Villa Feltrinelli a Gargnano (BS), residenza di Mussolini sul Lago di Garda tra l’ottobre 1943 e l’aprile 1945 |
Uno dei primi documenti in cui lo stato maggiore dell'ENR [Esercito della Repubblica Sociale] si confronta con il tema della controguerriglia è un documento segreto dell'aprile 1944 in cui Mischi indica, tra le altre cose, anche le regole da seguire ai fini dell'arruolamento nei costituendi reparti speciali: «Ove possibile, assoldare anche ex militari non ancora richiamati alle armi, specie se abbiano già partecipato ad azioni di controguerriglia o a spedizioni punitive (squadristi, reduci dalla Balcania, ecc.)». <203 Questa precisazione rafforza l'impressione che, per quanto riguarda l'esercito di Salò, ci sia stato un rapporto di continuità tra la partecipazione all'occupazione italiana dei Balcani - la più recente esperienza che aveva consentito ai soldati dell'esercito italiano di sviluppare una serie di competenze in materia di controguerriglia - e la successiva militanza nelle forze armate della repubblica di Salò. È l'ipotesi di lavoro avanzata da Carlo Gentile, che, lamentando la carenza di studi sugli apparati militari e sulle strutture di polizia del fascismo repubblicano, afferma: «I primi dati a nostra disposizione, tuttavia, inducono a credere che almeno per quanto riguarda l'apparato militare e poliziesco ci fosse un nesso tra la partecipazione all'occupazione italiana dei Balcani o l'appartenenza alla milizia fascista e la più tarda militanza nelle formazioni della RSI». <204
Questa ipotesi di lavoro trova conferma non soltanto nelle carriere e nelle esperienze pregresse di molti ufficiali dell'esercito di Salò, ma anche negli atteggiamenti e nei comportamenti tenuti dall'ENR nei riguardi della popolazione civile. A differenza degli altri corpi armati della RSI, la stessa cultura della violenza di cui l'esercito regolare di Graziani era portatore avrebbe dovuto sospingerlo ad una maggiore disciplina e, soprattutto, ad una formale osservanza dei codici e dei regolamenti militari. In realtà, come sappiamo, non mancarono forme di brutalità, che sembrano rinviare alle modalità repressive sperimentate dal regime fascista durante l'occupazione dei Balcani degli anni 1941-1943, quando le truppe del regio esercito si trovarono a muoversi in un teatro di guerra caratterizzato dalla presenza di un nemico - il movimento partigiano - che poteva vantare forti legami di contiguità con la popolazione. <205 Così facendo, anche da parte dell'esercito di Salò si contribuì non poco alla radicalizzazione dello scontro fratricida in un paese precipitato nella spirale della guerra civile. <206 In un simile contesto la lotta antipartigiana della RSI poteva facilmente degenerare fino ad assumere la configurazione della guerra ai civili, punteggiata da forme efferate di violenza contro una popolazione, con cui si potevano vantare anche rapporti di natura amicale, se non addirittura parentale, ma che, quanto meno a partire dall'estate del 1944, era da ritenersi ormai irrimediabilmente perduta alla causa del fascismo repubblicano. «Dopo la caduta di Roma, i fascisti cominciarono a considerare non solo i partigiani in armi, ma anche tutti gli italiani, come dei traditori, come un popolo indegno di questo nome, come un'accozzaglia di individui». <207 Questa concezione, in cui possiamo scorgere un effetto di quella nazificazione del fascismo di Salò su cui ha insistito in particolare Enzo Collotti, contribuì a creare i presupposti per legittimare qualsiasi tipo di violenza contro i connazionali.
