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mercoledì 26 febbraio 2025

C'era una cappella...

 

Ventimiglia (IM): il fianco meridionale della Chiesa Parrocchiale di Cristo Re a Nervia

Oggi nell’ala orientale del Chiostro di Sant'Agostino a Ventimiglia, più precisamente al primo piano, ci sono la Biblioteca Comunale ed una bella sala riunioni. La struttura è stata intitolata ad Angelico Aprosio, l'erudito agostiniano che nel Seicento un po' più in là, nell'ala di nord-est del casamento, aveva eretto la Libraria, la prima biblioteca pubblica della Liguria, la cui ancora ragguardevole (migliaia di volumi antichi) dotazione è, tuttavia, chiusa in un edificio di Via Garibaldi nella città vecchia.
Tra gli anni Sessanta e Settanta in alcune stanze del Chiostro ci furono significativi incontri di studenti della zona e di altre persone con religiosi e laici, ma ferventi cattolici, venuti da fuori, tutti dediti ad attività sociali, in quanto ricchi di umanità e di curiosità intellettuale; in altre erano state installate aule decentrate di un Liceo Classico allora, prima del successivo crollo verticale di iscrizioni, in piena espansione di frequenze e di un istituto professionale; sussistevano, inoltre, vari uffici a valenza pubblica, sull'esempio di quel carcere che, collocato a pian terreno, ha fornito per decenni storie curiose da raccontare.
Qualcosa del genere sussiste tuttora, ma non sono ancora emersi singolari aneddoti.

A Nervia di Ventimiglia, sul fianco meridionale - quello lambito dal Cavalcavia - della Chiesa Parrocchiale di Cristo Re, una piccola sala aperta al pubblico e sulla cui porta stavano ad entrambi i lati a monito perenne di pace gli involucri di due bombe d'aereo rappresentava una sorta di cappella memoriale dei caduti - quasi tutti onorati con singola fotografia - della zona nella seconda guerra mondiale, persone perite nei terribili bombardamenti che colpirono la località, soldati che non fecero più ritorno, ma da tempo questo piccolo ricordo è stato smantellato.

Nei pressi dell'attuale Chiesa Parrocchiale della Madonna dei Fiori di Bordighera, sita in una traversa di Via Pasteur dal nome pittoresco, Via Arca di Noé, c'era ancora a metà Cinquanta una piccola caratteristica chiesa, forse una cappella, che più in piccolo poteva rimembrare il tempietto - privato - di Madonna della Ruota sempre in Bordighera. La sua demolizione viene tuttora attribuita dalla voce popolare ai pericoli insiti nella sua collocazione in piena curva sulla strada provinciale ad alta intensità di traffico: a prescindere dal valore di una semplice conservazione senza accesso al pubblico, rimane il fatto che la chiesa di Madonna della Ruota pur avendo le stesse caratteristiche, se non peggiori, affacciata com'è sulla Via Aurelia, qualche volta all'anno vede celebrare ancora qualche rito, logicamente ben invigilato dalla polizia municipale.
Rimane che, in attesa della costruzione della chiesa della Madonna dei Fiori, per alcuni anni le messe di quella zona venissero celebrate in un garage di Villa Hortensia, così che molte persone ebbero modo di conoscere, perché in quelle occasioni assiduo, il professore Raffaello Monti, insigne musicista, già antifascista, pacifista, amico di Giuseppe Porcheddu e di Aldo Capitini, animatore della cultura locale, presidente della locale Unione Culturale Democratica.

Adriano Maini

lunedì 9 dicembre 2024

Ombrellaio!!!

Ventimiglia (IM): il carro del Dopolavoro di Nervia transita davanti al Teatro Romano per l'edizione 1938 della Battaglia di Fiori. Fonte: Diego Pannoni

C'era una casa, a Nervia di Ventimiglia, più o meno insistente sull'attuale ingresso dell'antico Teatro Romano, demolita concluso il secondo conflitto mondiale, una costruzione che ospitava anche un panificio, dove diversi ragazzi dell'epoca impararono il mestiere. Si fermava spesso ai tempi in quell'operoso laboratorio un ferrivecchi, arrivato da non molto dalla lontana Calabria. Tra l'ospite e gli addetti al forno l'atmosfera era sempre gioiosa, le conversazioni erano sempre amichevoli, gli spuntini erano frequenti. Ma era anche irresistibile la tentazione per gli indigeni di giocare qualche tiro all'immigrato, mettendosi a parlare in dialetto stretto: il divertimento era comunque assicurato per tutti, trattandosi di persona di spirito, destinata di lì a breve a diventare un noto ristoratore della città di confine.

Arturo Viale nel suo "Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio" (Edizioni Zem, 2022) si sofferma su di sergente dei granatieri, alto un metro e novanta, il quale, per arrotondare la paga raccoglieva ferro ed ossa (di animali, si suppone!): "il ferro serviva per qualche fucina e le ossa tritate diventavano concime", ma, finita la guerra, riapprodato a Ventimiglia, "aveva deciso di sfruttare l’altezza e si era messo a costruire i pergolati di cannicci per coltivare il verde e le serre in legno".

In quel periodo operava nella zona intemelia di frontiera anche un guaritore, una figura su cui Odovindo Del Bona ha incentrato il suo romanzo "Il mago e le streghe. Vicende dell'estremo Ponente Ligure" (Youcanprint, 2019).
In effetti l'autore (un noto imprenditore del ponente ligure che per l'occasione ha inteso celarsi sotto un nome d'arte) ha innestato dei raccordi di fantasia sulla rievocazione di molte vicende reali della vita del nonno materno (e di questo ramo della sua famiglia): un'opera che merita, invero, qualche successiva specifica presentazione critica più dettagliata.
Qui preme sottolineare due situazioni, estrapolate dal contesto.
L'imposizione fatta al protagonista, nonché a sua moglie ed alla figlioletta, di sopportare la presenza forzata del "comandante Kasper" e di un drappello di soldati tedeschi al piano terra della propria abitazione, un casale parzialmente appena ristrutturato, situato non lungi dal cimitero di Vallecrosia, e di questi e di altri teutonici nel suo terreno adibito ad uso agricolo, ancorché in quei giorni tormentati praticamente abbandonato, un terreno ben presto devastato per l'allestimento di un'officina di riparazione di mezzi pesanti germanici.
E la richiesta del comandante garibaldino Vittò (al secolo Giuseppe Vittorio Guglielmo), quando Pigna era una zona libera partigiana, di curare un suo caro amico che versava colà in gravi condizioni. Il guaritore, che attraversava di continuo gli spazi di patrioti e di nazifascisti in quanto molto richiesto per le sue prestazioni, in quel caso si sentì sul serio incapace allo scopo, ma, con sua somma sorpresa, il suo tentativo ebbe successo: al ritorno fu molto attento a non fare accenni di questa vicenda all'uomo della Wehrmacht, che, anche se riconoscente per la terapia praticata alla sua sciatalgia, era sempre molto sospettoso circa gli spostamenti di chi malvolentieri lo ospitava.

In molti, specie donne, allora ed anche dopo, praticavano rimedi e medicamenti, per lo più con decotti di erbe, per malanni vari: ad esempio, si prestava attenzione ai bambini per i cosiddetti "vermi" (la tenia) ed ai più grandi per slogature, storte alle caviglie ed altri acciacchi muscolari, rispetto ai quali alcuni veri "maghi" sapevano ripristinare condizioni ottimali con la semplice (si fa per dire!), misteriosa imposizione delle mani.

Ma ambulavano, inoltre, da queste parti, come nel resto del Paese, chi sporadicamente, chi più sovente, zampognari (che la mentalità popolare individuava come nunzi di maltempo), arrotini, spazzacamini, pescivendoli (brutto termine ma di uso corrente). In genere si annunciavano con forti strilli in gergo. Un grido, forse, è rimasto più impresso in una certa memoria collettiva, quello di "Ombrellaio!!!". Mestieri in larga misura superati dalle tecniche moderne, comprese quelle che producono beni "usa e getta". Qua e là, tuttavia, si esibiscono ancora colleghi degli amici acrobati e ballerini di Mary Poppins, non del tutto sorpassati dal progresso.

E dalle spiagge si sente pure adesso qualche volta il quasi ancestrale, cantilenante annuncio "Cocco fresco, cocco bello!". Ma anche un più recente - così, almeno, sembra! - "Co! Co! Co! Cocco bello!".

Meriterebbero un capitolo a parte i carretti dei gelati, ma poche parole di una nota canzone intonata da Lucio Battisti hanno già fatto giustizia in merito.

