Pagine

Visualizzazione post con etichetta Corriere. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Corriere. Mostra tutti i post

giovedì 7 settembre 2023

Tallonato da condizioni economiche precarie il Gruppo Rizzoli aveva reagito intraprendendo un continuo rilancio della propria azione imprenditoriale


La Loggia P2 aveva usufruito almeno per un decennio di una sostanziale collusione, che potrebbe essere definita culturale, con ampi settori della vita istituzionale del paese adoperandola come punto di partenza per il raggiungimento di propri obiettivi: banche, servizi segreti, ma anche Università, Procure, Pubbliche amministrazioni, Parlamento e Informazione. Allergica ad ogni forma di mediazione democratica la P2 è stata giustamente descritta come punto di riferimento e supporto a settori sociali e istituzionali che non dialogavano attraverso i canoni consueti del potere democratico. I suoi maggiori ambiti di azione, i servizi segreti, la stampa, la finanza, la politica, disegnavano una mappa estesa che certamente conferiva al fenomeno P2, come ha sottolineato Francesco Biscione, “la dignità di un importante movimento di trasformazione”. La P2 sembrava incarnare una immensa area a-partecipativa, indifferente se non refrattaria al percorso democratico; una forza che traeva la propria legittimazione da alcune trasformazioni fondamentali della realtà sociale ed economica del paese, inserendosi all’interno di un sistema produttivo squilibrato e fisiologicamente predisposto a questo coacervo di interazioni. <424
Prodromico di questa capacità di insediamento era il caso “Rizzoli-Corriere della Sera”, capitolo che la Commissione d’inchiesta inserì nel canovaccio investigativo denominato “Finanza ed Editoria”. La massiccia infiltrazione di uomini della P2 all’interno del quotidiano di Via Solferino fu evidenziata nella relazione Anselmi come l’indice più eloquente della potenza con cui l’informazione aveva influito sullo scacchiere del consenso e della partecipazione, al centro del meccanismo democratico. L'analisi dell'assetto proprietario del quotidiano milanese sembrava fugare ogni dubbio sulla “proponibilità di tesi di taglio riduttivo” della Loggia P2 e delle attività “che in essa venivano progettate e gestite da forze disparate, ma unificate dalla convergenza di interessi su situazioni determinate”. L’influenza che la Loggia P2 aveva esercitato sul “Corriere della Sera”, concludeva la relazione finale, “aveva lasciato intravedere le linee generali di un allarmante disegno generale di penetrazione e condizionamento della vita nazionale”. <425
Tuttavia la parabola del Gruppo Rizzoli racchiudeva al suo interno un intricato gomitolo di antinomie che mal si conciliava con la semplicistica ma tutt’altro che semplice interpretazione che la Commissione ne volle dare durante la stesura della relazione finale.
Ceduto alla famiglia Rizzoli dal gruppo Agnelli, Moratti e Crespi nel 1974 il Corriere della Sera contava un deficit patrimoniale di svariate decine di miliardi, unito ad un costo di esercizio previsto altrettanto oneroso di cui il Gruppo Rizzoli aveva cercato di contrastare con investimenti mirati allo sviluppo e non al taglio della spesa. In questa direzione andava l’acquisto di Telemalta, iniziativa concordata con il governo maltese per costruire una “Tv estera tutta italiana” in diretta concorrenza con la Rai per soffiarle “una buona fetta di inserzionisti pubblicitari”. <426
Seguiva l’accordo con la Democrazia Cristiana per la gestione de “Il Mattino” di Napoli, il più diffuso quotidiano del Mezzogiorno. La famiglia Rizzoli con il figlio poco più che trentenne Angelo si era presentata come il nuovo polo dell’informazione nazionale, scevra da interessi extra-editoriali, avviando una pesante opera di espansione che in pochi anni, dal 1974 al 1977, aveva effettuato interventi a sostegno di numerose testate a carattere locale e nazionale. Secondo la ricostruzione contenuta nella relazione di minoranza a firma del radicale Massimo Teodori, Angelo Rizzoli e il direttore finanziario Bruno Tassan Din, entrambi iscritti alla Loggia P2, avevano compreso che l’unica maniera per ottenere denari sufficienti a sostenere queste operazioni fosse quella “di scambiare il potere della stampa a loro disposizione con dei servizi da rendere ai partiti non solo con gli orientamenti dei giornali rizzoliani ma anche con l'acquisto di testate direttamente per i partiti o a disposizione dei partiti”. <427
Tallonato da condizioni economiche precarie il Gruppo Rizzoli aveva reagito intraprendendo un continuo rilancio della propria azione imprenditoriale, attraverso l’acquisto di giornali locali, figli di finanziarie satelliti al sistema partitico italiano. Un meccanismo che da una parte ne avrebbe dilatato il debito e dall’altra ne avrebbe ridotto l’indipendenza.
Benché la ricostruzione di Massimo Teodori avesse natura prevalentemente politica e quindi in qualche modo strumentale alla causa che il Partito radicale stava combattendo contro la “partitocrazia” italiana, vi erano alcuni dati che non potevano essere ignorati: nel giro di pochi anni, il Gruppo Rizzoli aveva acquistato “Sport Sud di Napoli, il 60% della OTE editrice de Il Piccolo di Trieste e de L’Eco di Padova, l'80% della Papiria editrice del Giornale di Sicilia, l'80% della Cima Brenta editrice dell'Alto Adige di Bolzano”. E poi ancora altri interventi erano stati effettuati con l’erogazione di finanziamenti destinati a non essere rimborsati: 1.955.406.000 solo fino al 31 Dicembre 1976 all’ Adige di Trento, la cui società editrice apparteneva alla Affidavit, finanziaria posseduta dalla Democrazia Cristiana; 4 miliardi alla EDIME di Napoli per conto della DC Affidavit; 1,5 miliardi alla SOFINIM, finanziaria del Partito Socialista per l'acquisto del Lavoro di Genova. <428. Le cifre mettevano in mostra una concentrazione editoriale tanto forte quanto in grossa crisi finanziaria. Secondo i dati Ads, il Corriere della Sera aveva nel 1977 una diffusione media di 600.000 copia su una tiratura di 702.000, il Corriere d’Informazione stampava 100.000 copie, mentre Il Mattino ne stampava 95.000 unità. <429
I radicali già nel marzo e nell’aprile del 1981 avevano chiesto con due interpellanze parlamentari di conoscere la reale situazione debitoria del Gruppo Rizzoli e se esistessero “gli estremi per la bancarotta”. In quel caso la risposta venne fornita il 7 aprile 1981 dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Piergiorgio Bressani, il quale sin dal V governo Andreotti deteneva la delega per i problemi della stampa e dell’editoria:
“Per quanto riguarda l’esposizione debitoria del Gruppo, essa risulta controllata dall’Istituto di vigilanza secondo i dati di centrale rischi costantemente aggiornati. A riguardo mi riservo di fornire al Parlamento non appena sarò posto in condizioni di farlo notizie sull’andamento relativo all’esposizione debitoria”. <430
Poche settimane dopo, la scoperta della Loggia P2 palesò la massiccia infiltrazione nella stampa, irrompendo sulla scena politica come interprete perfetta di quel “Dialogo agli inferi tra Machiaveli e Monesquieu” scritto nel secolo precedente da Marice Joly: inquinamento dell’informazione e manipolazione delle coscienze. <431