In un rapporto scritto subito dopo la sua nomina a comandante della divisione Italia, il generale Carloni constatava la scarsa disciplina esistente tra le sue truppe («La disciplina nelle retrovie non va. L'ho constatato personalmente nelle mie frequenti visite ai reparti. Il fenomeno purtroppo non è circoscritto a qualche reparto ma è di carattere generale, anzi direi endemico») e denunciava i numerosi atti illegali commessi ai danni della popolazione locale: «Innumerevoli anche le violenze dei soldati nei confronti della popolazione civile, poverissima e già così duramente provata, per sottrarre ad essa viveri od altro. Tutto questo deve cessare; i superiori gerarchici, la cui azione è stata sinora deficiente, intervengano immediatamente con tutta la loro energia affinché questo stato di cose, indegno di reparti organizzati, sia al più presto eliminato». <208 Dal versante opposto, è una figura di spicco della lotta partigiana in Piemonte come Mario Giovana a ricordare con quanta facilità la lotta contro la Resistenza potesse degenerare in una vera e propria guerra combattuta ai danni della popolazione civile: «Le squadre antipartigiane, costituite all'interno dei battaglioni della Littorio e della Monterosa, conducono la lotta più ai civili che contro le bande, svolgendo un lavoro di vera e propria polizia che si risolve in arresti, saccheggi di abitazioni, torture verso tutti coloro che vengono sospettati di una sia pur minima collaborazione e connivenza con i volontari». <209
La diffusione degli abusi e dei soprusi trasse indubbiamente vantaggio dalla frammentazione dei poteri in campo militare, che fin dall'inizio contrassegnò la RSI, precocemente colta dal segretario particolare di Mussolini, Giovanni Dolfin, che nel suo diario, di fronte alla proliferazione di «formazioni autonome», costituite «per iniziativa di singoli elementi, per lo più ufficiali superiori, animati di fede o di ambizione», si lamentava del fatto che «in pieno ventesimo secolo» si stesse tornando «all'epoca singolare dei capitani di ventura». <210 A spiegare questo fenomeno, secondo Luigi Ganapini, stava il fatto che ciascun corpo intendeva la propria funzione militare come quella di una banda, «struttura irregolare, per definizione fondata sul volontarismo e su un ideale eroico e individualista». <211 Anche l'esercito della RSI subì l'attrazione e la fascinazione esercitate da questo modello di riferimento. Il comandante militare regionale del Piemonte, generale Massimo De Castiglioni, arriva a chiamare in causa la figura dei ras dell'Etiopia per qualificare il comportamento di quei comandanti che agivano a loro discrezione nella più totale impunità: «I comandanti dei vari reparti si ritengono tanti ras e ritengono lecito fare quello che loro torna più comodo senza dar conto a nessuno delle loro azioni». <212 Questo stato di cose rispecchiava il modo stesso, del tutto disordinato e disorganizzato, in cui era sorto l'apparato militare di Salò. Già risultava difficile far coesistere una pluralità di corpi armati tra loro non soltanto differenti, ma anche concorrenti, ma non doveva certamente essere facile nemmeno imporre la disciplina e l'ordine nello stesso esercito nazionale repubblicano in cui convivevano, fianco a fianco, volontari, ex internati nei campi di concentramento tedeschi, reclute e richiamati alle armi “vittime” della politica dei bandi fascisti di leva. Non c'è quindi da sorprendersi se molti reparti, magari guidati da ufficiali privi di scrupoli, ne approfittarono per mettere in atto comportamenti ai limiti della criminalità comune, caratterizzati da quella che Dianella Gagliani ha chiamato la «licenza di sopruso». <213 Da questo punto di vista il comportamento delle truppe regolari di Graziani non sembra essere stato troppo dissimile da quello di altri corpi armati - le brigate nere, la X MAS, la legione autonoma Ettore Muti, la 1ª legione d'assalto M Tagliamento, ecc. <214 - messi in piedi dal fascismo repubblicano, la cui azione violenta, non esente da venature delinquenziali, è stata tale da lasciare una traccia profonda nella memoria collettiva del popolo italiano.
