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giovedì 29 aprile 2021

Antonicelli fu arrestato una seconda volta

Franco Antonicelli e Ferruccio Parri - Fonte: Catalogo cit. infra

[...] «Molti anni fa, prima della seconda guerra mondiale, un’occasione mi portò nell’Italia del Sud, giù dopo Salerno e dopo la bellissima Paestum, e dove comincia il Cilento. L’occasione fu la stessa che in quei giorni condusse i miei amici Carlo Levi e Cesare Pavese press’a poco nei medesimi luoghi, al di là della famosa terra invalicata da Cristo. In quel lontano paese, mai sentito nominare prima, ci andai dunque per obbligo; ci fui mandato quasi come in una prigione, e vi godetti invece, lo dico con gratitudine, tutta la libertà che si può godere al mondo.
... C’è dunque un nome nella mia vita, una memoria breve o lunga secondo la nostalgia del momento, un nome e una stagione che vorrei portarmi dietro fino all’ultimo giorno... Questo nome è Agropoli, quel tempo è l’autunno... Eppure passa il tempo, molto tempo, e nella mia vita avverto quel riferimento, quel punto fermo: io mi muovo e quel punto è là. È tutto quello che mi resta di allora... Penso soltanto con un rammarico che mi brucia, mi umilia ancora, di non aver ricavato nulla da quella mia esperienza, nulla, dico di scritto».
Franco Antonicelli, Il soldato di Lambessa
 

Benedetto Croce e Franco Antonicelli - Fonte: Catalogo cit. infra

[...] Bobbio scrive: «L’autorità di Croce era indiscussa: armati dei suoi concetti, ci sentivamo superiori ai nostri stessi maestri... Croce era la voce del tempo: stare dalla parte di Croce voleva dire essere nella corrente della storia.
Croce era, personalmente, un esempio di libertà intellettuale, di saggezza, di dignità, di operosità, di serietà negli studi: adunava in sé tutte le qualità dell’educatore, che altri autori o maestri possedevano solo parzialmente».
Tra il 1931 e il 1937 il filosofo napoletano si recò spesso nel Biellese.
Antonicelli ebbe modo di frequentarlo e di ospitarlo nella sua villa.
Il suo rapporto con Croce era di rispetto, quasi di timore: «Oh io non starò più davanti a lui con quell’imbarazzo che tanti, credo tutti, anche gli studiosi di valore, avevano come me di non sapere che cosa dire per meritare la sua attenzione, la sua attenzione che si faceva subito prodiga e per questa sua affabilità scoraggiava che si era preparato a qualche vanteria».
Franco Antonicelli, Il soldato di Lambessa

[...] Antonicelli fu arrestato una seconda volta il 15 maggio 1935; fu una retata nella quale vennero coinvolti il gruppo di Giustizia e Libertà e il gruppo einaudiano della rivista La Cultura: Vittorio Foa, Massimo Mila, Carlo Zini, Luigi Salvatorelli, Giulio Einaudi, Cesare Pavese, Norberto Bobbio, Carlo Levi.
 

Un giovane Giulio Einaudi - Fonte: Catalogo cit. infra

Scrive Stajano: «Non c’era nessun complotto, ma preoccupava l’esistenza di un nucleo organizzato e operante contro il regime, in maggior parte giovane, capace di diffondere idee e di creare una rete di propaganda politica per l’azione antifascista in Italia... Antonicelli non aderiva alle idee di Giustizia e Libertà, impedito dalla sua fede liberale priva di correttivi e dalla sua educazione crociana, ma i “GL” erano i suoi amici più cari, visse con loro la giovinezza... li aiutava nel loro lavoro che per lui continuò a essere un lavoro di professore della politica, non certo di uomo d’azione».
Accusato di aver frequentato la casa della professoressa Barbara Allanson dove si radunavano personaggi ritenuti oppositori del regime (Leone Ginzburg, Mario e Alberto Levi), Antonicelli venne condannato a tre anni di confino presso il paesino di Agropoli, in provincia di Salerno.
Vi trascorse l’estate, l’autunno e l’inverno e l’inizio della primavera del 1936; in Il soldato di Lambessa scrive: «È diventato autunno anche l’estate che vi giunsi, l’inverno che vi trascorsi e quell’inizio di primavera che me ne andai». Nel marzo 1936 la pena di tre anni fu sospesa per un condono nazionale.
[...] «L’occasione (del mio confino) fu la stessa che in quei giorni condusse i miei amici Carlo Levi e Cesare Pavese press’a poco nei medesimi luoghi, al di là della famosa terra invalicata da Cristo... I miei due amici portarono, via qualcosa di meglio per sè e per gli altri, cioè due libri che scrissero, l’uno il celebre Cristo si è fermato a Eboli e l’altro il meno noto ma bellissimo racconto Il carcere».
Franco Antonicelli, Il soldato di Lambessa
 

