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venerdì 8 ottobre 2021

Circa le controverse azioni dei servizi statunitensi in Italia durante la guerra

William Donovan

L’OSS (Office of Strategic Services) era appunto l’organizzazione, come dice la sigla, dei servizi segreti americani (dalla quale sarebbe nata la CIA) con vari compiti di spionaggio, per effettuare distruzioni infiltrando esperti in esplosivi oltre le linee, aiutare i partigiani con danaro e con aviolanci di armi e munizioni, indirizzarli sugli obiettivi e coordinarne l’attività di guerriglia specialmente nelle retrovie del fronte, e per stabilire contatti con le strutture politiche clandestine.
L’idea era stata di un avvocato, William J. (Bill) Donovan, amico di Roosevelt che, approvandola - siamo nel dicembre del 1941, pochi giorni dopo Pearl Harbor - lo nominò, seduta stante, colonnello (e poco dopo generale di divisione).
Tompkins ne accenna nei suoi libri Una spia a Roma e L’altra Resistenza (editore Il Saggiatore) dicendo che gli americani, contrariamente agli inglesi, non si erano dotati sino a quel momento di un servizio efficiente di spionaggio, nonostante il riarmo del Giappone, l’espansione aggressiva in Asia, e la sua alleanza con la Germania nazista e l’Italia fascista rappresentassero un pericolo per la pace nel mondo e una minaccia per gli Stati Uniti.
Racconta poi diffusamente, con dovizia di particolari, le vicende che lo hanno visto protagonista della lotta di Liberazione, non solo per amore della libertà ma anche del nostro Paese.
Si tratta di narrazioni basate rigorosamente sui fatti accaduti, ma scritte con il piglio del romanziere, rendendo difficile interrompere, tanto appassionano, la lettura (e anche la rilettura) una volta cominciata.
[...] Quanto scrive, ad esempio, Donald Downes nella prefazione alla prima edizione di Una spia a Roma lascia davvero perplessi se non allibiti.
Downes non era uno qualunque. Consigliere di Roosevelt alla Casa Bianca, professore nell’università di Yale, era a capo del gruppo OSS aggregato al corpo di spedizione sbarcato a Salerno il 9 settembre 1943, all’indomani dell’annuncio dell’armistizio. Si sarebbe dimesso dopo pochi giorni non approvando il sostegno degli Alleati a Vittorio Emanuele III e a Badoglio. Afferma tra l’altro: «In Peter Tompkins la mancanza di fiducia e di rispetto nei superiori immediati dell’OSS era giustificata dalla confusione, dall’inesperienza e dalla incompetenza degli ufficiali più alti dei servizi informativi che operavano presso il quartier generale delle forze alleate». Tra gli agenti reclutati - aggiunge - «c’erano scarti della Marina e del Dipartimento di Stato, playboys, rampolli cretini di famiglie ricche e politicamente importanti e così via. Peter lo sapeva benissimo ed è comprensibile la sua rabbia nel trovarsi a rischiare la vita per un’organizzazione incapace di trarre profitto dal suo sacrificio».
Un altro motivo che induce a riflettere sullo scarso rilievo dato dai dirigenti dell’OSS all’attività di Tompkins prima, durante e dopo, la missione compiuta a Roma, e sulla ostilità verso di lui mai venuta meno in tanti anni da parte del Pentagono e del Dipartimento di Stato, va ricercato nelle posizioni politiche che dividevano i membri dell’organizzazione spionistica e di appoggio ai partigiani. Occorre rifarsi anche alla complessa situazione di allora, ai rapporti degli Alleati (non concordi tra loro) nei confronti del governo italiano riformatosi a Brindisi dopo l’8 settembre, diventato “cobelligerante” dopo la dichiarazione di guerra alla Germania (e pertanto non alla pari con le nazioni impegnate nel conflitto).
Basti dire che la Resistenza italiana aveva suscitato, sin dalle prime battaglie di militari e civili contro l’aggressione tedesca seguita all’armistizio - emblematica quella di Roma - la netta avversione di Vittorio Emanuele III (in certo modo “perdonato” e sostanzialmente sostenuto da Churchill) timoroso che il movimento popolare armato, diretto dai partiti politici in maggioranza contrari alla monarchia (sia per il tipo di regime sia per le complicità con il fascismo), segnasse la fine dell’istituzione e con essa il ruolo dei Savoia.
Questo timore, del resto più che fondato, spinge Badoglio ad inviare una circolare, primo destinatario il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, che aveva costituito nella capitale il Centro Militare Clandestino. Nella circolare lo Stato Maggiore italiano dichiarava impossibile la guerriglia nel nostro Paese, soprattutto per ragioni orografiche, dando carattere restrittivo all’attività di opposizione ai nazifascisti, limitandola alla costituzione di servizi di spionaggio e, una volta giunti gli Alleati a liberare le località, a collaborare con loro per mantenere l’ordine pubblico.
Va subito detto che tali disposizioni vennero di fatto respinte dai militari che entrarono a far parte delle unità partigiane costituite sotto l’egida dei partiti, o a carattere autonomo.
Badoglio aveva però un altro obiettivo, una volta sconfessata inizialmente la Resistenza in quanto lotta di popolo: ricostituire le forze armate facendole partecipare alla guerra con la propria identità nazionale, inserite in quelle angloamericane.