[NOTE]
203 AUSSME, I 1, b. 51, f. 1825, bande irregolari di controguerriglia, aprile 1944.
204 C. Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-1945, Einaudi, Torino 2015, p. 54.
205 L'analisi delle politiche di repressione dell'Italia fascista nei Balcani meriterebbe un discorso a parte, che, per ragioni di spazio, non è possibile fare. Senza quindi nessuna pretesa di esaustività, sul tema dell'occupazione italiana della Jugoslavia si possono citare in primo luogo gli studi di E. Gobetti, Alleati del nemico: l'occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Laterza, Bari-Roma 2013, di F. Caccamo -L. Monzali (a cura di), L'occupazione italiana della Jugoslavia 1941-1943, Le Lettere, Firenze 2008 e di J. H. Burgwyn, L'impero sull'Adriatico. Mussolini e la conquista della Jugoslavia cit., che si vanno ad aggiungere a quelli pionieristici di Enzo Collotti e Teodoro Sala, di cui mi limito a segnalare soltanto E. Collotti - T. Sala, Le potenze dell'Asse e la Jugoslavia: saggi e documenti, 1941-1943, Feltrinelli, Milano 1974. Per quanto riguarda più nello specifico gli aspetti militari dell'occupazione italiana della Slovenia si vedano A. Osti Guerrazzi, Esercito italiano in Slovenia 1941-1943 cit. e M. Cuzzi, L'occupazione italiana della Slovenia, Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, Roma 1998, a cui è possibile aggiungere la raccolta documentaria curata da T. Ferenc, Si ammazza troppo poco: condannati a morte, ostaggi, passati per le armi nella provincia di Lubiana 1941-1943, Istituto per la storia moderna, Lubiana 1999. Per quanto riguarda, invece, la guerra in Montenegro oggi si dispone dello studio di F. Goddi, Fronte Montenegro: occupazione italiana e giustizia militare (1941-1943), LEG, Gorizia 2016, anche se conservano la loro validità gli apporti di G. Scotti e L. Viazzi, Le aquile delle montagne nere: storia dell'occupazione e della guerra italiana in Montenegro, 1941-1943, Mursia, Milano 1987 e Id. L'inutile vittoria. La tragica esperienza delle truppe italiane in Montenegro, 1941-1942, Mursia, Milano 1989. Si preoccupano maggiormente di sfatare il mito del “bono italiano” i contributi di D. Conti, L'occupazione italiana dei Balcani: crimini di guerra e mito della brava gente (1940-1943), Odradek, Roma 2008 e C. Di Sante, Italiani senza onore: i crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1945), Ombre corte, Verona 2005. Di più ampio respiro, infine, i lavori di E. Aga Rossi -M. T. Giusti, Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani 1940-1945, Il Mulino, Bologna 2011 e D. Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell'Italia fascista in Europa, Bollati Boringhieri, Torino 2003.
206 Sui caratteri specifici della guerra civile, resi ancora più aspri, come sostiene Toni Rovatti, da «un surplus di efferatezza riconducibile alla particolare commistione fra moventi privati e ragioni pubbliche», si vedano le considerazioni espresse da Gabriele Ranzato nel saggio introduttivo al volume da lui stesso curato sulle guerre civili in età contemporanea, Un evento antico e un nuovo oggetto di riflessione, pp. IX-LVI in G. Ranzato (a cura di), Guerre fratricide. Le guerre civili in età contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino 1994. Per il giudizio di Toni Rovatti cfr. Id. Leoni vegetariani cit. p. 130.
207 A. Osti Guerrazzi, Storia della Repubblica sociale italiana cit. pp. 178-179.
208 AUSSME, Fondo Associazione Divisione Monterosa, b. 7, f. 7, disciplina nelle retrovie, 28 febbraio 1945.
209 M. Giovana, Le popolazioni alpine nella guerra partigiana del Cuneese, p. 170 in G. Agosti et alii, Aspetti della Resistenza in Piemonte, Book's store, Torino 1977, pp. 137-180.
210 G. Dolfin, Con Mussolini nella tragedia cit. pp. 173-174. Le annotazioni di Giovanni Dolfin portano la data del 21 dicembre 1943.
211 L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere cit. p. 68.
212 AUSSME, I 1, b. 39, f. 1259, dipendenze disciplinari di reparti dislocati nel territorio del 206° comando regionale, 11 gennaio 1945.