Nel più importante quotidiano italiano, il “Corriere della Sera”, si era registrato un alto numero di affiliati a cominciare dal direttore Franco Di Bella, il direttore de “l’Occhio” Maurizio Costanzo, il giornalista Roberto Gervaso. La scoperta della P2 fu percepita dal paese come un trattato contro la libertà di informazione, potenziato a dismisura dal ritrovamento del famigerato “Piano di Rinascita democratica” all’Aeroporto di Fiumicino nel luglio 1981. A ribadire tale prospettiva contribuiva d’altronde l’innegabile nesso tra Angelo Rizzoli, anch’esso tra le liste P2, e Licio Gelli e documentato ad abundantiam tra le fonti in possesso della Commissione d’inchiesta. Lì vi si trovavano i “fraterni ringraziamenti” per le operazioni finanziarie concluse, “sul cui esito felice tu hai avuto un ruolo determinante”, scritti da Rizzoli al Venerabile il 20 luglio 1977. Vi erano poi gli attestati di profonda gratitudine per l’alleggerimento degli oneri finanziari del giornale, dal cui sollievo scaturiva “il necessario presupposto per affrontarli con maggiore serenità” <432. Tuttavia, già nella sua prima deposizione Angelo Rizzoli parlando dei suoi rapporti con Gelli aveva chiarito la natura esclusivamente finanziaria di tali rapporti, sottolineando che “certamente non ho mai avuto pressioni da Gelli”. E nelle successive audizioni confermava il modesto profilo politico di Gelli, una persona “scarsamente informata e scarsamente interessata alle vicende politiche”; un fanfarone che “faceva le ipotesi le più. Parlava della regina d’Olanda, del Vaticano”. <433
Secondo la ricostruzione della relazione di maggioranza invece la Loggia P2 aveva intravisto nel “Corriere della Sera” una struttura da utilizzare per il “coordinamento di tutta la stampa provinciale e locale” [...] “in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del paese”. <434
Le condizioni sembravano ideali dal momento che il Gruppo Rizzoli era gestito come azienda a carattere familiare, con esponenti non sempre all’altezza del loro ruolo imprenditoriale; in seconda battuta, risultava proprietario di un quotidiano di grandi tradizioni ma appesantito da una difficile situazione finanziaria; in ultima istanza, si trovava sotto la morsa dei finanziamenti resi necessari per l’acquisto dell'editoriale del Corriere della Sera. Lo sottolineò Alberto Cecchi, tra i membri più preparati della Commissione, impegnato a fondo nel dibattito relativo all’istituzione dell’inchiesta parlamentare sulla P2 e tra i presentatori della proposta di legge di parte comunista <435.
[NOTE]
424 Cfr. F. M. Biscione, Il sommerso della Repubblica. La democrazia italiana e la crisi dell’antifascismo, Bollati-Boringhieri, Torino, 2003.
425 CP2, Relazione finale di maggioranza, 2-bis, p. 128.
426 L. Delli Colli, C’era una volta l’italietta in tv, in “la Repubblica”, 3 gennaio 1987.
427 Ibid.
428 CP2, Relazione di minoranza dell’onorevole Massimo Teodori, 2-bis/II, p. 76 e ss. . Nel più importante quotidiano
429 Dati Ads, Accertamento diffusione Stampa, Anno 1997.
430 Camera dei Deputati, Documenti, Banche Dati, Legislature precedenti, Legislatura VIII, Senato della Repubblica, Interpellanza n. Atto 2/00293, presentato dal Partito Radicale, senatore Gianfranco Spadaccia: “Al Ministro del Tesoro. Per sapere sulla situazione patrimoniale e finanziaria del Gruppo Rizzoli-Corriere della Sera; quale sia l’esposizione finanziaria delle banche nei rapporti con detto editore; quali garanzie siano state offerte alle banche a fronte dell’urgente e sempre crescente massa debitoria del gruppo editoriale; se non esistano già nella situazione finanziaria del Gruppo, dati i livelli raggiunti dall’indebitamento, gli estremi della bancarotta; quale iniziativa il ministro e le autorità monetarie abbiano preso o intendano prendere per evitare che l’eventuale crack finanziario del gruppo editoriale si risolva in un grave costo per lo Stato e per la collettività”.
431 Maurice Joly nel 1864 scriveva: “Nei paesi parlamentari è quasi sempre per la stampa che cadono i governi. Ebbene io vedo la possibilità di neutralizzare la stampa con la stessa stampa. Poiché il giornale è una forza così potente, il mio governo diventerà giornalista, avrò tantissimi giornali, uno per ogni partito, devoti e nascosti. Si apparterrà al mio partito senza neanche saperlo”.
432 CP2, Lettera di Angelo Rizzoli a Licio Gelli, allegata alla seconda parte del “Memoriale Gelli” e inviata alla Commissione d’inchiesta il 15 giugno 1984.
433 CP2, Resoconti stenografici, Audizione di Angelo Rizzoli, 20 gennaio 1982, 2-ter/I, p. 659; vd. anche 2-ter/III, Resoconti stenografici del 24 marzo 1982, p. 110.
434 All’interno del Piano di Rinascita Democratica era infatti possibile leggere nel capitolo relativo all’informazione: “In un secondo momento occorrerà: acquisire alcuni settimanali di battaglia; coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso un’agenzia centralizzata; coordinare molte TV via cavo con l'agenzia per la stampa locale; dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna ex art.21 Costituzione”. Il Piano completo è stato sequestrato all’Areoporto di Fiumicino nella borsa della figlia di Gelli nel luglio 1981. Si trova in CP2, Documenti citati nelle relazioni 2-quater/3, Tomo VII-bis, p. 611 e ss.
435 Camera dei Deputati, VIII Legislatura, Atti parlamentari, Disegni di legge e relazioni, documento n. 2632 d’iniziativa dei deputati Cecchi, Fracchia, Chiovini, Pochetti presentato il 2 Giugno 1981.
Lorenzo Tombaresi, Una crepa nel muro: storia politica della Commissione d'inchiesta P2 (1981-1984), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", Anno Accademico 2014-2015
 
Molto importante fu l'operazione d’infiltrazione e di controllo del gruppo Rizzoli; la Loggia P2 intravide la possibilità di mettere in atto un’operazione inquadrata nelle previsioni del piano di rinascita democratica per quanto concerne il mondo della stampa e dell’editoria <98. In quel frangente storico il gruppo Rizzoli era, con esponenti poco capaci e scarsamente virtuosi nel ruolo imprenditoriale, gestita come azienda a carattere familiare. Un quotidiano di grandi tradizioni ma appesantito da una difficile situazione finanziaria che nel 1975, attraverso il Banco Ambrosiano, la P2 manovrò mediante un’azione di condizionamento finanziario trasformandolo in un polo aggregativo di un sempre maggior numero di testate. In contemporanea vennero effettuati interventi d’acquisizione di numerose testate a carattere locale <99 nell'ambito d’un collegamento con il Corriere della Sera e destinato a raggiungere il maggior numero di lettori ed influenzare così l'opinione pubblica. Nella vicenda si denotò la funzione puramente di facciata della famiglia Rizzoli mentre il gruppo editoriale, che utilizzò Calvi come supporto bancario sfruttando l'influenza esercitata su Angelo Rizzoli, dal 1977 venne gestito dalla coppia Gelli ed Ortolani in quasi completa autonomia. Si sviluppò da questo momento un sottile e continuo condizionamento della linea seguita dal quotidiano, caratterizzata dall'emarginazione di giornalisti scomodi, con servizi elogiativi o distruttivi ben mirati e con l'attribuzione d’incarichi importanti a persone appartenenti alla loggia.