Da Sinistra Carlo Levi e Gaetano Salvemini nel 1947 - Fonte: Catalogo cit. infra

[...] «Voi (portuali di Livorno) sapete chi era Salvemini. Era un grande uomo e affettuosamente, ricordandolo, dico che era politicamente uno sconclusionato, e dico sconclusionato con molto affetto, con l’affetto di chi ama gli uomini sconclusionati, cioé gli uomini che non predicano niente, che non fanno profezie e che sbagliano sempre, ma che hanno un meraviglioso vigore. Hanno un meraviglioso vigore. È stata, questa, la coscienza di italiano di Gaetano Salvemini.
Gaetano Salvemini uomo era così; era un vecchio socialista, poi persino abbandonò il Partito Socialista più che altro per ragioni di indipendenza».
Franco Antonicelli, Le letture tendenziose
 

Mario Fubini - Fonte: Catalogo cit. infra

[...] L’Ovra, la polizia del regime fascista, incominciò a sospettare che il gruppo costituitosi intorno alla casa editrice e alla rivista La Cultura fosse legato al movimento clandestino Giustizia e Libertà: i controlli si fecero più assidui e in un rapporto di polizia del 1935 i collaboratori einaudiani vengono definiti “intellettualoidi con sentimenti di ostilità nascosta o palese nei confronti del regime fascista”. Comune al movimento Giustizia e Libertà e a questi “intellettualoidi” era, secondo le parole di Leo Levi, l’“antitesi spirituale contro il clima storico del fascismo”: da un lato i giellisti con la loro attività cospirativa, dall’altra i liberali crociani fra cui Francesco Ruffini, lo storico Nino Valeri, il critico letterario Mario Fubini, l’avvocato Anton Dante Coda direttore, negli anni venti, de La Tribuna biellese, organo del partito liberale biellese. Molti di essi caddero nella retata del maggio 1935: Giulio Einaudi fu arrestato e dopo qualche giorno, rilasciato, ma la rivista La Cultura fu soppressa.
 

Luigi Salvatorelli - Fonte: Catalogo cit. infra

[...] All’inizio della guerra una bomba francese distrusse il tetto della casa di Salvatorelli a Torino.
Antonicelli, in una minuta di lettera a Mario Vinciguerra, scriveva: «Tutti bene, ma chinando la testa come sotto una minaccia. (I Salvatorelli) stanno bene; la sera vanno a dormire fuori. Dispersi dovunque un po’ tutti... Torino faceva pensare al dopo la peste dei Promessi Sposi... ».
Il 27 novembre del ‘42 c’era chi annotava: «L’esodo dalla città ha assunto proporzioni che superano ogni immaginazione: qualunque mezzo è buono, dall’autocarro al triciclo, dal carro alla bicicletta».
Infatti i Salvatorelli col camioncino di un verduriere si rifugiarono nell’alessandrino presso una cascina di Antonicelli.
[...] Nella Torino di Gobetti e del gruppo Giustizia e Libertà Antonicelli appare come “professore della politica, non certo uomo d’azione”: «Gli azionisti, i liberalsocialisti erano tutti amici miei, però io non ero dentro, cioé non ero militante di quei gruppi». Nel 1973 scriverà: «Ho necessità di vendicarmi della mia giovinezza in fondo pigra e velleitaria... La storia della mia vita è di una lentissima gestazione... Ero maturo in alcune cose, ero sano moralmente, ma non avevo preparato nulla di serio alla mia maturità spirituale e politica. Solo da trent’anni mi sono avviato bene». A trent’anni, ossia nel 1943, si colloca l’anno di svolta: la Resistenza di Antonicelli inizia con la caduta del regime fascista. Il 26 luglio scrive la prima dichiarazione unitaria dei partiti antifascisti ed entra a far parte del Fronte nazionale; dopo la vana difesa di Torino contro i nazisti e il tradimento del generale Adami Rossi che consegna la città al nemico, Antonicelli diventa ‘uomo d’azione’. Lavora al Risorgimento liberale ed è nuovamente arrestato il 6 novembre 1943 e condotto a Regina Coeli dove vede per l’ultima volta l’amico Leone Ginzburg: «Ci scorgemmo appena: egli fece finta di non conoscermi e passò innanzi come chi va cauto nel buio... di giorno eravamo accanto come una volta lo eravamo stati per anni davanti a libri, riviste, a carte bianche o scritte, passando fervidi e ironici da un progetto all’altro... La notte dal 1° al 2 febbraio fui portato via... a Forte Urbano... seppi ch’egli era morto. Mai una morte mi parve meno vera, meno possibile, meno giusta... Egli era uno di quegli uomini nati a guidare: nati col prestigio istintivo, col dominio immediato e incontrastato sugli altri».
Tradotto al carcere di Castelfranco Emilia, vi uscì il 18 aprile 1944 e cominciò l’attività clandestina.
[...]
Catalogo della Mostra Franco Antonicelli. Galleria di simboli, Viscione Editore, II Edizione, 2010

