|
Addis Abeba, 5 maggio 1936. La popolazione sventola drappi bianchi in segno di resa all’ingresso in città della colonna Badoglio. Foto Fondo Bottai, Milano - Fonte: paginerosse.wordpress.com |
|
Addis Abeba, 5 maggio 1936. Foto Fondo Bottai, Milano - Fonte: paginerosse.wordpress.com |
[...] Negli anni Trenta, il Partito Comunista d’Italia adotta un atteggiamento anticolonialista, a partire dal pensiero gramsciano e dalla solidarietà globale con gli oppressi e con la manodopera migrante di tutto il mondo. Presto, il PCd’I lancia una campagna anticoloniale contro l’invasione dell’Etiopia, cercando di influenzare anche le comunità italiane all’estero, augurandosi ottimisticamente che possa fare da leva per la caduta del regime (la si dipingeva come una guerra dispendiosa per l’Italia che avrebbe mietuto molte vittime fra gli arruolati che provenivano dalle classi povere), quando invece la guerra d’Etiopia fu, come è noto, il momento di maggior popolarità del Fascismo e del suo capo.
Nel 1938, il PCd’I invia una sua «missione» in Etiopia, composta da tre membri, Ilio Barontini (già antifascista in Spagna e futuro partigiano), Domenico Rolla e Anton Ukmar; secondo lo storico Angelo Del Boca, dietro la missione c’era anche lo zampino dell’intelligence britannica che voleva raccogliere informazioni sulle forze ribelli etiopi, tanto che infatti un ufficiale inglese accompagnò i tre compagni nel loro viaggio verso l’Etiopia. In ogni caso, l’obiettivo della missione era coadiuvare l’organizzazione dei partigiani locali in piccoli gruppi di guerriglia, per contrastare più efficacemente gli italiani. Nella testimonianza pubblicata nel 1966 su Rinascita, emerge come ai tre fu chiesto di presentarsi ai loro compagni etiopici non come membri del Partito, né come italiani, ma come militanti internazionalisti.
Nel tuo libro Italian Colonialism and Resistances to Empire, 1930-1970 (Palgrave, 2018) proponi una nuova storia culturale dell’imperialismo italiano. Sostieni che l’Impero fascista permetta di disintegrare un’idea di colonialismo e di resistenza anticoloniale tutta influenzata dai modelli inglese e francese. Non si tratta tanto di una specificità del colonialismo italiano (che venne rivendicata a scopo legittimante fin dalla guerra di Libia e che viene ancora utilizzata a scopo giustificativo da chi continua a pensare che «italiani = brava gente»), ma piuttosto di una specificità della Resistenza anticoloniale in Etiopia, che fu molto sostenuta, fuori dal paese, da un’internazionale nera, mossa dal significato simbolico e politico che l’Impero etiope aveva agli occhi della diaspora nera nel mondo. Gli stessi giacobini neri ai quali è intitolata questa rivista vennero raccontati dall’intellettuale caraibico C.R.L. James proprio su spinta della resistenza in Etiopia: Black Jacobins uscì nel 1938 [...]
Michela Pusterla,
La storia nascosta dell’anticolonialismo italiano,
Jacobin Italia, 14 novembre 2019
La mancata reazione immediata all'incidente di Ual-Ual (5-6 dicembre 1934) <1 sulla stampa del P.C.d'I. è forse dovuta al fatto che, quando esso avviene, sia "L'Unità" che "Lo Stato Operaio" (organo e rivista teorica del partito) sono già chiusi in tipografia.
Tuttavia, anche se il P.C.d'I., da sempre attento alle malefatte del fascismo, ignora che i primi piani italiani per conquistare l'Etiopia risalgono al 1932 - cioè a subito dopo la totale pacificazione della Libia <2 - , la tregua concessa al Duce dal P.C.d'I. sul problema etiopico durerà ben poco. Se, infatti, all'inizio del 1935, a Ual-Ual e al problema etiopico si fanno solo degli accenni <3, essi saranno poco dopo affrontati direttamente. Si riparlerà infatti dell'incidente e di un'eventuale guerra italiana all'Abissinia, che pare sempre più vicina, in occasione della firma degli accordi franco-italiani di Roma (6-7 gennaio 1935). <4
In uno scritto su questo tema, oltre a notare che questo patto non diminuisce affatto il pericolo di guerra, si scrive: "Ma più importante di ciò che l'Italia ha ottenuto è ciò che (...) si ripromette di ottenere in Africa nel campo della collaborazione «pacifica» in Etiopia, e il cui primo atto è la partecipazione alla ferrovia Gibuti-Addis Abeba. Questa dichiarazione (...) viene fatta nel momento in cui il governo abissino fa appello alla Società delle Nazioni contro l'aggressione delle truppe italiane sul territorio del paese africano. L'Italia, dunque, avrebbe avuto carta bianca per la sua penetrazione «pacifica» (...) in Etiopia?" <5
Questa prima reazione del quotidiano può apparire inadatta a quanto potrebbe accadere, poiché è espressa in forma dubitativa, ma è spiegabile perché: 1) non è noto il vero senso degli accordi di Roma; 2) il P.C.d'I. ignora che, fin dal 30 dicembre 1934, Mussolini ha consegnato ai suoi più stretti collaboratori un memoriale dal titolo "Direttive e piano d'azione per risolvere la questione italo abissina". <6 Anche questa nuova tregua durerà ben poco: infatti, "Lo Stato Operaio", già nel febbraio 1935, pubblica due articoli che chiariscono come ormai si aspetti solo il momento dell'attacco fascista all'Etiopia, poiché non ci si illude su una composizione pacifica della vertenza italo-etiopica. Nel
primo <7 si parla, oltre che dell'incidente di Ual-Ual, anche di quello precedente di Gondar, per sottolineare la ormai chiara volontà fascista di occupare l'Etiopia. <8 Ma non solo: dopo un appello al popolo italiano a lottare contro la guerra - futuro asse della politica del partito <9, si scrive: "Le popolazioni abissine divengono, perciò, delle alleate del proleatariato e dei lavoratori italiani nella lotta contro il fascismo e contro l'imperialismo italiano." <10 Inoltre, si afferma che "L'interesse dei lavoratori italiani e delle popolazioni abissine, in questa guerra, è di battere l'imperialismo italiano e il fascismo" <11 e si invitano poi i primi ad una costante "(...) attività antimilitarista e antiguerresca (...)" <12 che si riallacci ad esempi del passato. <13
Nel secondo <14, invece, si rievocano tutte le imprese coloniali italiane fra cui quelle - fallite - in Abissínia, e si ricorda che, già in passato, la situazione nel settore era difficile per l'Italia. <15 Ci si chiede poi quando inizieranno la operazioni militari, e si constata che: 1) l'Italia farà da sola la guerra, e ciò significa un doppio sacrificio - di sangue ed economico - per il paese; 2) l'invio di truppe italiane in Africa Orientale è già una guerra che il fascismo deve per forza vincere per non cadere. <16
Rilevato poi come il cinico inganno del fascismo agli italiani, convinti di andare in Abissinia per lavoro e non per fare la guerra <17, si aggiunge che questo non è però il solo motivo, perché "Il fascismo in Africa va a fare una guerra (...) brigantesca (...). Ma (...) maschera i suoi scopi di rapina imperialistica con la più sfrenata demagogia patriottica (...)", dato che "La più inconfessabile politica di rapina (...) viene presentata come una necessità di difesa
nazionale, (...) una missione di civilizzazzione, (...) un mezzo per dare pane e lavoro ai
disoccupati italiani." <18
Il P.C.d'I. vuol chiaramente smitizzare il sogno africano creato dalla propaganda fascista nel popolo italiano <19, ma anche agire fra i lavoratori italiani per causare la sconfitta del fascismo. <20
Ogni possibile tregua tra il fascismo e i comunisti italiani è ormai finita, perché nel citato scritto si parla di argomenti e temi poi ripresi dalla stampa del P.C.d'I., ma non solo: essi sono già infatti - del tutto о in parte - un patrimonio di tutto l'antifascismo italiano. <21 [...]
