, lo noti già nei primi secondi di loquela. Muove le mani, sorride, ha una voce ben impostata. Non è importante quello che dice, è importante come lo dice. A volte fa uso di buffe espressioni, sgrana gli occhi, fa le faccine e le faccette, si avvicina e si allontana dal pubblico (o dalla videocamera), mette qui e là dei punti esclamativi. Dice cose facili, magari già note od ovvie, che quindi sono ben accette perché si riesce a capire tutto all’istante. Escogita degli stratagemmi comunicativi, una spiritosata qui, una parolaccia là, per colorire un po’ l’insieme. Lo vedi, che fa l’autocompiaciuto, scherza, si fa l’autobiografia oppure fa il satirico, parla come si mangia (però bene, eh!), ha la sicurezza e la verità in tasca. È aggressivo, deciso, mima il pensiero (apre le virgolette con le dita, le chiude), dice “piuttosto che” in luogo di “oppure”, fa premesse e promesse da imbonitore, magari fa un lunghissimo preambolo per creare un senso di attesa, buon erede dei ciarlatani e del dottor Dulcamara. Vuole attirare, coinvolgere la platea, suscitare emozioni. Il tedio è assicurato.
Se però voi volete davvero annoiare, e a lungo, allora l’uso delle diapositive - oggi digitalizzate e definite slides - resta per ora insuperato. Tu spieghi una cosa e intanto si vede la slide: una sorta di tabella dove ci sono scritte proprio le cose che stai dicendo tu. Le diapositive di cartoline o quadri, poi, che meraviglia. Si fanno avanzare automaticamente, quindi hanno tutte un uguale tempo di visione, si procede con lo stesso monotono ritmo. Non ti soffermi quanto vuoi, secondo i tuoi interessi, ma sei costretto a seguire passivamente lo scorrere delle immagini. Purtroppo Emilio Praga, in una delle sue cronache d’arte, ahimè, scrive:
"Come giungere ad ordinare questo miscuglio di tele che ci opprimono e ci schiacciano tra loro, quest’orgia di colori che mutualmente si insultano e si distruggono? Calcolarli in categorie, quadri di storia, battaglie, paesaggi, mi sa troppo di espediente farmaceutico, e poi diventano inevitabili i confronti, mezzo di critica di cui non è bello abusare. Convien lasciarsi trascinare dalle proprie impressioni, far come il pubblico, gironzolare di sala in sala, fermarsi là dove l’attenzione è attratta o da un difetto o da una bellezza? Io mi appiglierò a questo ultimo partito, che mi sembra il migliore e potrò seguirlo ora che , aperta a tutti quanti l’esposizione, c’è modo e tempo di potervisi attendare. Per ora rassegniamoci a camminar difilati dall’uscio d’ingresso a quello d’uscita, e ci basti notare, come sono notati in una guida i principali monumenti di una città, le tele che ci balzeranno prime e così di sfuggita allo sguardo. Nei seguenti articoli ritornando su questi nomi, vi aggiungeremo quelli dimenticati nella fretta, o sottrattisi alle nostre ricerche".
Bisogna evitare atteggiamenti come questi del Praga. Non date retta ai teorici del disordine. Tutto deve essere sminuzzato, distribuito in parti uguali, imposto. Altro che lasciare libertà agli interessi soggettivi. La gente rischierebbe di imparare, acquisire capacità critiche, magari con uno studio che diventa anche piacere. Ma figuriamoci, ma non diciamo corbellerie! Chissà dove si andrebbe a finire, se tutti si mettessero a studiare veramente.

Marco Innocenti, Come annoiare il pubblico in IL REGESTO (Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno XII N° 3 (47), luglio/settembre 2021

 

[altri scritti di Marco Innocenti: articoli in IL REGESTO, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM); articoli in Mellophonium; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l'Europa. L'immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d'occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sandro Bajini, Del modo di trascorrere le ore. Intervista a cura di Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2012; Sull'arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 - 11/2013; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006]