Adriano Maini

lunedì 16 settembre 2024

Camicie con la seta dei paracadute

 

Bordighera (IM): la spiaggia ai Piani di Borghetto

Un ex ragazzo dell'epoca, Giulio B., ricordava di come avesse contribuito in tempo di guerra a "fare il sale" con il sistema dell'ebollizione dell'acqua di mare. Si vantava del fatto che talvolta con un suo amico, compagno di avventura, riuscisse a produrre anche cinquanta chili al giorno del prezioso alimento, destinato, pertanto, anche ad essere rivenduto con evidente beneficio economico per le loro famiglie, dunque, non solo per stretto consumo casalingo. Questo capitava ai Piani di Borghetto di Bordighera, quasi al confine con Vallecrosia, e gli attori per andare in scena e procurarsi la materia prima attraversavano con pericolo evidente spiagge minate dai tedeschi. Di più: smontavano alcuni dei citati micidiali ordigni esplosivi - ed un altro pericolo incobente era quello di incappare nella sorveglianza - per estrarre la polvere pirica con cui avviavano al meglio le fiamme per i loro calderoni, in effetti rozzi vasconi fatti con metalli recuperati di fortuna.
Si trattava peraltro di una pratica molto diffusa, non solo nel ponente ligure. Altri racconti hanno fotografato come sede di produzione del sale il settore di sbocco a mare della Galleria degli Scoglietti di Ventimiglia.

Giulio parlava anche del riutilizzo - soprattutto per fare camicie - della seta di paracadute, raccolti frettolosamente, in questo caso non solo da lui, paracadute caduti in gran numero perché trasportavano bengala, quei bengala che in altri racconti ritornano come il terrore di tante persone, timorose di imminenti bombardamenti aerei che, in effetti, in quell'inizio di estate del 1944 - la notte dei bengala -, diversamente, purtroppo, dal prima e dal dopo, poi, stranamente, non ci furono.

Altri ex ragazzi hanno raccontato, rispetto al tormentato periodo bellico, di loro incontri con brigatisti neri della Repubblica Sociale di Salò.
Chi, maltrattato in casa a Vallecrosia, insieme ai genitori, da miliziani che cercavano il fratello maggiore impegnato nelle azioni della locale squadra di azione patriottica (Sap).
Chi, trovatosi con il padre ed il loro accompagnatore del luogo in altura - zona San Martino - tra Vallebona e Soldano alla raccolta di olive - copiose in quell'ultima stagione di guerra - venne fermato con i due adulti da una squadra di brigatisti neri alla ricerca di partigiani. I grandi furono sospettati di connivenza con i ribelli, sennonché un saloino, riconosciuto quel genitore, garantì per tutti, ponendo termine alla brutta disavventura.

Terminato il conflitto, Giulio lavorò anche allo sminamento, ormai logicamente praticato su larga scala e remunerato, impegno che gli venne prontamente inibito dalla madre appena ne venne a conoscenza, e l'ex milite fascista, che aveva tolto dai guai i raccoglitori di olive, trovò occupazione presso una nota distilleria di profumi della zona.

Adriano Maini

giovedì 5 settembre 2024

Ventimiglia e la seconda guerra mondiale...

Ventimiglia (IM): la lapide che nella piazzetta della Chiesa di Nervia ricorda le 67 vittime del bombardamento aereo del 10 dicembre 1943, tra le quali quattro ostaggi esposti dai nazifascisti

Due cugini, nati in provincia di Parma, emigrati a Ventimiglia, perirono, uno alpino, l'altro del genio ferrovieri, nel rogo dell'infame campagna di Russia voluta da Mussolini nella seconda guerra mondiale.
La famiglia dell'alpino, finito il conflitto, andò ad abitare in prossimità delle rovine - affacciate sul fiume Roia - provocate dai terribili bombardamenti che squassarono la città di confine, in modo particolare quello del 10 dicembre 1943.
All'altra famiglia toccò in sorte di ricevere - a morte già avvenuta del congiunto - una cartolina postale  (uguale a decine di altre, con la sola variante dei destinatari e del nome proprio del subordinato), firmata dal maggiore del Battaglione, un biglietto che augurava il Buon Natale e che assicurava che il loro caro stava bene.
Nella zona di residenza di questa famiglia, Nervia di Ventimiglia, un anno dopo, proprio in quel 10 dicembre 1943 già citato, una ragazzina assistette da vicino all'inferno scatenato dagli aerei statunitensi con tale evidente timore sì da voler spesso ricordare da insegnante adulta in classe ai suoi allievi il tragico episodio.
Sempre in quel giorno si prodigò all'estremo per soccorrere feriti e per dare conforto spirituale il parroco, che anni dopo dalla sua nuova destinazione di Riva Ligure si trovò spesso in stazione con l'opportunità di rivedere e salutare affettuosamente almeno un ferroviere, in questo caso fratello del geniere defunto, del novero dei giovincelli da lui già conosciuti a Nervia.
Si affrettarono anche dal centro città madre e figlio di dieci anni in cerca del padre che dalle parti di Nervia aveva un lavoro: per loro fortuna il capofamiglia si era trovato oltre il punto critico, ma il bambino da grande avrebbe rammentato i morti da lui visti con sofferta umanità ancor più per il fatto che era destinato a frequentare tanti sopravvissuti.
Sempre da Nervia era partito per la guerra un altro ragazzo, che conosceva quasi tutte le persone - di alcune era anche amico! - qui menzionate e che affondò al largo dell'isola Asinara con la corazzata Roma il 9 settembre 1943.
Finirono in trappola Ettore e Marco Bassi, padre e figlio, commercianti ebrei di Ventimiglia, benefattori non solo degli ebrei stranieri in fuga, ma anche benemeriti della città e del comprensorio, per essere poi falcidiati nell'inferno degli stermini nazisti.
Ferrovieri antifascisti di Ventimiglia vennero uccisi nelle rappresaglie del Turchino e di Fossoli, ma i più trovarono la morte nei lager tedeschi: tra loro anche il compagno di lotta capitano Silvio Tomasi, già reduce dalla campagna di Russia.
Da Ventimiglia qualche familiare è riuscito negli anni a recarsi in Germania per visitare la tomba di un loro caro, deceduto quale Internato Militare.
Una lapide nel cimitero centrale di Ventimiglia a Roverino commemora i partigiani caduti: impressionante pensare a come furono massacrati a Sospel dalla furia nazifascista undici garibaldini (tra i quali un ventimigliese, Osvaldo Lorenzi; un altro ventimigliese, Sauro Bob Dardano, era già morto con l'assalto nemico) e quattro appartenti al maquis.
Nella strage nazista di Grimaldi perirono anche tre bambini molto piccoli; in quella di Torri due persone molte anziane e due cinquantenni.
Sono solo alcuni esempi, uno spaccato non esaustivo: certamente è impressionante verificare che solo la piccola città di Ventimiglia abbia avuto centinaia e centinaia di vittime di guerra.
 

Adriano Maini

lunedì 5 agosto 2024

Studenti di Ventimiglia e di Sanremo a cavallo della seconda guerra mondiale

Sanremo (IM): l'edificio (già Monastero delle Monache Turchine) che fu sede del Liceo Classico frequentato da Italo Calvino

Qualche anno prima dell'ultimo conflitto mondiale un giovane orfano di Ventimiglia per completare il curriculum scolastico antecedente l'Università, alla quale non sapeva ancora se sarebbe stato in grado di iscriversi, fu costretto a entrare in Seminario a Bordighera: era per lui lungi da venire una non facile esperienza - cattedra ricoperta come supplente di un titolare in distacco perché a lungo parlamentare - di insegnante di lettere alle superiori, di esperto di latino e di Pirandello, di preside - quest'ultimo un incarico in posizione infine stabile -.

In quel torno di tempo scendevano a piedi a Ventimiglia per le richiamate esigenze di frequenza scolastica due ragazzi di paeselli vicini di Val Roia, uno destinato a diventare avvocato di nome e sindaco della città di confine, l'altro vocato, prima di accedere all'insegnamento, ad essere capitano di mare.

Si trovava nella stessa classe liceale di Italo Calvino a Sanremo la futura insegnante, la quale, appena finita la guerra, impartiva ripetizioni al ragazzo destinato a ripercorrere con onore una strada di famiglia diventando un celebre fotografo. La ragazza non poteva vaticinare che avrebbe insegnato alle medie inferiori di Ventimiglia né che tornata nella sua vecchia scuola anche lì avrebbe svolto il suo ruolo, ma in una sede che ormai fisicamente era di Ragioneria: meno che mai che in tempi ancora più recenti certi suoi metodi autoritari sarebbero stati aspramente criticati su libello dal colto e brillante divulgatore, ma anche severo fustigatore di costumi, che si chiama Marco Innocenti.