[NOTE]
1 Sull'incidente di Ual-Ual cfr. Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, III: La conquista dell'Impero, Milano, Mondadori, 1992, pp. 244-291; Renzo De Felice, Mussolini il Duce, I: Gli anni del consenso (1929-1936), Torino, Einaudi, 1996, pp. 610-616; Luigi Salvatorelli - Giovanni Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Torino, Einaudi, 1963, pp. 819-820; Enzo Santarelli, Storia del movimento e del regime fascista, Π, Roma, Editori Riuniti, 1967, pp. 167-168; Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, IX: Il fascismo e le sue guerre, Milano, Feltrinelli, 1995, pp. 340-341. Ma cfr., inoltre, George W. Baer, La guerra italo-etiopica e la crisi dell'equilibrio europeo, Bari, Laterza, 1970, pp. 59-82.
2 Su questi piani italiani contro l'Etiopia cfr. A. Del Boca, op.cit., pp. 156-159 e pp. 169-179; R. De Felice, op.cit., pp. 603-605; G. Candeloro, op.cit., pp. 337-338.
3 Cfr., ad esempio, La via della salvezza per i lavoratori è la via del bolscevismo, la via della lotta contro il corporativismo e per il potere sovietico (non firmato: d'ora in poi n.f.), in "L'Unità", 1935, 1, appello alla lotta contro una possibile guerra per far cadere il fascismo, ed Egidio Gennari, Per una «coscienza coloniale» proletaria, in "Lo Stato Operaio", 1, gennaio 1935, pp. 24-31: vi si parla della colonizzazione italiana della Libia.
4 Sugli accordi franco-italiani di Roma cfr. L. Salvatorelli - G. Mira, op.cit., p. 817; R. De Felice, op.cit., pp. 602-603; A. Del Boca, op.cit., pp. 259-260; G. W. Baer, op.cit., pp. 82-127. Per parte francese cfr. Jean-Baptiste Duroselle, Politique étrangère de la France. La décadence (1932-1936), Paris, Le Seuil, 1979, pp. 133-139. Sulle reazione del P.C.d'I. e del P.C.F. agli accordi cfr. Giuliano Procacci, Il socialismo internazionale e la guerra d'Etiopia, Roma, Editori Riuniti, 1978, pp. 17-22. Gli accordi franco-italiani di Roma non diminuiscono il pericolo della guerra (n.f.), in "L'Unità", 1935, 2. Sulla posizione del P.C.d'I. cfr. G. Procacci, op. cit., p. 21.
6 Su questo documento cfr. A. Del Boca, op.cit., pp. 255-259 (che lo analizza in dettaglio); R. De Felice, pp. 606-610 (che, a p. 608, sottolinea indirettamente il passaggio sul possibile uso di gas asfissianti); G. Procacci, op.cit., p. 9; G. Candeloro, op.cit., pp. 341-344.
7 Cfr. Nostri compiti urgenti (n.f.), in "Lo Stato Operaio", 2, febbraio 1935, pp. 83-92
8 Cfr. art.cit., loc.cit., p. 83.
9 Cfr. art.cit., loc.cit., p. 84.
10 Art.cit., loc.cit., p. 85.
11 Art.cit., loc.cit., p. 85.
12 Art. cit., loc.cit., p. 91.
13 Art. cit., loc.cit., p. 91.
14 Cfr. Luigi Gallo (Luigi Longo), Per la disfatta dell 'imperialismo italiano, ivi, pp. 93-101.
15 Cfr. art.cit., loc.cit., pp. 93-94.
16 Cfr. art.cit., loc.cit., p. 95.
17 Cfr. art.cit., loc.cit., p. 96.
18 Cfr. art.cit., loc.cit., p. 97.
19 Su questo tema cfr. Mario Isnenghi, Il sogno africano, in AA.VV., Le guerre coloniali del fascismo (a cura di Angelo Del Boca), Bari, Laterza, 1991, pp. 60-71; A. Del Boca, op.cit., pp. 320-350; R. De Felice, op.cit., pp. 626-643.
20 Cfr. art.cit., loc.cit., pp. 98-101.
21 Su questo tema cfr. Enzo Santarelli, L'antifascismo di fronte al colonialismo, in AA.W., Le guerre coloniali del fascismo, cit., pp. 79-92.
Alessandro Rosselli (Università di Szeged), Il Partito Comunista d'Italia e la guerra d'Etiopia. Una rassegna sulla stampa comunista, Études Sur La Région Méditerranéenne, 15, pp. 45-61, 2006
L’obiettivo del progetto è quello di esplorare alcuni momenti specifici della politica coloniale del partito, ovvero le missioni di Velio Spano in Egitto e Tunisia (1936-1943), la spedizione di Ilio Barontini in Etiopia (1939) e l’operato del Pci in Somalia (1942-1950), per gettare nuova luce e colmare alcune lacune storiografiche relative all’azione dei militanti comunisti in questi contesti, ai loro rapporti con i movimenti locali, all’analisi del colonialismo da parte del partito e al ruolo della Terza Internazionale (Comintern) nell’organizzazione di queste iniziative. Inoltre, il progetto intende indagare come, a seguito della svolta di Salerno e con la nascita del ‘Partito Nuovo’, il Pci sviluppa la propria riflessione sul colonialismo, da un lato in termini pedagogici, attraverso la pubblicazione di letteratura destinata ai militanti, dall’altro attraverso la partecipazione di propri delegati agli incontri internazionali della Federazione mondiale della gioventù democratica e dell’Unione internazionale degli studenti.