mercoledì 19 maggio 2021

Insiemi galoppanti di gag


Pubblicato da Rizzoli Lizard (casa editrice fondata come Lizard da Hugo Pratt nel 1993, e poi assorbita nel 2008 dal gruppo RCS) è uscito qualche tempo fa un volume che raccoglie tutte le strisce di Topolino apparse dal gennaio 1930 ai primi del 1932. È una pubblicazione integrale del materiale dell’epoca, comprese quindi le strisce di raccordo, che non costituiscono una vera e propria storia ma intessono una serie di gag fra una vicenda e l’altra. Ogni striscia infatti è costituita da una serie di vignette - di norma quattro - destinata alla pubblicazione sulla pagina di un quotidiano. Costituisce lo snodo di una storia, l’elemento di una sequenza, ma tende ad essere autoconclusiva, a risolversi in un finale divertente - o, talvolta, di sospensione e di tensione. Nell’insieme formano un’avventura, che ha un suo esordio, un suo sviluppo e una sua fine ma che talvolta è portata a sfilacciarsi in una sorta di coda fatta appunto da un accumulo di trovate, come tante varianti inerenti un certo soggetto o un certo personaggio (come, per citare un paio di esempi presenti in questo volume, le strisce dal 5 gennaio al 10 gennaio 1931 su Topolino autista o quelle dal 30 aprile al 30 maggio, sempre del 1931, sui tentativi dell’ex criminale Sgozza di diventare un membro dell’alta società). Non si tratta, in questi casi, insomma, di storie ma di insiemi galoppanti di gag, come d’altronde capita con molti film muti (pensiamo ad Harold Lloyd, a Laurel & Hardy) e con molte storielle degli albi a fumetti.
Leggendo queste prime avventure di Mickey Mouse ci troviamo immersi in un’America rurale, appena subito dopo il grande crollo del 1929. E del New Deal, della voglia di reagire e di vivere con ottimismo, Topolino, insieme ai Tre Porcellini, sarà un simbolo e un protagonista.
È un’America semplice, povera, proletaria e contadina.
Topolino è simpatico e onesto ma anche monellesco, con singolari (ma non casuali) analogie con il Chaplin di quegli stessi anni, con cui condivide persino certe scelte tematiche, dalla vita nel circo all’incontro di boxe.
Il dover procedere striscia per striscia porta naturalmente all’invenzione di nuovi ritmi e di particolari tecniche narrative (bellissimi i sunti delle vicende precedenti, naturalmente immessi nella vignetta per facilitare la comprensione al lettore del giornale, e che ora, leggendo la storia nel suo insieme, mantengono un loro valore di commento fuori campo, quasi un effetto eco).
L’autore principe di queste storie a fumetti è Floyd Gottfredson, nato nello Utah nel 1905: feritosi gravemente ad un braccio in un incidente di caccia all’età di undici anni, è costretto ad una lunga convalescenza.
Racconta: “Ero iscritto ai Lone Scouts. Avevano una rivista a tiratura nazionale, e mio zio scrisse loro raccontando del mio incidente, e chiedendo agli altri membri di scrivermi. Bambini di tutto lo stato presero a spedirmi lettere e regali, tra cui 42 libri di Horatio Alger. Da allora gravitai tra libri d’avventura e storie poliziesche”.
Gottfredson sarà coadiuvato da vari collaboratori, fra cui Al Taliaferro. Ma è lui il grande artefice di questa saga topolinesca. Non subito, però. Per i primi mesi l’autore delle sceneggiature è Walt Disney: e qui, come in una sorta di appendice, verso la fine del volume, viene ripubblicato quello che è il primo fumetto disneyano in assoluto, noto come Topolino nell’isola misteriosa, scritto appunto da Disney e con i disegni di Ub Iwerks prima, di Win Smith poi. Disney sarà ancora l’autore (sino al 17 maggio del 1930) delle prime strisce di Topolino nella valle infernale, l’avventura in cui, ad un certo punto, fa il suo esordio Gottfredson. Una storia, questa, dove si fondono i toni del melodramma e dell’epica, dove si miscelano i generi del western e dell’horror, con felici commistioni a cui il fumetto e il cinema ci avrebbero poi abituati.
Ma in tutte queste prime pagine, ed è una delle emozioni che si possono provare leggendole, assistiamo alla genesi del mondo disneyano, con il suo realismo ironico, la fusione fra comico e drammatico, le invenzioni fantastiche. E certi personaggi veri, palpabili: dal boxeur Ruffo Ratto a Felice detto il bel gagà.
Il tutto è corredato da schede introduttive per ogni storia, divagazioni critiche, documenti d’epoca (copertine, disegni promozionali, strisce apocrife, articoli di giornale). Alcuni di questi reperti sono curiosi e di grande importanza: basti citare una striscia scritta e disegnata da Disney nel 1920 circa, Mr. George’s Wife, oppure la riproduzione di alcuni disegni originali di Gottfredson per la Valle infernale, dove si nota quanto gli schizzi a matita fossero più dinamici ed eleganti rispetto alla successiva e un po’ goffa inchiostrazione.
Detto tutto il bene che abbiamo detto su questa pubblicazione, facciamo un piccolo appunto. Nuoce il politically correct affiorante qui e là come un’ossessione: “Tenete conto, a ogni modo, che le stelle Disney non approvano più certe abitudini malsane - ad esempio, il fumo - come facevano occasionalmente in questi pezzi d’annata”, “Non è possibile giustificare del tutto dei clichè prodotti in un’epoca meno illuminata dell’attuale”, “Infine, notate come nei primi anni Trenta anche un personaggio celebre come Topolino potesse essere di cattivo esempio”… Ma pazienza. Tanto sappiamo tutti che Disney era molto più cattivo di come poi lo avrebbero voluto - e lui stesso si sarebbe voluto - dipingere.
Walt Disney presenta Topolino nella valle infernale di Floyd Gottfredson (titolo originale: Walt Disney’s Mickey Mouse: “Race to Death Valley”), a cura di David Gerstein, Gary Groth, Fabio Gadducci, Rizzoli Lizard (RCS Libri su licenza Disney), Milano 2012
Marco Innocenti, Topolino in una raccolta, IL REGESTO (Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno VI, n° 4 (24), ottobre-dicembre 2015

[ tra gli altri lavori di Marco Innocenti: Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l'Europa. L'immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d'occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sull'arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 - 11/2013; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006]

martedì 16 marzo 2021

Questa matita

Sandro Bajini - Fonte: Teatrionline

"I luoghi della tua fanciullezza / non sono un ermo colle / o il sottobosco coi suoi mirtilli, / è un cortile assolato, / il bagno nella tinozza, / il sapone che si faceva  / sempre più esiguo (per pudore?), / o i giochi sotto la neve, / il richiamo di zie inquiete, / il broncio della rinuncia, / quand’eri felice e non lo sapevi"
Sandro Bajini, da Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017

"Questa matita / ch'io uso talvolta e gli altri mai, / questo curioso connubio / di legno e di grafite in cilindrica veste, / sarà ancora qui quand'io sarò là: / questo mi dico / e subito qualcuno / in tono perentorio mi assicura / ( sa il diavolo da chi lo ha saputo ) / che immortale è invece l'anima mia, / come del resto tutte le altre; / ed io che non sapevo di averla / (come si fa sapere se hai l'anima o no?) / non so se devo rallegrarmi"
Sandro Bajini, da Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015

Parafrasi da Lamennais:
"Perché andare incontro / alle esigenze dei poveri / quando si può contare / sulla loro rassegnazione?"
Parafrasi da Barbusse:
"Israeliani e palestinesi / non sono più due popoli / che si uccidono a vicenda / ma un unico grande popolo / che si suicida" Sandro Bajini [...] Domani pomeriggio alle 16.30, presso il Museo Civico Borea d’Olmo di Sanremo, Marco Innocenti presenterà l’ultimo libro di Sandro Bajini ‘Del modo di trascorrere le ore. Conversazioni sul teatro, la poesia, la politica e tutto il mondo universo attraverso la biografia di un autore’ (Philobiblon Edizioni). Si tratta di poesie tratte dalla raccolta ‘Ipogrammi’ dello stesso Bajini, che verranno lette da Alberto Guglielmi e Michele Guarnaccia. In programma anche un intervento musicale del contrabassista Giuliano Raimondo.
Sandro Bajini è commediografo, narratore, poeta, traduttore. In questo  libro-dialogo, che è intervista e biografia si racconta con l’ironia che lo contraddistingue e ne fa un autore satirico graffiante e un maestro del paradosso. Il libro è ricco di episodi anche molto divertenti e descrive una galleria di personaggi che l’autore ha conosciuto e frequentato (Giulio Preti, Giorgio Strehler, Eduardo De Filippo, Carmelo Bene, Dario Fo, Enzo Jannacci e numerosi altri.) Un libro divertente, ironico, dissacrante [...] Chiara Salvini, ... Pensieri di Capodanno 2014/2015...neldeliriononeromaisola, 20 gennaio 2015