Con Calvino e la non avvenente fanciulla - ed Eugenio Scalfari ed altri nomi risonanti nella storia della Sanremo bene, certo - c'era anche, come attesta una non del tutto nota fotografia, il futuro ingegnere - con radici in Bordighera - di Ventimiglia, che ben prima di poter esercitare dovette, arrestato quale patriota antifascista, passare per le forche caudine di un campo di concentramento nazista.

Appena finiti gli eventi bellici, per affrontare al meglio il liceo classico a Sanremo, dopo la forzata interruzione degli studi, prendeva lezioni da un personaggio qui già citato, che all'epoca era appena entrato nella vita politica, un giovanotto destinato a diventare un illustre giurista e poi, anche lui, un reggitore a livello centrale della cosa pubblica.
Tra i tanti meriti del suo mentore, tuttavia, si è ritrovata - per via di uno strano caso di quelli che a volte capitano - almeno una nota stonata: la copia di una lettera con cui nel 1958 aveva cercato - invano, si può aggiungere, con il senno di poi - di impedire l'assegnazione di una casa popolare ad un attivista comunista, già partigiano, come sottolineava proprio lo scrivente, a quel punto del tutto dimentico di aver fatto parte di un C.L.N. locale. 

Rimane indeterminato il periodo nel quale un maestro di Ventimiglia, sposata una collega di Apricale - un borgo natio di intellettuali, nonostante vecchie dicerie - venne convinto dalla moglie a perfezionare gli studi, così da diventare, da laureato e da docente, anche un esperto della lingua dell'antica Roma e, successivamente, preside del latinista già menzionato.

Ed altri passi ancora si sono incrociati, anche se non per tutti, tra politica, docenze, relazioni sociali.

Adriano Maini

sabato 25 maggio 2024

Quando si passava la sabbia nel fiume

Ventimiglia (IM): il ponte della ferrovia sul fiume Roia a settembre 1955

Di tutti i personaggi che affollano i racconti che i suoi due anziani amici hanno fatto ad Arturo Viale di Ventimiglia (IM) in ViteParallele (ed. in pr., 2009), c’è n’è uno il cui funerale, avvenuto nella città di confine quando era ancora relativamente giovane, vale a dire nei primi anni Cinquanta, fu invero molto partecipato. Quell’uomo, insieme ad uno degli affabulatori di cui sopra - ideatore dell’azione che segue -, ed a un terzo amico, era arrivato da questa zona di confine sino a St. Raphael in un gozzo spinto dai tre a remi il 10 settembre 1944 per consegnarsi agli americani della flotta alla fonda da quelle parti per portare informazioni importanti sotto il profilo bellico: un rapporto della marina da guerra statunitense (U.S. Atlantic Fleet, Task Force 86 Operations and Action of the Support Force Eighth’ Fleet During Invasion Of Southern France) conferma l'episodio "Il 10 settembre tre patrioti italiani arrivarono dall'area di Ventimiglia a 0645A... Più tardi nostre navi spararono, con il supporto di aerei da ricognizione, su alcuni obiettivi indicati da questi patrioti italiani".

Lasciò un figlio, quell’ardito che era morto troppo presto, un figlio che abitava con la nonna paterna in Via Giudici a Ventimiglia, di fronte alla Piazzetta delle Erbe.

Un figlio che fu a sua volta un baldo giovanotto, che ammaliava il vicinato quando tornava in licenza dal servizio miltare con la sua bella divisa da marinaio. Una volta congedato, aveva cercato un lavoro, e non avendo trovato di meglio, si era messo come tanti a “passare” nel fiume Roia la sabbia. Con reti metalliche, in genere, di vecchi letti ormai in disuso, messe un po’ dritte, in posizione trasversale, con il sostegno di un qualche bastone, di modo che da una parte cadessero i sassi ed altre scorie, e, dall’altra, quella giusta, fine rena molto utile per un’edilizia già in crescita. E quanta fatica in quegli anni per quegli spalatori, che di sicuro erano costretti a lavorare in modo illegale!

In città, a monte e a valle dei due ponti (e della passerella) sul fiume, erano ancora le lavandaie, per conto terzi o per conto proprio, che utilizzavano quelle acque correnti: figure in genere pittoresche. A volte, in dimensione casalinga, si procedeva anche all’immersione della lana dei materassi…

Un giorno, però, l’ex marinaio di leva si procurò, agendo, come tutti quei “manovali”,  a piedi nudi, un profondo taglio ad un piede con un vetro rotto purtroppo sfuggito alla sua attenzione: gli toccò, allora, giacere abbastanza a lungo fermo con vistosa fasciatura nel lettino all’ingresso della modesta abitazione che condivideva con l’affannata ava.

Il nostro aveva, poi, come zio, fratello del defunto padre, chi si era trovato una bella scusa per scansare il premilitare fascista d’anteguerra: giovane pescatore, uno di quelli che aiutava gli ebrei stranieri, dannati dal regime con le leggi razziali, a fuggire in barca dall’Italia verso la Francia nella tormentata stagione 1938-’39 [in proposito, di Paolo Veziano, Ombre al confine. L’espatrio clandestino degli Ebrei dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, ed. Fusta, 2014], in futuro valente floricoltore, che si presentava al premilitare fascista a piedi nudi, sostenendo che in casa non si avevano soldi per comprargli le scarpe: al che il capomanipolo o centurione, il brutto ceffo in camicia nera, insomma, che dirigeva la situazione, lo mandava via, con tacita soddisfazione del nostro personaggio, che di tutta evidenza aveva ottenuto, almeno una volta, il suo scopo.

Adriano Maini

mercoledì 17 aprile 2024

Collasgarba, semplicemente





Circa sessant'anni fa gli scorci di panorama ripresi dalla collina di Collasgarba - e gli stessi aspetti particolari della zona - apparivano come in alcune fotografie qui pubblicate.


Collasgarba è una collina che sovrasta Nervia, la zona orientale di Ventimiglia (IM) e la foce dell'omonimo torrente, il quale traccia il confine con Camporosso, il cui territorio, del resto, cinge alla spalle la richiamata altura.





A scorrere la storia ci si imbatterebbe in tante vicende.


Sarà sufficiente sottolineare che Collasgarba domina un antico insediamento dei Liguri, poi città - Albintimilium - nella classica età romana ed una postazione militare medievale.

La zona Nervia di Ventimiglia, Camporosso Mare e Vallecrosia, fotografate dalla collina di Collasgarba qualche giorno dopo il bombardamento del 10 dicembre 1943 - Fonte: Silvana Maccario


La collina fu attonita spettatrice dei bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale: il più tragico fu quello del 10 dicembre 1943, che fece 67 vittime.



In quel periodo in posizione molto arretrata lassù c'era anche una postazione tedesca, talora affiancati da bersaglieri repubblichini, i quali in gran parte, tuttavia, agirono clandestinamente per la Resistenza.


Subì per l'evento bellico citato notevoli danni - le immagini ne sono perfetta testimonianza a circa vent'anni di distanza - l'azienda Vivai Corte di Collasgarba, una bella azienda agricola, che pubblicava anche una pregiata rivista tecnica di settore, un'esperienza che andrebbe rivisitata e tramandata in modo adeguato, il che oggi non è.




La riproduzione delle fotografie datate anni Sessanta è stata gentilmente concessa da Diego Pannoni.

Adriano Maini

martedì 20 febbraio 2024

Good Morning Babilonia


"[...] uno scrittore messicano, Federico Campbell, mi ha dato la risposta: ricordare è lo stesso che immaginare. Non sono capace di scrivere romanzi, ma c'è forse qualcosa di più fantastico della realtà?" così si è espresso Federico Scianna, valente fotografo e grande amico di Leonardo Sciascia, con Michele Smargiassi, che ha riportato la frase nel suo articolo Scianna. Scrivere, che bella visione, apparso su il venerdì di Repubblica, n° 1730, del 14 maggio 2021.

Si tratta di un'espressione che spinge per ad attingere ai ricordi di racconti uditi in questo lembo di ponente ligure che va da Bordighera al confine con la Francia e comprensivo dell'entroterra: fatti non necessariamente accaduti da queste parti, ma in ogni caso rammentati da chi in questa terra era nato o era venuto ad abitare.