[NOTE]
98 «E' infatti disponibile una struttura da utilizzare per il coordinamento di tutta la stampa provinciale e locale in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del paese», Licio Gelli cit. in CpiP2, Doc. XXIII n.2, p 121.
99 «Il Mattino», «Sport Sud», «Il Piccolo», «L'Eco di Padova», «Il Giornale di Sicilia», «Alto Adige», «L'Adige», «Il Lavoro».

Giacomo Fiorini, Penne di piombo: il giornalismo d’assalto di Carmine Pecorelli, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2012-2013 
 
Gli esempi impiegati erano molti e tutti evidenziavano che tra le ambizioni di Licio Gelli vi fosse soprattutto quella di trovare una forte presa sull’opinione pubblica attraverso forme che gli consentissero di gestire, manipolare e direzionare l’informazione italiana:
'Per questa via Gelli ha cercato di utilizzare prima la rivista “OP”, poi c’è stato il tentativo di costituire una agenzia di informazioni e poi mi pare che nella progressione dei propositi ambiziosi del personaggio ci fosse proprio il “Corriere”' <436.
La strumentalizzazione politica a cui il fenomeno piduista veniva piegato poteva essere misurata anche dalla pervicacia con cui tutti in Commissione davano per assunto che tra le pieghe del giornale milanese avesse agito una forza occulta il cui obiettivo era inceppare il meccanismo d’informazione del paese. È per evidenziare questa saldatura che il richiamo alla rivista “Osservatorio Politico”, la generica denuncia di voler “costruire una agenzia di informazioni”, così come quei tanti “mi pare che” riferiti alle ambizioni sul “Corriere della Sera”, venivano uniti in un unico sentiero accidentato da pressioni e manipolazioni piduiste. Ma tale proliferazione di riferimenti se non consentiva di spiegare un fenomeno ancora misterioso come quello piduista, rivelava anche una confusione metodologica schiacciata unicamente sulle gesta del personaggio Gelli. La lettura di un deus ex machina su cui la Commissione volle insistere, poteva essere inoltre funzionale alla legittimazione di un sé politico che si incaricasse di ricostruire storicamente quel varco di potere violato, sino ad attenuare la propria personale responsabilità.
Perché era vero che il capo della Loggia P2 conosceva il direttore della rivista “OP” Mino Pecorelli. Era una conoscenza nata dalla comune amicizia con il senatore Egidio Carenini, sottosegretario democristiano del ministero dell’Industria e del Commercio nel biennio 1974-1976, che lo stesso Gelli aveva ricordato nel 2006, quando ammise di vedere Pecorelli “tutte le settimane per una colazione: io, Mino e Carenini. Parlavamo di tutte le notizie che in quel momento potevano avere un particolare interesse. Pecorelli era una persona preziosa perché in caso di necessità avrebbe potuto aiutarci con la sua penna”. <437. Eppure Pecorelli, ucciso da mano ignota nel marzo del 1979, non aveva certo aiutato il capo della P2 “con la sua penna”. Basti pensare che dal gennaio 1979 “Osservatorio Politico” non aveva fatto altro che attaccare il Venerabile Maestro uscendo con articoli di inedita durezza. Era il caso del servizio su "Massoneria: finalmente la verità sul Venerabile della P2 - due volte partigiano". All’interno Pecorelli raccontava in esclusiva le mille vite di Gelli collaboratore dei fascisti e dei nazisti prima, doppiogiochista poi, partigiano infine. Inoltre, nell’ultima uscita di “OP” il 20 marzo 1979, Pecorelli pubblicava un dossier, La massoneria: è ancora una cosa seria quella italiana?, in cui si denunciavano “attentati, stragi, tentativi di golpe, l’ombra della massoneria ha aleggiato dappertutto: da Piazza Fontana al delitto Occorsio, dal golpe Borghese alla fuga di Sindona”438. Ma la modesta incisività con cui la Loggia di Gelli riusciva a influire sulla carta stampata sembrava suggerita anche dalle parole di Roberto Gervaso, giornalista del “Corriere della Sera”, il quale confidò proprio a Gelli che la linea del giornale non era affatto controllata dalla P2. In un post scriptum privato agli atti della Commissione d’inchiesta si era sfogato alludendo alla “cosa più importante: coperto dal Barba (Angelo Rizzoli, ndr) il vero direttore del Corriere è il radical-marxista Enzo Golino. È lui che spadroneggia nelle pagine culturali, che sono l’anima e il veleno di un giornale”. <439
Alcuni membri di commissione avevano sollevato in questo senso più di un dubbio. Come il commissario democristiano Lino Armellin il quale si domandava perché la figura di Gelli venisse presentata come quella di “una persona che intendeva influire sulla politica italiana” usando politici e informazione per manovre poco chiare al limite del golpismo, quando risultava che dentro il “Corriere della Sera” vi fossero rappresentate quasi tutte le correnti politiche ma soprattutto “una altissima percentuale di giornalisti del Corriere della Sera fosse di sinistra”. <440
Invece secondo la ricostruzione del gruppo di lavoro che si occupava del capitolo “Finanza ed Editoria” le deviazioni piduiste all’interno del “Corriere della Sera” erano state forti e costanti nel tempo. E segnatamente erano cominciate con le dimissioni del direttore Piero Ottone nel 1977 e la sua sostituzione con il piduista Franco Di Bella. Ottone si era certamente dimesso in conseguenza di una gestione eccessivamente indipendente del giornale, confermata dall’arrivo di firme autonome come Enzo Biagi e Alberto Ronchey; l’inaugurazione sulla prima del Corriere degli “scritti corsari” di Pier Paolo Pasolini; l’addio di Montanelli, firma storica del quotidiano milanese, che abbandonava in contrasto con la linea editoriale per fondare Il Giornale. Tutti segnali impercettibili per la società civile ma sirene assordanti per gli addetti ai lavori. Nel 1975 “Panorama" era arrivato addirittura a domandarsi in prima pagina: “Il Corriere è comunista?”. <441
[NOTE]
436 CP2, A. Cecchi, Resoconti stenografici, 2-ter/I, p. 708 e ss.: Alberto Cecchi aveva anche chiesto ad Angelo Rizzoli perché, dopo la trasmissione sulla P2 ideata da Mimmo Scarano, lo stesso giornalista fosse stato licenziato e se ci fosse una correlazione tra la trasmissione P2 e il licenziamento di Scarano. Alla domanda Rizzoli rispose: “No, ritengo che ci sia una relazione tra il licenziamento di Scarano e l’andamento economico del suo settore nel 1981. Noi ad un certo punto abbiamo dovuto procedere ad uno smantellamento del settore; questione di quattrini non ideologica. [...] Questa decisione nacque dal fatto che si era arrivati ad una decisione di risoluzione contestuale; dopo di che Scarano fece altre richieste e si arrivò a decidere di prendere quella strada. Ma escludo con forza che il licenziamento di Scarano sia da addebitare ad una decisione di Gelli e Ortolani anche perché se io avessi dovuto ascoltare le sfuriate di Ortolani, avrei dovuto licenziare metà dei giornalisti del Corriere”.
437 S. Neri, Parola di Venerabile, Aliberti, Reggio Emilia, 2006.
438 L’articolo si trova in CP2, Servizi segreti, eversione stragi, terrorismo, criminalità organizzata, traffico di droga, armi e petroli, Pecorelli e l’agenzia O.P., 2-quater/VII, tomo XVI, p. 387-389.