"Non è vietata la speranza ma è molto difficile che questo accada, quando i nostri ideali sono gli stessi del nostro avversario"
Sandro Bajini in Marco Innocenti, Sull’arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010

"È la lontananza che fa lo stupore. E a tal proposito vi dico subito che lo stupore sul mio pianeta esiste in misura molto limitata, e così dicasi di un suo derivato, la meraviglia. Noi siamo ricchi di materie prime, come l’elio, il bicarbonato, il seltz, gli idrati di carbonio, il pritanio (un minerale che esiste solo da noi), i biscotti, il tetracloruro di berillio, i tovaglioli, ma manchiamo di stupore. Sì, ce n’è un po’ qua e là, nel suolo e nel sottosuolo, ma del tutto insufficiente al fabbisogno, che è piuttosto elevato, poiché la gente è stufa di non stupirsi più di niente".
Sandro Bajini

E’ questo che m’inquieta.
Non puoi muovere un passo
Che inciampi in un poeta
Sandro Bajini

Avete mai provato a recitare? Io sì. Se fossi un attore, evidentemente questa risposta sarebbe cretina. Ma non sono un attore, anche se in anni lontani ho scritto e fatto rappresentare diverse cose per il teatro. Tuttavia sul palcoscenico, a recitare un testo qualsiasi, non ero mai salito.
A farmici salire provvidero le circostanze. Non dico in quale anno, per evitare malinconie. Vi basti sapere che in quell’anno (ma sì, diciamolo, era il 1970) il regista Fantasio Piccoli, che dirigeva il teatro San Babila di Milano, mi incaricò di scrivere un testo per le scuole, che rievocasse la vita e le opere di Carlo Goldoni. Lo spettacolo non entrava nel cartellone ufficiale, si sarebbe rappresentato al mattino per le scuole milanesi, e doveva costare poco.
L’interpretazione era affidata ovviamente agli attori minori della compagnia, dove per “minore” si intende quell’attore che, talvolta bravissimo, non può sostenere le prime parti perché non ha fama sufficiente né certe caratteristiche esteriori e vocali (ci vogliono anche quelle; un attore di bassa statura non potrà mai essere Agamennone).
Avevo con Fantasio un rapporto di amicizia. L’anno precedente avevo tradotto due commedie per il suo teatro, una di Shaw e una di Feydeau, che avevano avuto successo, soprattutto per l’interpretazione di formidabili attori come Renzo Ricci, Eva Magni ed Ernesto Calindri; ma devo ricordare anche le due attrici giovani: Bedy Moratti, sorella dell’attuale presidente dell’Internazionale (ovviamente, la squadra di calcio) e Valeria Ciangottini, che di fatto debuttava in teatro dopo la sua mitica comparsa nella Dolce vita di Fellini.
Mi misi all’opera e presentai il mio Processo a Goldoni, dove il processo era quello che le antiche “maschere” muovevano al riformatore Carlo Goldoni.
Vi erano ovviamente inserti di canovacci dell’Arte e di opera goldoniane, i polemici interventi di Giuseppe Baretti e di Carlo Gozzi, insomma una panoramica storica che partecipata drammaticamente diventava una “lezione” divertente.
Fantasio lodò il mio lavoro, ma nel pensare alle parti si trovò subito in imbarazzo. Non vedeva fra gli attori che aveva a disposizione chi potesse interpretare Goldoni. Il personaggio appariva in scena ormai vecchio mentre scriveva le sue Memorie.
Gli avevo affidato il compito del narratore, mentre la vicenda si svolgeva in “flash back”. Il protagonista era lui, ma la sua non era una grande parte. E del resto gli attori disponibili avevano già una loro importante funzione nello spettacolo.
Come fare? A un certo punto Fantasio mi disse: “Perché Goldoni non lo fai tu?”.
Potete immaginare il mio stupore. Fantasio aggiunse che non scherzava, che mi aveva sentito mentre leggevo le cose mie e che era sicuro che avrei fatto bene.
“Hai delle doti native di attore” mi disse. E aggiunse: “Posso avere qualche dubbio su di te come drammaturgo; ma come attore mi dai il massimo affidamento”.
Come accade nelle proposte di matrimonio, mi lasciò qualche giorno per pensarci. Ebbi anch’io la mia “notte dell’Innominato”, poi con una incoscienza che vorrei chiamare giovanile (ma non posso perché avevo varcato da poco i quaranta) mandai ogni dubbio al diavolo e dissi sì.
La mia avventura incominciò subito con le prove. E fu davvero un’avventura perché mi consentì di fare scoperte del tutto impreviste.
La prima cosa che appresi fu che non dovevo affatto “diventare un altro”. Mi convinsi ben presto che non dovevo “mettermi nei panni di Goldoni”, perché era invece Goldoni che si metteva nei panni miei. Non aveva la minima importanza che egli fosse nato più di due secoli prima. Avevo letto le sue opere più importanti e qualcuna delle sue meno note, e mi sembrava di averle scritte io. E i fatti della sua vita erano diventati fatti miei.
Naturalmente avevo bisogno dei suoi Memoirs per sapere che cosa mi fosse accaduto nel 1750; ma non perché quegli eventi non mi riguardassero ma perché dopo tanti anni li avevo, per così dire, dimenticati. E quando scoprivo che cosa avevo fatto e detto mi veniva da pensare: “Ah, sì, ora ricordo”.
Che cosa dunque voleva dire, per me, “recitare”? Adesso lo sapevo: voleva dire “ricordare”. Ed ero io che ricordavo, non lui. Lungi dal sentirmi un altro, proprio nel “recitare” sentivo di essere me stesso. Compresi allora un fatto apparentemente paradossale: è nella vita che si recita, non nel teatro. Nella vita domina il relativo, e le circostanze ci costringono ad assumere un ruolo. Non è possibile avere rapporti sociali senza questa “maschera”, come ci ricordò a suo tempo Pirandello. E come sappiamo bene, per ottenere determinati scopi, qualche volta un individuo finge sentimenti che non ha.
In una sola situazione egli non può fingere: quando recita sopra un palcoscenico un testo della letteratura drammatica. L’attrice che presta la sua voce a Giulietta sarebbe bugiarda soltanto se dicesse a Romeo che non lo ama; ma non può.
Giulietta ama Romeo in eterno, e non sono possibili dubbi: sta scritto.
Recitando, ossia rivivendo, l’attrice ha la possibilità, unica, di essere finalmente sincera. Non avrà mai, nella sua vita privata, un’occasione migliore per dichiarare il proprio amore a qualcuno con altrettanta certezza; e sulla sincerità dei sentimenti di Giulietta, e quindi dei propri, è garante Shakespeare.
Compresi allora che il teatro (grande o piccolo, può essere un capolavoro drammatico o una farsaccia) ha un grande potere liberatorio e consente agli attori di vincere le proprie nevrosi, come è stato sostenuto.
Anche a me capitò la stessa cosa.
Mi sentivo leggero, ilare, puro in tutti i sensi.
Le recite andarono bene, le scolaresche furono attente al di là del ragionevole (ne temevo le intemperanze).
Ma non è questo che importa. Avevo attuato senza volerlo una psicoterapia di cui avevo bisogno.
Sandro Bajini, Come è bello recitare, La Forza di Vivere, Anno XXVI, n° 2, ottobre 2009

