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domenica 31 luglio 2022

Siamo stati costretti a questa tragica decisione dal sopravvenire di un imponente rastrellamento


Liberato due giorni dopo l’annuncio dell’armistizio, su decisione del direttore del carcere, in quanto “detenuto politico”, ritorna a casa ed è protagonista di una fondamentale fase di transizione dell’organizzazione comunista: il passaggio alla lotta armata. Argante Bocchio diventa partigiano, prendendo il nome di battaglia “Massimo”, ed è inviato in valle Sessera, nel Biellese orientale, presso il distaccamento “Pisacane”, comandato da “Gemisto”, nome di battaglia di Francesco Moranino <8.
[...] “Massimo” è protagonista di una serie di episodi salienti che posso qui, per esigenze di brevità, solo citare. Innanzitutto, la costituzione, tra la fine di dicembre del 1943 e il mese di gennaio del 1944, della cosiddetta repubblica di Postua <9: per circa tre settimane il territorio postuese si trova sotto il controllo partigiano, assumendo le caratteristiche di una vera e propria “zona libera”. Oltre al controllo del territorio esercitato dal distaccamento “Pisacane”, nella vallata vicino, sopra Coggiola, anche il distaccamento “Matteotti” è padrone del campo, per cui si può affermare che i partigiani controllino, sia pur per breve tempo, un territorio molto vasto, dalla valle Sessera a quella del Ponzone, abitato da qualche migliaio di persone, la stragrande maggioranza delle quali lavorano nell’industria tessile. Gemisto è il capo indiscusso ed è punto di riferimento per tutti: tiene frequentemente comizi di fronte alle fabbriche in appoggio alle richieste operaie e riscuote l’ammirazione e la fiducia della popolazione. Dopo vent’anni di silenzio imposto dal regime, emerge finalmente la voce di un antifascista alla testa di una forza già sufficientemente armata. Per gli operai della zona si crea una situazione inaspettata: i fascisti, pur essendosi riorganizzati nella Repubblica di Salò, sono concentrati a Vercelli e a Biella, nelle vallate di montagna del Biellese orientale si riassapora la libertà.
Il 25 gennaio 1944, però, capita quello che i partigiani si aspettano da tempo: ritornano, in forze, i fascisti. I partigiani li affrontano con le armi, ma sono costretti a ritirarsi e a tornare sulle montagne intorno a Postua.
Poiché la situazione è insostenibile, Gemisto prende la decisione di trasferire il distaccamento a Noveis, ma quando i fascisti avviano il grande rastrellamento del febbraio ’44, è inevitabile dividere gli uomini in tre gruppi, uno dei quali viene affidato a Massimo. Seguono per lui e i compagni mesi difficili, durante i quali viene devastata la casa di famiglia e sono arrestati i genitori, con la madre trattenuta in detenzione per oltre due mesi; il gruppo è costretto a spostarsi più volte dalla zona di Mezzana alla Serra e viceversa e in questi frangenti si viene a sapere dell’imboscata di Curino, avvenuta l’8 maggio, in cui Gemisto è gravemente ferito e nove partigiani sono uccisi.