[...]
Giulio Fugazzotto, Al servizio di una rivoluzione globale? I comunisti italiani e il colonialismo tra antifascismo e anti-imperialismo. 1926-1950, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, 2021
SuntoQuest'articolo si concentra sulle particolari caratteristiche dell'imperialismo fascista e sul suo sforzo di costruire una coscienza nazionale tramite il riscatto coloniale per mezzo della guerra contro l'Abissinia. Tentativo che ha incontrato una risposta ambivalente in Italia e all'estero, tra gli antifascisti in esilio.Lo studio della politica del Partito comunista sulla questione della guerra italo-etiopica a metà degli anni Trenta ci permette di ricostruire la sfida degli antifascisti al regime, su scala internazionale, che avrà una ripercussione più profonda in seguito durante la guerra civile spagnola.
[...] Tuttavia, di fronte a una guerra che rischiava di coinvolgere le grandi potenze del Mediterraneo, non poche erano le titubanze e all'inizio anche da parte dei vertici fascisti, in particolare dei gerarchi sensibili ai buoni rapporti con Francia e Inghilterra, si registravano incertezze ed esitazioni. <27
La preoccupazione di un'opinione pubblica riluttante alla guerra indusse il regime ad intensificare l'opera di controllo sulla stampa, le pubblicazioni, le trasmissioni radiofoniche e cinematografiche.
Nell'estate del 1935, la questione etiopica divenne il centro dell'attività propagandistica e, il 25 giugno 1935, tutto l'apparato mediatico venne centralizzato nel Ministero della stampa e della propaganda, diretto da Ciano. In questo modo i giornali, le radio, i cinegiornali, i periodici, furono interamente sottomessi alle esigenze della guerra. Il regime riuscì anche a contrabbandare quella che Baer definisce “un'evasiva politica di inazione” <28 della Francia e dell'Inghilterra in un'ostilità attiva contro i legittimi diritti dell'Italia di espandersi in Africa e rinserrare l'opinione pubblica attorno alla “patria fascista”.
La Chiesa fornì un contributo fondamentale alla formazione del consenso bellicista: dopo un primo disorientamento da parte delle organizzazioni e delle gerarchie cattoliche, anche per le prese di posizione ufficiali del papa in favore della deposizione delle armi, <29 allo scoppio delle ostilità il clero si schierò, con poche eccezioni, per la guerra esaltata come missione civilizzatrice della nazione cattolica impegnata a redimere gli schiavi, i barbari e popoli senza Dio. <30
Tra i più accesi sostenitori si trovava il cardinale Schuster della diocesi di Milano. Ma anche motivi internazionali spingevano il Vaticano a sostenere il fascismo. Mentre nazioni cattoliche come l'Austria sostenevano l'impresa africana, l'Inghilterra protestante si opponeva all'avventura italiana in Africa, insieme con la Francia laica e massone, che forniva asilo politico ai fuorusciti comunisti e socialisti e aveva stipulato nel 1935 un patto con l'Unione sovietica bolscevica.
Come scriveva Ernesto Rossi, bisognava combattere contro il “protestantesimo che, in combutta con la massoneria, col comunismo e con l'antifascismo, si sforza di abbattere la civiltà di Roma, perché cattolica”. <31
Poco importava che in Etiopia venissero impiegate truppe musulmane libiche e somali per massacrare i cristiani copti, o che in fondo la stessa Unione sovietica era legata da un trattato di non aggressione con l'Italia fin dal 1933.
Il culmine dell'infatuazione nazionalistica si ottenne con la “giornata della fede”, indetta per il 18 dicembre 1935, due mesi dopo lo scoppio delle ostilità e la proclamazione delle sanzioni, che erano entrate in vigore però solo il 19 novembre. A questa campagna, che si prolungò per varie settimane, e che consisteva nel donare la fede nuziale oltre che tutto l'oro, l'argento e il ferro, parteciparono tutti gli strati della popolazione.
Lo stesso filosofo e senatore antifascista Benedetto Croce contribuì, donando la medaglietta senatoriale, pur dichiarando di non approvare la politica del governo; vescovi e cardinali parteciparono alla raccolta, donando i loro ori e invitando i fedeli a fare altrettanto. A livello più generale la guerra mobilitò pressoché tutti gli strati della classe dirigente, anche quelli che fino a quel momento avevano nutrito un atteggiamento critico, e degli intellettuali, da D'Annunzio e Marinetti, le cui simpatie per il fascismo non erano un mistero, ad intellettuali che passavano per antifascisti come Sem Benelli o altri. La piccola e media borghesia nazionalista, i lavoratori dell'industria e i contadini furono anch'essi coinvolti, con scarse eccezioni, nel sostegno alla guerra.
Scrive, sconsolatamente, “Lo Stato Operaio”, organo del Partito comunista: “il fascismo è riuscito per il momento a fanatizzare non soltanto larghi strati di piccola borghesia ma anche una parte non indifferente della gioventù proletaria.” <32
Alle donne veniva poi affidato un ruolo specifico, non solo di consolatrici di eroi e di custodi del focolare domestico, la cui cura era costituita di economia e preghiera, nella migliore, o peggiore se si vuole, tradizione dell'epica classica coniugata col misticismo cristiano, ma anche di propagatrici dell'ideale della civiltà. L'intera stampa femminile venne asservita a questo scopo: <33 alla militarizzazione della mascolinità, per riprendere un concetto di Mosse, <34 si aggiunse la nazionalizzazione della femminilità, in una specie di divisione dei valori: alla mascolinità eroica, militare, combattiva e violenta, forgiata nella tempesta d'acciaio della guerra, corrisponde una femminilità frugale, parsimoniosa e parca: i due aspetti si completano nella guerra e nel lavoro.
Come osserva Carlo Zaghi: "l'aver sollevato il sentimento più profondo del popolo italiano e identificato l'onore nazionale col riscatto della sua inferiorità coloniale, fu il successo più grande di Mussolini, il momento storico più alto toccato dal regime". <35
La guerra contro l'Etiopia ebbe un impatto immediato in tutto il mondo. A parte le reazioni diplomatiche, come le limitate sanzioni decise dalla Sdn, vasti settori dell'opinione pubblica fecero pressione sui propri governi perché reagissero contro il colonialismo fascista.
[...] Varie organizzazioni di afro-americani si mobilitarono in un fronte unico che coinvolgeva i gruppi del nascente nazionalismo nero, organizzazioni antifasciste e gruppi comunisti, come il Comitato provvisorio per la difesa dell'Etiopia, fondato ad Harlem nel febbraio del 1935. <36 Non solo, ma da New York a Kansas City, migliaia di volontari neri risposero agli appelli delle varie organizzazioni di partire per l'Etiopia e combattere contro gli italiani. In seguito alla repressione del governo Usa, che non voleva essere trascinato in una guerra con l'Italia fascista, la mobilitazione militare cessò, anche se non completamente. La Black Legion, ad esempio, dichiaro che i suoi 3000 militanti che si preparavano a partire per l'Etiopia avrebbero rinunciato alla cittadinanza americana per servire il “loro” paese. <37
Scrive “l'Unità” (s.d., ma 1935): I negri si arruolano volontari. Ad Harlem … è stata costituita una “Legione Nera”, la quale chiama i negri ad arruolarsi per difendere l'ultimo paese indipendente dell'Africa, l'Abissinia. … Il negro Walter Davis, del Texas, ha inviato un telegramma all'imperatore dell'Abissinia, offrendogli un aiuto di 6 mila volontari... <38
Non si mobilitarono solo i partiti socialisti e comunisti, i popoli coloniali o gli afro-americani, che vedevano nella causa etiope le ragioni della loro stessa causa, ma anche, per motivi diversi, strati di popolazione dei paesi imperialisti democratici. <39 Come scrive Procacci: "Si può dire anzi che fu proprio tra la tarda primavera e gli inizi dell'estate [1935, nota mia] che si venne diffondendo sempre più largamente la sensazione che la controversia in atto tra Italia e Etiopia aveva cessato di essere una questione marginale per assumere invece i caratteri di un test dal quale dipendeva in larga misura il mantenimento della pace. (…) Nasceva insomma un'opinione pubblica pacifista e antifascista". <40
Anche se, come ricorda Procacci, questo fenomeno riguardò in maniera più evidente l'Inghilterra, soprattutto per la presenza di un forte Partito laburista e per la coesistenza di altri fattori psicologici e politici, <41 e la Francia, si diffuse in tutti i paesi dell'Europa continentale, compresi i Balcani, al di fuori, per ovvie ragioni, della Germania nazista. <42
In Italia la mobilitazione toccò essenzialmente i partiti antifascisti in esilio.
Le principali organizzazioni antifasciste dell'emigrazione scorsero nell'avventura etiope un'occasione per sferrare un colpo mortale al regime mussoliniano. Si distingueva da questa impostazione il gruppo di “Giustizia e libertà”, animato da Carlo Rosselli, per il quale si trattava di una posizione attendista.
Per Gl, non si doveva aspettare la disfatta del fascismo in Etiopia, ma organizzare subito un intervento politico propagandistico in Italia nel tentativo di rovesciare il regime. <43 In realtà, con questa polemica, Gl puntava a spezzare l'isolamento dalle altre formazioni antifasciste, e in particolare dai partiti comunista e socialista che avevano istituito un rapporto privilegiato in seguito alla svolta del VII congresso della Terza internazionale.
Il Pci e il Psi, legati ormai da un patto d'azione, organizzarono i giorni 12 e 13 ottobre del 1935, il Congresso di Bruxelles, al quale parteciparono varie organizzazioni antifasciste, tranne Gl.
I relatori principali furono il socialista Pietro Nenni, che tenne il discorso introduttivo, e Ruggero Grieco, dirigente del Pci. <44
Il discorso di Nenni e la sua stessa presenza al Congresso smentirono in parte la posizione dell'Internazionale socialista, che era riluttante ad intraprendere azioni comuni con l'Internazionale comunista; il leader socialista si pronunciò per l'unità d'azione con i comunisti, anche in vista di una crisi del regime che si riteneva imminente e che avrebbe richiesto un senso di responsabilità delle organizzazioni antifasciste, pur senza l'illusione della maturità di una crisi rivoluzionaria.
Ruggero Grieco si spinse anche oltre le dichiarazioni di Nenni, ipotizzando persino la possibilità di un governo “antifascista” che “difenda le libertà popolari”, presumibilmente di ampia coalizione. <45
Il VII congresso dell'Internazionale comunista si era occupato della guerra italo-abissina nell'ambito del dibattito sul fascismo e i pericoli di guerra, registrando l'intervento di Togliatti sull'avventura africana il 13 e 14 agosto 1935. <46 Nel suo rapporto, Togliatti si augurava la sconfitta delle truppe italiane come preludio alla caduta del regime: "se il Negus d'Abissinia, spezzando i piani di conquista del fascismo, aiuterà il proletariato italiano ad assestare un colpo tra capo e collo al regime delle camicie nere, nessuno gli rimprovererà di essere 'arretrato'. Il popolo abissino è l'alleato del proletariato italiano contro il fascismo e noi gli esprimiamo la nostra simpatia". <47
La stessa posizione venne espressa, in maniera più articolata dopo lo scoppio della guerra, il 15 novembre, in un articolo apparso sul “Bolśevik”, <48 nel quale si ribadisce che "la sconfitta dell'imperialismo italiano sarà il prologo della caduta del fascismo: il fascismo non può rischiare uno smacco. Uno smacco può essere l'inizio della sua fine". <49
E, nella misura delle sue possibilità, tenuto conto delle esigenze della clandestinità, il Pci si adoperò per rendere questo sviluppo effettivo e di opporsi attivamente alle operazioni belliche, non limitandosi a una posizione massimalista e attendista come accusato da Gl. <50 Pur muovendosi entro un quadro di collaborazione di classe internazionale determinato dalla svolta del VII congresso, <51 la politica del Pci si distinse sia dalle combinazioni diplomatiche dell'Urss che dal puro e semplice propagandismo.
Fin dal luglio del 1935, quindi tre mesi prima dell'aggressione italiana, Sergio (Giulio Cerreti) proponeva di recarsi in Egitto, ed eventualmente in Etiopia, ad organizzare la resistenza contro la guerra, <52 per conto del Comitato mondiale contro la guerra e il fascismo, un organismo che lo stesso Cerreti aveva collaborato a fondare, i cui esponenti principali erano Henry Barbusse e Romain Rolland. Al momento il progetto non ebbe seguito, ma gettò le basi di una discussione che avrebbe avuto dei risvolti operativi molto concreti.
Tra il 1934 e il 1935 il Pci intensificò i tentativi di penetrazione in Italia, in particolare la propaganda tra gli operai industriali e nei sindacati fascisti, diretta a sollevare rivendicazioni sulle condizioni di lavoro, i salari, il carovita, approfittando di ogni possibilità legale permessa dal regime. Vennero moltiplicati gli sforzi per introdurre la stampa in Italia e organizzare le proteste, i cui echi si trovano nelle pagine dell'“Unità”, “lo Stato operaio” o “Azione popolare”. In particolare venne curato l'intervento nell'esercito allo scopo di dare voce alle pur minime manifestazioni di malcontento contro la partenza per l'Africa o dei soldati di stanza in Aoi, di cui la stampa comunista diventa megafono. Ogni protesta in una caserma, un canto antimilitarista, gli insulti ad ufficiali particolarmente crudeli, la denuncia delle malattie in Abissinia, le proteste per il rancio, sono tutte occasioni che dimostrano, per la stampa comunista, l'impopolarità della guerra tra i soldati <53.
Così, ad esempio, “L'Unità” n. 1, 1936, sotto il titolo "Lettere dalle caserme e dall'Africa Orientale", dedica una pagina intera alle manifestazioni di dissenso tra le truppe. Erano del resto già vari anni che il Pci cercava di penetrare nell'esercito con suoi organi di stampa, prima “Caserma”, che venne chiuso alla fine del 1934, dopo dieci anni di pubblicazioni, e poi “Grigioverde”, fondato allo scopo di rendere più efficace e concreta la mobilitazione dei soldati contro la guerra e la terribile disciplina militare. In un lungo rapporto di dieci pagine del 28 maggio 1935, Neri (Luigi Longo) delinea un piano molto dettagliato d'intervento nell'esercito. <54 Dopo aver chiarito le ragioni che hanno condotto alla chiusura di “Caserma”, Longo spiega: “L'uscita di “Grigioverde” risponde a questa esigenza… Bisogna accentuare il carattere legale e popolare del giornale che deve diventare sempre più come un organo di soldati, di marinai, di avieri, di militi”.
Infine, il progetto di intervenire tra le truppe italiane destinate in Etiopia si concretizzò nella missione di Velio Spano in Egitto, incaricato dal comitato antifascista eletto al congresso di Bruxelles: Spano arriva in Egitto nel novembre 1935, prende contatti con settori antitaliani della borghesia egiziana e con alcuni connazionali sensibili alla propaganda antifascista. <55 Anche se la missione era stata preparata accuratamente nei mesi precedenti, Spano ne lamenta la disorganizzazione in una lettera al Comitato internazionale del 14 gennaio 1936 <56 e, tuttavia, nei limiti delle forze che si sono potute impiegare, la missione non è priva di qualche successo.
Spano riporta del clamore suscitato a Porto Said della propaganda antifascista e contro la guerra. <57 In una serie di articoli apparsi su “Stato operaio” nel 1938, Paolo Tedeschi (pseudonimo di Spano) sottolinea la polarizzazione tra le truppe italiane in transito per i porti egiziani, divise tra entusiasti alla guerra e riluttanti e sensibili alla propaganda antimilitarista <58 e descrive l'impatto che la distribuzione di volantini ha sui soldati imbarcati sui piroscafi in transito per il Canale di Suez. <59
Che l'azione di Spano avesse avuto un certo successo è testimoniato anche dalla preoccupazione suscitata nell'ambasciata italiana al Cairo. <60
L'ingresso delle truppe italiane in Addis Abeba, nel maggio del 1936, cambia la prospettiva propagandistica del Pci che, pur riconoscendo che l'occupazione della capitale etiope non avrebbe posto fine alle operazioni militari, deve tuttavia fare i conti con la realtà di un regime che, proprio in occasione della proclamazione dell'impero, ottiene il massimo consenso popolare. <61
Nella riunione dell'Ufficio politico l'8 maggio 1936, <62 al punto sulla questione abissina, l'intervento di Longo esprime chiaramente la delusione e il disorientamento del gruppo dirigente comunista che aveva puntato sulla disfatta italiana. I fatti impongono una rettifica nella propaganda e nelle parole d'ordine, ma ne deriva anche una rettifica dell'analisi. Le prime avvisaglie di questo mutamento di prospettiva si rivelano in un articolo dello “Stato operaio”, "Dopo Addis Abeba", del maggio 1936, scritto a caldo dopo la proclamazione dell'impero, ma è il manifesto programmatico "Per la salvezza dell'Italia:riconciliazione del popolo italiano" <63 che delinea in maniera più netta questo mutamento.
Già Spano, rientrato clandestinamente in Italia dopo la missione egiziana, aveva osservato “la nostra giusta preoccupazione di essere una corrente, una grande corrente di opposizione nel fascismo, deve essere oggi non più soltanto in primo piano nella nostra politica, ma forse addirittura il centro della nostra politica...” <64
Il manifesto ha come suo nucleo programmatico l'appello ai fascisti perché lottino insieme coi comunisti per la realizzazione del programma fascista del 1919, “che è un programma di libertà”. <65 Ed è firmato, a ribadirne la solennità, dai veri nomi e cognomi dei dirigenti del Pci.
Come nota Paolo Spriano, quest'appello suscita polemiche, recriminazioni e critiche da Mosca che si faranno via via più severe, ed è possibile che molti dei firmatari non fossero stati nemmeno interpellati. <66 L'appello cadeva poi in una fase particolarmente critica, all'inizio della guerra civile spagnola, che vedrà di nuovo, in uno scontro più drammatico, fascisti e antifascisti italiani combattersi, questa volta sulle barricate e le trincee di Spagna. Tra i sottoscrittori del manifesto, infatti, ritroviamo dirigenti comunisti che sono in procinto di partire per la penisola iberica in soccorso alla repubblica, che difficilmente avrebbero aderito a un appello “ai fratelli in camicia nera”. A questo seguiva un'apertura alla Chiesa cattolica, nell'autunno del 1936, in piena guerra civile spagnola dove la stragrande maggioranza delle gerarchie ecclesiastiche era apertamente schierata dalla parte del franchismo. <67
Non è possibile qui riprendere le polemiche che il Partito socialista e Giustizia e libertà scatenarono contro il manifesto "Per la salvezza dell'Italia"; <68 è necessario però ricordare che le critiche che giunsero da Mosca, oltre allo scoppio della guerra civile spagnola, determinarono infine la decisione dell'Ufficio politico di “ritirare la parola della conciliazione nazionale per dare maggior chiarezza e vigore alla politica di unione del popolo”. <69
Questo episodio avrà però delle ripercussioni negli anni a venire e determinerà, in parte, la mutazione della formazione del gruppo dirigente del Pci.
Come ha notato Simona Colarizi, “L'intervento dei volontari antifascisti [nella guerra civile spagnola] imbarazza non poco il regime, anche perché, per la prima volta dopo molti anni, i fuorusciti ritornano inevitabilmente alla ribalta della cronaca e per di più avvolti in un'aureola di eroismo guerriero”. <70 Ed è nel fuoco della guerra civile spagnola, nell'entusiasmo per la vittoria repubblicana di Guadalajara, che comincia a delinearsi l'idea di inviare alcuni membri delle Brigate internazionali in soccorso alla resistenza etiope, <71 viste anche le difficoltà che sta incontrando l'esercito regolare del Negus, i cui resti comandati da ras Destà, sono stati distrutti dall'esercito italiano. La missione venne decisa infine in una riunione di segreteria l'8 dicembre 1938, nella quale Nicoletti (Giuseppe di Vittorio), presentò la proposta di inviare un gruppo di compagni in Etiopia al seguito del “compagno che parte”. <72 Prende la parola il compagno in questione che espone il suo piano di lavoro e, nello stesso mese di dicembre, Ilio Barontini si reca così in Etiopia accompagnato dal segretario di Hailé Selassié, Lorenzo Taezaz, il quale però si ferma in Egitto, e fornito di credenziali del Negus stilate su fazzoletti di seta. Nonostante gli evidenti problemi di comunicazione, il 6 febbraio 1939 Barontini riesce a far avere sue notizie al Partito, in una lettera certamente scritta da una località etiope, ma spedita da Khartoum il 22 marzo, nella quale esalta le virtù militari dei resistenti e l'accoglienza della popolazione, soprattutto dei contadini molto attenti e interessati alle tecniche militari, ma evidenzia la disastrosa situazione degli armamenti, la carenza di munizioni e l'eterogeneità delle armi, fucili di marche diverse, mitragliatrici senza cartucce. Osserva comunque “Penso che solamente la mia presenza qui è un successo, si riprende fiducia …” <73
In una lettera, datata 1 aprile 1939, indirizzata a Tuti (Rigoletto Martini), Jacopo (Giuseppe Berti) esprime la soddisfazione del Partito per la missione, nota che Barontini è dirigente riconosciuto dalla resistenza, e l'unico contatto del Negus con i suoi uomini rimasti in Etiopia, ma lamenta gli scarsi mezzi a disposizione. <74
Nel frattempo, nel marzo del 1939 sono partiti per l'Etiopia anche altri due combattenti di Spagna, Rolla e Ukmar. <75 L'impresa, che vide la collaborazione diplomatica di Francia e Inghilterra, coinvolse parimenti il colonnello francese Paul Robert Monnier, che perì nel novembre del 1939 in seguito a un attacco cardiaco nel corso di una missione di rifornimento.
L'obiettivo della spedizione era duplice, politico e militare. Così la descrive
Ukmar: "Si doveva riuscire a convincere gli etiopi ad abbandonare l'organizzazione di grosse bande di mille-duemila uomini di cui solo una parte armati di fucili - tali formazioni erano facilmente reperite e massacrate - e costituire gruppi più piccoli e mobili. Si doveva cercare di mantenere i territori liberati… <76 ma soprattutto, in un contesto caratterizzato dalla continua rivalità tra tribù e in una regione, il Goggiam, governata da ras tradizionalmente ribelli all'autorità del Negus e in perenne conflitto tra di loro, dovevamo mantenere il contatto con i capi della rivolta, coordinare le loro azioni, evitare conflitti armati tra le varie formazioni, fare quanto possibile per portare pace tra i gruppi armati e volgere ogni sforzo contro l'esercito di occupazione". <77
A questi si aggiungeva anche un altro scopo: la presenza di europei tra le file della resistenza etiope doveva contribuire a demoralizzare le truppe italiane e, insieme con la collaborazione di Francia e Inghilterra, dimostrare l'internazionalizzazione del conflitto.
Nel frattempo si intensifica l'attività di propaganda rivolta agli etiopi e alle truppe italiane. I fuorusciti italiani pubblicano un foglio settimanale, “La voce degli etiopi”, in amarico e italiano, <78 e il risultato politico della missione trova il suo riflesso in alcuni articoli pubblicati in “Lo Stato operaio” e “La voce degli italiani”. Di notevole rilevanza le conclusioni cui giunge Di Vittorio nell'articolo "La lotta del popolo etiopico ed i doveri del proletariato italiano", chiaramente ispirato da Barontini: "Il popolo etiopico, già in enorme ritardo sull'evoluzione storica, non possedeva ancora una coscienza nazionale, quando venne proditoriamente aggredito dal governo fascista. Uno Stato etiopico non esisteva. La società feudale etiopica era dominata da ras e sotto-ras in lotta fra di loro. (…) Il 'miracolo' che… si è già prodotto in buona parte, è questo: che sotto l'oppressione terroristica e sanguinaria del fascismo italiano il popolo etiopico sta forgiandosi una coscienza nazionale… Non si tratta, dunque, di una rivolta episodica, ma d'una rivoluzione popolare nazionale contro l'oppressore straniero. (…) dei capi che si erano resi complici dell'oppressore o vi si erano sottomessi, oggi si battono uniti e da eroi, non più per il potere o il predominio di questo o quel ras, ma per l'indipendenza dell'Etiopia". <79
Non fa parte degli scopi del presente articolo, ma non mi sembra superfluo osservare che le conclusioni cui giungevano Barontini e Di Vittorio esprimono un'opinione oggi diffusa in ambito storiografico: che la guerra contro l'Italia abbia accelerato il processo di unità nazionale dell'Etiopia, che le riforme dei primi anni di governo di Hailé Selassié avevano appena accennato nel loro tentativo di modernizzazione e di uscita dal particolarismo feudale. <80
La missione ebbe termine nel marzo del 1940 per varie ragioni, in primo luogo per il mutamento dello scenario internazionale determinato dallo scoppio della Seconda guerra mondiale. E tuttavia non è la sola ragione: si scopre che Monnier era un agente dell'Intelligence service inglese, col quale aveva costantemente mantenuto i contatti, e che aveva sempre tenuto le redini della missione <81 e nei primi mesi del 1940, l'Inghilterra, nel tentativo di impedire l'ingresso in guerra dell'Italia a fianco di Hitler, aveva deciso di tagliare i finanziamenti e il sostegno alla resistenza etiope, inclusa la missione di Barontini. <82
[NOTE]
27 Idem, p. 621. Per altro v. anche, per le riserve di Dino Grandi, Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale. La conquista dell'impero, cit. p. 325.
28 Citato in A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale. La conquista dell'impero, op. cit. p. 327. Mussolini era ben consapevole che né l'Inghilterra né la Francia avrebbero rischiato la guerra contro l'Italia sulla questione etiope; v. Ibidem, p. 326-327.
29 Il 27 agosto 1935, in un discorso alle 2000 infermiere cattoliche in visita a Castelgandolfo, Pio XI si oppose apertamente all'imminente avventura africana, definendola “un guerre injuste”, v. L. Ceci, Il papa non deve parlare. Chiesa, fascismo e guerra d'Etiopia, Laterza, Roma - Bari, 2010, p. 44
30 Ibidem, p. 67 - 135; S. Colarizi, cit., p. 199; A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale. La conquista dell'impero, cit. p. 333.
31 S. Colarizi, cit., p. 200.
32 Lettera da Roma. Piccola borghesia ed intellettuali di fronte alla guerra, in “Lo Stato operaio”, febbraio 1936, p. 110.
33 V. Mirella Mingardo, “Pace”, “Lavoro”, “Civiltà”. Propaganda e consenso nella stampa periodica durante la guerra d'Etiopia, in Caccia, Patrizia e Mingardo, Mirella (a cura), Ti saluto e vado in Abissinia, Viennepierre, Milano, 1998.
34 L. Benadusi e G. Caravale (a cura), Sulle orme di George L. Mosse. Interpretazioni e fortuna dell'opera di un grande storico, Carocci, Roma, 2012, p. 69.
35 C. Zaghi, L'Africa nella coscienza europea e l'imperialismo italiano, Guida, Napoli, 1973. A conclusione della prima fase della guerra, l'8 maggio 1936, “Il popolo d'Italia” poteva sostenere che la guerra era stata “impresa di popolo, di tutte le classi e di tutti i ceti, di tutte le categorie e di tutte le gerarchie. Dalla Dinastia al clero, dalla gioventù delle Università alle moltitudini dei campi e delle officine, tutta la Nazione era spiritualmente impegnata nell'impresa, 'con trepida e inesorabile decisione'”, in I. Granata, Milano e la proclamazione dell'Impero (Maggio 1936): tra “regime” e “patria”, in P. Caccia e M. Mingardo, Ti saluto e vado in Abissinia, cit., p. 42.
36 In particolare, la mobilitazione degli afro-americani e stata oggetto di vari studi, dei quali ricordiamo solo l'opera piu significativa: William R. Scott, The Sons of Sheba’s Race: African Americans and the Italo-American War 1935-1941. Bloomington: Indiana University Press, 1993. V. però anche N. Venturini, Neri ed italiani ad Harlem. Gli anni trenta e la guerra d'Etiopia, Lavoro, Roma, 1991; Antifascist dieselpunk II - The Italo-Abyssinian War, 26 aprile 2012, disponibile online su: pdjeliclark.files.wordpress.com. Trasformatosi in seguito nell'organizzazione United Aid for Ethiopia, il Comitato provvisorio ottenne il riconoscimento ufficiale del governo imperiale all'Estero. v. opuscolo dell'associazione, War in Ethiopia, New York City, 1936.
37 William R. Scott, Black Nationalism and the Italo-Ethiopian Conflict, “The Journal of Negro History”, 63, n. 2, 1978, p. 118-134.
38 Conservato all'Acs, Fondo ministero dell'interno - Direzione generale pubblica sicurezza - Divisione affari generali e riservati - Stampa sovversiva in Italia - Busta 77/491.
39 Per la mobilitazione dei movimenti anticolonialisti contro l'aggressione italiana e la reazione dell'opinione pubblica all'estero, oltre ai libri di Giuliano Procacci, Dalla parte dell'Etiopia, cit., e Il socialismo internazionale e la guerra d'Etiopia, Editori riuniti, Roma, 1978, vedi Denise Eeckaute e Michel Perret (ed.) La guerre d'Ethiopie et l'opinion mondiale, Inalco, Paris, 1986.
40 G. Procacci, Il socialismo internazionale e la guerra d'Etiopia, cit. p. 62.
41 Ibidem; per un approfondimento delle reazioni dell'opinione pubblica inglese v. anche D. Waley, British Public Opinion and the Abyssinian war. 1935-1936, Maurice Temples Smith, London 1974
42 Nel volume collettaneo La guerre d'Ethiopie et l'opinion mondiale, cit., v. i saggi di S. Rubenson, sulla Svezia; di J. Gergely e L. Nyeki, per l'Ungheria; D. Eeckaute, per l'Europa dell'est; J. R. Bojovic, per la Jugoslavia; ma anche, relativamente ai paesi extraeuropei, M. Kovacs, per il Canada; J. C. Ralema per il Madagascar e S. A. Nguyen Dac, per il Vietnam. Una rassegna storiografica dell'atteggiamento dei paesi balcanici è fornita infine da A. Kuzmanova. Sulla reazione dell'opinione pubblica francese v. F. D. Laurens, France and the Italo-Ethiopian crisis 1935-1936, Mouton, Paris - Le Hague, 1967, anche Max Gallo: L'affaire d'Ethiopie, Editions du Centurion, Paris, 1967.
43 Per una sintesi delle posizioni di Rosselli e di Gl, v. l'articolo di Magrini, Rosselli e la guerra d'Etiopia, in Quaderni italiani n. 2, agosto 1942; ma anche: Carlo Rosselli, Opere scelte. Scritti dall'esilio, vol. II, Dallo scioglimento della concentrazione antifascista alla guerra di Spagna (1934-1937), Einaudi, Torino, 1992. Anche Nicola Tranfaglia, Una scelta di campo necessaria. Carlo Rosselli e Gl di fronte a Hitler e all'espansione dei fascismi, in “Studi storici”, n. 3, 1995.
44 Per una sintesi dei lavori del Congresso v. “Il Nuovo Avanti”, 19 ottobre 1935; il rapporto di L. Gallo (Luigi Longo), in “Stato operaio”, ottobre 1935, che riporta anche l'intervento di Grieco; l'articolo di E. Modigliani in “Informations internationales”, n. 36.
45 R. Grieco, I compiti del popolo italiano nella lotta contro la guerra, “Lo Stato Operaio”, cit. p. 625-634.
46 Il rapporto di Togliatti al congresso dell'Ic venne pubblicato sulla “Rundschau” del 2 ottobre 1935; una sintesi si trova nello “Stato operaio” n. 10, 1935.
47 “So” n. 10, 1935, p. 598.
48 Ora in Palmiro Togliatti, Opere, vol. IV.1, Editori riuniti, Roma, 1979, p. 41-57.
49 ibidem, p. 53.
50 Lettera di Gl al Pci, riportata in Archivio del partito comunista italiano (d'ora in poi Apc), 513 - 1286, nella quale la formazione di Rosselli accusa il Partito comunista di non comprendere, con i suoi slogan, la psicologia delle masse che sostenevano, in Italia, l'occupazione dell'Etiopia.
51 Si veda per esempio l'atteggiamento nei confronti delle sanzioni, v. articolo "Le sanzioni sono la pace e la salvezza del popolo italiano", in “La difesa”, n. 14, ottobre 1935.
52 L'intero rapporto di Cerreti, e in Apc 513 - 1 - 1318, p. 86 ss., ma v. anche appunto manoscritto senza firma, probabilmente di Longo (Terra), del 12 giugno 1935, in Apc 513 - 1 - 1283, p. 67, che chiede di “inviare qualcuno al più presto”.
53 Questa e l'indicazione della Segreteria del Pc, che, in un'osservazione all'”Unità” n. 10 del 1935, raccomanda di “utilizzare OGNI malcontento che viene creato dalla situazione di guerra” (maiuscolo nell'originale), in Apc 513-1283, p. 135.
54 Apc, 513 - 1 - 1288, p. 2-11.
55 A. Mattone, Velio Spano: vita di un rivoluzionario di professione, Della Torre, Cagliari, 1978, p. 24.
56 In Apc 513 - 1 - 1393, p. 1.
57 Ibidem, p. 3.
58 Gli articoli, dal titolo "Esercito e milizia nella guerra d'Etiopia", sono apparsi nei numeri 1, 2, 4 e 7 del 1938.
59 Idem, n. 2, p. 27.
60 Telespresso del Consolato di Porto Said n. 2341/312, in Archivio storico Ministero affari esteri, Busta “Ambasciata del Cairo”, A63, 294/2.
61 v. S. Colarizi, L'opinione degli italiani sotto il regime. 1929–1943, cit.; a p. 206–207 riporta alcuni esempi di note fiduciarie che testimoniano la demoralizzazione dell'antifascismo di fronte alla conquista di Addis Abeba.
62 Apc 513 - 1 - 1358, p. 11 ss.
63 “Lo Stato operaio”. n. 8, agosto 1936.
64 Rapporto di un viaggio in Italia, Apc 513 - 1 - 1385, citato in A. Mattone, Velio Spano, cit. p. 40, sott. nell'originale.
65 Ibidem, p. 524; anche S. Bertelli, Il gruppo. La formazione del gruppo dirigente del Pci 1936-1948, Rizzoli, 1980, Milano, p. 46 ss.
66 Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano.
V. 3. I fronti popolari, Stalin, la guerra, Einaudi, Torino, 1970, p. 65-67.
67 I comunisti ai cattolici italiani. Dichiarazione del Cc del Pci, “Lo Stato Operaio”, 8 ottobre 1936.
68 Su questo aspetto v. anche Bruno Grieco, Un partito non stalinista. Pci 1936: “Appello ai fratelli in camicia nera”, Marsilio, Padova, 2004, e Giorgio Amendola, Storia del Partito comunista italiano. 1921-1943, Editori riuniti, Roma, 1978.
69 Verbale dell'Ufficio politico del 17 febbraio 1937, in Apc 513 - 1 - 1432, p. 47; è anche impossibile, in questa sede, esaminare in dettaglio il ruolo di Togliatti che, detto in estrema sintesi, si è trovato a dover sacrificare Grieco, principale dirigente del Pci in Francia ed estensore materiale dell'appello, per salvaguardare il Partito dalla liquidazione, che aveva riguardato il Pc polacco, i dirigenti ungheresi e jugoslavi e Bela Kun in Ungheria.
70 S. Colarizi, cit., p. 232.
71 B. Anatra, Partigiano sulle rive del lago Tana, “Rinascita”, 19, 7 maggio 1966, p. 18
72 Apc, 513 - 1 - 1494.
73 Apc 513 - 1 - 1498, p. 27.
74 Apc 513 - 1 - 1494, p. 24-25.
75 G. Pajetta, in Il ragazzo rosso, Mondadori, Milano, 1983, p. 247-248, rivela dell'esistenza di un diario di Barontini, mai ritrovato; di Ukmar resta la testimonianza resa a Cesare Colombo e pubblicata da B. Anatra in “Rinascita” n. 19 del 17 gennaio 1966, cit. pagine 18-19. Di notevole importanza il libro della figlia di Barontini, Era, in collaborazione con Vittorio Marchi, Dario. Ilio Barontini, Nuova Fortezza, Livorno 1988.
76 B. Anatra, Partigiano sulle rive del lago Tana, cit. p. 19.
77 ibidem.
78 Matteo Dominioni, La missione Barontini in Etiopia. La singolare vicenda di un anomalo fronte popolare antifascista, in “Studi piacentini”, n. 35, 2005, p. 85 ss. Alle pagine 88-89 Dominioni ristampa anche due esemplari del foglio ciclostilato. V. anche, dello stesso autore, Lo sfascio dell'impero, cit. p. 292.
79 “Lo Stato Operaio”, n. 12, 1939, p. 277.
80 Cosi esempio Teshale Tibebu, The Making of Modern Ethiopia: 1896-1974, Red Sea Press, Lawrenceville, 1995.
81 Barontini, Era, Marchi, Vittorio , Dario. Ilio Barontini, cit. p. 197.
82 Cablogramma del quartier generale inglese al Cairo, del 25 settembre 1939, gentilmente fornito da Sandi Volk.
Gino Candreva,
Nazionalismo e comunismo di fronte alla Guerra d'Etiopia in História: Debates e Tendências, vol. 13, núm. 1, enero-junio, 2013, pp. 150-166, Universidade de Passo Fundo, Passo Fundo, Brasil