[...] [Sandro Bajini] Drammaturgo, narratore e scrittore, laureato in medicina, si è dedicato interamente alla scrittura fin dagli anni '60: ha tradotto Molière, Marivaux, Feydeau, Ionesco, è stato autore di testi satirici per il teatro che gli valsero talvolta le ire della censura (Come siam bravi quaggiù, con Vittorio Franceschi, 1960, Il capitale morale, 1961), talvolta metaforici e amaramente ironici (Dinner, con Gina Lagorio, 1983), e successi acclamati come MefistoValzer con Tino Buazzelli (1977) Bajini spazia attraverso molte attività: dalla saggistica teatrale per l’editore De Angeli (è stato per decenni insegnante di Storia del teatro all’Accademia dei Filodrammatici), all’attività editoriale (è stato responsabile della Sezione Teatro per Garzanti), agli interventi giornalistici (ha diretto Tempo medico) fino alla poesia e alla narrativa, agli spettacoli di marionette per Gianni Colla (La regina della neve, con scene e costumi di Luigi Veronesi, 1988-89).
Giocati sul paradossale, sul satirico, sull’umorismo nero, i testi di Bajini sono costruiti attraverso aforismi, trovate, jeux de mots.
Redazione, Chiacchieratine con Sandro Bajini, Teatrionline, 22 gennaio 2021

venerdì 5 marzo 2021

Per Sanremo Landolfi girò come un evanescente lupo mannaro

Sanremo (IM): uno scorcio del vecchio porto

Tommaso Landolfi era un signore coi baffetti, elegante, dallo sguardo pungente. Aveva modi ironici, che erano forse quelli d’un raffinato uomo dell’Ottocento, o forse quelli d’un personaggio immaginario di qualche novella fantastica e tenebrosa.
Rifuggiva dai curiosi, dai critici, dagli intervistatori (ma esiste una sorta di sua intervista filmata, bellissima, una breve conversazione con Leone Traverso, in occasione del premio Montefeltro a Urbino, dicembre 1962: unica folgorante eccezione che egli fece al suo “non esserci mai”).
Nella sua vita frequentò ritrovi e locali, come le Giubbe Rosse a Firenze, viaggiò, scrisse lettere, si sposò. Ma era di un pessimismo cupo, angosciato dall’idea della morte. Detestava il pubblico, non voleva partecipare a incontri mondani, esibirsi, spiegarsi: non ne aveva proprio nessuna voglia.
Sapeva essere scortese quasi con arte. Fatto sta che taluni episodi diventarono presto leggenda. Le sue battute gelide e spietate, i comportamenti talvolta incomprensibili e comunque lontani dalle solite norme di buona convivenza, un alone di mistero che comunque lo circondava, l’anticonformismo e il non badare alle convenienze - che gli costeranno anche il carcere per antifascismo – lo portarono ad essere un personaggio fascinoso, scostante, brillante.

Leone Piccioni, in Maestri e amici, 1969, racconta uno dei tanti aneddoti: Natta, uno scrittore ligure morto pochi anni fa, di acutissimo spirito e di grande vivacità nella conversazione (e che certo aveva stretto amicizia con Landolfi nelle zone di San Remo che ospitavano quasi naturalmente Natta, e che vedevano molto assiduo Landolfi per la vicinanza della casa da gioco), raccontava che Landolfi usava passare qualche ora al Caffè Greco a Roma in sua compagnia.
Una bellissima e celebre donna, che si era invaghita di lui (…) cercava di salutarlo, urtando nella sua indifferenza. La cosa andava avanti di giorno in giorno - stando ai racconti di Natta - ; sin quando infine lei riesce a rivolgergli la parola. E Landolfi, severo, indicando Giacomo Natta: “Non parli a me. Si rivolga al mio segretario”
.