Piccole cose - ben inteso - ma anche inediti più o meno singolari.

Riemerge, in tale contesto, la spinta a proclamare - con alquanta spavalderia! - che la storia si compone di mosaici realizzati con tante minuscole tessere. A prescindere - logicamente - da attestazioni di ordine letterario o di afflato lirico.

Qualche esempio, allora, magari abborracciato.

La fuga di una coppia di giovani, poco più che adolescenti, a cavallo tra Ottocento e Novecento, da un paesello arroccato in altura per coronare un contrastato sogno d'amore. L'idillio finito. Un paio di figli in collegio ad Alassio. La fuga di lui negli Stati Uniti. Il suo ritorno per partecipare alla Grande guerra. Un altro viaggio, definitivo, oltre oceano. Quali intermezzi, alti e bassi di carattere economico. Una nuova famiglia negli States. Fratellastri e loro discendenti che tempo dopo si conoscono. Un trama degna, anche se più leggera, di Good Morning Babilonia dei fratelli Taviani.

Gli eventi di un bersagliere, non più di leva, di un altro nostro piccolo borgo. Ad iniziare dall'obbligo che più di un secolo fa questi soldati avevano di svolgere, una volta conclusa la ferma, ulteriori periodici addestramenti. Fu così che ebbe occasione di conoscere o di vedere da vicino i protagonisti del famoso caso della contessa Tiepolo. Nel grande conflitto portò in salvo sulle spalle il compaesano gravemente ferito della vicina vallata, il quale serbò sempre grata memoria anche ai suoi discendenti. Ebbe a compiere qualcosa del genere anche con un suo ufficiale a cui, quando presente al soggiorno militare in Sanremo, in seguito con una figlia faceva spesso visita, recando modesti doni prodotti nella sua campagna: seppe, poi, che da generale fu uno degli eroi tra gli italiani che si opposero ai tedeschi in Corsica dopo l'8 settembre 1943.

Cugini che durante la Grande guerra si ritrovarono insieme - come attesta la fotografia qui pubblicata (si vedano le crocette da loro, o da qualche loro familiare, apposte a ricordo!) - nella stessa truppa specializzata e che riuscirono a tornare indenni in questa Riviera: uno dei due si spostò poi a ponente di qualche chilometro per emigrare in modo definitivo a Nizza.

Il pescatore, in seguito floricoltore, destinato ad aiutare ebrei stranieri in fuga dall'Italia, che ai premilitari imposti dal fascismo si presentava scalzo, sostenendo che in famiglia non c'erano soldi per le scarpe, di modo tale che regolarmente veniva rimandato a casa.

Un bambino di cinque anni che dall'altura di Collasgarba assiste all'avvio del terribile bombardamento aereo su Nervia. Subito dopo, con la famiglia, sotto un robusto tavolo in un vano seminterato adiacente al soggiorno. Il nonno vuole vedere o chiudere ancora qualcosa. Una pioggia di microscopici pezzi di vetro lo investe in pieno (ed il medico avrà il suo bel da fare per rimuoverli tutti!): un ordigno aveva appena scavato una profonda buca davanti alla Villa.

Adriano Maini

mercoledì 24 gennaio 2024

Tanti immigrati alla costruzione delle strade militari nell'estremo ponente ligure

Magauda, Frazione di Camporosso (IM): una zona circondata a suo tempo da strade militari

Come è ben noto, durante la Grande guerra a Ventimiglia vennero adibiti a ospedali militari l'Orfanotrofio San Secondo e l'Ospizio di Latte; a Bordighera vennero adattati a simile scopo il nuovo Casinò e diverse ville private, anzi, fu persino impiantato un nosocomio attendato; e così via. Del personale inglese (infermiere, ufficiali, soldati) passato in zona si conoscono alcune vicende di battaglia, ma poco risulta scritto dei fatti d'arme che coinvolsero uomini di questa zona del ponente ligure (da segnalare nel contesto il bel lavoro di Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019, ma, trattandosi di una rassegna di quasi tutti i combattenti della zona intemelia partiti all'epoca per il fronte, le relative informazioni per forza di cose, fatte salve alcune eccezioni, sono necessariamente molto sintetiche), per cui in proposito nel secolo più o meno appena trascorso sono girati alcuni racconti orali, all'apparenza scarni ed imprecisi, anche quelli compiuti da successivi immigrati.

Alla metà degli anni Trenta - ed ancora poco prima - alla costruzione delle strade militari, che sarebbero dovute servire da infrastruttura alla cosiddetta (e presunta) Maginot fascista delle Alpi Marittime, parteciparono in prevalenza come operai e manovali tanti e tanti immigrati - non tutti provvisori - da altre parti d'Italia. Dovette occuparsene anche il poeta Salvatore Quasimodo, allora quadro del Genio Civile di Imperia.

Scoppiato il secondo conflitto mondiale, il regime pensò di prodursi in un altro gesto di propaganda dei suoi, facendo (obbligando a) rientrare tredicimila tra bambini e ragazzini, figli di connazionali trapiantati in Libia, da far vivere poi tra edifici di colonie estive, alberghi, costruzioni varie (in genere pertinenze della Gioventù Italiana del Littorio, la G.I.L.). Secondo il compianto presidente dell'ANPI di Bordighera, Vincenzo Ridi, che nel 2013 ne promosse la memoria, ben quattromila dimorarono a Bordighera. Diversi anche nella vicina Sanremo, ma chi scrive non ha ancora trovato cifre in merito. In ogni caso, su questa drammatica vicenda, poiché si trattava di piccoli lontani dalle famiglie, dei quali molti perirono sul suolo nazionale e tanti altri non rividero più i loro cari, ha ben scritto da adulta una protagonista, Grazia Arnese Grimaldi, nel suo "I tredicimila ragazzi italo-libici dimenticati dalla storia" (Marco Sabatelli Editore, Savona, 2012).

In alcuni diari di nostalgici, in genere bersaglieri repubblichini, dei loro trascorsi di guerra nei pressi di questo confine con la Francia emergono memorie goliardiche, ed anche sporadiche retoriche commemorazioni di camerati caduti, ma non risultano mai parole di pietà per le loro vittime.


Esempi di documentazione O.S.S.


Non saranno tutti così i documenti pertinenti in materia, contenuti negli archivi statunitensi, i N.A.R.A., ma da quello che si rinviene desegretato dalla CIA in Rete, tra interrogatori in italiano condotti - si presume - per le Corti d'Assise Straordinarie (C.A.S.) del secondo dopoguerra, confluiti in atti O.S.S. (antesignana della CIA) ed altri appunti della medesima Organizzazione, tutti afferenti in qualche modo la provincia di Imperia, non difettano, accanto alle certificazioni di efferatezze nazifasciste (qui, qui e qui qualche esempio), aspetti secondari che sconfinano nel pettegolezzo: non solo la presenza ridondante di amanti donne, cui si è fatto già cenno altra volta, ma anche azioni da profittatori di guerra, coinvolgimento in trame di contrabbando e di borsa nera di alcuni commercianti di fiori, incombenze pressoché usuali di domestici, albergatori ed autisti (con viaggi a destra e a manca, soprattutto attraverso il confine con la Francia, sinché non divenne il fronte, con meta prevalente - guarda caso! - Montecarlo), quasi a dimostrazione del fatto che da accusati e testimoni non si intendesse ricavare molto di più.

Adriano Maini

giovedì 4 gennaio 2024

Ufficiali garibaldini di Spagna a Vallecrosia

A destra, Cesare Menarini in Spagna. Fonte:  AICVAS

Giuseppe Mosca in Spagna. Fonte:  AICVAS

Di Cesare Menarini e di Giuseppe Mosca e della loro militanza come volontari delle Brigate Internazionali a difesa della Repubblica Spagnola si potevano rinvenire un tempo ampie citazioni non solo nel classico libro di Luigi Longo, ma anche in uno di Giorgio Amendola. Con l'avvento del Web si possono trovare su di loro ancora più notizie, come si riporta più avanti.

Menarini e Mosca hanno avuto la singolarità di avere vissuto a Vallecrosia; Mosca più a lungo, prima di tornare a Biella, sua zona natale;  Menarini, invece, per tanti anni rimase nel ponente ligure, prima a Sanremo, poi, come detto a Vallecrosia, infine a Ventimiglia.