213 D. Gagliani, Violenze di guerra e violenze politiche. Forme e culture della violenza nella RSI cit. p. 314.
214 Sulle brigate nere l'opera di riferimento è naturalmente quella di D. Gagliani, Brigate nere cit. Sulla X MAS si veda J. Greene -A. Massignani, Il principe nero. Junio Valerio Borghese e la X MAS, Arnoldo Mondadori, Milano 2017; sulla legione Ettore Muti M. Griner, La “pupilla” del duce cit. Sulla legione Tagliamento, formalmente inserita nella GNR, si dispone dell'ottimo studio di S. Residori, Una legione in armi cit.
Stefano Gallerini, "Una lotta peggiore di una guerra". Storia dell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2021
Questa ipotesi di lavoro trova conferma non soltanto nelle carriere e nelle esperienze pregresse di molti ufficiali dell'esercito di Salò, ma anche negli atteggiamenti e nei comportamenti tenuti dall'ENR nei riguardi della popolazione civile. A differenza degli altri corpi armati della RSI, la stessa cultura della violenza di cui l'esercito regolare di Graziani era portatore avrebbe dovuto sospingerlo ad una maggiore disciplina e, soprattutto, ad una formale osservanza dei codici e dei regolamenti militari. In realtà, come sappiamo, non mancarono forme di brutalità, che sembrano rinviare alle modalità repressive sperimentate dal regime fascista durante l'occupazione dei Balcani degli anni 1941-1943, quando le truppe del regio esercito si trovarono a muoversi in un teatro di guerra caratterizzato dalla presenza di un nemico - il movimento partigiano - che poteva vantare forti legami di contiguità con la popolazione. <205 Così facendo, anche da parte dell'esercito di Salò si contribuì non poco alla radicalizzazione dello scontro fratricida in un paese precipitato nella spirale della guerra civile. <206 In un simile contesto la lotta antipartigiana della RSI poteva facilmente degenerare fino ad assumere la configurazione della guerra ai civili, punteggiata da forme efferate di violenza contro una popolazione, con cui si potevano vantare anche rapporti di natura amicale, se non addirittura parentale, ma che, quanto meno a partire dall'estate del 1944, era da ritenersi ormai irrimediabilmente perduta alla causa del fascismo repubblicano. «Dopo la caduta di Roma, i fascisti cominciarono a considerare non solo i partigiani in armi, ma anche tutti gli italiani, come dei traditori, come un popolo indegno di questo nome, come un'accozzaglia di individui». <207 Questa concezione, in cui possiamo scorgere un effetto di quella nazificazione del fascismo di Salò su cui ha insistito in particolare Enzo Collotti, contribuì a creare i presupposti per legittimare qualsiasi tipo di violenza contro i connazionali.
In un rapporto scritto subito dopo la sua nomina a comandante della divisione Italia, il generale Carloni constatava la scarsa disciplina esistente tra le sue truppe («La disciplina nelle retrovie non va. L'ho constatato personalmente nelle mie frequenti visite ai reparti. Il fenomeno purtroppo non è circoscritto a qualche reparto ma è di carattere generale, anzi direi endemico») e denunciava i numerosi atti illegali commessi ai danni della popolazione locale: «Innumerevoli anche le violenze dei soldati nei confronti della popolazione civile, poverissima e già così duramente provata, per sottrarre ad essa viveri od altro. Tutto questo deve cessare; i superiori gerarchici, la cui azione è stata sinora deficiente, intervengano immediatamente con tutta la loro energia affinché questo stato di cose, indegno di reparti organizzati, sia al più presto eliminato». <208 Dal versante opposto, è una figura di spicco della lotta partigiana in Piemonte come Mario Giovana a ricordare con quanta facilità la lotta contro la Resistenza potesse degenerare in una vera e propria guerra combattuta ai danni della popolazione civile: «Le squadre antipartigiane, costituite all'interno dei battaglioni della Littorio e della Monterosa, conducono la lotta più ai civili che contro le bande, svolgendo un lavoro di vera e propria polizia che si risolve in arresti, saccheggi di abitazioni, torture verso tutti coloro che vengono sospettati di una sia pur minima collaborazione e connivenza con i volontari». <209
La diffusione degli abusi e dei soprusi trasse indubbiamente vantaggio dalla frammentazione dei poteri in campo militare, che fin dall'inizio contrassegnò la RSI, precocemente colta dal segretario particolare di Mussolini, Giovanni Dolfin, che nel suo diario, di fronte alla proliferazione di «formazioni autonome», costituite «per iniziativa di singoli elementi, per lo più ufficiali superiori, animati di fede o di ambizione», si lamentava del fatto che «in pieno ventesimo secolo» si stesse tornando «all'epoca singolare dei capitani di ventura». <210 A spiegare questo fenomeno, secondo Luigi Ganapini, stava il fatto che ciascun corpo intendeva la propria funzione militare come quella di una banda, «struttura irregolare, per definizione fondata sul volontarismo e su un ideale eroico e individualista». <211 Anche l'esercito della RSI subì l'attrazione e la fascinazione esercitate da questo modello di riferimento. Il comandante militare regionale del Piemonte, generale Massimo De Castiglioni, arriva a chiamare in causa la figura dei ras dell'Etiopia per qualificare il comportamento di quei comandanti che agivano a loro discrezione nella più totale impunità: «I comandanti dei vari reparti si ritengono tanti ras e ritengono lecito fare quello che loro torna più comodo senza dar conto a nessuno delle loro azioni». <212 Questo stato di cose rispecchiava il modo stesso, del tutto disordinato e disorganizzato, in cui era sorto l'apparato militare di Salò. Già risultava difficile far coesistere una pluralità di corpi armati tra loro non soltanto differenti, ma anche concorrenti, ma non doveva certamente essere facile nemmeno imporre la disciplina e l'ordine nello stesso esercito nazionale repubblicano in cui convivevano, fianco a fianco, volontari, ex internati nei campi di concentramento tedeschi, reclute e richiamati alle armi “vittime” della politica dei bandi fascisti di leva. Non c'è quindi da sorprendersi se molti reparti, magari guidati da ufficiali privi di scrupoli, ne approfittarono per mettere in atto comportamenti ai limiti della criminalità comune, caratterizzati da quella che Dianella Gagliani ha chiamato la «licenza di sopruso». <213 Da questo punto di vista il comportamento delle truppe regolari di Graziani non sembra essere stato troppo dissimile da quello di altri corpi armati - le brigate nere, la X MAS, la legione autonoma Ettore Muti, la 1ª legione d'assalto M Tagliamento, ecc. <214 - messi in piedi dal fascismo repubblicano, la cui azione violenta, non esente da venature delinquenziali, è stata tale da lasciare una traccia profonda nella memoria collettiva del popolo italiano.
[NOTE]