439 La lettera di Roberto Gervaso a Gelli è in CP2, Documenti citati nelle relazioni finali, 2-ter/III, Tomo V, p. 12. Sostanzialmente la lettera dietro lo sfogo tradiva la richiesta di una raccomandazione dal momento che “è bene che tutti capiscano che blandire i nemici non serve a niente. Restano nemici. Bisogna premiare gli amci. Se non vogliamo che tutto si sfasci. Scusa, caro Licio, lo sfogo. Ma qui dobbiamo fare quadrato. E non solo per salvare noi. Anche per salvare quel poco di democrazia che resta”.
440 CP2, Resoconti stenografici, Audizioni di Angelo Rizzoli, p. 711. Anche Il senatore democristiano Antonino Calarco aveva sottolineato durante l’audizione del giornalista Maurizio Costanzo, piduista e direttore del quotidiano Rizzoli “l’Occhio”, che SIPRA la Società Italia Pubblicità per Azioni, aveva avallato un contratto pubblicitario di 3 miliardi di lire per il suo giornale prima ancora che questo uscisse: “come mai una società pubblica presieduta dall’ex deputato comunista D’Amico dà 3 miliardi a scatola chiusa all’Occhio?”, CP2, Resoconti stenografici, Audizione di Maurizio Costanzo, 2 Febbraio 1982, 2-ter/2, p. 205.
441 Panorama, 25 Agosto 1975...

Lorenzo Tombaresi, Op. cit.

giovedì 13 maggio 2021

Giovani intellettuali nella Bologna di metà anni '30 del secolo scorso

Bologna: Via Santo Stefano - Fonte: Mapio.net

[...] Per Arcangeli, Bertolucci e Rinaldi era divenuto consueto anche fermarsi, spesso insieme agli altri sodali, alla bottega di stufe di Giuseppe Raimondi in via Santo Stefano [a Bologna] <118. Sebbene Raimondi avesse deciso dall’inizio degli anni Trenta di dedicarsi completamente alle “ingenue faccende” <119 della vita d’officina “regolata dagli orari, e dal gusto delle preoccupazioni materiali” <120 che bucavano “la giornata come tarli” <121, appartandosi intenzionalmente dalla vita letteraria cittadina <122, la sua figura continuava ad esercitare un estremo fascino sui giovani universitari. Dalla fumisteria erano passati infatti intellettuali come Bacchelli, conosciuto fin dall’adolescenza nonché collega del progetto di «Raccolta» <123 e poi della «Ronda», Cardarelli, nonché lo stesso amico pittore <124 Giorgio Morandi <125. "Quell'eredità letteraria" <126 che Raimondi "era rimasto in loco ad amministrare" <127, continuava a difendere “l’autonomia e l’efficacia" <128 di un'esperienza squisitamente culturale come era stata la «Ronda». Ma se in momenti complessi come quelli tra il '19 e il '22, era stato possibile tenere “nei confronti della politica, un atteggiamento distaccato e alquanto ironico” <129 nel '36-'37 la nuova generazione di intellettuali, consapevole di vivere in “anni minacciatissimi eppure liberi, per chi voleva esserlo” <130, cominciava a rileggere il ritorno all'ordine rondista come la mancanza di una “una schiettezza totalmente equilibrata” <131.
3. L'esperienza del «Corriere Padano»
Nonostante il ruolo appartato di provincia Ferrara, “assonnata e conformista” <132, pur avendo vissuto la non lontana avventura metafisica di Carrà, De Chirico e dell'instancabile <133 De Pisis <134, che aveva aperto, sebbene per breve tempo, la città al panorama europeo, si apprestava a svolgere un ruolo importante nella formazione degli intellettuali emiliani dimostrandosi insospettati luoghi di incontro e di dibattito. La città però era “intensamente devota al regime: al punto che le poche persone che fasciste non erano, vivevano ai margini, non avevano alcun rapporto con gli altri, coi più” <135.
Bassani e Caretti avevano frequentato il Liceo Ariosto <136 in via Borgo Leoni, nel quale insegnavano Francesco Viviani <137, docente di greco e di latino, un "uomo scarsamente amabile, quasi sempre corrucciato" <138 ma "intransigente antifascista" <139, e Francesco Carli <140, "cattolico comacchiese" <141, ricordato per le intelligenti letture critiche, con tagli un po’ distanti da quelli ufficiali <142. A partire dal 1937 i due giovani studenti avevano conosciuto Giuseppe Ravegnani il quale, oltre a esortarli a seguire le pubblicazioni della casa editrice Taddei <143, aveva aperto ai giovani la sua "ricchissima e modernissima biblioteca” <144, come ricorda lo stesso Caretti, che insieme a Bassani aveva preso a frequentarla con una certa assiduità:
"Là io ho trovato il Proust francese di Gallimard, là per la prima volta ho letto l'Ulisse di Joyce nella traduzione di Valèry Larbaud, oltre agli italiani moderni, agli americani. Personalmente poi mi tenevo aggiornato acquistando oculatamente tutto ciò che non bisognava lasciarsi sfuggire. È il tempo dell'incontro con i nostri prosatori, a cominciare da Moravia (ma anche Bacchelli, per intenderci e i prosatori d'arte, Cecchi in primo piano) e dei poeti: da Saba a Montale, da Ungaretti a Quasimodo, e i più giovani via via sino a Sandro Penna su cui scrissi anche una noticina premonitrice, se non mi inganno. E feci tesoro degli stranieri della Medusa di Mondadori e dei Corvi della editrice Corbaccio: memorabile l'incontro con l'Alain Fournier del Grande amico e con il Faulkner di Oggi si Montale e altri vola, e anche con Dos Passos e con lo stesso Steinbeck, poi vituperato ma allora raccomandato dalla traduzione di Montale e rivelatore in Furore dei primi grandi scioperi americani sino a quel momento a me ignoti" <145.
"Il più illustre, allora, dei letterati ferraresi" <146, era diventato poi direttore della terza pagina del «Corriere Padano» <147, una rivista a cui i due intellettuali si erano avvicinati fin dal 1935. Caretti era comparso per la prima volta con un articolo, In tema di celebrazioni <148, dedicato al centenario carducciano, seguito, appena un mese dopo, dalla pubblicazione del racconto di Bassani Terza classe <149, che lo stesso autore ricordava profondamente influenzato dalle letture trovate in casa Ravegnani:
"Credo sia stato proprio lui a darmi da leggere, fra gli altri, parecchi libri usciti in quegli anni a Firenze: i libri, voglio dire, di Alessandro Bonsanti, di Arturo Loria, di Tommaso Landolfi eccetera, nonché l'Antologia della letteratura italiana del Novecento di Papini e Pancrazi" <150.
La possibilità di collaborare al «Corriere padano» in una pagina che permettesse, in campo letterario, un margine di libertà tale da consentire loro di discorrere degli scrittori a cui credevano, era apparsa ai "giovani tra i venti e i ventidue anni un'occasione favorevole per uscire dall'isolamento" <151. Si trattava di una libertà limitata e "strumentalizzata nell'ambito dello scontro politico tra fascismo ferrarese e fascismo nazionale" <152. Il fascismo locale, sostenuto da un capitalismo agrario che si stava giocando “le sorti della sua stessa sopravvivenza” <153, aveva assunto fin dal 1920 caratteristiche proprie grazie a Italo Balbo, giovane segretario del fascio di Ferrara nonché efficace organizzatore dello squadrismo fascista. La forte personalità di Balbo aveva dato alla redazione un'autonomia indiscussa, tanto che fu possibile per Quilici e Ravegnani "alimentare una terza pagina non del tutto ortodossa sul piano letterario e aperta ai contributi dei giovani di qualche merito e di non troppo convenzionale zelo" <154, al quale si aggiungevano esponenti di avanguardie artistiche e letterarie non graditi al potere <155. A Bologna, invece, mancavano dei “centri di elaborazione culturale non istituzionali” <156 e un’editoria militante, se si eccettua “l’attività benemerita quanto sconosciuta del Testa, primo editore di Gaetano Arcangeli e di Meluschi” <157.