Certo, nella Guerra Civile di Spagna furono una quarantina i combattenti antifascisti imperiesi, arruolati nelle Brigate Internazionali. Non ebbero, tuttavia, la notorietà di Menarini e di Mosca, a loro volta meno ricordati in provincia di Imperia rispetto a Lorenzo Musso (Sumi), che durante la lotta di Liberazione divenne Commissario Politico al Comando Operativo della I^ Zona Operativa Liguria, ma soprattutto a fronte di Giuseppe Vittorio Guglielmo (Vittò, Ivano), comandante della II^ gloriosa Divisione Garibaldi "Felice Cascione" e neppure in riguardo di Carlo Farini (Simon), anch'egli già in Spagna, vice comandante del Comando militare unificato ligure, in precedenza comandante della I^ Zona e della II^ Operativa Liguria, il quale in provincia di Imperia durante la Resistenza ci era arrivato, per così dire, da emigrato.

Menarini Cesare di Pietro e Malagoli Maria, 5/10/1907, Città  del Lussemburgo. Autista, comunista. Cittadino italiano nato in Lussemburgo, nel 1915 rientra a San Felice sul Panaro insieme alla famiglia, originaria del Modenese. Il 13 gennaio 1923 espatria con regolare passaporto in Francia, raggiungendo il padre, emigrato per lavoro l'anno precedente. Si stabilisce prima a Homécourt, nel dipartimento della Meurthe e Mosella, fino al 1926, poi a Le Plessis-Trévise, nel dipartimento della Valle della Marna, nella regione dell'Ile-de-France, dove nel 1926 entra nella Federazione giovanile del Partito comunista francese e poco dopo nei Gruppi di lingua italiana del PCF. Nel 1928 si trasferisce a Le Blanc-Mesnil, nel dipartimento della Senna-Saint-Denis, sempre nella regione dell'Ile-de-France, dove svolge un'intensa attività  antifascista tra l'emigrazione italiana fino all'ottobre 1936, quando decide di partire per difendere la Spagna repubblicana e si imbarca dal porto di Marsiglia sulla nave "Ciudad de Barcelona”. Sbarcato ad Alicante, raggiunge in treno Albacete, dove è arruolato nel battaglione Garibaldi, 1. compagnia, per poi passare alla 2. e alla 3. compagnia. A novembre combatte a Cerro de los Angeles e a Casa de Campo, dove il 20 novembre è ferito da una pallottola alla spalla sinistra. Dopo il ricovero negli ospedali di Madrid e di Valencia, nel gennaio 1937 torna al fronte e combatte alla Città  Universitaria, a Puente de Segovia, a Carabanchel, ad Arganda, sul Jarama, a Morata de Tajuna e a Guadalajara. Passato alla Brigata Garibaldi, il 31 maggio 1937 è promosso sergente e combatte a Huesca, a Brunete e in Catalogna. In seguito è al servizio della Delegazione della Brigate Internazionali a Valencia e poi, dal settembre 1937 al giugno 1938, alla Censura militare delle Brigate Internazionali, a Godella, in provincia di Valencia, e a Barcellona, nel quartiere di Sarrià. Il 10 novembre 1937 è promosso tenente e si reca alla base di Quintanar de la Republica, che lascia il 19 novembre per tornare in servizio. Nel febbraio 1938 è ferito al lato destro della testa da una scheggia durante un bombardamento aereo su Valencia ed è ricoverato all'ospedale militare cittadino. Il 4 aprile 1938 è promosso ancora e raggiunge il grado di capitano. In agosto si frattura il piede destro a causa di un bombardamento aereo su Barcellona ed è ricoverato in ospedale. Il 20 agosto 1938 esce dalla Spagna per infermità  e rientra nella sua abitazione a Le Blanc-Mesnil. Il 24 agosto gli viene tolto il gesso al piede all'ospedale di Versailles. Guarito, riprende il lavoro di operaio edile. Nel 1940 è responsabile del Partito comunista per il settore Parigi-Nord (Le Bourget, Le Blanc-Mesnil, Aubervilliers, Drouot, Bobignye e altri comuni) e durante il periodo dell'occupazione tedesca organizza un gruppo antinazista clandestino che distribuisce il bollettino ciclostilato "La Voce degli Italiani" e materiale di propaganda francese. Nel settembre 1940, la sua casa è perquisita dalla polizia, ma riesce a sfuggire l'arresto e viene ospitato per alcuni mesi da compagni di partito. Nell'agosto 1941 il Centro estero del Pcd'I lo invia in Italia con materiale di propaganda comunista nascosto in un baule con doppio fondo. Dopo un primo periodo presso dei parenti a Mirandola, il 7 marzo 1942 sposa Anna Polloni e si trasferisce a San Felice, dove lavora nel magazzino per l'ammasso della canapa, da dove diffonde materiale di propaganda comunista. Entrato nella Resistenza con il nome di battaglia "Andrea", è commissario politico di brigata della Divisione Modena Armando. Riconosciuto partigiano combattente dal 1 ottobre 1943 al 31 maggio 1945 (dal 1 ottobre 1943 al 24 febbraio 1944 con il grado di sergente maggiore, dal 16 marzo 1944 al 31 maggio 1945 con il grado di maggiore). Dal 1945 al 1948 è sindaco di San Felice sul Panaro. Successivamente impiegato comunale all'ufficio delle imposte di consumo, nel 1956 è licenziato per attività  sindacale e decide di tornare a lavorare all'estero, in Svizzera, Germania e Francia. Nel 1962 si stabilisce a Sanremo, poi si sposta a Vallecrosia e infine a Ventimiglia, dove muore l'11 aprile 2002.
Eventi a cui ha preso parte
[nella guerra civile spagnola]:
Battaglia di Cerro de los angeles (Cerro Rojo)
Battaglia di Casa de campo
Battaglia della Città  universitaria di Madrid
Battaglia di Arganda del Rey
Battaglia del Jarama
Battaglia di Morata de Tajuña
Battaglia di Guadalajara
Battaglia di Huesca
Battaglia di Brunete
Annotazioni: Secondo il "Dizionario storico dell'antifascismo modenese", vol. 2: "Biografie", nell'estate 1941 il gruppo antinazista organizzato da Menarini in Francia fu incorporato nel Front National clandestino.
Istituto Nazionale Ferruccio Parri

Mosca, Giuseppe
Di Giovanni e di Aurelia Cristianelli. Nato l'11 gennaio 1903 a Cossato, residente a Chiavazza (Biella) fin dall'infanzia, fonditore. Iscrittosi alla Camera del lavoro e successivamente alla gioventù comunista, fu un militante molto attivo. Costretto, dopo ripetuti scontri con i fascisti, alla vita clandestina, il 27 novembre 1927 fu arrestato a Torino con l'accusa di appartenenza al Partito comunista e diffusione di stampa sovversiva nelle fabbriche della città: deferito al Tribunale speciale, fu assolto in istruttoria il 6 luglio 1928 per insufficienza di prove. In seguito resse l'organizzazione del partito nel Biellese. In procinto d'essere arrestato, in seguito alla scoperta di un gruppo clandestino operante nel basso Biellese e nel Vercellese, cui aveva fornito materiale e direttive, nel novembre 1932 riuscì ad espatriare illegalmente in Francia, dove si stabilì a Villeurbanne. Fu iscritto nella "Rubrica di frontiera". Nel marzo 1934, in seguito ad indagini dell'Ovra che portarono all'arresto, in Piemonte e Lombardia, di ventisei comunisti, tra cui alcuni biellesi, fu denunciato al Tribunale speciale, in stato di latitanza, per attività comunista. Il 19 novembre 1936 si arruolò nel battaglione "Garibaldi". Combatté a Boadilla del Monte, Mirabueno, Arganda, Guadalajara, dove rimase ferito. Rientrato nella formazione, nel frattempo trasformatasi in brigata, fu inquadrato nella 2a compagnia del 2o battaglione, con il grado di sergente. Combatté ancora a Huesca, Brunete, Farlete, Belchite, Fuentes de Ebro, Caspe e, promosso tenente nell'aprile del 1938, in Estremadura e sul fronte dell'Ebro. Tornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato a Saint Cyprien, Gurs e Vernet d'Ariège. Rimpatriato il 23 settembre 1941 e tradotto, in stato di arresto, a Vercelli, il 19 novembre fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato dopo la caduta del fascismo. Partecipò alla Resistenza nella brigata Sap biellese "Graziola" come commissario di battaglione. Riportò una ferita. Dopo la Liberazione svolse attività sindacale nella Fiom e politica nella Federazione comunista di Biella. Morì il 18 luglio 1992 a Biella.  Fonti: Acs, Cpc, fascicolo personale; Acs, Confinati politici, fascicolo personale; Acs, Ps aaggrr, cat. K1b-45; Apci, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; Anello Poma, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Biografato anche nell'Enciclopedia dell'Antifascismo e della Resistenza e citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; Giacomo Calandrone, La Spagna brucia; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Si veda inoltre Autobiografia di una guerra civile. Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli 