Grazie all’aiuto della popolazione, nel frattempo, il campo base di Mezzana si rafforza, diventando anche un centro di reclutamento di nuovi partigiani. Nella seconda metà di maggio il distaccamento si ricongiunge a Postua. Il bilancio del primo inverno è molto pesante <10: dei venticinque iniziali sono rimasti solo una dozzina di partigiani. La popolazione ha pagato il prezzo delle rappresaglie, dei rastrellamenti, degli arresti e degli incendi. Ma la Resistenza continua e si deve ora provvedere all’addestramento dei nuovi arrivati. Con la liberazione di Roma (4 giugno 1944) e l’apertura (6 giugno) del secondo fronte con lo sbarco in Normandia, la situazione cambia totalmente e gli eventi subiscono un’accelerazione. I tedeschi, infatti, sono costretti a prendere forze dal fronte antipartigiano per portarle frettolosamente in Francia. Per il distaccamento partigiano iniziano i «dieci giorni che cambiano la faccia del Biellese orientale». La ritirata dei tedeschi obbliga i fascisti a smantellare i due grossi presidi di fondovalle, Borgosesia e Pray. Da un giorno all’altro i partigiani assumono il controllo del territorio compreso tra Borgosesia, Valle Mosso e Buronzo, in prossimità dell’autostrada Milano-Torino. La gente scende in piazza, li accoglie e li riconosce come le nuove autorità e da parte loro i partigiani esercitano le proprie capacità di governo e riorganizzano le file. Approfittando della pausa militare della zona libera, il distaccamento “Pisacane” si evolve sul piano militare: diventa battaglione, poi la 50a brigata “Garibaldi”, intitolata a Edis Valle. Gemisto ne rimane il comandante militare;
“Carlo” (Silvio Bertona) diventa il commissario politico; vengono nominati “Danda” (Annibale Giachetti) come vicecomandante e Massimo come vicecommissario.
L’esperienza della zona libera finisce ai primi di luglio: i partigiani si trovano a combattere in poco tempo due grosse battaglie, a Crevacuore e a Noveis. Con la prima tentano di bloccare le operazioni di rastrellamento, riuscendo a resistere solo due giorni; nella seconda si difendono meglio grazie alla collaborazione di partigiani delle formazioni di Moscatelli dotati di una mitragliatrice, piazzata in un buon punto sotto il monte Barone; sono però costretti a pagare il prezzo della cattura di sette uomini, che vengono fucilati.
L’estate del 1944 continua turbolenta, ma a fine agosto appaiono evidenti le difficoltà di tedeschi e fascisti nel mantenere il controllo del territorio libero dai “ribelli”.
[...] Alle difficoltà dell’approvvigionamento si aggiunge quella anche più grave della sicurezza delle formazioni dalle infiltrazioni di spie. È proprio in questo contesto che si verifica la tragica vicenda per cui saranno chiamati a processo Gemisto, Massimo e altri partigiani dopo la Liberazione. Il 26 novembre ’44, nei pressi di Portula, sono fucilati, dai partigiani di Gemisto, Emanuele Strasserra, Giovanni Scimone, Sergio Santucci, Mario Francesconi ed Ezio Campasso; i primi due sono agenti al servizio della Oss, l’organizzazione militare segreta americana <13, gli altri tre sono partigiani vercellesi, vicini agli ambienti di “Giustizia e libertà”. Qualche tempo dopo, il 9 gennaio ’45, a Flecchia, frazione di Pray, sono uccise anche le mogli del Santucci e del Francesconi, rispettivamente Maria Dau e Maria Martinelli. Nel dopoguerra la magistratura apre un’indagine sui due episodi che porta all’incriminazione di Moranino, all’epoca parlamentare e inizialmente protetto dall’immunità, ed altri, tra cui Bocchio e Bertona, contro i quali viene emesso un mandato di cattura il 10 maggio 1949, ineseguito per irreperibilità.