Ci sarebbe riuscito con la formazione del CIL (Corpo Italiano di Liberazione), ma mentre lo progettava ecco entrare nel gioco, scompigliandolo, Peter Tompkins.
Questi, sbarcato a Salerno alla fine di settembre ’43 - dopo aver svolto un intenso lavoro di intelligence interrogando prigionieri italiani in Grecia, in Kenya, nell’Africa del Nord e reclutando per l’OSS italiani sicuramente antifascisti nei campi di concentramento in Algeria e tra i rifugiati fuggiti dall’Italia (come Velio Spano, arruolatosi in Tunisia) - si era incontrato con Raimondo Craveri proteso, anche per mandato di Ugo La Malfa, a costituire una organizzazione italiana con le medesime funzioni e finalità dell’OSS, alle dipendenze del comando americano. L’idea prese maggiore forza lasciando sperare che si potesse giungere alla costituzione di una consistente unità militare di italiani sotto il comando americano, indipendente dall’esercito nazionale (che Badoglio stava riorganizzando). Craveri, per avere credito presso gli Alleati, poteva contare su una personalità di primo piano, concordemente stimato, Benedetto Croce, di cui aveva sposato la figlia Elena. Con Croce, lui e Tompkins si incontrarono a Capri. Studiarono i particolari dell’operazione, individuarono il comandante dell’unità nel generale Pavone. Ma Badoglio, informato di tutto, l’ebbe vinta, col sostegno del governo inglese, facendo annullare l’impresa di Craveri e Tompkins sul nascere.
Anche se Donovan aveva incoraggiato l’iniziativa, i vertici dell’OSS ne denunciarono l’improvvisazione.
Secondo loro Tompkins era un battitore libero, poco incline a rispettare ordini e disciplina.
Tompkins non si dette per vinto. Ritornati al progetto originario, Craveri e Tompkins costituirono l’ORI (Organizzazione Resistenza Italiana), un’appendice dell’OSS composta da volontari italiani che opereranno sul terreno del nemico anche autonomamente ma sempre in stretto contatto con il comando dell’OSS o inseriti nelle missioni americane anche con funzioni di comando.
Tompkins ha raccontato nei suoi libri, come abbiamo scritto, gli episodi che segnarono l’avvio delle attività dell’OSS mettendo in rilievo le difficoltà incontrate con i capi dell’organizzazione, tacciandoli di ipocrisia, malafede e incapacità a capire il significato unitario del CLN che metteva al riparo la Resistenza italiana dalle divisioni che avevano insanguinato altrove i movimenti di guerriglia antinazista. In un convegno a Venezia (17-18 ottobre 1994) pronunciò contro di loro parole durissime, denunciandone l’ambiguità. Se da una parte - disse - combattevano il nemico utilizzando agenti sinceramente democratici, dall’altra - accusò - salvavano i fascisti della X MAS «con Valerio Borghese, per costituire poi, con loro, “Gladio”, per fare la guerra anticomunista e, con il generale Wolf, capo delle SS, salvare i nazisti in Germania. Perché avevano la trista idea che il comunismo staliniano si doveva combattere con il fascismo e il neofascismo e non con la saggia democrazia».
Quanto disse a Venezia Tompkins ci sollecita, come abbiamo scritto, a compiere nuove ricerche sui rapporti dei servizi segreti americani e quelli italiani sin dalla guerra di Liberazione, anche se la parte più inquietante ci porterebbe al lungo periodo successivo della “guerra fredda”, dello “stragismo”, delle collusioni di organi dello Stato - i “servizi deviati” - col terrorismo nero.
Per quanto riguarda l’OSS e la guerra di Liberazione - non essendo ancora l’OSS diventato CIA - non possiamo però farci fuorviare, nel giudizio complessivo, dalle critiche, benché legittime, rivolte a taluni dei suoi esponenti. Su ciò anche Tompkins era perfettamente d’accordo.
L’apporto dell’OSS alla guerra di Liberazione in Italia è stato di straordinaria importanza, il comportamento delle missioni il più delle volte eroico, sino all’estremo sacrificio, fossero i componenti cittadini americani o italiani (dell’ORI, o diversamente arruolati).
Questo sentimento di riconoscenza, condiviso da tutti partigiani non importa di quale colore, e dagli storici i più accreditati, si accompagna alla gratitudine che nonostante sia passato tanto tempo il popolo italiano conserva verso quello americano, indipendentemente dalle valutazioni sulla politica contingente della Casa Bianca, con la coscienza di essergli debitore, con le altre nazioni componenti le armate alleate, delle libertà democratiche.
Il servizio reso sul piano strategico alle operazioni militari alleate dall’OSS e il sostegno alle unità partigiane non possono essere sottovalutati a causa, come abbiamo scritto, di posizioni diverse all’interno dell’organizzazione tra chi, in sintonia con gli inglesi responsabili del SOE (Special Operations Executive), vedeva nel Partito Comunista Italiano e conseguentemente nelle brigate Garibaldi, un pericolo potenziale per la democrazia da instaurare in Europa a vittoria ottenuta, e chi, come Tompkins, anche senza aderire all’ideologia marxista e anzi essendone decisamente contrario, riteneva doveroso riconoscere sia al PCI che alle formazioni da questo dipendenti - “brigate Garibaldi”, GAP, SAP - e alle sue organizzazioni di massa - “Gruppi di Difesa della Donna”, “Fronte della Gioventù” - motivazioni prevalentemente patriottiche, con una forte, insopprimibile vocazione alla libertà, difficilmente conciliabile quindi con il disegno autoritario rappresentato dallo stalinismo.