Adriano Maini

martedì 26 dicembre 2023

Venne a Bordighera un ufficiale della Milizia Confinaria a prelevarmi con un'autovettura per trasportarmi a Ventimiglia

Bordighera (IM): Piazza Eroi della Libertà

A Ventimiglia in ambienti che gravitavano intorno alla stazione ferroviaria si formò una rete clandestina con l’obiettivo di sabotare i trasporti tedeschi e difendere le infrastrutture ferroviarie e stradali in concomitanza di un’eventuale sbarco alleato. A questa organizzazione aderirono una decina di ferrovieri assieme a carabinieri, poliziotti, civili. Il gruppo, che assunse il nome di Giovine Italia, riuscì a collaborare con un’altra organizzazione legata al partito comunista di Bordighera, la quale in clandestinità forniva documenti falsi a militari sbandati e antifascisti ritenuti sovversivi dalle autorità della Repubblica Sociale. Gli ufficiali dell’esercito e i carabinieri che aderirono avrebbero dovuto stabilire il controllo dell’ordine pubblico una volta il territorio fosse stato liberato. A causa di un incauto approccio da parte di Olimpio Muratore, tentato con due suoi compagni di scuola arruolatisi nella GNR ferroviaria, Carlo Calvi e Ermanno Maccario, questi rivelarono l’esistenza dell’organizzazione al loro comandante. Iniziarono subito le indagini portate avanti dalla G.N.R. e dal Commissario Capo della Polizia Repubblicana di Ventimiglia, Pavone. All’alba del 23 maggio 1944 una retata portò alla cattura di una trentina di persone, ventuno delle quali consegnate ai tedeschi, e di queste tredici furono successivamente inviate a Fossoli e poi a Mauthausen: Airaldi Emilio, Aldo Biancheri, Antonio Biancheri, Tommaso Frontero, Stefano Garibaldi, Ernesto Lerzo, Amedeo Mascioli, Olimpio Muratore, Giuseppe Palmero, Ettore Renacci, Elio Riello, Alessandro Rubini, Silvio Tomasi, Pietro Trucchi e Eraldo Viale. Solamente Elio Riello, Tommaso Frontero, Amedeo Mascioli, Aldo e Antonio Biancheri sopravvissero alla deportazione. Emilio Airaldi, invece, già sul carro merci destinato in Germania, riuscì a scardinare un finestrino del carro e a gettarsi di notte nel vuoto nei pressi di Bolzano: venne aiutato da ferrovieri che lo aiutarono a nascondersi e quindi a ritornare a casa dove giunse dopo 3 mesi. Giuseppe Palmero e Ettore Renacci furono fucilati a Fossoli, Olimpio Muratore, Silvio Tomasi, Alessandro Rubini, Eraldo Viale, Ernesto Lerzo e Pietro Trucchi morirono nel campo di Mauthausen. Di Antonio Biancheri - salvatosi dagli stenti e appena tornato dal campo di concentramento di Mauthausen - esiste all'Archivio di Stato di Genova (per l'informazione si ringrazia Paolo Bianchi di Sanremo) la denuncia presentata al locale C.L.N. in Bordighera il 6 luglio 1945 contro Salvatore Moretta già milite della Guardia Nazionale Repubblicana, nel documento siglata come G.R.F. anziché G.N.R. come più usuale. Il Moretta, in effetti, era stato molto attivo nel quadro delle operazioni che portarono all'arresto di Biancheri nella notte tra il 22 ed il 23 maggio 1944. Sottolineava, infatti, Biancheri che un mese circa prima del suo arresto, allorquando si trovava nell'attuale Corso Italia di Bordighera in compagnia di Stefano Garibaldi - un altro patriota antifascista, che a luglio 1945 all'amico sembrava ancora detenuto in Germania, mentre, in effetti era già deceduto -, si era accorto del pedinamento effettuato a suo danno dal Moretta: entrati nella farmacia del corso ebbero piena conferma dell'appostamento effettuato dal miliziano repubblichino. Per quanto attiene le modalità del suo arresto, Biancheri specificava i nomi degli uomini della G.N.R. intervenuti, tra i quali, logicamente, compariva il Moretta, ma anche un appuntato dei carabinieri della stazione di Bordighera. In questa circostanza, mentre Biancheri era riuscito in qualche modo a far sparire i documenti per lui più compromettenti, gli agenti sequestravano tutta la sua corrispondenza personale, anche quella vecchia di quattro anni. All'alba, Antonio Biancheri veniva portato - presente sempre il Moretta - nella sede G.N.R. in Piazza della Stazione [oggi Piazza Eroi della Libertà], accanto agli uffici delle Poste e Telegrafi, dove, circa un'ora dopo, venne un ufficiale della Milizia Confinaria a prelevarmi con un'autovettura per trasportarmi a Ventimiglia; e così ebbe inizio la mia lunga e terribile odissea che mi portò a  Mauthausen. In seguito Antonio Biancheri fu molto attivo in seno al Partito socialista, ma reticente - come tanti reduci dalle tragiche odissee del secondo conflitto mondiale - a parlare delle vicende personali più dolorose. Di lui tramanda un vivo ricordo Giorgio Loreti, dinamico animatore dell'Unione Culturale Democratica di Bordighera.

Adriano Maini

martedì 19 dicembre 2023

Hotel Angst - Posto degli sfollati - Terzo Piano 109 - Bordighera

Bordighera (IM): l'ex Hotel Angst

Roberto Muratore scriveva in una data non precisata, alla vigilia della sua esecuzione, alla moglie Antonietta Lorenzi una breve missiva così carica di dignità personale e di affetto per i suoi cari, che meriterebbe di essere citata tra le "Ultime Lettere dei Condannati a Morte della Resistenza Italiana".
Essa, tuttavia, non risulta sinora pubblicata nel sito "ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana".   
Ci sono diverse annotazioni da effettuare in proposito.
La prima consiste nel fatto che il documento in questione - rinvenuto da Paolo Bianchi di Sanremo - è conservato nell'Archivio di Stato di Genova insieme ad altri incartamenti riferiti a processi di epurazione antifascista dell'immediato secondo dopoguerra: se ne può dedurre, per analogia, ma anche alla luce di quanto segue, che lo scritto corrisponda alle ultime volontà di una vittima della furia nazifascista e non di un deliquente qualsiasi, che, anzi, difficilmente in quei tempi oscuri veniva perseguito.
La seconda che per quante altre ricerche - via Web, va da sè - si siano fatte, come nel caso degli elenchi delle persone morte a qualsiasi titolo nel conflitto, realizzati a suo tempo dal Comune di Ventimiglia, i cognomi Muratore e Lorenzi (tipici della città di confine e delle sue Frazioni) non appaiono o come nel caso del memoriale dei Martiri della Strage del Turchino, per la quale le vittime furono barbaramente selezionate tra detenuti nelle carceri di Genova (e nella quale vennero trucidate tre persone di Camporosso, un uomo di Olivetta San Michele, un partigiano di Oneglia ed il patriota antifascista Renato Brunati, che aveva la residenza alla Casa del Mattone di Bordighera). In verità, nell'archivio online dell'Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea "Raimondo Ricci", appare un Roberto Muratore, ma come partigiano della 4a Brigata Val Bormida Giuliani Divisione Autonoma Fumagalli: un caso a parte, dunque.
Ancora. Il biglietto di Roberto Muratore venne scritto a macchina con molti errori di ortografia e di grammatica. Ad esempio, la lettera era indirizzata a "Lorenzi Antonietta - Otel Lans Posto degli sfollati - Terzo Piano 109 - Bordighera". Viene il dubbio - dato il tragico contesto - che sia stato compilato da un'altra persona: si potrebbe persino supporre un furiere tedesco.
Sembra giusto riportarne qualche brano un po' aggiustato in italiano. "Cara moglie mi hanno fatto il processo e mi hanno condannato a morte... la colpa della mia pena è di tuo padrino che ha raccontato tutto quello che ha voluto per salvarsi lui stesso... io di male non ho mai fatto nulla come ben sa tutto il nostro paese. Noi siamo stati disgraziati perché la nostra vita di matrimonio é stata molto breve, ma pensa al bambino che ti conforta. Sono gli ultimi Saluti e baci a te ed al mio piccolo Tino che non ha potuto conoscere suo padre e che ha avuto la medesima sorte di me che non ho conosciuto la mamma. Saluti al fratello e al Padre..."