Landolfi comincia a risiedere a Sanremo verso la fine del novembre 1958 (ma già conosceva la città, che compare in alcune pagine narrative de La bière du pecheur, 1953, e vi era stato persino in viaggio di nozze nel 1955). Dal 1962 prende una casa ad Arma di Taggia. L’estate del ’64 la passa a Bajardo con la famiglia (c’è un reportage in merito, in Un paniere di chiocciole). Nel ’68 lascerà la casa di Arma ma lì, proprio in quell’anno, vi aveva iniziato Viola di morte. L’altra raccolta poetica, Il tradimento, sarà scritta prevalentemente a Sanremo nei primi mesi del ’75.
Nella casa di Arma di Taggia si recava la sera e lì nottetempo (ogni notte, si racconta, con al fianco una bottiglia di liquore, debitamente consumata nella sua intierezza) scriveva. Poi al giorno rientrava nella casa di Sanremo per dormire. La moglie - la Maior - e i due figli - Minor e Minimus - dovevano cercare di essere il più silenziosi possibile per non disturbarne il riposo.
Si racconta. Perché, per quanto riguarda molti particolari, ignoriamo come stessero davvero le cose: Landolfi, nel suo personale fastidio per la socialità e la condivisione, coltivò (se non il suo mistero, giacché questo vien da sé, per chiunque) un riserbo assoluto, e non si prestò a nessuna indagine di gazzettieri, cattedratici et similia. Lasciò che su di lui si raccontassero sempre gli stessi aneddoti, e nulla concesse. Però nei suoi libri, e non solo nei diari, appaiono rivelazioni, narrazioni autobiografiche, confessioni, seppur a volte interrotte o auto-commentate con procedimenti di falsificazione e di annientamento. Ma talvolta anche con squarci di grande, intima tenerezza. Così, ad esempio, in Des mois, 1967: “La voce del Minimus è in fiocchi come la neve; richiama anche certe nuvole in falde, nell’azzurro”. E proprio in questo diario, dove si parla di “vento freddo marino” e del “signor X conducente di filobus”, ci pare di intravedere qualcosa di sanremese. Magari ci inganniamo, ma sia quel che sia ad un certo punto appare la seguente annotazione: Tutte le sere passo davanti al «Pesce d’oro» (trattoria), e mi torna a mente quest’altro bel verso: «Alle parole di quel pesce d’oro». Che poi a rigore non è neppure un verso, così privo, nonché di senso compiuto, perfino di verbo. (Si parla di poeti d’un verso solo: che se ne dia anche di nessun verso?).

E senza alcun dubbio, perché qui la cosa è dichiarata sin dal titolo, descrive il ritorno nella città ligure in un’altra sua pagina, Un giorno a San Remo, pubblicata su “Il Mondo”, IV, n. 6, del 9 febbraio 1952 (col titolo La prova del nove), e poi inserita in Ombre, 1954, e replicata in Se non la realtà, 1960.
Sotto la banalità apparente di una piccola guida a uso del turista Landolfi dipana la sua scrittura: “Il vecchio albergo Europa è il preferito dei giocatori, situato com’è esattamente a pochi passi e a mezza strada tra il Casino e la stazione”. E riposatisi alquanto dall’interminabile viaggio, si può procedere a talune di quelle pratiche, o più semplicemente giratine, che son quasi dei riti. Si può, così, imboccare oziosamente il corso Matteotti e raggiungere l’ampia e luminosa piazza Colombo; di qui scendere all’incantevole porticciuolo, specchio sempre lustro su cui, quasi all’ombra delle grandi palme, stanno sempre allineate numerose barchette dai più vaghi colori; spingersi per la gittata fino al piccolo faro, costeggiando dapprima il vecchio forte dove ora son le carceri, oltrepassando poi una trattoria con sul davanti due acquari o vivai, due scatolone di vetro insomma, dove sempre qualche povera granseola, ritta per l’angustia della sua prigione sulle zampe di dietro, danza la sua «danza indiana».
Oppure si può attraversare la strada ferrata e... riuscire al corso Imperatrice, la bella e sempre fiorita passeggiata sul mare, che non ci si priverà di percorrere fino in cima, fin dove, cioè, una marmorea Flora, più simile per la verità a un cocomero di mare che a una donna, protende dal centro d’un’aiuola il ventre e lo stomaco rigonfi. Si può invece ascendere quella sorta di ravviata casba che è la città vecchia, fino alle apriche piazze soprane.

Per Sanremo Landolfi girò come un evanescente lupo mannaro. Negli ultimi tempi fu visto a passeggio con la figlia Idolina, magrissimo, con un bastone rigorosamente tenuto sollevato e mai posato a terra. Se un aneddoto può avere la funzione di piccola rivelazione critica, possiamo allora ricordare qualche minimo episodio che ci fu rivelato da chi ebbe la ventura di conoscere l’“invisibile” Landolfi.
Così Franco Monti, compagno di scuola della figlia (lei appariva ogni tanto con un vestito nuovo, quando il padre vinceva un premio letterario), ci evoca un Landolfi che, davanti ad una chiesa al termine della Messa, prorompe in un «Dovrebbero chiamarla smessa!». Giancarlo Manderioli lo ricorda con un lungo cappotto: osa confidargli sue ambizioni letterarie, e Landolfi gli intima: «Ma la smetta! Ma lasci perdere!». E Silvia Cassini, anch’essa coetanea della figlia e oggi regista di teatro musicale, ricevette un giorno una telefonata: «Idolina sta arrivando» (lo sfuggente scrittore, che si chiudeva nel suo studio se la figlia invitava degli amici in casa, amava poi fare queste improvvisate). «Oh, buongiorno, è lei», replica sorpresa la giovane.
Naturalmente, al nome Silvia, Landolfi non si lascia sfuggire un riferimento all’Aminta del Tasso.
Silvia Cassini rimane basita, si fa cogliere impreparata, e così deve subire tutta la scherzosa reprimenda: «Ma cosa vi insegnano mai a scuola?», ecc.
Letizia Lodi ci racconta che Landolfi era grande amico del padre Filiberto Lodi, ingegnere ferrarese trapiantato in Riviera e avverso alla speculazione edilizia (e amico, infatti, anche di Italo Calvino):
Landolfi veniva spesso a pranzo da noi, adorava davvero mio padre, lettore accanito, onnivoro e che sapeva un po’ di russo, e per me è stato oltre a Italo, una fonte continua di apprendimento di una cultura ben diversa… ricordo anche una straordinaria lezione di Landolfi su Michelangelo e la Sistina... […] mi veniva a prendere [al liceo Cassini] per andare a pranzo alle 4 stagioni […] io ero imbarazzatissima, con quell’uomo vestito in scuro elegantissimo, nobile, un pezzo di letteratura vivente, tanto che stavo sempre muta…