Se le diatribe all’interno dell’OSS non portarono alle discriminazioni - che per buona parte della guerra partigiana, tranne un ripensamento nella fase finale, videro gli inglesi del SOE rifornire dal cielo di armi e munizioni preminentemente le unità degli “Autonomi”, di “Giustizia e Libertà”, i verdi e azzurri della Democrazia Cristiana, e in certa misura anche quelle socialiste, le “Matteotti”, lesinando se non rifiutando gli aiuti alle “Garibaldi” (ne fui testimone, capo di Stato Maggiore della Prima Divisione Garibaldi, in Piemonte) - lo si deve soprattutto allo spirito di giustizia e verità che ebbe il sopravvento sulle valutazioni ideologiche arbitrarie, e ciò principalmente per merito dei capi missione, americani e italiani (tra costoro vogliamo ricordare Piero Boni e Ennio Tassinari), i migliori interpreti della realtà anche politica “sul campo”.
Certamente Peter Tompkins ha sofferto personalmente di tale situazione contraddittoria, arbitrariamente imputato (con altri dell’OSS che avevano partecipato alla guerra di Spagna nelle Brigate Internazionali) di filocomunismo, e perciò volutamente screditato a tal punto che un esponente di primo piano dell’OSS, Max Corvo - autore di un libro oltremodo documentato e suggestivo La campagna d’Italia dei servizi segreti americani. 1942-1945 (Libreria Editrice Goriziana) - dedica alla sua missione a Roma poche righe, dicendolo «intrappolato nella rete di intrighi e rivalità intestine del CLN» e attribuendo ad altri il merito dell’attività di spionaggio durante la battaglia per Roma seguita allo sbarco di Anzio, specialmente elogiando agenti dei servizi segreti italiani (SIM), facenti capo a “Scamp” (Vincent Scamporino), alcuni dei quali Tompkins sospettava di essere in contatto e combutta con i servizi segreti fascisti.
La verità sul peso strategico che ebbero le informazioni di Tompkins - assolvendo in modo davvero meritorio, oltre le aspettative, ai compiti per i quali era stato inviato segretamente a Roma alla vigilia dello sbarco di Anzio - ci viene da fonti inoppugnabili, oltre che dai documenti reperibili nell’Archivio di Stato Americano, NARA (National Archives and Records Administration): dalle testimonianze di personalità della Resistenza romana che collaborarono con lui, come Giuliano Vassalli, comandante delle brigate “Matteotti” nella Capitale, poi arrestato e rinchiuso in via Tasso, cui Tompkins dovette la vita avendo Vassalli resistito alla tortura senza rivelare dove si nascondeva il capo missione americano.
Vassalli, poi ministro di Grazia e Giustizia, Presidente della Corte Costituzionale, introducendo la seconda edizione del libro Una spia a Roma, riconosce «le straordinarie doti di coraggio, perspicacia, intelligenza, patriottismo di Peter Tompkins (…). Ai miei occhi ebbe il merito di non lasciarsi menomamente indurre ad una aprioristica diffidenza verso le forze politiche di sinistra, nutrita invece da alcuni ambienti del suo Paese e dalla stessa organizzazione di cui faceva parte…».
Vassalli (uno tra i principali promotori della fuga di Pertini, Saragat e altri da Regina Coeli il 24 gennaio ’44), prima dell’arresto, era a capo di una rete che forniva le informazioni a Tompkins per essere inviate al quartier generale alleato mediante una trasmittente spostata frequentemente da un luogo clandestino all’altro per renderne difficile l’individuazione. Un’altra rete era organizzata da Franco Malfatti, anche lui socialista, con l’aiuto di un medico, Lele Crespi, una terza da un ufficiale che si era appositamente arruolato nella polizia fascista, Maurizio Giglio, cui era affidata anche una trasmittente installata su un barcone in riva al Tevere. Giglio, catturato in seguito ad una delazione, la radio sequestrata e usata dai tedeschi per inviare false notizie agli angloamericani, morirà alle Ardeatine, Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Descrivere la battaglia per Roma sui due fronti del Garigliano e di Anzio per individuare il ruolo che vi ebbero i servizi di informazione alleati (tra questi non sufficientemente ricordato il gruppo di sabotaggio e raccolta di informazioni, la missione “Texas”, comandata da Alfredo Michelagnoli “Fred”, paracadutato in febbraio sui monti tra Lazio e Abruzzo) comporterebbe l’uso di uno spazio non consentito da una pubblicazione periodica come questa, per quanto dedicata anche agli approfondimenti storici.
Basterà dire che l’attesa spasmodica protrattasi dalla fine di gennaio ai primi di giugno ’44, la convinzione che la liberazione potesse avvenire da un momento all’altro, la pressione degli Alleati sulla Resistenza perché intensificasse le azioni impegnando quante più forze tedesche, altrimenti inviate sul fronte di Anzio, nella guerriglia cittadina (l’attacco militare dei GAP Centrali in via Rasella obbedì a tale esigenza e alle reiterate richieste angloamericane) sono elementi che, combinati tra loro, ci spiegano come da una parte, quella delle formazioni partigiane, venissero trascurate in quei momenti convulsi le norme che garantivano la clandestinità delle organizzazioni; dall’altra, quella nazifascista, si intensificassero le retate e soprattutto le infiltrazioni tra i partigiani di provocatori e spie.