Ancora per tutto il 1936 Caretti <158 e Bassani <159 avevano continuato a pubblicare sulla rivista ferrarese, con il coinvolgimento, a metà anno, di altri due compagni di studi, Giovanelli <160 e Vegliani <161, mentre nel 1937, divenuto Bassani, appena ventenne, un giovanissimo redattore della terza pagina, il «Corriere» si era aperto a tutti gli esponenti del gruppo bolognese: Arcangeli <162, Frassineti <163, Giovanelli <164 e Rinaldi <165, con i quali la collaborazione sarebbe proseguita per il biennio '38-'39 sebbene con minor intensità fino a scomparire, se si eccettua il caso di Caretti, nel 1940 <166. Anche Bertolucci, sebbene attratto dal fervore intellettuale dei "caffè letterari più famosi d'Italia" che si erano andati formando nella sua città d'origine, divenuta un fecondo luogo di incontro di scrittori e artisti, aveva inviato alcuni testi al «Corriere» <167 segno di fedeltà a quel "sodalizio letterario di profonda e durevole natura" che aveva stretto coi suoi compagni di studi. Si era aggiunto inoltre al gruppo Giuseppe Dessí <168, appena giunto in città, che avrebbe continuato a pubblicare sulle pagine della rivista per circa due anni <169. Il fondamentale collante che univa giovani provenienti da esperienze culturali estremamente eterogenee era "la comune inclinazione a stringere amicizia con chi, in qualche modo, si collocava culturalmente fuori dalle istituzioni pubbliche" <170 da loro "egualmente rifiutate" <171.
I giovani camarades pisani erano stati infatti attratti da questa, seppur limitata, "libertà operativa" <172, che era garantita, nonostante il regime, soprattutto da alcune testate giornalistiche come il «Corriere padano» <173 e, successivamente, «Primato»:
"Dietro i racconti e le prose che scrissi nel '35 fino a tutto il '37, buona parte dei quali avrei poi messi insieme nel volume Una città di pianura, stampato a mie spese nel '40, c'è dunque Bologna. Ma non basta. Non si potrebbe intendere un racconto come Un concerto, che avevo pubblicato su «Letteratura» di Alessandro Bonsanti nel '37, ed è compreso in Una città di pianura, senza tener conto della presenza a Ferrara, a cominciare dal tardo '35, di Claudio Varese e di Giuseppe Dessí, due giovani letterati, sardi entrambi, ed entrambi usciti dalla scuola normale di Pisa. Si è parlato spesso, da parte della critica, di una mia derivazione da Proust. Non sono completamente d'accordo. Più che da Proust, nella cui opera mi sarei immerso di lì a poco, Un concerto deriva da San Silvano, un libro per lui fondamentale che Dessí veniva scrivendo in quegli anni e che lui stesso soleva leggermi si può dire ogni giorno, pagina dopo pagina" <174 [...]
118 In Lettera ad un amico poeta apparsa sul «Mondo» il 26 luglio del 1955 (p. 8) Raimondi allude a un’amicizia ventennale con Rinaldi (“Libro dove ritrovo, non il ricordo ma il sentimento vivo di un’esperienza di affetti e di pensieri che ci è stata, mi perdoni, un poco comune in questi ultimi vent’anni”) confermata anche da Bassani in Di là dal cuore ("L'incontro a Bologna con Carlo Ludovico Ragghianti avvenne nel '37, se non ricordo male, per me significò moltissimo. Dal giovane letterato che ero mi trasformò in breve tempo in un attivista politico clandestino, sottraendomi sia alle amicizie letterarie ferraresi sia a quelle bolognesi. L'unico sodale a seguirmi in questa nuova vicenda della mia vita fu Antonio Rinaldi. Entrambi da allora, per qualche tempo almeno, cominciammo a disertare sia le lezioni universitarie di Roberto Longhi, sia la bottega di stufe di Giuseppe Raimondi" (In risposta (V), in G. Bassani, Di là dal cuore cit., p. 379, poi in G. Bassani, Opere cit., p. 1320).
119 G. Raimondi, Giuseppe in Italia, Milano, Il Saggiatore, 1973, p. 128.
120 Ibidem.
121 Ibidem.
122 “Qualche profonda ragione di dubbio mi sorprendeva, quando, la sera, riaprivo libri e carte letterarie. Non vedevo la pratica destinazione di un simile lavoro. Per chi fare arte e poesia, in Italia, nell’anno 1930? Si manifestava, da parte della classe dirigente, un interesse verso gli scrittori abbastanza offensivo e provocatorio. Il gusto per la prosa scientifica del Seicento; la propensione ad affondarmi in esplorazioni pascaliane; lo studio in un certo modo seguito e circostanziato della poesia di Baudelaire; tutti elementi sufficienti ad escludermi, ad esimermi dalla vita letteraria. Sinceramente desideravo di essere dimenticato. […] Certi giorni mi scoprivo ad osservare, sopra pensiero, la scritta, composta di grosse lettere di legno, a vernice nera, disposta in lieve curva, o arco, sopra quella che un tempo fu la cucina (la stanza di soggiorno) della mia famiglia. Dice la scritta: «Fumisteria»; e suona con sottinteso involontario di burla e di tristezza. Ma in quell’arco di forti, serie, decise lettere, è anche un ricordo di difesa; di difesa civile e morale. Oltre quella porta non è facile darla a bere. Principi, ideologie vi passano certe prove. Chi sperimenta paga di persona. Anche la gloria; i sogni lungamente portati, e fermati in qualcosa di esteticamente definito, sono soggetti a trattamenti attentissimi; ad attese estenuanti” (ivi, pp. 127-128).
123 “Al rientro a casa, nel ’18, mi ritrovai con Bacchelli nelle sere al caffè. Riprendemmo le nostre conversazioni letterarie e con questo animo si ventilò di stampare una nostra rivista e fu quella che si chiamò «La Raccolta». Invitammo per collaborarvi gli scrittori lasciati da poco in guerra e altri già legati a Bacchelli, come Emilio Cecchi, Carlo Linati, Lorenzo Montano, Antonio Baldini e Ardengo Soffici, in aggiunta ai più giovani miei amici, che erano Raffaello Franchi e Filippo De Pisis. Dei pittori pubblicammo cose di Morandi e gli scritti metafisici di Carlo Carrà. Da Cardarelli ci giunse un bel gruppo di prose inedite. In tal modo si era consolidato una sorta di ponte culturale tra il territorio bolognese e l’atmosfera dell’ambiente romano uscito dagli impacci bellici. A Roma poi mi trasferii fra il ’19 e il ‘20 dove mi occupai come segretario della redazione della «Ronda» la rivista che nel frattempo fecero uscire Cardarelli e Bacchelli, venuta in luce sulle indicazioni e sull’indirizzo affermatisi con la bolognese «Raccolta»” (G. Raimondi, Introduzione, in Giuseppe Raimondi fra poeti e pittori: Mostra di carteggi, Bologna, Museo Civico, 28 maggio-30 giugno 1977, Bologna, Edizioni Alfa, 1977, p. 14).