Anche con Letizia Lodi Landolfi ama le apparizioni sorprendenti. Alla festa per i suoi diciott’anni, non invitato, era apparso suonando alla porta, con imbarazzo di Idolina, che era tra gli ospiti scatenati e urlanti di quella sera… e aveva portato un mazzo di rose rosso scure […]
Era sì sfuggente, dai media e dalle relazioni, ma con alcuni era affettuoso addirittura e imprevedibile… come l’apparire la sera del compleanno e stare un po’ coi giovani…
In quel tempo collaborava al Corriere della Sera: avanzò la pretesa che qualcuno venisse a Sanremo a ritirare il suo scritto, si nascondeva di notte dietro il monumento a Garibaldi opera di Bistolfi, sbucava fuori all’improvviso, consegnava l’articolo, poi si celava nuovamente dietro la statua.
Questa sembra proprio una storia inventata, ma ci viene da fonte familiare, vicinissima allo scrittore.
Roberto Colombo gli donò (il tramite fu la moglie dello scrittore) una sua piccola opera pittorica: una superficie bianca su cui appariva un quadratino. Era un’idea del volo. Il pensiero di associarla a Landolfi era nato in Colombo dalla lettura di una poesia compresa in Viola di morte, 1972, che così inizia:

Sogno sovente di librarmi a volo:

Nei giorni primi della stirpe umana
Certo volavo quale uccello al brolo 

O quale scimmia d’una in altra rama -
O forse quale un angelo celeste ?

Il sogno di volare come desiderio fondamentale, “la sindrome di Icaro”, come dice lo stesso Colombo. E un giorno, mentre è nel suo negozio di abbigliamento in via Feraldi, a leggere indolente il giornale dietro il banco, entra un signore: «Sono Tommaso Landolfi. La volevo ringraziare per il quadro». Colombo alza gli occhi, fa forse in tempo a salutare, cerca di mettere a fuoco ciò che è successo, esce sulla soglia del negozio: nel giro di pochissimi secondi Landolfi è scomparso, cercandolo con lo sguardo lo si intravede lontano svoltare svelto l’angolo in fondo alla via.

Tommaso Landolfi, Opere, tomo I (1937-1959) e II (1960-1971), a cura di Idolina Landolfi, prefazione di Carlo Bo, Rizzoli, Milano 1991 e 1992

Marco Innocenti, Tommaso Landolfi a Sanremo, in IL REGESTO, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM), anno V, n° 1 (17), gennaio-marzo 2014 

[ tra gli altri scritti di Marco Innocenti: è autore di diversi lavori, tra i quali: articoli in Mellophonium; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l’Europa. L’immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d’occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sull’arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006 ]

 

giovedì 31 dicembre 2020

In realtà, Talbot aveva praticato a lungo la pittura

William Henry Fox Talbot, fotografato nel 1864 da John Moffat -
Fonte: Wikipedia

Nei primi decenni dell’Ottocento, fra i grand-touristi che esplorano in lungo e in largo l’italica penisola, c’è anche William Henry Fox Talbot: è sul Lago Maggiore con la moglie, che è un’abile pittrice. Talbot assai meno, e cercando di riprendere gli ambienti che gli si parano davanti agli occhi inciampa in notevoli difficoltà tecniche. Non si sa se per sconforto o ira ma - così si racconta - decide di gettar via l’armamentario da pittore e di studiare un metodo automatico per riprodurre ambienti e paesaggi.

In realtà, Talbot aveva praticato a lungo la pittura (e fu anche un letterato e un decifratore di scritture cuneiformi) ma era infine giunto all’idea che questo mezzo non riusciva a rappresentare il mondo nella sua complessità.

Pensò allora - come in quegli anni anche altri stavano pensando - di percorrere la “strada della luce”, cioè di utilizzarne l’azione diretta per creare immagini foto-chimiche.

L’uso della luce per creare immagini era studiato già da secoli, e ce ne racconta qualcosa Francesco Ginatta (“giovine molto competente in questa materia, per aver frequentato riputati stabilimenti fotografici della Francia e dell’Austria”, come spiega …, e specialista degli ingrandimenti indelebili al carbone, secondo quanto egli stesso dichiarava), fotografo nella Sanremo del XIX secolo: La fotografia è fondata sull’azione della luce, e quest’azione fu riconosciuta prima dai greci. Vitruvio aveva rimarcato che il sole alterava certi colori e metteva i suoi quadri in una sala esposta al nord. Però il trovato del Porta, il quale inventò la camera oscura fu l’origine della fotografia. Nel 1556, poco tempo dopo dell’invenzione della camera oscura, un alchimista, Fabricio, trovò il cloruro d’argento, osservò la proprietà di quel sale di annerire sotto l’azione della luce, e per mezzo d’una lente egli prospettò sul cloruro d’argento un’immagine che vi rimase impressa. Era già un bel risultato, ma quello scienziato ricercava la pietra filosofale e passò quindi oltre […]

Nel 1834 William Henry Fox Talbot fa esperimenti sull’immagine latente, da rivelare grazie a particolari sostanze, esperimenti che sono già un primo esempio di quel processo che in seguito sarà chiamato “sviluppo”: Proposi di spargere sopra un foglio di carta una sufficiente quantità di nitrato d’argento, e di porlo alla luce del sole, avendo prima collocato avanti la carta qualche oggetto che vi gettasse una ben decisa ombra. La luce agendo sul rimanente del foglio, naturalmente lo annerirebbe, mentre le parti ombreggiate riterrebbero la loro bianchezza.

I fogli risultano sorprendentemente colorati: Le immagini ottenute in questo modo sono bianche; ma il fondo, sul quale si disviluppano è variamente e piacevolmente colorato.
Tale è la varietà, di cui il processo è capace, che soltanto col cambiare le proporzioni, e qualche lieve dettaglio di manipolazione si ottengono varj dei seguenti colori:

Bleu Celeste
Giallo
Color di rosa
Bruno di varie gradazioni
Nero

Il verde unicamente non è compreso, ad eccezione di un’ombra oscura di esso, che si approssima al nero.