Tanto da rendere difficile se non impossibile, distrutti quasi per intero i quadri dirigenti della Resistenza romana, o costretti ad abbandonare la città, organizzare l’insurrezione in concomitanza con l’arrivo degli Alleati. E ciò a complemento delle decisioni anche del CLN a seguito dei colloqui tra Pio XII e Karl Wolf (plenipotenziario di Himmler) per evitare che la battaglia finale per Roma, dalle conseguenze terrificanti, si svolgesse sin dentro le mura.
I documenti relativi all’ultima fase dei combattimenti seguiti allo sbarco di Anzio testimoniano numero, intensità, esiti delle azioni di sabotaggio dei partigiani lungo le vie di rifornimento in parallelo all’attività informativa. Impossibile, scrive più volte Tompkins - ed era solito ripetere queste parole, come abbiamo detto, nei discorsi pubblici - senza le donne, gli uomini, i ragazzi, molti dei quali caduti tra i due fuochi o fucilati dai tedeschi, che gli fornivano tempestivamente informazioni e dati perché artiglieria e aviazione degli Alleati colpissero gli obiettivi nemici, reparti in marcia e nei ridotti difensivi o accasermati, apprestamenti, depositi di munizioni e carburanti. E non solo quando l’offensiva alleata consentì la saldatura tra le truppe provenienti da Anzio con quelle dal fronte del Garigliano, ma prima, nei momenti più drammatici, quando la testa di ponte rischiò il fallimento, il corpo di spedizione l’annientamento, i superstiti di essere ributtati in mare.
Massimo Rendina, E il maggiore Tompkins sempre insieme ai partigiani, Patria Indipendente, n° 2,  febbraio 2007
 
Nel suo complesso, dunque, gli Alleati, e soprattutto gli inglesi, considerarono sempre come controparte legittima e affidabile la Monarchia e il Governo Badoglio, mentre si rifiutarono di vedere, almeno sino agli accordi del dicembre 1944, quali interlocutori politici il CLN e il suo rappresentante nell’Italia settentrionale, il Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia, a maggior ragione, ove si consideri che alcuni suoi membri quali, ad esempio, il socialista Sandro Pertini ritenevano che il CLNAI non dovesse assumersi la responsabilità dell’armistizio perché non aveva quella della guerra. Tale contrapposizione ideologica fu ben chiarita da Edgardo Sogno, figura eccentrica della Resistenza italiana, il quale collaborò con il SOE, consapevole del fatto che: "Gli Inglesi non ci rimproverano il fascismo, ci rimproverano di aver fatto la guerra. E in questo fatto della guerra sentono che la colpa è tutta nostra. Gli antifascisti considerano invece la guerra come una conseguenza del fascismo, rimproverano agli Inglesi di avere appoggiato il fascismo, quando loro l’hanno combattuto, e si sentono quindi in credito anche verso gli Inglesi".
A tal proposito, sintomatica di tale contraddizione appare una lettera del 13 settembre 1943 che il luogotenente colonnello Cecil Roseberry, capo della Sezione italiana (J Section) del SOE, inviava all’agente, maggiore Max Salvadori, appena sbarcato a Salerno, nella quale gli si comunicavano gli ordini dello Stato Maggiore Militare britannico con riguardo ai rapporti da osservare con gli antifascisti e, in particolare, con i suoi "vecchi amici" di Giustizia e Libertà (GL). In sintesi, l’ordine era di non incoraggiare ‹‹gli agitatori politici›› ovvero alcuna ‹‹strategia rivoluzionaria›› o ‹‹movimento politico››: l’organizzazione doveva, da un lato, assistere il Movimento della Resistenza nel compimento di operazioni speciali oltre le linee nemiche e, dall’altro, mantenere la collaborazione ufficiale con il Governo e l’esercito italiano per il compimento di azioni militari contro la Germania, da svolgersi avvalendosi di ‹‹fidato personale militare (e non di certo operante come militare)››, ed era  ‹‹d’obbligo usare una buona dose di tatto e discrezione››, affinché l’agenzia segreta inglese non rischiasse di ‹‹compromettersi agli occhi dello Stato Maggiore italiano››, così concludendo: "C’è un solo nemico ora; Il Fascismo è morto e noi e gli Italiani dobbiamo essere uniti per liberarci dei Tedeschi. Non può esserci pace in Italia sino a quando non vi sarà pace in Europa".
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012
 
Peter Tompkins (che dell’OSS fu uno dei membri più importanti ed attivi) afferma che la politica britannica era favorevole alla ristabilizzazione di una monarchia liberale in Italia e voleva impedire che in Italia vi fosse un vero e proprio cambiamento dovuto al fatto che la Resistenza al Nord era sempre più politicamente orientata a sinistra; temendo una ripetizione della situazione greca, le autorità britanniche decisero di sostenere esclusivamente la Resistenza militare e monarchica (le formazioni autonome del generale Cadorna) e pertanto il SOE prese contatti con i servizi del Regno del Sud: il SIM con i suoi residuati fascisti. Churchill inviò a Brindisi uno “sciame di servizi segreti” che però non essendo ancora disposti a recarsi oltre le linee si appoggiarono al SIM, su disposizione di Alexander.
A Brindisi Badoglio cercò di convincere gli inglesi che la resistenza nell’Italia occupata dai tedeschi era organizzata in gran parte da personale del disciolto esercito regolare con il quale i monarchici affermavano di essere in contatto grazie a un canale radio segreto del SIM. Badoglio e il re con l’arma del SIM intendevano impedire la formazione di un movimento armato antifascista nell’Italia occupata dai tedeschi, per mantenere solo quello che richiedevano gli inglesi, cioè “piccoli gruppi di agenti adibiti unicamente ad operazioni di sabotaggio e di ricerca di informazioni militari”: in pratica la Special force creata dall’Intelligence service.
Claudia Cernigoi, Alla ricerca di Nemo. Una spy- story non solo italiana, La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo, supplemento al n. 303, Trieste, 2013


L’O.S.S. ottenne anche di poter impiegare un sommergibile italiano per le missioni di sbarco in Adriatico. Inoltre, per diretto intervento del generale Donovan, capo dell’O.S.S., fu deciso l’invio a Roma del giornalista Peter Tompkins, facente parte dell’ala moderata dell’O.S.S. In imminenza dello sbarco ad Anzio, Tompkins, con un agente emiliano di sua fiducia, fu trasportato da un velivolo B-26 fino a Campo Borgo, in Corsica, vicino a Bastia, ove armato di Beretta calibro 9, con 300 sovrane d’oro, i codici segreti e i quarzi per la radio e una macchina fotografica Minox, imbarcò sulla sezione dei due MAS 541 e 543 italiani assegnati alla missione. Costeggiata l’Isola d’Elba, i due MAS sbarcarono, all’alba del 20 gennaio, il gruppo circa 30 km a nord di Tarquinia (probabilmente alla foce del Fosso Tafone). Lo sbarco avvenne con battellino di gomma giallo, che veniva destinato allo scopo, sul quale prendevano posto tre persone, di cui una destinata a riportare indietro il battellino. Con un’automobile guidata da italiani percorsero l’Aurelia, per giungere a Tarquinia e deviare per la Cassia, in direzione di Viterbo, riuscendo a raggiungere Roma, ove presero contatto con il gruppo inviato in precedenza e con Franco Malfatti, già assegnato alla commissione italiana di armistizio con la Francia e poi funzionario del S.I.M., nel periodo del governo Badoglio. Tompkins incontrò anche elementi del C.L.N.
Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale, Anno XXIX, 2015, Editore Ministero della Difesa

C’era poi una terza missione, denominata in codice Greenbriar, destinata anch’essa alla zona di Salerno. La componevano gli uomini del progetto McGreggor agli ordini di John Shaheen; anche con loro c’era un operatore radio che li avrebbe tenuti in contatto con il nostro comando di Palermo per mezzo di una radio da campo SSTR-1. L’operatore radio era Peter Tompkins, arrivato al SI [Servizio informazioni dell'OSS] dalla sezione guerra psicologica, PWB. Essendo vissuto in Italia prima della guerra Tompkins parlava bene l’italiano. Ormai le trattative per l’armistizio non erano più un segreto, ma Shaheen continuò a perseguire il suo obiettivo fino all’ultimo, cercando di mettersi in contatto con l’Ammiraglio Girosi per far uscire l’Italia dal conflitto […] All’insaputa di Huntington, Peter Tompkins ed alcuni altri elementi ai suoi ordini facevano un tipo di politica che non piaceva né agli Inglesi, né ad alcuni degli ufficiali italiani che erano in contatto con l’OSS. Questi ufficiali erano offesi dalle pesanti critiche mosse al governo Badoglio e dai continui dubbi espressi sulla fedeltà e sulla competenza degli uomini assegnati alle attività di spionaggio.
Max Corvo, La campagna d’Italia dei servizi segreti americani 1942-1945, Libreria Editrice Goriziana, 2006

Posti alle dipendenze del Corpo d'armata francese di Juin, e successivamente di quello polacco di Anders, gli italiani del ribattezzato CIL (Corpo Italiano di Liberazione) si dimostrarono all'altezza delle altre truppe. Avevano avuto l'apporto di un battaglione di alpini, uno di arditi, uno di bersaglieri, uno di marinai da sbarco. Quindi si aggiunse loro il grosso della divisione paracadutisti Nembo, proveniente dalla Sardegna. Sulla efficienza bellica di questa unità non v'erano dubbi: ve n'erano invece - e gli inglesi li affacciarono ostinatamente - sulla sua affidabilità politica. Era avvenuto infatti che dopo l'armistizio un battaglione della Nembo, per sollecitazione dei suoi ufficiali, fosse passato ai tedeschi, che successivamente lo impiegarono al fronte (dove si comportò eccellentemente). Altrettanto bene si batterono poi in campo opposto, nonostante i dubbi inglesi, i battaglioni rimasti fedeli al Re. Il che dimostra che nelle truppe speciali lo spirito di corpo e il sentimento dell'onore stanno molto al di sopra dell'ideologia. Da cinquemila che erano nel raggruppamento motorizzato, i combattenti italiani diventarono così 15 mila: poca cosa nel complesso di una forza militare imponente, ma abbastanza per attestare che c'erano ancora in Italia dei giovani disposti a rischiare la vita per la loro bandiera. Umberto di Savoia avrebbe voluto assumere il comando del CIL, ma la Commissione alleata di controllo glielo vietò con pretesti burocratici - un generale d'armata (per la precisione Umberto era maresciallo d'Italia ma non ne portava i gradi, N.d.A.) non poteva essere messo a capo di quella che in sostanza non era che una divisione - che mascheravano ragioni politiche. Il Principe si disse disposto a essere retrocesso a generale di divisione o a colonnello ma, ha scritto Leandro Giaccone nel suo Ho firmato la resa di Roma, «neppure questo modesto obolo fu concesso al regale mendicante d'onore».
Indro Montanelli - Mario Cervi, Storia d'Italia. L'Italia della guerra civile. Dall'8 settembre 1943 al 9 maggio 1946, Rizzoli, 1983

La carriera di James Angleton era iniziata un anno prima, quando era stato nominato nel novembre del '44 dirigente della sezione romana del controspionaggio americano - chiamata Special Counter Intelligence/Unit Z (SCI/Z) -, mentre il 25 aprile del 1945 venne promosso capo di tutto il settore del controspionaggio, denominato X-2, nella penisola <326.
Nell’autunno del ’44 la nomina di Angleton a capo della sezione romana comportò un netto cambiamento nella politica e nel tipo di operazioni condotte dal servizio segreto americano in Italia. Voluta tanto dal generale Donovan quanto dai vertici dei servizi segreti inglesi, con cui l’Oss collaborava, la nomina di Angleton era una mossa decisa da entrambi in direzione di un orientamento in senso anticomunista dell’azione dell’Oss: l’ufficiale della sezione X-2 dell’intelligence statunitense era noto per le sue posizioni fortemente anticomuniste e per le sue amicizie e simpatie negli ambienti fascisti. Egli infatti era cresciuto a Milano, e prima di frequentare l’università di Yale aveva mantenuto stretti rapporti con l’entourage fascista della città <327. Grande ammiratore di Ezra Pound, era convinto che il male assoluto fosse rappresentato dall’Unione Sovietica, e che l’avanzata di questa verso l’Europa centrale fosse il preludio per una diffusione del comunismo in tutto il continente, da cui poi si sarebbe propagato nel mondo <328.
La sua propensione a ragionare in termini antisovietici aveva favorito la preferenza nei suoi confronti da parte dei vertici dell’intelligence inglese, all’epoca della sua formazione tra i ranghi della dirigenza Oss a Londra, al punto che venne ammesso nella “ristrettissima cerchia di coloro che avevano accesso alle informazioni di Ultra [il codice di decriptazione dei messaggi segreti del Reich, n.d.a.], unico non britannico” <329.
Da poche settimane alla guida della sezione di controspionaggio a Roma, alla fine di dicembre del ‘44 il giovane Angleton aveva cominciato ad occuparsi delle trattative con il comandante della Decima Mas. Il principe Junio Valerio Borghese, che al comando del suo corpo d'assalto della Marina dopo l'8 settembre aveva aderito alla Rsi <330, si stava organizzando per sopravvivere dopo la sconfitta con una parte della sua organizzazione.
[NOTE]
326 Cfr. T. Mangold, Cold Warrior. James Jesus Angleton: the CIA's Master Spy Hunter, New York, Simon & Schuster, 1991, p. 43. Alcuni anni più tardi, nel 1953, Angleton divenne direttore dell’intero controspionaggio statunitense, raggiungendo i massimi livelli del potere politico-militare. Filoisraeliano, ebbe poi modo di curare la fondazione del Mossad (Cfr. M. Del Pero, Gli Stati Uniti e la "guerra psicologica" in Italia. 1948-1956, in "Studi Storici", 1998, n. 4, p. 959).
327 Cfr. T. J. Naftali, “ARTIFICE: James Angleton and X-2 Operations in Italy”, in G. C. Chalou (a cura di), The Secrets War. The Office of Strategic Services in World War II, Washington DC, National Archives and Records Administration, 1992, pp. 218-219.
328 Cfr. T. Mangold, Cold Warrior, cit., pp. 35-36.
329 P. Tompkins, L’altra Resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di Liberazione nel racconto di un protagonista, Milano, Il Saggiatore, 2005, p. 407; cfr. a questo proposito anche l’articolo di T. J. Naftali, “ARTIFICE: James Angleton and X-2 Operations in Italy”, in G. C. Chalou (a cura di), The Secrets War, cit., pp. 222-223.
330 Sul ruolo e la figura di Borghese durante il periodo della Repubblica sociale cfr. L. Ricciotti, La Decima Mas, Milano, Rizzoli, 1984, pp. 13-43; F. W. Deakin, La brutale amicizia: Mussolini, Hitler e la caduta del fascismo italiano, cit., pp. 804-805, 876; e L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, Milano, Giunti, 2002, pp. 60-62.
Siria Guerrieri, Obiettivo Mediterraneo. La politica americana in Europa Meridionale e le origini della guerra fredda. 1944-1946, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma "Tor Vegata", Anno accademico 2009/2010 

Dopo l’armistizio del 8/9/43 il SIM fu riorganizzato dal nuovo governo di Pietro Badoglio ed al suo interno si riformò anche la Sezione Calderini (al cui comando si trovava il colonnello Giovanni Duca <5) che operò «a stretto contatto con lo Special Operations Executive (SOE) britannico e l’Office of Strategic Services (OSS) statunitense, tessendo importanti nuclei di resistenza nell’Italia occupata». Agrifoglio, che si trovava in Tunisia al momento dell’armistizio, era stato fatto prigioniero dai britannici, e fu poi inviato in Italia per dirigere il nuovo SIM, che doveva essere sotto il controllo alleato <6.
L’attività della Calderini consisteva «in missioni informative, di sabotaggio e di collegamento e supporto alle formazioni partigiane», e tra le «personalità ed episodi di rilievo» troviamo l’allora tenente colonnello Aldo Beolchini, il capitano Alberto Li Gobbi, la «missione Cadorna nell’Italia del Nord» e la «missione Sogno con il tentativo di liberare l’on. Parri» <7; ed ancora: la Calderini riformata «durante la Resistenza aveva sovrainteso alle missioni congiunte degli italiani con gli alleati, che si battevano per il ristabilimento della libertà, operando clandestinamente nel territorio occupato dai tedeschi, dopo l’8 settembre e fino alla Liberazione nel 1945».
All’inizio del 1945 il Servizio segreto militare diventa Ufficio informazioni dello Stato maggiore generale, e la Calderini (che era formata esclusivamente da ufficiali e dislocata per lo più oltre le linee, cioè in territorio occupato) diventa Prima sezione; ne esce il Primo gruppo, che diventa Gruppo speciale all’interno del SIFAR e darà poi origine alla SAD (Sezione addestramento guastatori), base su cui si fonderà la struttura della Gladio. Infatti «più ufficiali che avevano militato in questa specifica struttura del Servizio di sicurezza militare nella fase finale dell’ultimo conflitto mondiale risultavano essere poi stati definitivamente incardinati nel SIFAR e quindi nel SID, con la attribuzione di funzioni proprio all’interno della Sezione che per anni ebbe a fungere motore dell’Operazione Gladio: la Sezione Addestramento Guastatori».
[NOTE]
5 Giovanni Duca fece parte della rete militare di resistenza del colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo (che fu ucciso dai nazisti alle Fosse Ardeatine); arrestato nel Veneto assieme al figlio Luigi (che morirà nel lager di Mauthausen), fu incarcerato a Verona, torturato ed ucciso nell’agosto del 1944. Medaglia d’Oro al V.M. alla memoria. Da lui prese il nome «una struttura occulta denominata Duca e formata presumibilmente da ufficiali e sottufficiali del SIFAR» esistita fino al gennaio 1955 (cfr Giuseppe De Lutiis, “I servizi segreti in Italia”, Sperling & Kupfer 2010, p. 51), che sarebbe stata antesignana della Gladio.
6 Andrea Vento, “In silenzio gioite e soffrite”, Saggiatore 2010, p. 273.
7 “Note esplicative in merito all’archivio SIM custodito dalla SAD”, d.d. 12/7/73 a firma del capo Ufficio R colonnello Fortunato. Il documento si trova a p. 1.629 della Sentenza ordinanza n. 318/87 A. G.I., Procura di Venezia, GI Carlo Mastelloni, relativa al misterioso “incidente” occorso all’aereo Argo 16 (d’ora in poi SO 318/87); ringrazio il dottor Mastelloni per avermi messo a disposizione il testo. Aldo Beolchini Bianchi, uomo di fiducia del comandante del CVL, generale Raffaele Cadorna, era l’organizzatore della “Rete TCB” (cioè Tenente Colonnello Beolchini o Bianchi); delle varie “personalità ed episodi” avremo modo di parlare in seguito.
Claudia Cernigoi, Momenti di Sogno, La Nuova Alabarda, Dossier n. 58, Trieste, 2018

L'insieme di tale documentazione aiuta dunque a comprendere quanto alcuni elementi sempre considerati marginali abbiano invece condizionato la nascita della democrazia italiana, soprattutto in virtù delle relazioni stabilite dall'organizzazione neofascista con l'intelligence americana, cosa che permise a quest’ultima di ottenere margini di azione altrimenti non raggiungibili [392].
Si era formato un piccolo esercito segreto, pronto a rivolgere le sue potenzialità all’ottenimento di un preciso scopo: quello di garantire la collocazione internazionale dell'Italia all'interno dello schieramento atlantico [393].
I documenti dell'intelligence statunitense desecretati nel 2002 mostrano come a giudizio di Angleton esistessero due fronti, di importanza vitale, su cui lavorare in Italia: mentre il primo era formato dai confini con i Balcani, il secondo era costituito dai luoghi in cui la forza elettorale dei comunisti cresceva eccessivamente, cosa che accadeva soprattutto in Sicilia.
[NOTE]
392 La portata del fenomeno di riunificazione avvenuto sotto il comando di Polvani, Buttazzoni e Borghese è sempre stata storicamente sottovalutata, anche perché non se ne conoscevano né le dimensioni né l'importanza in relazione agli scopi che i neofascisti si erano prefissati. La rilevanza e la forza di questa organizzazione e, come abbiamo visto, la serietà degli obiettivi anticomunisti, aveva fatto sì che anche il Pci e Togliatti ne fossero venuti a conoscenza e avessero dovuto confrontarcisi.
393 Il Sostituto Procuratore di Padova Sergio Dini, nell'ambito di un'indagine relativa proprio ai rapporti tra i nuclei della Decima Mas e l'organizzazione Gladio, ha ottenuto nel febbraio 2005 la testimonianza di Nino Buttazzoni, nella quale l'ex comandante repubblichino ha illustrato il suo "lavoro di organizzatore di nuclei di resistenza e di guerriglia che, secondo la tecnica classica dello Stay Behind, avrebbero dovuto continuare ad operare nelle zone già liberate dagli anglo-americani e rimanere attivi anche dopo la fine della guerra, anche se in sonno", facendo ampio riferimento poi ai contatti con James Angleton, il quale gli aveva proposto "di collaborare con i Servizi segreti statunitensi in funzione anticomunista e antislava". Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, XIV legislatura, doc. XXIII, n.18-bis, relazione cit., pp. 220-221. La Commissione d'Inchiesta ha stabilito che i nuclei organizzati dalla Decima Mas, destinati a rimanere dietro le linee nemiche in caso di invasione jugoslava sul confine orientale, divennero il modello di utilizzo per l'intera rete, avendo gli americani il progetto di costituire la "stay-behind" che poi, una volta realizzata, verrà denominata Gladio.
Siria Guerrieri, Op. cit.

Renzo De Felice citava un certo numero di documenti, testimonianze e “piste”, che contraddicevano la vulgata, a cominciare da una relazione segreta, di circa cinquecento pagine, redatta da un agente dell’OSS, alla fine della sua missione nell’Italia del nord, foriera di ‹‹molte nuove verità›› <12. Tale fonte, che è stata analizzata in altra sede <13, fu il frutto dell’indagine compiuta dal colonnello Valerian Lada Mocarski -agente n. 441, nome in codice “Valla”, “Maj”, “Topper” <14- per ordine di Allen Dulles, direttore della Sezione svizzera del Secret Intelligence (d’ora in poi, SI) dell’OSS, al fine di ricostruire i fatti e accertare le responsabilità della morte di Benito Mussolini, dopo che gli americani dovettero, loro malgrado, registrare il fallimento delle molteplici missioni lanciate nell’Italia settentrionale durante le ultime tumultuose settimane di aprile ’45 miranti all’obiettivo di catturare il Duce vivo <15.
[NOTE]
12 R. De Felice, Rosso e Nero cit., p. 145.
13 Uno stralcio di tale relazione segreta è stato riportato, nella versione tradotta in italiano, in appendice al saggio di M. Sapio, Gli ultimi giorni di Mussolini tra storia e verità cit. nonché commentato, in chiave critica, in
M. Sapio, Ma davvero è stata scritta la parola fine? cit. Una sintesi è stata pubblicata con il titolo The last three days of Mussolini in ‹‹Atlantic Montlhy››, n. 6 del dicembre 1945.
14 Valerian Lada Mocarski, russo, discendente di una famiglia nobile travolta dalla rivoluzione bolscevica emigrata negli Stati Uniti, si arruolò quale ufficiale nell’esercito americano nel 1941 e fu, quindi, reclutato nell’OSS e destinato in Medio Oriente, Egitto, Francia e, infine, in Svizzera, dove si trovava durante gli ultimi giorni di Mussolini. Nel giorno di Piazzale Loreto, passò nell’Italia del nord e, infine, si ritirò dall’esercito nel 1945. Dopo la guerra fu nominato vicepresidente della G. Henry Shroeder Banking Corporation a New York.
15 Oltre alla missione del capitano Emilio Daddario già trattata nel capitolo precedente, molteplici furono le missioni alleate di cui si resero artefici, soprattutto, i servizi segreti americani, che furono lanciate nel nord dell’Italia nelle ultime settimane di aprile ’45, con l’obiettivo di catturare Mussolini vivo. Per una panoramica di queste iniziative, si rinvia a M. Sapio, Ma davvero è stata scritta la parola Fine? cit., nt. 43, p. 142.
Michaela Sapio, op. cit.

Gli americani diedero vita alla democrazia in Italia nel 1943, e presero in considerazione l'idea di soffocarla nel 1948. Era una loro creatura, ma minacciava di mettersi su una cattiva strada.
Un rapporto della Cia, rimasto segreto finora, rivela come il padre padrone ebbe per un attimo la tentazione dell'infanticidio.
Il rapporto, intitolato «Conseguenze di un accesso dei comunisti al potere in Italia con mezzi legali», reca la data del 5 marzo 1948 e risponde a una serie di quesiti angosciosi del governo di Washington.
In Italia manca poco più di un mese alle elezioni. Da Roma l'ambasciatore James Dunn manda telegrammi sempre più pessimisti: una vittoria del «Fronte Popolare» socialcomunista sembra probabile. Il National Security Council, che riferisce direttamente al presidente Harry Truman, ha chiesto ai servizi segreti di valutare la situazione che si creerebbe se il partito di Togliatti andasse al governo.
«Nel futuro prevedibile - risponde la Cia - questa situazione potrebbe verificarsi soltanto come risultato di una vittoria del Fronte Popolare nelle elezioni del 18 aprile. Almeno un mese dovrebbe passare tra tali elezioni e l'insediamento di un nuovo governo. Anche se il Fronte Popolare vincesse con il voto la maggioranza dei seggi in parlamento, il suo effettivo accesso al potere potrebbe essere impedito falsificando i risultati, oppure con la forza».
Chi potrebbe usare la forza?
Il governo americano di Truman, quello italiano di De Gasperi, oppure le formazioni di destra come il «Gladio» che gli americani stanno incoraggiando segretamente in Italia per reagire alla minaccia comunista?
Il documento della Cia non lo precisa, ma fa presente che in caso di guerra civile gli anticomunisti non potrebbero vincere «senza immediati e sostanziosi aiuti dall'estero».
Ennio Caretto - Bruno Marolo, Made in Usa, Rizzoli, 1996