Franco Antonicelli, Federico Ghedini, Bice Bertolotti - Fonte: Catalogo cit. supra

Come ricordare la ricca personalità e biografia di un uomo come Franco Antonicelli? A questo interrogativo risponde un prezioso volume appena pubblicato dalla casa editrice torinese Seb 27 e curato in modo eccellente da Diego Guzzi. Il libro s’intitola In sintonia con il presente. Franco Antonicelli tra politica e cultura. Guzzi, docente e vice-presidente dell’Unione culturale «Franco Antonicelli», ha raccolto sette contributi di studiosi e studiose che permettono di ricostruire le molteplici attività di Antonicelli (vissuto tra il 1902 e il 1974), sempre al confine tra letteratura, politica culturale e impegno politico diretto.
Come ricordarlo dunque? In primo luogo come un raffinato letterato, capace di trasmettere in forme diverse la sua cultura. Supplente al Liceo D’Azeglio di Torino, precettore di Gianni Agnelli, direttore della collana «Biblioteca Europea» dei libri dell’editore Frassinelli attraverso la quale fece conoscere in Italia le opere, tra gli altri, di Franz Kafka, Herman Melville e James Joyce (senza dimenticare il «Topolino» di Walt Disney), fondatore nel 1942 della casa editrice «Francesco da Silva».
In secondo luogo come un combattente per la libertà. Anzi, un capo della lotta per la libertà. Nel 1945, alla vigilia della liberazione, assunse le funzioni di Presidente del Comitato Liberazione Nazionale piemontese, di cui faceva parte come rappresentante del partito Liberale. Proprio a Antonicelli come «oratore della Resistenza» è dedicato nel libro un interessante saggio di Barbara Berruti e Chiara Colombini.
In terzo luogo, finita la guerra, come un instancabile organizzatore di cultura, animatore dei più importanti centri culturali torinesi. Sia per trasmettere la memoria della Resistenza, sia per tenere sempre viva la tensione etica e politica per la piena attuazione della Costituzione e per combattere ogni tentativo di restaurazione autoritaria. Impegno politico e politica culturale, strettamente intrecciati tra di loro, analizzati nel volume dai saggi di Claudio Panella, Pietro Polito e Paola Olivetti (la quale ha studiato più precisamente l’attività di Antonicelli al cinema, alla radio e alla televisione).
Nel 1968 fu eletto senatore nelle liste del Pci, diventando uno dei fondatori della Sinistra Indipendente. La rottura con il partito liberale era avvenuta al tempo del referendum tra Monarchia e Repubblica (1946) e Antonicelli aveva sempre collaborato con gli esponenti della sinistra torinese e in particolare con i comunisti. Il progetto della creazione di un gruppo della «Sinistra Indipendente» avrebbe dovuto realizzarsi già nel 1963, ma il tentativo era fallito. Questa vicenda è importante perché permette di capire una dinamica che era, in effetti, iniziata, un decennio prima. Gli esponenti dell’antifascismo democratico torinese, di area liberale e azionista, avevano reagito con preoccupazione alla sconfitta del movimento sindacale alla Fiat e alle dure repressioni all’interno delle fabbriche che ne erano seguite. A loro giudizio si correva il rischio di rendere più complicato un sano conflitto politico all’interno dela città e in generale in Italia: un conflitto che permetesse di selezionare le energie migliori e quindi di rafforzare uno Stato democratico debole. Per questa ragione alcuni di loro scelsero di collaborare più strettamente con i comunisti, pur preservando la loro indipendenza.
Il volume è inoltre arricchito da un ricordo personale della figlia Patrizia e da un apparato di fotografie ancora inedite. L’attore Marco Gobetti - che ha recitato in diversi licei piemontesi la «Lezione Recitata Franco Antonicelli», anch’essa pubblicata nel libro - nel suo intervento riporta un commento scritto da una studentessa, Giulia Barattini, dopo avere assistito a una recita. Vale la pena leggerne un breve brano:
«In un Paese che sperpera la parola… e spesso vede la cultura unicamente come fonte di guadagno, chi si adopera per per cambiare qualcosa è visto come un salmone che risale il fiume. A lungo termine, però, solo i pesci morti vanno con la corrente, e ci si rende conto che non sono i banchi, o le lavagne multimediali, a garantire ciò di cui abbiamo bisogno, ma le persone in quanto esseri umani, che vivono e sentono davvero ciò che dicono, che se ne appropriano per elargirlo agli altri».
Vivere con passione le cose che si vogliono trasmettere agli altri è un principio che Franco Antonicelli avrebbe sicuramente condiviso e a cui ha effettivamente ispirato gran parte della sua vita e della sua azione.
In sintonia con il presente. Franco Antonicelli tra politica e cultura - Edizioni Seb27
Leonardo Casalino, Antonicelli, da precettore di Agnelli alle battaglie politiche a fianco del Pci, striscia rossa, 5 aprile 2019