[...] Non si è trattato di un normale procedimento giudiziario, perché ovviamente sul banco degli imputati sembra finita la Resistenza biellese e non solo. Bocchio, nel raccontare la vicenda, insiste sui sospetti derivati da alcuni episodi in cui sono stati coinvolti i tre vercellesi, in particolare un lancio di armi in una zona che hanno detto essere da loro controllata, ma che era vicinissima alla città e ai nazifascisti. «Nemmeno un bambino avrebbe organizzato un lancio simile vicino ad una zona dove non c’era un presidio, bensì una presenza militare tedesca e fascista considerevole», commenta. Il lancio ha luogo: arrivano due apparecchi inglesi e lasciano cadere le armi alla periferia di Vercelli, lungo le rive del Sesia. Mezz’ora dopo arrivano i fascisti e recuperano tutto. La cosa insospettisce, come anche il millantato passaggio di un intero reparto fascista alla causa partigiana e l’assenza di contatti tra i due genovesi e la missione alleata “Cherokee” <14. Si fa strada la convinzione che si tratti di spie. Prosegue Massimo: «Sollecitati dalle notizie provenienti dalla rete clandestina di Vercelli e dall’atteggiamento ambiguo dei sedicenti partigiani, che giravano liberamente in città, senza alcun apparente timore di essere arrestati, a differenza degli altri antifascisti, con l’accordo del Comando di Zona biellese e del tenente inglese Pat <15, giustiziamo i due ex tenenti, i tre che li seguivano e le mogli dei due che, da settimane, stavano in valle Sessera. Siamo stati costretti a questa tragica decisione dal sopravvenire di un imponente rastrellamento e dall’impossibilità di portarci dietro prigionieri nei nostri trasferimenti». La versione dei fatti di Massimo, riportata in termini sintetici, non risolve i molti interrogativi che incombono ancora oggi sulla tragica vicenda, meritevole di ben altra attenzione storica di quella che si ripromette l’articolo. Ai fini del nostro racconto, infatti, ci limitiamo a prendere atto delle conseguenze personali che l’inchiesta avrà per Massimo.
Riprendendo la storia della sua guerra partigiana, arriviamo al grande lancio del 26 dicembre 1944, organizzato in accordo con la missione inglese “Cherokee” e chiamato scherzosamente il “Santo Stefano dei miracoli”. Grazie ad esso, i partigiani sono finalmente decentemente armati, soprattutto di “sten”, mitragliette inadatte a una battaglia sul campo, ma efficaci per atti di guerriglia.
Poco dopo, il 6 gennaio 1945, inizia un nuovo imponente rastrellamento <16, messo in atto dai tedeschi e dai fascisti concentrati a Vercelli e a Biella. I partigiani decidono di spostare la 50a brigata che già opera in pianura ancora più a sud; la 110a brigata, con Massimo, occupa la Baraggia vercellese; la terza, la 109a brigata, forte di almeno centocinquanta uomini - la decisione più coraggiosa - cammina per giorni e giorni dalle montagne del Biellese al Monferrato, oltre il Po. L’operazione viene affidata al capitano Giberto.
La Liberazione e la latitanza in Italia
A marzo del ’45, i partigiani si preparano per l’atto finale. Gli Alleati stanno sfondando la Linea gotica e stanno avanzando anche russi e francesi. L’attacco degli Alleati ha successo. La XII divisione ha affrontato bene l’urto del grande rastrellamento. Ha subito delle perdite, ma il grosso della formazione si è salvato. Dal Comando della Zona biellese si propone una riorganizzazione degli incarichi: a Gemisto, fino ad ora comandante militare, in previsione del passaggio dalla guerra alla libertà si chiede di passare al ruolo di commissario politico; dopo una breve discussione, la proposta è accettata. Come nuovo comandante militare, si propone “Quinto” (Quinto Antonietti). Massimo da vicecommissario politico diventa vicecomandante militare, Giberto diventa capo di stato maggiore.
Nel mese di aprile si definisce il piano insurrezionale. La Linea gotica viene definitivamente sfondata con ventitré divisioni e gli Alleati contano anche su quanto possono fare i partigiani. Il compito dei partigiani delle formazioni biellesi è quello di controllare la ferrovia e l’autostrada Torino-Milano. Gli angloamericani sanno che i tedeschi si ritireranno da Genova e utilizzeranno tutti i mezzi per raggiungere Milano e Trieste e da lì mettersi in salvo in Austria. Il piano dei partigiani è denominato E27 <17, con gli obiettivi dell’eliminazione dei presidi repubblichini di Valle Mosso e Cossato, della difesa delle fabbriche, dell’occupazione di Biella e Vercelli.