Uno stralcio del documento qui citato. Fonte: Archivio di Stato di Genova, come da ricerca effettuata da Paolo Bianchi di Sanremo (IM)

Segnalazione di un agente della polizia ausiliaria in data 14 giugno 1945 dello stato di arresto di Onorio Lorenzi, compiuto dagli Agenti di Polizia del Comitato di Epurazione di Ventimiglia, a seguito della denuncia fatta dalla signora Antonietta Lorenzi. Fonte: Archivio di Stato di Genova, come da ricerca effettuata da Paolo Bianchi di Sanremo (IM)

Per essere la signora con il figlioletto sfollata in albergo a Bordighera i coniugi dovevano per forza essere abitanti di un borgo della zona Ventimiglia-Bordighera. Forse di Villatella, Frazione di Ventimiglia (IM), stante l'accusa ("... di aver deposto contro di lui alla G.N.R. di Ventimiglia tanto da farlo fucilare...") fatta, finita la guerra, dalla vedova Antonietta Lorenzi a carico di tale Onorio Lorenzi, residente in quel paese. A Bordighera venivano fatti trasferire gli abitanti delle zone di confine con la Francia (quelli della val Roia addirittura anche a Torino, inoltre con marce forzate). Nelle strutture turistiche requisite furono, del resto, ricoverati gli abitanti della Città delle Palme che avevano avuto le case colpite dai bombardamenti, in genere navali. Tutto ciò lascia inquadrare la possibile data della missiva in oggetto nel periodo compreso tra l'assestamento (settembre 1944) delle forze armate alleate sulla vecchia linea di confine italo-francese e la fine della guerra.
La tragica vicenda di Roberto Muratore forse lascia aperto un altro interrogativo, assodata l'attuale giacenza in Genova del nominato biglietto: quello del suo arrivo o meno fra le mani della moglie e degli oggetti lì segnalati, la fede nuziale, l'orologio e le cento lire.

Adriano Maini

martedì 12 dicembre 2023

Sbiaditi racconti ed altri inediti di guerra

Richiesta alla Corte di Assise Straordinaria di Imperia da parte del governatore alleato Garigue per un rinvio di presenza in processo della teste Lina Meiffret. Documento in Archivio di Stato di Genova. Ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo (IM)

Il giovane, inibito dall'Ovra rispetto allo sfollamento di tutta la popolazione locale, al terzo giorno di guerra riusciva ad eclissarsi su uno dei pochi treni in partenza da Ventimiglia (IM) in direzione - logicamente! - levante.

Sopra Bolzano in quell'estate del 1940 passavano anche aerei italiani diretti a nord: a bombardare l'Inghilterra?

L'ex coscritto della Regia Marina narrava da anziano di una deriva per mare di giorni e giorni, prima che egli e lo sparuto gruppo di compagni superstiti all'affondamento venissero tratti in salvo.

Nel viaggio in treno, che lo riportava alla nave di ritorno dalla breve licenza in Nervia di Ventimiglia, il furiere vedeva le fumanti rovine di una Genova appena colpita da uno dei terribili bombardamenti di quel conflitto. Forse doveva ancora assistere dalla plancia di comando della corazzata alla prima battaglia navale della Sirte, che non fece, invero, grandi danni.

Il futuro maresciallo di polizia, scampato alla ritirata di Russia, prima di andare ancora una volta in partenza, questa volta per cercare di unirsi agli Alleati in Costa Azzurra, ebbe la casa distrutta da ordigni  scagliati dall'alto.

Un semplice fante, neppure ferito, dal nord Africa in Italia rientrò misteriosamente in aereo poco prima che avvenisse la resa delle forze dell'Asse su quel teatro.

Non si commuoveva al ricordo della campagna di Russia, forse tenendo ben presente la fotografia che lo ritraeva in quelle lontane lande atletico ufficiale eretto superbamente a cavallo, ma nel rievocare il suo viaggio a piedi, iniziato ad Alessandria al momento dell'armistizio, per rientrare in famiglia in Irpinia, qualche luccicone agli occhi ad un Luigi ormai anziano veniva sul serio.

Dalla corazzata che prendeva il largo i marinai vedevano arrivare sulla banchina del porto di Pola i primi mezzi tedeschi: non potevano immaginare che di lì a breve gli stukas avrebbero tentato, senza riuscirci, di colpirli. In una certa saga familiare si vociferava di un ammutinamento di ufficiali affinché quella flotta dell'Adriatico andasse sul serio a consegnarsi agli inglesi a Malta.

Dopo l'8 settembre 1943 l'addetto, nei recessi dell'incrociatore Raimondo Montecuccoli, continuava imperterrito a sfornare pane, adesso mentre la superba nave faceva trasporti per conto degli Alleati.

Anche in Magauda di Bordighera era stato realizzato un rifugio artigianale antiaereo.

La seta dei paracadute dei bengala era un provvidenziale dono del cielo per i civili che riuscivano ad impossessarsene.

Alcune amanti dei gerarchetti nazisti di Sanremo in quel torno di tempo abitavano a Bordighera: per questo via vai si produceva un grande impegno di autisti, anche italiani, delle SS.

E sempre da Sanremo una spia dell'Abwehr da privato riusciva anche ad occuparsi della tentata vendita di un quadro del Tintoretto, attirando su di sé e sui suoi complici l'attenzione delle autorità doganali, ancora sussistenti, perché il dipinto in questione era transitato dal Principato di Monaco attraverso la frontiera francese con l'Italia.

D. del suo partigianato raccontava solo che una volta, dovendo raccogliere con un compagno del materiale, si erano divertiti a scivolare sulla neve sino a finire dentro ad un cumulo di letame, da loro erroneamente scambiato per un covone ammantato di bianco.

Una scena accaduta innumerevoli volte, ma era sempre della zona intemelia la madre che stringeva la figlioletta al seno, dove aveva nascosto documenti compromettenti, dinanzi a nazisti che cercavano il marito.

Padre e figli, proprietari di noto garage in Bordighera, collaboratori del capitano Gino, accorrevano allarmati per verificare a poche decine di metri dal loro luogo di lavoro come stessero le donne e la bambina dell'appartamento colpito dal mare, non sapendo che erano già sfollate.

Lina Meiffret, trattenuta da impegni di lavoro al governatorato alleato provinciale, doveva più volte giustificare alla corte d'assise straordinaria di Imperia i suoi impedimenti a poter testimoniare contro la persona, un tempo amica, che aveva contribuito a scatenare l'inferno contro di lei e contro il martire della Resistenza Renato Brunati.

La similare istanza giudiziaria di Sanremo condannava a pena blanda, solo per "furti" e non per partecipazione a rastrellamenti, un milite del Distaccamento di Bordighera della XXXII^ Brigata Nera Padoan, nato a Ventimiglia, ivi residente.

Il professore Mario Calvino, padre del più illustre Italo, attestava, finito il secondo conflitto mondiale, che un dattilografo della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana della R.S.I.) di Imperia, costretto a tale mansione dagli eventi, in realtà aveva passato clandestinamente svariate utili informazioni ai patrioti.

La polizia partigiana di Ventimiglia doveva inoltre registrare molte denunce di persone che intendevano riottenere certi loro beni affidati a dei vicini o a dei conoscenti nelle occasioni delle loro precedenti fughe, più o meno precipitose.