124 Ivi, p. 85. Su «Raccolta» avviene la prima pubblicazione di un lavoro di Morandi un’acquaforte del 1915 che rappresenta un natura morta («Raccolta», 2, 15 aprile 1918).
125 “E Bologna, quando noi ci siamo affacciati al mondo delle lettere, godeva di una decisa autorità e simpatia nazionale. Qui, ai primi passi mi sono incontrato con Riccardo Bacchelli e con Giorgio Morandi. I due bolognesi, già legati fra di loro non solo per la nascita geografica dovettero lasciare un segno nella mia formazione giovanile. Questo incontro avvenne verso la fine del 1916” (G. Raimondi, Introduzione, in Giuseppe Raimondi fra poeti e pittori cit., p. 13).“Si passavano serate al caffè in discorso per me come nuovi e fino da allora si affacciò l’idea di una sorta di triangolo di rapporti artistici: Cardarelli, Bacchelli, Morandi, dove avrei aspirato di entrare. Furono sentimenti, idee e modo di vivere continuati nel tempo” (ivi, p. 14).
126 In risposta (V), in G. Bassani, Di là dal cuore cit., p. 377 (poi in G. Bassani, Opere cit., p. 1318).
127 Ibidem.
128 Ibidem.
129 L. Caretti, Politica rondiana, in Novecento. Gli scrittori e la cultura letteraria nella società italiana, V, Marzorati, Milano, 1979, p. 3899.
130 A. Bertolucci, Testimonianza, in Alberto Graziani, Lettere cit., p. 7.
131 “Sono andato due volte a trovare Morandi. Il quadro dei bottiglioni dipinti di biacca è quasi finito. Splendido. Ma ne ha altri che non conoscevo, spettacolosi. Mi sono divertito molto ad assistere ai suoi colloqui col cane; gli dà del lei:«Su fermo, stia, stia qui». Ho conosciuto anche Raimondi che sembra uno di quei bolognesi che dovevano fare festa a Leopardi. È molto simpatico e gli farò vedere i disegni. Ho letto qualcosa di suo e mi sembra molto in gamba. Soltanto io non riesco a superare l’impressione che quelli della «Ronda» non siano riusciti a trovare una schiettezza totalmente equilibrata: ogni tanto sembrano persone serie serie, rispettabili con un collettino di pizzo” (Lettera di Alberto Graziani a Roberto Longhi, 13 luglio 1937, in Alberto Graziani, Lettere cit., p. 156).
132 L. Caretti, Memorie ferraresi cit., p. 178.
133 "Lavora di solito nello studio: anche in ciò differenziandosi dal grande De Pisis, sempre in giro, lui, instancabilmente, come una farfalla avida di succhi, di colori e di odori" (G. Bassani, Mimì Quilici Buzzacchi, in Di là dal cuore cit., p. 292, poi in G. Bassani, Opere cit., p. 1235).
134 "A proposito di Ravegnani l'amico Moretti potrà farne studiare utilmente, pur nei suoi limiti, la funzione mediatrice tra Ferrara e la cultura più avanzata del nostro paese sia al tempo della casa Taddei e poco appresso, e quindi anche al tempo del soggiorno ferrarese di Carrà, dei fratelli De Chirico e De Pisis e della pittura metafisica, sia al tempo del «Corriere padano» nella sua fase più liberale" (ivi p. 171).
135 “La Ferrara di cui mi sono occupato scrivendo è soltanto la Ferrara dell’epoca del fascismo. Per quel che ricordo io, si trattava di una città intensamente devota al regime: al punto che le poche persone che fasciste non erano, vivevano ai margini, non avendo alcun rapporto con gli altri, coi più” (In risposta (VI), in Giorgio Bassani, Di là dal cuore cit., p. 386, poi in G. Bassani, Opere cit., p. 1327).
136 Per l'esattezza Bassani e Caretti avevano frequentato insieme per tre anni anche le elementari in una scuola di campagna tra Ferrara e Copparo come segnala la Cronologia a cura di Roberto Cotroneo pubblicata in Giorgio Bassani, Opere cit., pp. L-XCVIII.
137 "Viviani insegnava latino e greco. Era un uomo scarsamente amabile, quasi sempre corrucciato, duramente ironico. Era anche laureato in legge e intendente di musica e collaborava al «Corriere padano» con articoli dedicati ai classici greci e latini, con amichevole tolleranza di Giulio Colamarino e Nello Quilici, ma era un intransigente antifascista. Allontanato nel 1936 dall'insegnamento finì alla fine in mano dei tedeschi e trovò la tragica morte in un campo di concentramento. Non intendo assolutamente dire che appresi da Viviani l'antifascismo: voglio piuttosto e più semplicemente dire che lasciarono certo in me una traccia, destinata in seguito a farsi più chiara e parlante, certi suoi scatti d'umore anticonformista, certo trattenuto sarcasmo su uomini ed eventi, la sua orgogliosa solitudine. E così mi piacquero persino la sua scarsa amabilità, proprio perchè rivelava il rifiuto del paternalismo bonario, e quel suo trattarci con un lei molto distaccato perchè mi parve di intuirvi, più che sentimenti ostili, la dolorosa consapevolezza di non potere liberamente e compiutamente comunicare con i giovani" (Memorie ferraresi, in L. Caretti, cit., pp. 166-167). Per un approfondimento su Francesco Viviani si rimanda a La figura postuma di Cazzola: Francesco Viviani e il «Corriere padano», a cura di Stefano Cariani e Claudio Cazzola, con una nota introduttiva di Giuseppe Inzerillo, Ferrara, Tipografia artigiana, “Quaderni del Liceo Classico L. Ariosto di Ferrara”, 1999.
138 Ibidem.
139 Ibidem.
140 "Carli, amabilissima persona, non era nè un formalista nè un ideologo: era un intelligente cattolico comacchiese, con tutta la vivacità e l'arguzia di un comacchiese. Ci faceva lezione di italiano in maniera tutta personale: stando sempre in piedi, saltando da un angolo all'altro dell'aula, recitando e pressochè mimando versi, quelli di Dante soprattutto. Era una didattica bilicata tra la recitazione verbale e la gestualità. Voi direte: un istrione insomma! Niente affatto! Carli era l'antiretorica fatta persona: con quella sua vocetta acuta di testa, e con quella sua sorridente follia nello sguardo, faceva sommaria giustizia di ogni atteggiamento enfatico e prosopopeico. Era un personaggio un pò surreale, librato a mezz'aria nei suoi velocissimi balletti: a me ancor oggi sembra scaturito da una novella palazzeschiana. Ebbene, va detto che Dante e Pascoli ci giunsero, prima che attraverso il difficile e contraddittorio passaggio crociano attraverso le sagaci lezioni di Carli, il quale, già scolaro di Pascoli, ci fece intendere, da un lato, l'unità del poema dantesco anche quando leggeva il Paradiso senza nulla concedere alle distinzioni di «poesia non poesia»; dall'altro lato ci indusse ad apprezzare la modernità della poesia pascoliana lasciando nell'ombra il Pascoli «alto» e celebrativo e mettendo invece in luce il Pascoli «basso» e intimista di Gelsomino notturno, cioè quello che più conta, proprio oggi, per i lettori avveduti" (ivi, p. 169).
141 Ibidem.
142 Ibidem.
143 La casa editrice Taddei fu fondata a Ferrara nel 1840. Nel 1897 fu rilevata da Antonio Soati e nel 1914 da Giulio e Alberto Neppi.