Talbot, Disegno fotogenico, 1839
Fonte: Wikipedia

Realizza icone “in negativo”, ponendo foglie o spighe su un foglio particolarmente trattato - un gesto che chissà quanti avevano già fatto e chissà quanti altri poi faranno, dai facitori di erbari a Man Ray - ed esponendo il tutto ai raggi solari.

Sono i disegni fotogenici: Il primo genere di oggetti, che provai di copiare con questo processo furono fiori e foglie freschi e scelti dal mio erborario, ed apparvero della maggiore verità e fedeltà, offrendo anche le diramazioni delle foglie, i minuti peli, le tessiture delle piante, ecc.

Talbot, Latticed window, immagine ricavata dal più antico negativo esistente, 1835
Fonte: Wikipedia

All’inizio non riesce a stabilizzare queste immagini che per poche ore soltanto: le foto da lui ottenute continuano ad essere suscettibili alla luce. Occorreva bloccare il successivo annerimento. Nel 1835 studia la qualità dei sali d’argento, le concentrazioni necessarie, le procedure per eliminare l’argento non ossidato. Grazie a Sir Frederick William Herschel conoscerà le proprietà fissative del tiosolfato e quindi troverà un metodo sicuro per arrestare l’annerimento. E nel 1841 mette a punto la tecnica della calotipia (detta poi talbotipia): adoperando carta resa trasparente dalla paraffina e sensibilizzata con bagni in soluzioni di cloruro di sodio e nitrato d’argento e sviluppando poi l’immagine con acido pirogallico: otteneva così un negativo dal quale era possibile trarre un qualsivoglia numero di copie.

Nel 1844-46 Talbot darà alle stampe il fotolibro The Pencil of Nature, a cui seguirà, nel 1848, Sun Pictures in Scotland.

Lo studio di Talbot a Reading
Fonte: Wikipedia

Quel che è certo, dunque, è che, quando viene inventato il dagherrotipo, lo scienziato inglese già da molti anni stava sperimentando le sue mouse traps, cioè le prime box fotografiche, riuscendo a riprodurre scorci del “mondo vero”.

Marco Innocenti in Sanremo e l’Europa. L’immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018



 

[  Marco Innocenti è collaboratore de IL REGESTO, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM) ed autore di diversi lavori, tra i quali: Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d’occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sull’arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006  ]

 

venerdì 18 dicembre 2020

Gli artisti Enzo Maiolino e Giuseppe Balbo

Giuseppe Balbo, Ritratto di Enzo Maiolino - Fonte: Archivio Balbo

Scrive Enzo Maiolino nel suo libro Non sono un pittore che urla [Conversazioni con Marco Innocenti, con uno scritto introduttivo di Leo Lecci, Ventimiglia,  Philobiblon, 2014]:

"Balbo  fu l’incontro più importante dei miei vent'anni. Devo a Balbo, alla sua generosità, la realizzazione del sogno della mia adolescenza: diventare pittore".


Balbo e Maiolino si sono conosciuti nel 1946, quando Enzo si unì ad un primo gruppo di pittori che cominciò a radunarsi  nello studio allestito [in Bordighera (IM)] da Balbo al ritorno dall’Africa. "Noi, allievi della sua Scuola serale, fummo subito etichettati “pittori dilettanti” o “pittori della domenica”.".

Balbo insegnava a “vedere” da pittore. Cosa complessa, una vera e propria tecnica. La scelta del soggetto, la comprensione dell'”insieme”, l’osservazione e il confronto tra i vari elementi, la percezione dei “valori” chiaroscurali e tonali, ecc. Tutto ciò, insomma, che precede la trasposizione di un soggetto sul supporto (carta, tela, tavola)… Secondo me Balbo conosceva molto degli antichi procedimenti. Come provava la sua consuetudine, specie nelle tempere murali, di abbozzare con toni freddi e procedere, poi, con velature di colori caldi”.
"Poiché ognuno di noi si guadagnava da vivere con un secondo mestiere, a volte, la domenica, la Scuola al completo si trasferiva in campagna per esercitazioni en plein air." (Maiolino, op.cit.) 
 
L’incontro fu fondamentale per la formazione del giovane pittore, ma fu importante anche per Balbo, che trovò in Enzo e nel fratello Beppe Maiolino due validi collaboratori. In particolare Beppe Maiolino, come fotografo, ha documentato momenti importanti della Mostre organizzate da Balbo.

I percorsi artistici di Balbo e Maiolino andranno avanti in autonomia, ma resterà sempre tra di loro un legame speciale, una vicinanza artistica nonostante gli opposti mondi pittorici. In particolare Maiolino  scrive due attente recensioni nel 1966 e nel 1972, in occasione delle personali di Balbo, rispettivamente nella galleria del “Piemonte Artistico Culturale” di Torino e nella galleria della “sua” Accademia di  Bordighera.
In particolare, nel 1972,  Maiolino analizza con grande efficacia il mondo di Balbo:"… l’eclettismo di Balbo, più appariscente nelle due precedenti mostre, appare in questa più contenuto e un attento esame delle opere esposte ci permette una più serena riflessione sulla sua opera. La quale , a nostro avviso, presenta due aspetti fondamentali: il primo riguardante il diretto contatto del pittore con alcuni aspetti della realtà circostante; il secondo, l’estrinsecazione del suo mondo fantastico nel quale confluiscono spesso suggestioni letterarie e una sincera componente “surrealista”…".

Enzo Maiolino e Giuseppe Balbo - Fonte: Archivio Balbo

Alla fine di questo articolo Maiolino si sbilancia:
Augurandogli altri lunghi anni di sereno lavoro, sentiamo che ci riserverà ancora delle sorprese (il suo recente entusiasmo per alcune tecniche calcografiche mai prima sperimentate, ci fa ben sperare in tal senso).

Enzo Maiolino, La Cattedrale di Ventimiglia (tempera) - Fonte: neldeliriononeromaisola

Le sperimentazioni calcografiche di Balbo si erano fermate alla puntasecca e alla xilografia, le tecniche incisorie più immediate, dove il segno morde e comanda, senza ripensamenti ma anche con minori possibilità espressive.
 
Un lavoro di Enzo Maiolino - Fonte: Laura Hess

Invece Maiolino già negli anni 50 affrontava il mondo delle acqueforti, e proprio nel 1972 realizza una significativa cartella di sei acqueforti dal titola “La casa nera”, a cura di Vanni Scheiwiller.