Franco Antonicelli, presidente del Cln del Piemonte, comizio in piazza Vittorio Veneto a Torino il 6 maggio 1945 - Fonte: Catalogo cit. supra

La primavera del 1963 fu per Einaudi una stagione di libri straordinari. Nel giro di poche settimane uscirono La cognizione del dolore di Gadda, La giornata di uno scrutatore di Calvino, Lessico famigliare della Ginzburg, il Consiglio d'Egitto di Sciascia, Le memorie di Adriano della Yourcenar, Lo scialle andaluso della Morante, Una giornata di Ivan Denisovic di Solgenitsyn, Franny e Zooey di Salinger, Gli incolpevoli di Broch. Il giovane germanista Claudio Magris pubblicava nei "Saggi" la sua tesi di laurea, Il mito absburgico nella letteratura austriaca moderna. «Il 1° febbraio ero stato assunto    all'ufficio stampa dopo una specie di piccolo concorso. [...] Verso i primi di marzo mi trovai sul tavolo le bozze di un libro di un certo Primo Levi, La tregua. Non sapevo niente dell' autore, e cominciai a leggere. A pagina due, come un rullare di tamburi in un concerto beethoveniano, ecco la scena dell' arrivo nel Lager abbandonato a se stesso dei quattro giovani soldati russi, "sospesi sui loro enormi cavalli", "oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno... Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa"... Restai folgorato. Persino un giovane redattore di nessuna esperienza poteva cogliere la grandezza di quelle pagine, in cui si saldavano la profondità del magistero morale e fermezza classica del dettato. Eccolo lì sul vetrino del microscopio, il male oscuro del Novecento, il virus dell' infezione che ha debilitato il secolo. Nemmeno Montaigne avrebbe potuto dire meglio. Anni dopo, seppi che i primi due capitoli della Tregua erano stati scritti di getto nel 1946-47, coevi dunque della stesura di Se questo è un uomo. Il racconto allora si era fermato lì, perché a Levi premeva soprattutto testimoniare l'incredibile». Allora quel dovere primario era stato assolto, anche se in mezzo alle nebbie di un incubo ricorrente: non essere ascoltati, non essere creduti. Incubo realistico, come sappiamo. Nel 1947 Einaudi si era detto non interessato al libro, e Franco Antonicelli l'aveva pubblicato da De Silva, cambiandogli titolo: da I sommersi e i salvati a Se questo è un uomo, appunto. [...]
Ernesto Ferrero, La tregua, il romanzo degli sconfitti, la Repubblica, 7 febbraio 1997