203 AUSSME, I 1, b. 51, f. 1825, bande irregolari di controguerriglia, aprile 1944.
204 C. Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-1945, Einaudi, Torino 2015, p. 54.
205 L'analisi delle politiche di repressione dell'Italia fascista nei Balcani meriterebbe un discorso a parte, che, per ragioni di spazio, non è possibile fare. Senza quindi nessuna pretesa di esaustività, sul tema dell'occupazione italiana della Jugoslavia si possono citare in primo luogo gli studi di E. Gobetti, Alleati del nemico: l'occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Laterza, Bari-Roma 2013, di F. Caccamo -L. Monzali (a cura di), L'occupazione italiana della Jugoslavia 1941-1943, Le Lettere, Firenze 2008 e di J. H. Burgwyn, L'impero sull'Adriatico. Mussolini e la conquista della Jugoslavia cit., che si vanno ad aggiungere a quelli pionieristici di Enzo Collotti e Teodoro Sala, di cui mi limito a segnalare soltanto E. Collotti - T. Sala, Le potenze dell'Asse e la Jugoslavia: saggi e documenti, 1941-1943, Feltrinelli, Milano 1974. Per quanto riguarda più nello specifico gli aspetti militari dell'occupazione italiana della Slovenia si vedano A. Osti Guerrazzi, Esercito italiano in Slovenia 1941-1943 cit. e M. Cuzzi, L'occupazione italiana della Slovenia, Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, Roma 1998, a cui è possibile aggiungere la raccolta documentaria curata da T. Ferenc, Si ammazza troppo poco: condannati a morte, ostaggi, passati per le armi nella provincia di Lubiana 1941-1943, Istituto per la storia moderna, Lubiana 1999. Per quanto riguarda, invece, la guerra in Montenegro oggi si dispone dello studio di F. Goddi, Fronte Montenegro: occupazione italiana e giustizia militare (1941-1943), LEG, Gorizia 2016, anche se conservano la loro validità gli apporti di G. Scotti e L. Viazzi, Le aquile delle montagne nere: storia dell'occupazione e della guerra italiana in Montenegro, 1941-1943, Mursia, Milano 1987 e Id. L'inutile vittoria. La tragica esperienza delle truppe italiane in Montenegro, 1941-1942, Mursia, Milano 1989. Si preoccupano maggiormente di sfatare il mito del “bono italiano” i contributi di D. Conti, L'occupazione italiana dei Balcani: crimini di guerra e mito della brava gente (1940-1943), Odradek, Roma 2008 e C. Di Sante, Italiani senza onore: i crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1945), Ombre corte, Verona 2005. Di più ampio respiro, infine, i lavori di E. Aga Rossi -M. T. Giusti, Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani 1940-1945, Il Mulino, Bologna 2011 e D. Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell'Italia fascista in Europa, Bollati Boringhieri, Torino 2003.
206 Sui caratteri specifici della guerra civile, resi ancora più aspri, come sostiene Toni Rovatti, da «un surplus di efferatezza riconducibile alla particolare commistione fra moventi privati e ragioni pubbliche», si vedano le considerazioni espresse da Gabriele Ranzato nel saggio introduttivo al volume da lui stesso curato sulle guerre civili in età contemporanea, Un evento antico e un nuovo oggetto di riflessione, pp. IX-LVI in G. Ranzato (a cura di), Guerre fratricide. Le guerre civili in età contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino 1994. Per il giudizio di Toni Rovatti cfr. Id. Leoni vegetariani cit. p. 130.
207 A. Osti Guerrazzi, Storia della Repubblica sociale italiana cit. pp. 178-179.
208 AUSSME, Fondo Associazione Divisione Monterosa, b. 7, f. 7, disciplina nelle retrovie, 28 febbraio 1945.
209 M. Giovana, Le popolazioni alpine nella guerra partigiana del Cuneese, p. 170 in G. Agosti et alii, Aspetti della Resistenza in Piemonte, Book's store, Torino 1977, pp. 137-180.
210 G. Dolfin, Con Mussolini nella tragedia cit. pp. 173-174. Le annotazioni di Giovanni Dolfin portano la data del 21 dicembre 1943.
211 L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere cit. p. 68.
212 AUSSME, I 1, b. 39, f. 1259, dipendenze disciplinari di reparti dislocati nel territorio del 206° comando regionale, 11 gennaio 1945.
213 D. Gagliani, Violenze di guerra e violenze politiche. Forme e culture della violenza nella RSI cit. p. 314.
214 Sulle brigate nere l'opera di riferimento è naturalmente quella di D. Gagliani, Brigate nere cit. Sulla X MAS si veda J. Greene -A. Massignani, Il principe nero. Junio Valerio Borghese e la X MAS, Arnoldo Mondadori, Milano 2017; sulla legione Ettore Muti M. Griner, La “pupilla” del duce cit. Sulla legione Tagliamento, formalmente inserita nella GNR, si dispone dell'ottimo studio di S. Residori, Una legione in armi cit.
Stefano Gallerini, "Una lotta peggiore di una guerra". Storia dell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2021