144 “Torniamo a Ferrara, e qui devo ricordare, proprio a questo punto, un luogo deputato delle mie più interessanti e rivelatrici esperienze libresche. Si tratta della ricchissima e modernissima biblioteca di Giuseppe Ravegnani che io e Bassani abbiamo doviziosamente saccheggiato non avendo altro luogo della nostra città dove raggiungere i testi preziosi del Novecento italiano e europeo. [...] A Ferrara Ravegnani ebbe un posto come bibliotecario all'Ariostea e, quel che più conta, gli fu offerto da Quilici la redazione della terza pagina del «Corriere padano». Tornando a Ferrara Ravegnani riportò nella nostra città la sua nutrita biblioteca, e generosamente l'aperse ai giovani, come me e Bassani, che avevano dimostrato di accedere con qualche profitto a quella preziosa miniera" (ivi, pp. 171-172).
145 Ibidem.
146 In risposta (V), in G. Bassani, Di là dal cuore cit., p. 376 (poi in G. Bassani, Opere cit., p. 1317).
147 Il «Corriere Padano» nacque il 5 aprile 1925 e fu fondato da Italo Balbo. Uscì con grande regolarità fino al 20 aprile 1945 con la sola interruzione del periodo che andò dal 26 agosto al 3 novembre 1943. Dal 9 maggio 1927 fu arricchito dal «Corriere del lunedì». Dopo pochi mesi dalla fondazione Balbo divenne sottosegretario dell’economia nazionale e la direzione fino al 28 giugno 1940 passò a Nello Quilici. A lui successe Giuseppe Ravegnani che era stato direttore della terza pagina dal 1929 al 1943. Anna Folli nel suo libro Vent'anni di cultura ferrarese. Antologia del «Corriere padano» (Bologna, Patron, 1978) parla di una "stagione padana" che si apre con la pubblicazione della poesia Parco di Lanfranco Caretti nel 1935 (Lanfranco Caretti, Parco, in «Corriere padano», 3, p. 3). Ad inaugurarla saranno appunto tre ferraresi, Bassani, Caretti e Antonioni, ma ben presto si uniranno a loro anche Rinaldi, Giovanelli, Bertolucci e i fratelli Arcangeli. "Affiorò in quegli anni un singolare reticolato geografico letterario che congiungeva Parma, Modena, Ferrara e Bologna (non ignorando le esperienze contemporanee di Firenze e quelle, molto lontane ormai, della Cesena di Marino Moretti) nel quale varie generazioni si incontrarono su due piani. Uno padano con tutte le caratteristiche orizzontali del comune denominatore, che rimandava ad una mitica, materna terra d’Emilia come presupposto archetipico; l’altro universale e centrifugo rispetto ad esso che presupponeva il diverso e ascoltava le voci del mondo. Una specie di continuum padano che aveva la sua matrice nella mediazione che di Pascoli avevano fatto Marino Moretti e Govoni, si prolungava nel tempo: direttamente, attraverso Bertolucci, Bassani, Giovanelli; indirettamente e con dosaggio anche consistente di diversità attraverso i più conosciuti Delfini e i meno conosciuti Cavani e D’Arzo tra Modena e Reggio Emilia, attraverso Rinaldi, Gaetano e Francesco Arcangeli a Bologna. Su questa persistente linea padana, di lontana matrice pascoliana si innestarono in funzione esorcizzante le più varie esperienze. Bertolucci si liberò delle radici attraverso la letteratura inglese e americana; Bassani attraverso la storia, come s’è detto; Delfini attraverso un salto all’indietro nella storia e uno scambio di vita con letteratura; mentre i bolognesi si diversificarono tramite l’esperienza di un tardo ermetismo" (Anna Folli, Vent'anni di cultura ferrarese. Antologia del «Corriere padano», Bologna, Patron, 1978, pp. XL-XLI).
148 L. Caretti, In tema di celebrazioni (centenario carducciano), in «Corriere padano» (30 marzo 1935, p. 3). In quello stesso anno Caretti pubblicò anche la lirica il Parco (in «Corriere padano», 27 dicembre 1935, p. 3).
149 G. Bassani, III° classe, in «Corriere padano», 1° maggio 1935, p. 3. Nei successivi numeri del 1935 Bassani pubblicò anche il testo Primavera (9 dicembre 1935, in «Corriere del lunedì», p. 3).
150 In risposta (V), in G. Bassani, Di là dal cuore cit., p. 376 (poi in G. Bassani, Opere cit., p. 1317).
151 Memorie ferraresi, in L. Caretti, Montale e altri cit., p. 174.
152 Ibidem.
153 Alessandro Roveri, Le origini del fascismo a Ferrara 1918-1921, Milano, Feltrinelli, 1974, p. 133.
154 Ibidem.
155 "Nel «Labriola» si incrociarono all’inizio le singolari esperienze ferraresi del «Corriere padano» diretto da Nello Quilici dal 1925 al 1940 con altre che nel bolognese avevano lasciato nel foglio universitario «Architrave» specie nel periodo 1940-‘42 della gestione di Roberto Mazzetti e persino ne «L’Assalto», foglio del fascio locale. Nella terza pagina del «Padano», diretto da Giuseppe Ravegnani avevano infatti trovato ampi spazi, già intorno agli anni Trenta, avanguardie letterarie che giungevano ai confini del realismo e persino lo anticipavano, voci di ispirazione liberale, suggestioni critiche non gradite al potere, innovazioni del linguaggio nella letteratura come nell’arte con presenze di prestigio come quelle dei fratelli De Chirico, De Pisis, arricchite da aperture particolari verso giovani all’esordio che peraltro recavano i nomi di Antonioni, Dessí, Bassani, Caretti, Giovanelli, Meluschi, la Viganò, Colamarino, lo stesso Fortunati, e altri ancora, locali o presenti per soggiorni in città, chiamati a collaborare senza alcun intento discriminatorio" (Luciano Bergonzini, La svastica a Bologna: settembre 1943-aprile 1945, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 128).
156 “Per una città come Bologna, in cui, negli anni fra le due guerre, mancano centri di elaborazione culturale non istituzionali, aspetto peculiare è l’assenza di un’editoria militante, sul modello ad esempio della Einaudi o, con un raggio di azione più limitato, della Guanda di Parma, se si esclude la limitata iniziativa della Biblioteca di studi sociali, collana dell’editore Cappelli, diretta da Rodolfo Mondolfo, cessata alla fine del ’25 oppure l’attività benemerita quanto sconosciuta del Testa, primo editore di Gaetano Arcangeli e di Meluschi” (Anna Maria Andreoli, Luisa Avellini, Andrea Battistini, Cristina Bragaglia, Marilena Ermilli, Ezio Raimondi, Crisi della cultura e dialettica delle idee cit., p. 19).
157 Ibidem.
158 Caretti pubblicò i seguenti testi sulla Terza pagina del «Corriere padano» durante il 1936: Il legionario (15 febbraio); La crisi spirituale del Leopardi (7 marzo); Poesie (15 aprile); Poesie (12 maggio); Gozzano e altre cose di cattivo gusto (13 giugno); Epistolario leopardiano 1823 (25 agosto); Liriche (5 novembre); L’ultimo Commisso (24 novembre).
159 Bassani pubblicò i seguenti testi sul «Corriere padano» nel 1936: Nuvole e mare (21 gennaio); I mendicanti (22 marzo); Incontro con Bertolucci (15 aprile); Poesie (13 giugno); I pazzi (16 giugno), La fuga al mare (in «Il Corriere del lunedì», 10 febbraio).
