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lunedì 6 settembre 2021

Torino nella Resistenza

Un volantino tedesco del settembre 1943 rivolto ai soldati italiani - Fonte: Mostra fotografica: La Primavera della Libertà (1940-1945). Un borgo in guerra. La guerra, i bombardamenti, la resistenza, i partigiani e i caduti della Circoscrizione 6, Torino, ANPI VI circoscrizione, Auser, CGIL SPI, (1995) 2013

Un altro volantino tedesco - Fonte: La Primavera della Libertà cit.

L’8 settembre 1943 il Piemonte viene occupato dalle truppe tedesche. Le violenze compiute nei confronti della popolazione civile (l’incendio di Boves vicino a Cuneo) e contro gli ebrei (gli eccidi sul lago Maggiore e le deportazioni di Borgo S. Dalmazzo) concorrono a determinare rapidamente un clima di terrore e di radicale ostilità in cui maturano le condizioni della resistenza armata. Torino ben presto diventa la sede naturale dell’attività clandestina per due ragioni evidenti: il peso naturale di un capoluogo regionale che si presenta con i tratti della grande città industriale, che porta dentro di sé, soprattutto nelle fabbriche che innervano il tessuto urbano, la tradizione antifascista e la memoria dei conflitti del primo dopoguerra. Ma Torino è anche il luogo che nella regione ha subito le conseguenze più gravi della guerra e, in particolare dall’autunno 1942, il peso devastante dei bombardamenti angloamericani. Le distruzioni e le morti, dopo le delusioni della guerra fascista, hanno finito con il segnare il distacco dal regime e dall’idea stessa della guerra. La pace diventa l’attesa e la speranza della popolazione: l’occupazione tedesca, sentita come aggressione, è vista anche come perdita, caduta della speranza di pace, così come la proposta politica della Repubblica Sociale, voluta da Hitler, nel sentire comune viene rifiutata, prima ancora che per dissenso ideologico antifascista, perché significa la continuazione della guerra accanto all’«alleato» tedesco. Questo elemento di fondo non va mai dimenticato perché fornisce all’opposizione clandestina, al di là dei contrasti fra le diverse componenti che costituiscono il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), un solido terreno comune. Il nemico è il tedesco, non più alleato ma invasore; il nemico è il fascista della Repubblica Sociale, collaboratore dei tedeschi, nemico interno pericoloso e odiato. Ciò fa sì che il movimento clandestino, oltre ad avere una notevole estensione e diffusione nella città, abbia anche una grande capacità di attrazione verso l’esterno: tutte le organizzazioni politiche e le formazioni partigiane avranno in Torino il centro «naturale» di riferimento e coordinamento. Accanto a queste motivazioni forti sul piano politico militare e psicologico, esistono altre ragioni, meno evidenti e tuttavia importanti, che possono spiegare la capacità di irraggiamento e coinvolgimento che Torino ha nei confronti di un territorio ampio. In particolare verso le vallate alpine che a occidente dal confine con la Francia si aprono verso la pianura, avendo come punto di attrazione convergente proprio il capoluogo regionale. Queste valli, allora molto più di oggi abitate anche a quote relativamente elevate, hanno rapporti con la città che derivano da fenomeni in atto da tempo, ma anche rapporti nuovi, nati con la guerra.
Tra i fenomeni che agiscono e rendono stretto il rapporto tra Torino e le vallate alpine in cui si insedieranno numerose e forti formazioni partigiane, il primo è costituito dai flussi migratori dalle valli alpine verso il fondovalle e verso la città capoluogo. Avviatisi nella seconda metà dell’Ottocento, questi movimenti si incrementano all’inizio del Novecento quando lo sviluppo industriale di vari settori richiama dalle valli operai artigiani che si occupano nelle fabbriche, ma anche molte persone, uomini e donne, occupate nei servizi. Migliaia di persone e migliaia di famiglie che fanno crescere Torino, ma che mantengono con le valli riferimenti e collegamenti. Lo sviluppo rapido, quasi violento dell’industria, in primo luogo l’industria meccanica nel corso della prima guerra mondiale, accelera il fenomeno che si attenuerà, senza tuttavia interrompersi, nel corso degli anni Trenta in conseguenza del controllo della mobilità sul territorio esercitata dal regime. Il fenomeno riprenderà slancio tra il 1939 e 1942, stimolato dall’incremento dell’attività delle industrie torinesi legate alla produzione bellica. La città si gonfia di presenze temporanee e permanenti.
 

Le conseguenze dei bombardamenti in Via Boito a Torino - Archivio Vigili del Fuoco - Fonte: La Primavera della Libertà cit.

Una bomba d'aereo, inesplosa a Torino - Fonte: La Primavera della Libertà cit.

Lo scatenarsi dei bombardamenti sulla città dal novembre 1942 invertirà rapidamente il movimento. Lo sfollamento coinvolge migliaia di persone e di famiglie, che abbandonano la città per trovare scampo nei centri minori. Una cospicua parte di sfollati troverà ospitalità nelle valli alpine, proprio in quei paesi che in anni non lontani erano stati abbandonati. Il dato interessante è che lo sfollamento ha almeno due volti: uno permanente che coinvolge quella parte della famiglia che non ha attività continue nella città, e una parte invece mobile, che riguarda i lavoratori e quanti hanno attività in città. La mobilità può essere giornaliera per chi può raggiungere in tempi ragionevoli di percorso (fino a due ore di viaggio) i centri di residenza. Riguarda i lavoratori dell’industria, degli impieghi e dei servizi, ma anche settori della borghesia produttiva (impiegati, commercianti, professionisti) che hanno nelle valli le residenze usate per le vacanze estive e invernali e che ora diventano la residenza principale, mentre la casa in città diventa secondaria. Si crea un artificiale rapporto tra città e campagna, uno scambio forzato che non si limita alle residenze ma coinvolge molti settori della vita quotidiana a cominciare dall’organizzazione del tempo, all’alimentazione, agli spostamenti che le strutture cittadine sconvolte dalla guerra e dalla sparizione dei beni di largo consumo non possono più garantire.
In questo territorio sconnesso si inserisce l’iniziativa politico militare che ha una dimensione cittadina e una dimensione esterna alla città, ma con questa raccordata. Nascono le strutture militari e politiche di coordinamento regionale come il Comitato Militare Regionale Piemontese e il Comitato di Liberazione Regionale e una fitta rete di strutture militari cittadine come i Gruppi di azione patriottica, le Squadre di azione patriottica, coordinate dal Comando Piazza e verso la fine della guerra gli organismi di coordinamento dell’insurrezione; di organizzazioni politiche come i CLN di quartiere, di fabbrica, di scuola, coordinati dal CLN cittadino; le organizzazioni sindacali (i Comitati di agitazione e i Comitati sindacali), e di massa come il Fronte della Gioventù per i giovani, o i Gruppi di Difesa della Donna.
Fuori della città, nelle valli a ovest di Torino nascono i primi gruppi di resistenti, in forme inizialmente instabili e via via più solide fino alla complessa articolazione delle formazioni che scenderanno sulla città nei giorni della liberazione.
 

La formazione Mauri nell'estate 1944 in Valle Maudagna (CN) - Fonte: La Primavera della Libertà cit.

Il rapporto che si stabilisce tra città e valli è quindi un rapporto articolato e complesso, fatto di movimenti e spostamenti che hanno regole interne, ma che sono sottoposti alla forza di eventi improvvisi. Sono perciò evidenti flussi di andata dalla città alle valli, verso le formazioni partigiane che controllano il territorio di montagna e di fondovalle. Ma esistono anche flussi di ritorno in cui la città diventa rifugio per i militanti clandestini perseguitati, per gli sbandati, per i feriti, per tutti coloro che hanno bisogno di un momento di riposo o di distacco.
 

Gruppo Stellina. Valle di Susa. IV Div. Alpina G. L. Duccio Galimberti. Archivio Istituto Storico della Resistenza Torino - Fonte: La Primavera della Libertà cit.

Le fasi dei movimenti in uscita sono abbastanza definite: in una prima fase, tra l’autunno e l’inverno 1943, due sono le componenti individuabili. La prima è costituita dai militari che dopo l’armistizio cercano rifugio sulle montagne per sottrarsi alla cattura. La maggior parte si disperde rapidamente. Una parte minoritaria, ma significativa, dà invece origine a formazioni partigiane stabili come in Valle di Susa e Val Sangone o nelle valli valdesi. La seconda componente è alimentata dai militanti politici, soprattutto comunisti, azionisti, socialisti che mandano verso la montagna i giovani con l’obiettivo preciso di farne dei partigiani, dei combattenti a tempo pieno. Questi ultimi sono in prevalenza giovani operai che trovano nella fabbrica i contatti per salire nelle formazioni in montagna; sono ben riconoscibili i percorsi soprattutto verso le formazioni Garibaldi delle Valli di Lanzo o delle plaghe del Montoso e le formazioni di Giustizia e libertà.
 

Partigiani garibaldini in Langa - Fonte: La Primavera della Libertà cit.

La seconda fase è quella travolgente della tarda primavera ed estate del 1944 in cui i flussi dalla città si fanno intensi e trasformano i gruppi e le piccole aggregazioni dell’inverno in formazioni numerose. Sono i giovani che si sottraggono alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale. Danno vita a una crescita rapida, spesso troppo rapida che rafforza, ma appesantisce le formazioni e le espone alle rappresaglie dei tedeschi. Il fronte delle Alpi occidentali diventa strategico per i tedeschi a partire dall’agosto 1944; non possono tollerare minacce alle loro linee di comunicazione nelle valli dove si insediano. Attaccano perciò pesantemente le formazioni partigiane, costringendole a spostarsi in aree meno minacciate, come la pianura o i sistemi collinari a est di Torino.
È in questa fase, soprattutto nell’autunno 1944, che una quota consistente di partigiani rientra in città e trova soluzioni di sopravvivenza nei quartieri popolari e spesso nelle fabbriche, in cui molti proprietari, che vedono ormai vicina la conclusione della guerra, sono disponibili a occuparli nelle aziende, dando loro la copertura necessaria per sfuggire alla cattura. Questa presenza di partigiani in città è un elemento di crescita organizzativa delle formazioni paramilitari che nel corso dell’inverno vengono costituite nelle fabbriche e nei rioni in vista dell’insurrezione. È anche l’elemento che incrementa la guerra di città con gli agguati nelle strade del capoluogo e purtroppo la triste sequenza dei caduti.
La terza fase si ha nella primavera del 1945, quando l’avvicinarsi della conclusione della guerra alimenta di nuovo le formazioni partigiane con ritorni e nuovi arrivi.
 

Trattoria Casa Bianca. Chialamberto. Maggio 1945. Accoglienza della popolazione ai partigiani. Archivio Istituto Storico della Resistenza Torino - Fonte: La Primavera della Libertà cit.

L’insurrezione è l’ultimo movimento: la discesa verso la città delle formazioni delle valli, quasi a ricomporre in pochi giorni un equilibrio che la guerra aveva rotto e trasformato. Vista così l’insurrezione appare come un movimento «naturale»; è invece un piccolo miracolo militare e soprattutto una straordinaria prova politica, che unisce in un unico sforzo coordinato e vincente la resistenza cresciuta negli spazi aperti delle valli e il movimento cittadino. Le manifestazioni che si svolgono a Torino nei giorni immediatamente successivi a una liberazione conquistata prima dell’arrivo degli alleati, danno visibilità simbolica al compito di guida politico-militare e morale giocato dalla città subalpina nella resistenza italiana.
Claudio Dellavalle, Torino, capitale subalpina della resistenza in Alpi in Guerra, La Memoria delle Alpi