Adriano Maini

sabato 11 novembre 2023

Per i bombardamenti di Marghera la parrocchia fu invasa da sfollati che occuparono ogni locale libero

Salzano (VE): Chiesa di San Bartolomeo apostolo. Fonte: Wikipedia

Meno pericolosi, ma impegnativi in egual misura, i sacrifici, sia materiali che psicologici credo, sopportati dalle famiglie, per poter accogliere gli sfollati, provenienti a centinaia dalle zone bombardate di Marghera e Mestre; vere e proprie «acrobazie di adattamento» <384, così come definite da Gino Pizzato, necessarie al fine di alleggerire l’inevitabile disagio derivante dalla coabitazione fra estranei sotto lo stesso tetto. I numeri risultano impressionanti, se sommati insieme, e bastano da soli a spiegare le esortazione dei parroci a collaborare, nel momento in cui, inevitabilmente, i locali della parrocchia, compresi la canonica, l’asilo ed eventuali istituti religiosi, fossero al completo.
Don Boschin, ad esempio, si prodigò per gli sfollati che, stando a quanto riportato da don Volpato, affluirono a centinaia nei territori della parrocchia di Gardigiano, facendo «pressione presso parecchie famiglie per l’accoglimento di tutti» <385; dopo averne accolto egli stesso dodici, nella canonica, «ove rimasero per più di 1 anno», mentre altri dieci furono ospitati nella casa del cappellano, dove «rimasero fin dopo la fine della guerra» <386. «[…] per i bombardamenti di Marghera la parrocchia [di S. Maria di Sala] fu invasa da sfollati che occuparono ogni locale libero» <387, mentre «La parrocchia [di Robegano] ha dato alloggio a circa 400 sfollati e tre famiglie furono alloggiate nelle aule della Casa della Dottrina Cristiana» <388; altri 300 a Briana di Noale, provenienti, per la maggior parte, da Marghera e Mestre, ma anche da Treviso, Padova e Zara. Don Zandonadi scrisse anche come le Suore Missionarie d’Egitto, anch’esse sfollate di Marghera, accolte nella Casa della Dottrina Cristiana, avessero aperto un asilo infantile, mentre vi trovò temporanea sede anche la Scuola Interparrocchiale per i seminaristi delle classi seconda e terza ginnasiale, gestita dal prof. don Mario Carraro, che ricevette personale ospitalità in canonica.
Manca qualsiasi riferimento ad eventuali soccorsi prestati dall’autorità civile, forse perché realmente non vi furono, forse per l’elogio che un simile operato, privo di eguali, avrebbe ricevuto; sta di fatto, comunque, che ciò contribuì non poco al delinearsi di un nuovo e più forte ruolo sociale della parrocchia. Ci fu un’eccezione, nella parrocchia di Mirano, dove, ad affiancare don Muriago, nel tentativo di garantire agli sfollati e alle famiglie povere dei richiamati l’aiuto necessario al sostentamento, c’era l’Ente Comunale di Assistenza, «al quale l’Arciprete prestò la sua opera assidua encomiata dalla superiore Autorità locale» <389, oltre alle istituzioni di S. Vincenzo De’ Paoli e S. Antonio.
L’impegno dei sacerdoti non poteva comunque fermarsi alla mera assegnazione di un alloggio, bensì doveva comprendere necessariamente anche il reperimento dei generi di prima necessità, quali cibo e vestiario innanzitutto, senza contare l’aiuto per la ricerca di un eventuale impiego lavorativo: il parroco di Gardigiano indisse «giornate di carità [sottolineato nel testo]» per la raccolta di generi alimentari «a prezzo modico o di calmiere» <390, mentre a Salzano mons. Eugenio Bacchion mise a disposizione dei circa tremila sfollati che giunsero in quel comune, «tutto il grano raccolto colle questue per la Chiesa sempre al prezzo dell’ammasso e così il grano di loro proprietà» <391.
E come dimenticare infine, il compito principale e più importante del sacerdote, quello caratterizzante il suo ruolo ecclesiastico, quello, cioè, concernente la cura spirituale dei propri fedeli? Nelle suddette circostanze, i preti, si trovavano di fronte ad una comunità, talvolta più che raddoppiata, alla quale era d’obbligo garantire, alla stregua dei parrocchiani residenti, la confessione, la somministrazione dei sacramenti, le visite di routine. Molto probabilmente i parroci si avvalevano del supporto di cappellani (sporadicamente menzionati nelle cronistorie) nell’esercizio delle mansioni spirituali, forse le cifre pervenuteci sono state volutamente esagerate, sta di fatto, comunque, che simili parentesi, che ci riportano ad un vissuto più quotidiano, dunque concreto, legato alle necessità della vita reale, simili parentesi, dicevo, hanno il pregio, non solo di ricostruire, anche se parzialmente ed in modo frammentario, le vicissitudini di un paese, ma soprattutto di restituire l’immagine di un clero curato quasi risvegliatosi dal torpore di una vita tranquilla, qual era quella di molte parrocchie del Miranese prima dello scoppio della guerra, e fors’anche del 1943; un clero travolto dagli eventi, al pari di qualsiasi italiano comune, ma che, anche in forza del proprio ruolo, riuscì a trovare il coraggio e il dinamismo necessario (chi più chi meno), per ergersi a guida delle rispettive comunità e condurle così alla fine di quel tragico “tunnel” che fu la storia dell’Italia settentrionale tra la fine del 1943 e la primavera del ’45. Piccole sfide nella quotidianità, affrontate di volta in volta all’insegna della collaborazione o dell’ostilità, della trattativa o della cauta attesa, ma che spesso, proprio a causa del contesto così familiare, molti sacerdoti hanno trascurato di riportare, consegnandone, così facendo, il ricordo all’oblio. Certamente molto è andato perduto, ma attenzione a non trasformare questa indubbia certezza in una cantilena, da ripetere fra sé e sé ogniqualvolta, da documenti di questo tipo, nulla emerge di straordinariamente evocativo dell’epopea resistenziale; noi contemporanei, condizionati come siamo dalle insistenza di certa storiografia su storie di preti eroici, espostisi in prima persona per la salvezza dei parrocchiani dinanzi al pericolo di rappresaglie, informatori delle bande partigiane, se non addirittura torturati e uccisi, siamo propensi a dare marginale importanza a testi che magari si limitano a riportare lunghe liste di bombardamenti sul paese o di nomi di soldati periti al fronte, o peggio, dispersi. Ciò che ritengo doveroso precisare è come la sola presenza del sacerdote, responsabile, lo ricordiamo, di un organismo che andava rivestendo un significativo ruolo di supplenza, era di per sé estremamente importante e decisiva per gli abitanti, forse addirittura per l’equilibrio morale e, aggiungerei, psicologico, degli stessi: trattavasi spesso della sola figura autorevole rimasta, nel momento in cui qualsiasi altra, nell’ambito civile, aveva abbandonato le proprie responsabilità, e la sola autorità degna di rispetto quando il forestiero occupò i posti di comando, nazista o repubblicano che fosse. Forse è in questo senso che vanno lette le affermazioni di don Zandonadi, relativa ai brianesi, una «popolazione cristiana, docile alle direttive del Parroco» <392, aiutati a non perdere «la [sua] calma e fiducia in Dio nemmeno nei momenti cruciali della ritirata tedesca» <393.
Così come l’operato dei parroci fu l’elemento decisivo per la tenuta, sia fisica che morale, della comunità, allo stesso modo tale merito può essere evidenziato nel prodigarsi di quella per i bisognosi, sfollati o soldati renitenti. Dinanzi ai primi bombardamenti aerei, ai segnali, cioè, dell’approssimarsi degli orrori della guerra, con l’emergente consapevolezza di essere coinvolti in prima persona nei fatti che avrebbero deciso del destino del popolo italiano, possiamo solo immaginare quanto significativo sia stato questo soccorso, non solo al fine della sopravvivenza di quelli, ma probabilmente anche nell’operare la scelta di darsi alla macchia; i combattenti erano sostenuti nella loro scelta ed incoraggiati da quel ampio retroterra di solidarietà ed affetti che era il tessuto della comunità parrocchiale, garantendo un senso di continuità esistenziale che andava oltre i referenti familiari.
[NOTE]
384 G. Pizzato, Sotto il terrore (I fatti di Peseggia). Alle vittime innocenti dell’odio fraterno, op. cit., p. 2.
385 Don R. Volpato, Cronistoria, op. cit., pp. I-II.
386 Ibidem.
387 Don G. de Pieri, S. Maria di Sala, op. cit.
388 Don A. Semenzato, Cronistoria della parrocchia di Robegano. 1939-1945, op. cit.
389 Mons. F. Muriago, Parrocchia di Mirano. Relazione degli avvenimenti durante il periodo della guerra 1940-1945, op. cit.
390 Don R. Volpato, Cronistoria, op. cit., p. II.
391 Mons. E. Bacchion, Salzano durante l’ultima guerra, op. cit.
392 Don P. Zandonadi, Allegato alla Cronistoria di Briana durante la seconda guerra mondiale, op. cit., p. 1.
393 Idem, Allegato alla Cronistoria di Briana durante la seconda guerra mondiale, p. 2.
Daiana Menti, Il clero del Miranese dall’inizio del Novecento alla seconda guerra mondiale nelle sue relazioni con le pubbliche autorità, Tesi di laurea, Università Ca' Foscari - Venezia, Anno Accademico 2012-2013