Ho un ricordo vivido di una estate dei miei sedici anni; nel magazzino dei fiori di mio padre Elio, spesso usato dallo zio Beppe per i lavori ingombranti, appare un torchio da stampa, bottiglie di acido, carte preziose, e con la guida tecnica di Enzo, Balbo realizzerà una bellissima serie di acqueforti con acquatinta, allo zucchero e a pasta molle.
 

Marco Balbo © Archivio Balbo Archivio Balbo

 
 
“È guardando agli innumerevoli aspetti della natura e della vita, come ai più diversi momenti della vicenda umana, che Giuseppe Balbo ha creato una inesauribile e ricchissima antologia, mosso da una mai quieta curiosità esplorativa e, più nel profondo, da una assoluta necessità di intendere le cose e la realtà intorno a sé attraverso la pittura stessa. Per tutta la vita egli ha visto, ha osservato, ha raccontato o ha illustrato e, soprattutto, tutto ciò ha dipinto, respingendo suggestioni e modi che non lo riguardavano, lavorando con assiduità e convinzione. Balbo ha saputo dare l’esempio di un impegno dignitoso e severo ed ha fornito insieme una lezione della più alta fedeltà”. 
Massimo Cavalli, “La Voce Intemelia” del 23 gennaio 1978 

A partire dagli anni Settanta Enzo Maiolino approda ad un astrattismo di matrice neoconcreta, attraverso un’inedita combinazione di forme geometriche basate sui giochi del Tangram, dei Pentamini e degli Esamini. Numerose le personali a lui dedicate, dalle prime mostre liguri alle grandi esposizioni tedesche di Ingolstadt, Bottrop, Bonn, Colonia, Münster. Nel 2007, in occasione del suo ottantesimo compleanno, il Museo Civico di Sanremo gli dedica la Mostra “Geometrie in gioco. Enzo Maiolino. Opere 2000-2007”, a cura di Leo Lecci e Paola Valenti. Oltre ad una ricca selezione di opere grafiche e pittoriche, una sezione della mostra espone i documenti raccolti da Enzo Maiolino nella sua lunga attività di artista e studioso: libri, fotografie, manifesti, depliant, pubblicazioni, articoli di giornali che testimoniano e raccontano tutte le vicende legate alla vita culturale dell’ultimo cinquantennio. Una parte consistente dell’Archivio Maiolino è attualmente conservata presso l’AdAC (Archivio di Arte Contemporanea dell’Università degli Studi di Genova) al quale l’artista ha deciso di destinare la sua intera raccolta documentaria.
Comune di Sanremo (IM), ottobre 2014
 
Enzo Maiolino, calabrese di nascita (1926) e ligure d’adozione (dal 1937), pubblicò le sue prime acqueforti negli anni Settanta e iniziò a orientare la propria opera verso una pittura aniconica di matrice neoconcreta con splendide scansioni cromatiche, praticando intanto l’arte incisoria per sperimentare ancor meglio l’astrazione delle forme.
Nel 1993 il critico e storico d’arte tedesco Walter Vitt conobbe l’opera di Maiolino e cominciò a promuoverla tramite una mostra monografica e itinerante per la Germania (1996-1997) e poi curò un prezioso catalogo (1).
Con l’aprirsi del nuovo millennio anche l’Italia s’è accorta dell’artista, nel 2001 alcune sue creazioni sono entrate nella collezione permanente del Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce e, nello stesso anno e sempre a Genova, la Fondazione Novaro gli ha conferito il premio per la cultura con la rondine in ceramica (oltre ad avergli dedicato per intero il quaderno numero 35 de «La Riviera Ligure»).
Maiolino, per limitarsi a qualche esempio emblematico, ha pubblicato testimonianze inedite e rare su Amedeo Modigliani (2), ma anche una raccolta di racconti di Giacomo Natta (3), ha impreziosito con i suoi disegni diverse sillogi poetiche (soprattutto per Vanni Scheiwiller) e ha rilasciato una lunga intervista su se stesso, eloquente sin dal titolo Non sono un pittore che urla (4).
Il sapere del poliedrico pittore si poggiava saldamente su una memoria fatta di mille cassetti dove tutto era stato messo gelosamente al sicuro e ordinato con paziente perizia, mentre la sua curiosità e la sua generosità rendevano d’impiccio chiavi e combinazioni: era sempre pronto ad archiviare un nuovo documento, ad aggiornare una vecchia bibliografia, ad attentare all’intrico di una questione complicatissima, e con forza uguale e teneramente contraria ti concedeva di guardare da vicino, ti coinvolgeva nella gioia di una scoperta, ti chiedeva di ripartire daccapo e insieme per una ricerca fin lì infruttuosa (quella relativa a Natta e Zambrano ci ha appassionato particolarmente).
Alessandro Ferraro, La memoria di Enzo Maiolino, «La Riviera Ligure», quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro, XXVIII, 83, maggio/settembre 2017
 
1 Walter Vitt, Enzo Maiolino 1950-2000. Das druckgrafische Werk. Opera incisa e serigrafica, Nördlingen, Steinmeier Verlag, 2000. Segnalo anche il catalogo a colori Geometrie in gioco. Enzo Maiolino. Opere 2000-2007 (Genova, De Ferrari, 2007), curato da Leo Lecci e Paola Valenti che tante attenzioni hanno dedicato all’artista “ligure”. 
2 Modigliani vivo. Testimonianze inedite e rare, a cura di Enzo Maiolino, con una presentazione di Vanni Scheiwiller, Torino, Fogola, 1981. Dopo 35 anni l’importante volume è pronto ed è tornato in circolazione grazie a una nuova edizione: Modigliani, dal vero: testimonianze inedite e rare raccolte e annotate da Enzo Maiolino, a cura di Leo Lecci, De Ferrari, Genova, 2016.
3 Giacomo Natta, Questo finirà banchiere. Racconti. Un ricordo di Giacomo Natta, a cura di Enzo Maiolino, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1984.
4 Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, con uno scritto introduttivo di Leo Lecci, Ventimiglia, Philobiblon, 2014.