160 F. Giovanelli, Il furto, in «Corriere padano», 13 luglio 1936.
161 F. Vegliani, Vigilia, in «Il corriere del lunedì», 1° giugno 1936.
162 F. Arcangeli, Scoperta di Rimini, in «Corriere padano», 14 marzo 1937.
163 “Tu non hai parole gravi / tu non hai pensieri profondi / tu hai capelli biondi / ed occhi chiari // Tu sai che tutto deve / essere come è // Al mio ramo arido greve / darai leggerezza di foglia / ed ora non ho più voglia / che di tremar con te” (A. Frassineti, Canzonetta (a Luisa R.), in «Corriere padano», 9 febbraio 1937, p. 3).
164 F. Giovanelli, Primavera, in «Corriere padano», 23 febbraio 1937, p. 3 e A proposito di un bardo, in «Corriere padano», 21 aprile 1937, p. 3.
165 “[…] / s’appoggia / al muro della casa, / cresce leggero / sotto le stelle // Abbiamo parlato / con voci quete / (la voce certo del cuore / sepolta) // ora ascoltiamo / dal campo alzarsi altre voci // Influsso d’astri / mite chiarore // Lungo la scala / poggiati al muro di casa / aspettiamo (A. Rinaldi, Il grano verde, in «Corriere padano», 9 febbraio 1937, p. 3) e Suoni del vento / ai limiti di un campo / rimangono sospesi / al fondo di un abisso, // tagliano come falci / il grano che stride, // mi ritrovano solo / con quel rombo di fiume / che non vedo. // Silenzio di rupi / cade sotto il sole / trova il verde freddo / dei fondi” (A. Rinaldi, Suoni del vento, in «Corriere padano», 9 febbraio 1937, p. 3. La poesia è stata pubblicata con varianti in A. Rinaldi, La valletta cit. Rinaldi sostituì al v. 4 «sul ciglio» ad «al fondo»; al v. 8 «con quel tuono» a «con quel rombo»; al v. 11 «vuoto» a «sotto»; viene eliminato «dei fondi» al v. 13 e sostituito con trasparenti muschi / limpidi al fondo, con l’aggiunta quindi di un verso).
166 A. Bertolucci, Il cuculo, in «Corriere padano», 21 gennaio 1938; A. Rinaldi, Di notte, in «Corriere padano», 21 gennaio 1938; Caretti pubblicò sul «Corriere padano» Jean de Valdes (1° febbraio 1938), L'ultimo Angioletti (29 giugno 1938), Un romanzo sbagliato (9 luglio 1938), Achille innamorato (2 settembre 1938), Gente qualunque (6 ottobre 1938), Lettura (3 gennaio 1939), Tre poeti (7 gennaio 1939), Meravigliosa (8 gennaio 1939), Poesia (24 gennaio 1939) e Memorie e inediti (14 marzo 1939).
167 A. Bertolucci pubblica sulla terza pagina del «Corriere padano» nel 1937 i seguenti testi: Passero (27 gennaio); Crepuscolo; Infanzia (9 febbraio) e Inverno (23 febbraio).
168 Giuseppe Dessí pubblicò sulla terza pagina del «Corriere padano» nel 1937 i seguenti testi: Inverno (9 febbraio); La passeggiata (14 marzo); Finire un quadro (21 aprile). Per un approfondimento sui rapporti tra Dessí e Bassani ai tempi del «Corriere padano» si rimanda al testo di Anna Dolfi, Due scrittori, la forma breve e l’azzurro, in Narrativa breve, cinema e TV. Giuseppe Dessí e altri protagonisti del Novecento, a cura di Valeria Pala e Antonello Zanda, Roma, Bulzoni, 2011.
169 Di Giuseppe Dessí uscirono sulle pagine del «Corriere padano» nel 1939 La sposa in città (30 marzo), Poesia (21 maggio), Romanzo e teatro (2 giugno), Poesia e critica (15 giugno), Sandro Penna (18 novembre).
170 Ibidem.
171 Ibidem.
172 "Ferrara, d’altronde, era la città emiliana dove più che altrove pareva imporsi il ruolo prioritario degli intellettuali, non solo per quel fascino di sinistra, di fronda, incoraggiato da Italo Balbo, ma anche per quel margine, sia pure molto cauto, di libertà operativa che le iniziative concrete, giornalistiche, sembravano consentire e autorizzare. Il «Corriere padano», fondato da Balbo nel 1925, fu forse, sia pure in tonalità minore, un’anticipazione della più importante iniziativa di «Primato», maturatasi intorno agli anni ’40. La terza pagina del «Corriere» diretta da Giuseppe Ravegnani, raccolse negli ultimi anni del fascismo (dal 1938 al 1943, gli anni tra l’altro della comune permanenza ferrarese di Dessí, Bassani, Varese) accanto alle firme ricorrenti di Ravegnani, Titta Rosa e Camerino, quelle più prestigiose di Silvio Benco, Sergio Solmi, Neri Pozza, Antonio Delfini, Filippo De Pisis, Beniamino Dal Fabbro, Mario Soldati, Giorgio De Chirico… e quelle dei più giovani Lanfranco Caretti, Geno Pampaloni, Michelangelo Antonioni, Mario Pinna, Guido Aristarco, Luciano Anceschi, Paolo Grassi, Giorgio Bassani. Talvolta la pagina letteraria era dedicata interamente alla poesia (all’antologizzazione di scabri dettati novecenteschi), altre volte si riaccendevano le polemiche sul romanzo, iniziate negli anni Trenta poi riesplose violentemente nel periodo post-bellico dei programmi, della ricostruzione" (A. Dolfi, Dessí e Bassani. Due esperienze ferraresi, in Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia, Roma, Bulzoni, 2003, p. 188).
173 È conservata nel Fondo Dessí la prima lettera spedita da Bassani allo scrittore sardo: è senza data ma l'allusione alla pubblicazione delle poesie Passeggiata e Congedo e del racconto Inverno rimandano proprio al quel '37. Bassani dichiara di aver sentito parlare molto di lui dal "comune amico Varese" (Lettera di Giorgio Bassani a Giuseppe Dessí, tra il 26 settembre 1936 e il 23 maggio 1937. La lettera è conservata nel Fondo Dessí dell'Archivio Bonsanti, Gabinetto Vieusseux, [GD.15.1.33.1]) e di aver tanto apprezzato il suo S. Silvano. "Ho sempre pensato a Proust in Italia e mi è dolce ritrovarlo ai piedi dell'Arcuentu" (ibidem), scriverà alla fine, esortando Dessí ad inviargli ancora materiale per la rivista. Per informazioni più approfondite sul carteggio tra Giorgio Bassani e Giuseppe Dessì si rimanda a Francesca Nencioni Tempi, spazi e caratteri di un’amicizia letteraria: l’incontro Bassani-Dessí, in Ritorno al giardino. Una giornata di studi per Giorgio Bassani. Firenze, 26 marzo 2003, a cura di Anna Dolfi e Gianni Venturi, Roma, Bulzoni, 2006, pp. 225-232 e al già citato A. Dolfi, Dessí e Bassani. Due esperienze ferraresi, in Giorgio Bassani. Una scrittura della malinconia, Roma, Bulzoni, 2003.
174 G. Bassani, Di là dal cuore, in G. Bassani, Opere cit., pp. 1318-1319.

Francesca Bartolini, Antonio Rinaldi. Un intellettuale nella cultura del Novecento, Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, 2013