Scatta anche l’appello del Cln all’insurrezione popolare, che prevede la messa in moto di tutta la rete clandestina, nonostante l’avviso contrario degli Alleati, che vogliono evitare una deriva troppo politicizzata degli eventi. Il rapporto con la locale missione si fa più difficile. Anche nel Cln, organo interpartitico composito, non tutti sono d’accordo sull’insurrezione popolare; prevale tuttavia l’opinione favorevole. Gli obiettivi primari sono, come si è detto, la liberazione del Biellese orientale e la resa del presidio repubblichino di Valle Mosso, che resiste a tre attacchi partigiani, prima di concordare la resa, con l’intervento di Quinto, Massimo e un imprenditore tessile che fa da mediatore. Dopo due giorni di trattative i fascisti sono condotti in un improvvisato campo di concentramento a Trivero. Liberato il Biellese orientale, si punta su Vercelli, città che ancora pullula di militari fascisti e tedeschi, dotati di armi pesanti. I partigiani dispongono le forze e si avviano verso la destinazione [...]
[NOTE]
8 Nel gennaio del 1944 si costituirà poi la 2a brigata d’assalto “Garibaldi”, composta da sette distaccamenti tra cui il “Pisacane”, in cui opera Argante Bocchio. Il “Pisacane”, assunto il nome di battaglione, diventerà, alla fine di giugno del 1944, a seguito dell’aumento dei suoi uomini, 50a brigata “Nedo” in ricordo del comandante Piero Pajetta. Nel novembre 1944 la 50a brigata “Nedo” si trasformerà nella XII divisione “Nedo” operante nel Biellese orientale, mentre nel Biellese occidentale opererà la V divisione “Piero Maffei”. Cfr. C. DELLAVALLE, op. cit., pp. 115; 147; 180; GIANNI FURIA - LUIGI SPINA - ANGELO TOGNA (a cura di), 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci attraverso i suoi congressi, Biella, Federazione biellese e valsesiana del Pci, 1984, e Rapporti inglesi sulla Liberazione, in PIETRO SECCHIA - FILIPPO FRASSATI, La Resistenza e gli alleati, Milano, Feltrinelli, 1962, p. 428.
9 Cfr. anche A. BOCCHIO, 25 gennaio 1944: cade il “governo” partigiano di Postua, in “l’impegno”, a. III, n. 4, dicembre 1983.
10 Sui rastrellamenti compiuti nel tentativo di sradicare le bande partigiane, cfr. SANTO PELI, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Torino, Einaudi, 2004, pp. 59-60. Cfr. anche A. BOCCHIO, Il distaccamento di Gemisto nel dramma del primo inverno, in “l’impegno”, a. IV, n. 2, giugno 1984.
13 L’Oss (Office of Strategic Services) è il servizio segreto americano, che ha sede per l’Europa a Berna, alle dipendenze di Allen Dulles. Si veda GIORGIO CANDELORO, Storia dell’Italia moderna, vol. X, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 260 e MASSIMO RENDINA, Dizionario della Resistenza italiana, Roma, Editori Riuniti, 1995, pp. 110-111.
14 Sul ruolo della missione “Cherokee”, cfr. ANELLO POMA - GIANNI PERONA, La Resistenza nel Biellese, Parma, Guanda, 1972, pp. 298-302.
15 Patrick Amoore è indicato da Bocchio come “tenente”, ma in realtà è capitano e membro della missione di ufficiali britannici denominata “Cherokee”.
16 Cfr. anche A. BOCCHIO, Popolazione e partigiani del Biellese orientale nel rastrellamento del gennaio-febbraio 1945, in “l’impegno”, a. V, n. 1, marzo 1985.
17 Vedi A. POMA - G. PERONA, op. cit., pp. 401-402
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Benedetta Carnaghi, Argante Bocchio. Una storia del Novecento in "l’impegno", n. 2, dicembre 2011, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia