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giovedì 14 aprile 2022

All’organizzazione ideale e tecnica del Fronte della Gioventù sarebbero seguite le campagne di propaganda e le azioni armate vere e proprie


Eugenio Curiel nasce a Trieste l’11 dicembre 1912, primo di quattro figli di un’agiata famiglia ebrea.
Dopo aver conseguito la maturità scientifica nel 1929, frequenta a Firenze il biennio di ingegneria, iscrivendosi nel 1931 al Politecnico di Milano ma, avendo più inclinazione per gli studi teorici, dopo pochi mesi si iscrive al corso di laurea in Fisica tenuto nell’Università fiorentina.
L’11 dicembre 1932 consegue il diploma di maestro elementare per poter lavorare, pur continuando gli studi di fisica. L’amico Bruno Rossi lo invita nel 1933 a concludere gli studi all’università di Padova. Eugenio accetta, laureandosi il 20 luglio col massimo dei voti e la lode.
Curiel è attratto dallo studio dall’antroposofia di Steiner, nella quale vede anche lo stimolo a conseguire un’autodisciplina fisica e psicologica che gli appare consentanea al suo rigore intellettuale e morale.
L’1 novembre 1933, accetta una supplenza di lettere nel ginnasio di Montepulciano; allo scadere della supplenza ritorna a Padova con un incarico di assistente universitario di meccanica razionale.
L’applicazione alla filosofia steineriana si attenua con il tempo, sostituita lentamente dall’interesse verso la dominante filosofia idealistica; sono ora Kant, Fichte, Hegel, Croce e Gentile a costituire il centro degli interessi spirituali di Curiel, ma anche Georges Sorel e i problemi posti dal sindacalismo anarchico; frequentando l’Istituto di filosofia del diritto, conosce e si lega d’amicizia con gli assistenti di filosofia Ettore Luccini ed Enrico Opocher.
A Padova rivede nel 1933 l’amico d’infanzia di Trieste, Atto Braun, con il quale divide l’alloggio; quest’amicizia rinnovata costituisce per la sua vita una svolta decisiva: il Braun è clandestinamente aderente al Partito comunista e con lui Curiel discute e polemizza, ma legge anche i libri che questi gli impresta: il Manifesto di Marx ed Engels, l’Antidühring di quest’ultimo, il Che fare? di Lenin. In breve, nel 1935, anche Curiel entra a far parte del piccolo, clandestino, circolo comunista dell’Università e a collaborare, dal 1937, alla pagina sindacale de’ Il Bò, il giornale universitario di Padova, redatto da giovani fascisti insofferenti dell’ortodossia del regime, ma anche da antifascisti mascherati, come lo stesso Braun.
Nel marzo del 1937 si reca a Parigi - e vi tornerà ancora alla fine dell’anno - dove ha sede il Centro estero del partito, prendendo contatto, fra gli altri, con Emilio Sereni, Ambrogio Donini e Ruggero Grieco e scrivendo un articolo, dal titolo Il nostro lavoro economico-sindacale di massa e la lotta per la democrazia, con lo pseudonimo di Giorgio Intelvi, che compare nella rivista Lo Stato Operaio. Curiel sostiene che bisogna premere con la stampa universitaria sugli studenti, perché passino da un’ideologia ancora corporativa di fascismo di sinistra al riconoscimento della lotta di classe, e sui fiduciati di fabbrica, rappresentanti eletti dagli operai e riconosciuti dal sindacato, all’interno del quale occorrerebbe creare gruppi segreti, costituiti opportunamente, che dovrebbero svolgere sugli operai un influente lavoro politico.
[...] Il 25 agosto 1943, a seguito della caduta del fascismo, lascia l’isola per unirsi alla lotta armata con il nome di battaglia "Giorgio". Ritorna a Milano, dove dirige L’Unità clandestina e La nostra lotta e infine promuove la costituzione di un’organizzazione unitaria tra i giovani antifascisti di ogni schieramento politico, il Fronte della Gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà. In questo periodo elabora la sua teoria sulla democrazia progressiva, considerato il suo più importante contributo teorico all’antifascismo.
Il mattino del 24 febbraio 1945, a due mesi dalla liberazione di Milano, mentre si sta recando a un appuntamento, Eugenio Curiel viene sorpreso in piazzale Baracca da una squadra di militi repubblichini guidati da un delatore; non tentano nemmeno di fermarlo, gli sparano una raffica quasi a bruciapelo. Curiel si rialza, si rifugia a fatica in un portone, ma qui viene raggiunto e finito dai fascisti.
Il giorno dopo, sulla macchia rimasta, una donna spargerà dei garofani.
Il poeta Alfonso Gatto gli dedicherà due poesie: Curiel e 25 Aprile dove lo cita scegliendolo quale esempio del desiderio di libertà e democrazia del popolo italiano.  [...]
Redazione, Eugenio Curiel, Le Pietre raccontano. Comune di Cinisello Balsamo (MI)

Eugenio Curiel “Giorgio”, nato a Trieste nel 1912, assistente di Fisica all’Università di Padova espulso dalle leggi razziali, comandante delle Brigate Garibaldi, fondatore del Fronte della Gioventù per l’Indipendenza Nazionale e l’Unità, ucciso a Milano il 24 febbraio 1945 da una pattuglia di fascisti. Medaglia d'oro al Valor militare. Fonte: Centro di Ateneo per la Biblioteche - Università degli Studi di Padova

Il 25 luglio 1943 - data della deposizione di Mussolini, messo in minoranza e fatto arrestare da un Gran Consiglio del fascismo spaccato dalla disfatta militare, dall’ondata di scioperi del marzo ‘43 e dai maldestri tentativi della monarchia per dissociarsi dalle responsabilità del regime - segnò una tappa fondamentale di quel “lungo viaggio attraverso il fascismo” poi rievocato da Zangrandi: ovvero di quel lungo processo caratterizzato dall’assimilazione, dagli impossibili tentativi di riforma e infine dal rigetto dell’ideologia fascista di una parte rilevante di quei giovani. Un cammino culminato nella crisi morale e ideale di (quasi) un’intera generazione, che sperimentando in prima persona la guerra d’aggressione nazifascista così come il disastro militare politico sociale del paese, e confrontando queste verità con una propaganda di regime sempre più delirante e distante dalla realtà, approdò infine alla presa di coscienza sulla natura del fascismo. Altra tappa fondamentale furono gli eventi successivi all’armistizio di Cassibile, l’8 settembre 1943: la fuga di Vittorio Emanuele III, di Badoglio e dei massimi vertici militari (i quali, non lasciando nessun ordine alle truppe italiane sul campo e non curandosi neppure di allestire un posto di comando mobile per la durata del viaggio verso Brindisi, causarono l’impossibilità del Regio esercito di opporre subito una coordinata resistenza ai tedeschi, cosa sfociata nell’immediato nel grottesco episodio della mancata difesa di Roma); la facile liberazione di Mussolini dalla prigionia del Gran Sasso a opera del commando di paracadutisti guidati dal maggiore delle SS Otto Skorzeny, con la conseguente messa in piedi nel nord Italia della RSI (il cui ministro della guerra, il maresciallo Graziani, subito si affrettò a diramare bandi di coscrizione obbligatoria anche per i più giovani ragazzi del ’26); la costante minaccia della deportazione in Germania. Tutto questo mise la società italiana - e i giovani in particolare - davanti all’improrogabile necessità di una scelta: farsi arruolare nell’esercito di uno Stato fantoccio a guida nazista che in un penoso tentativo di riacquistare consenso osava definirsi “repubblica” e propagandava l’imminente avvio di politiche socialisticheggianti, oppure «darsi alla macchia e alla cospirazione, raccogliendo l’esempio delle prime bande partigiane e gli appelli in tal senso lanciati dai vari partiti antifascisti. I quali un po’ ovunque, costituivano i Comitati di liberazione nazionale, indicando nella lotta la via del riscatto, della dignità, della liberazione» <73.
Dopo lo sbarco alleato in Sicilia e l'armistizio dell'8 settembre, sarebbe stata questa la strada scelta da sempre più ragazzi e ragazze italiane, la cui azione antifascista si sarebbe coordinata nel "Fronte della Gioventù" (da non confondere con l’omonima organizzazione neofascista del MSI, che negli anni ‘70 cercò di usurpare il nome del FdG originale). Nella prima fase di nascita e affermazione del Fronte avrebbero rivestito un ruolo di primo piano quei professori e docenti universitari già attivi nella Resistenza, che spronarono la gioventù studentesca - e in generale le giovani generazioni - a prender parte attiva alla lotta di liberazione. Il 1° Dicembre 1943, poco prima di passare alla clandestinità, fu il rettore dell’Università di Padova Concetto Marchesi a lanciare l’appello all’insurrezione che ebbe più eco tra la gioventù universitaria e non solo <74; risonanza non minore avranno altri suoi scritti successivi, sempre diffusi dalla stampa clandestina, come il volantino rivolto «Ai giovani della borghesia italiana, ufficiali e studenti» <75 nel 1944.
Per quanto importanti i semplici appelli non sarebbero stati comunque sufficienti, nonostante il ribollire delle tensioni morali e ideali presenti tra i giovani: gli intellettuali antifascisti di cui tra poco si dirà si resero subito conto dell’urgenza di una nuova associazione, di un nuovo strumento per organizzare e coordinare la lotta antifascista giovanile - il FdG - con alcune caratteristiche di base.
Esso non avrebbe dovuto essere un partito, dato che le giovani generazioni cresciute sotto il regime erano sostanzialmente diseducate alla politica e anche in considerazione del fatto che irreggimentare le forze giovanili all’interno di una precisa ideologia e/o di un’ortodossia di partito sarebbe stato limitante se non addirittura controproducente: si sarebbe riprodotto qualcosa di troppo simile allo spirito totalitarista delle associazioni giovanili fasciste. Avrebbe poi dovuto essere un’organizzazione indipendente e su base rappresentativa: disponibile a collaborare con tutti i partiti associati nel CLN ma politicamente autonoma e che unisse nel confronto dialettico - primo elemento di un’educazione politica democratica - le parziali e a volte confuse piattaforme programmatiche dei movimenti giovanili dei singoli partiti. Avrebbe dovuto essere in definitiva un’organizzazione popolare di massa, che riunisse indistintamente tutti i giovani uniti nell’antifascismo, indipendentemente da una loro possibile vicinanza a un partito o a un’ideale repubblicano, liberale, socialista, comunista, anarchico, democristiano, ecc.
All’indomani del ritorno in Italia di Togliatti e della cosiddetta “svolta di Salerno”, furono soprattutto i vertici socialisti e comunisti in clandestinità a rendersi maggiormente conto della necessità di giungere a un’associazione del genere, adoperandosi dunque sia a livello pratico che teorico per la sua realizzazione. Sarà il comunista Giancarlo Pajetta, arrivato a Milano dal Piemonte dove stava organizzando le bande partigiane delle valli del Po a buttar giù - anche con l’aiuto di Luigi Longo, anch’egli comunista - i primi «appunti», da lui stesso così chiamati: ovverossia le prime considerazioni di principio secondo le quali il FdG avrebbe operato di lì a pochi mesi <76.
Insieme alle caratteristiche e ai principi fondamentali dell’organizzazione (per i quali tale gruppo di intellettuali auspicava una sincera approvazione da parte della gioventù riunita nel FdG, scartando dunque l’opzione di una direzione politica e militare calata esclusivamente dall’alto), gli «appunti» di Pajetta analizzano brevemente anche la situazione politica, militare, sociale, economica e sindacale maturata in Italia dopo l’8 settembre, con particolare  riferimento alle gravi conseguenze che essa ha avuto sulle giovani generazioni. Per riscattare le sorti di queste ultime - così come le sorti di tutto il Paese - Pajetta individua alcune linee-guida principali: la guerriglia armata
antinazista e antifascista; le attività lavorative, economiche e sindacali (come l’assistenza agli sfollati, la ricerca di alloggi, materiali e razioni alimentari per le scuole, la cura della rappresentanza giovanile nei sindacati clandestini, ecc.); le attività culturali e sportive (per affrancare i giovanissimi dai residui dell’educazione fascista e per favorire la propaganda del FdG); il coinvolgimento anche delle ragazze; le attività politiche ed educative, per riaccendere tra i giovani la consapevolezza della continuità della Resistenza attuale con le lotte popolari risorgimentali (rigettando tuttavia ogni dottrina sciovinista e imperialista); il boicottaggio delle organizzazioni giovanili fasciste che la RSI tentava di ricostituire.
L’opera di Pajetta e Longo riceverà anche l’apporto teorico di Gillo Pontecorvo (“Barnaba”, attivo già dal 1938 nel coordinare la lotta clandestina), e di Eugenio Curiel (“Giorgio”, arrivato a Milano nell’ottobre ‘43 dopo esser tornato in libertà alla caduta del regime): Pajetta lavorò all’interno del movimento partigiano per favorire la costituzione del Corpo Volontari della Libertà, e per far sì che il CLN per l’Alta Italia riconoscesse il FdG - cosa che avverrà nell’estate del ‘44, contribuendo grandemente alla solidità dell’organizzazione; mentre i vertici del partito comunista affideranno inizialmente la cura del lavoro giovanile a Curiel, che ben presto divenne una fondamentale colonna portante dell’intera organizzazione. Nato l’11 dicembre 1912 dalla famiglia di ebrei triestini composta da Giulio e Lucia Limentani e da altri quattro fratelli, antifascista sin da giovane età, Curiel si laureò a pieni voti in Fisica all’Università di Padova nel luglio del 1931. Divenuto poi assistente presso la cattedra di meccanica razionale tenuta dal prof. Ernesto Laura nel febbraio ‘34, strinse amicizia con professori quali Concetto Marchesi, Egidio Meneghetti, Enrico Opocher. Da qui in poi il suo impegno verso l’attività politica antifascista crebbe sempre più: tra 1934-35 ebbe contatti con “Giustizia e Libertà”, in seguito aderendo però al Partito comunista italiano dopo l’avvicinamento ai classici di Marx, Engels, Lenin - un’adesione pare non strettamente ideologica, quanto piuttosto dettata dalla constatazione che il PCI era la più grande, radicata e meglio organizzata forza antifascista nel Paese. Cercò dunque di mantenere viva una voce di dissenso nel GUF padovano venendo - sia per questo sia per le leggi razziali del ‘38 - cacciato. Recatosi successivamente in Francia intrattenne colloqui con i dirigenti comunisti a Parigi dai quali scaturì l’idea di avviare un lavoro “legale” all'interno delle organizzazioni di massa fasciste; una volta rientrato in Italia venne però arrestato nel 1939 e inviato al confino. Liberato nell’agosto del 1943 avrebbe partecipato alla Resistenza come massimo organizzatore del Fronte della Gioventù ed elaborando la teoria della Democrazia progressiva, considerata il suo più importante contributo teorico all'antifascismo. Venne ucciso a Milano il 24 febbraio 1945 - a pochi giorni dalla Liberazione - dalle Brigate nere della RSI. Il 24 aprile 1946 verrà insignito della Medaglia d’Oro al valor militare alla memoria <77.
Attorno a questo primo nucleo, si raccoglieranno via via nuovi intellettuali antifascisti del calibro di Ernesto Treccani, Elio Vittorini, Gianfranco Mattei, Vittoria Giunti, Quinto Bonazzola, Raffaele De Grada, Mario De Micheli e Aldo Tortorella. Ciò avrebbe portato a contatti sempre più numerosi e fruttuosi con quella gioventù universitaria (e non solo) ormai giunta al termine di quel “lungo viaggio attraverso il fascismo”, e avrebbe facilitare il richiamo di altri giovani intellettuali - ad esempio Graziano Verzotto per Padova, ma anche Dino Del Bo, Alberto Grandi, Franco Bruno, ecc. - divenuti poi attivi nella direzione politica del FdG.
Successivamente si sarebbero tenute delle riunioni segrete per mettere a punto gli aspetti operativi concreti dell’organizzazione del Fronte: una prima riunione del 6 agosto 1943 si svolse a casa del duca Gallarati Scotti - uno dei firmatari del “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, sostenitore delle formazioni liberali, indipendenti e cattoliche - alla presenza di Giuseppe Carpi e Paolo Cordova (Ricostruzione liberale), Pietro Bruno e Gianfranco Traghi (Partito d’azione), Raffaele De Grada, Vittoria Giunti e Piemonte Boni (Partito comunista). In riunioni successive - come ad esempio in quella del 10 agosto - questo nucleo fondamentale avrebbe nuovamente ripreso il tema della lotta antifascista condotta sul piano ideologico e culturale, deliberando quindi la creazione del “Bollettino del Fronte della gioventù” (l’organo centrale del FdG, a cui si ispirarono altri giornali clandestini locali) che avrebbe coniugato propaganda politica e recensioni letterarie di testi messi al bando dal regime.
In seguito sarebbe stato nuovamente Pajetta a fornire un altro apporto concettuale fondamentale, scrivendo il Manifesto programmatico vero e proprio del “Fronte nazionale della gioventù per l’indipendenza e per la libertà” - questo il nome completo dell’organizzazione. Il Manifesto <78, affisso nell’ottobre 1943 per le vie di Milano e poi ripreso dalla stampa clandestina locale, segnò la prima apparizione pubblica dell’organizzazione. I cui maggiori coordinatori furono infine Eugenio Curiel, Gillo Pontecorvo e Quinto Bonazzola per i comunisti, Renato Carli Balloba per i socialisti, Dino Del Bo ed Alberto Grandi per i cattolici.
Altra tappa fondamentale nella costruzione dell’unità del Fronte sarebbe stata infine la riunione del gennaio 1944, tenuta presso il Convento di San Carlo al Corso a Milano anche con l’aiuto dei padri serviti Camillo De Piaz e Davide Maria Turoldo, attivi partecipanti alla Resistenza (ben prima dell’8 settembre diffusero il foglio clandestino “l’Uomo”, e nascosero le armi loro affidate dai partigiani <79): alla riunione presero parte anche i giovani rappresentanti cattolici Dino Del Bo e Alberto Grandi, cosa che segnerà l’adesione al Fronte anche delle formazioni cattoliche e democristiane.
Stante la grande pluralità degli apporti teorici e pratici alla messa in piedi del FdG, i maggiori contributi vennero comunque, senza dubbio, da Eugenio Curiel: nonostante la direzione del Fronte fosse improntata alla dialettica paritetica tra i rappresentanti dei vari partiti antifascisti e al confronto tra i giovani della “base” che aderivano al FdG, Curiel ne fu se non il “Capo” il primo fondatore e il principale coordinatore. Fu sempre Curiel ad adoperarsi maggiormente nel tessere le necessarie reti di contatto <80, nell’organizzare le riunioni clandestine, e soprattutto nel mantenimento dell’unità del Fronte: quest’ultimo problema è forse quello che più di ogni altro orienterà l’azione di Curiel nel 1943-45, come si evince dai ripetuti appelli all’unità antifascista lanciati fin dal primo numero del “Bollettino del Fronte della gioventù” <81 e dalle indicazioni fornite ai responsabili regionali e ai comitati provinciali del Fronte <82.
All’organizzazione ideale e tecnica del Fronte della Gioventù sarebbero seguite le campagne di propaganda e le azioni armate vere e proprie. A partire dall’inverno 1943-44 i gruppi regionali collegati con Milano estendevano le attività del Fronte a tutti i territori dell’Italia occupata: soprattutto nelle città principali come Padova, Venezia, Verona, Firenze, Torino, Genova, Udine, Bologna, Savona, Parma, Biella, Brescia - e ovviamente Milano - si formarono gruppi del Fronte <83 nelle fabbriche e nelle scuole, che con volantini, giornali clandestini e comizi volanti incitarono gli operai allo sciopero e spronano i giovani a sottrarsi ai bandi di coscrizione di Graziani per unirsi invece alle formazioni partigiane (come SAP o GAP) o a un gruppo armato del Fronte <84.
Come detto l’attività di propaganda politica si unisce alla guerriglia con il sabotaggio delle linee di comunicazione nemiche, della segnaletica e dei treni militari, oltre alla distruzione o sottrazione di materiale bellico, alle rappresaglie contro torturatori e delatori, all’assalto alle unità nazifasciste più isolate, alla liberazione di giovani coscritti. È nel Friuli che si compiono le prime e più eclatanti azioni <85, condotte con grande autonomia - e per breve tempo anche dopo il 25 aprile, contro gli ultimi reparti nemici dispersi o in ritirata - da gruppi che assumeranno la dimensione di battaglioni.
In generale comunque (salvo eccezioni quali il caso friulano, o come quello della Brigata di Milano) i nuclei del Fronte sceglieranno una struttura più agile e maggiormente integrata nelle grandi formazioni partigiane esistenti, pur mantenendosi autonomi nella guida politica degli aderenti: a partire dall’inverno 1944 ogni gruppo armato verrà messo a disposizione del Corpo Volontari della Libertà, e molti giovani del Fronte si uniranno ai GAP cittadini, alle SAP, o alle Brigate Garibaldi: sarà Firenze la prima città nella quale i giovani volontari si batteranno in prima linea, e nella quale l’11 agosto 1944 cadrà Paolo Galizia, uno dei più noti dirigenti del Fronte.
Il FdG avrà un ruolo decisivo anche nella difesa e nelle esperienze di autogoverno delle Repubbliche partigiane, ad esempio nelle zone libere dell’Ossola, della Carnia, di Montefiorino, dell’Alto Monferrato; soprattutto in Carnia i ragazzi del Fronte contribuiranno a impedire la realizzazione di un folle progetto nazista: la cessione di parte del territorio italiano a bande di rinnegati cosacchi, uzbechi, circassi e russi bianchi zaristi, che in cambio dell’eliminazione dei partigiani locali avrebbero ottenuto la creazione del “Kosakenland in Nord Italien” - un progetto accettato senza reclami di sorta dai vertici repubblichini.
Durante l’Insurrezione generale dell’aprile 1945 i ragazzi del Fronte della Gioventù contribuiranno a diffondere il proclama "Arrendersi o perire!" lanciato dal CLNAI e dal CVL alle forze nemiche; saranno attivi in città quali Milano, Genova e Torino dove, dopo aspri combattimenti a fianco degli operai e delle altre formazioni partigiane, impediranno ai guastatori del generale Kesselring (e/o ai guastatori fascisti della X^ Mas) di distruggere ponti e impianti industriali; sempre nelle città contribuiranno a eliminare i cecchini lasciati indietro dalle sempre più sfilacciate forze nazifasciste in ritirata. Poche settimane dopo la Liberazione verrà diffuso un opuscolo del Fronte firmato dai rappresentanti dei Giovani liberali, dei Giovani democratico cristiani, della Federazione giovanile repubblicana, dei Giovani lavoratori cristiani, della Gioventù d’azione, della Federazione giovanile socialista e dei Giovani comunisti: in esso i giovani partigiani del nord salutano i giovani dell’Italia centro-meridionale, sintetizzano le ultime azioni condotte dal FdG, chiedono la creazione di un sotto-segretariato alla gioventù, e rivendica per la prima volta il diritto di voto a partire dai 18 anni <86.
Per l'aprile 1945 il comando generale del Corpo Volontari della Libertà calcolava una forza attiva di 130.000 partigiani, che raggiungevano nei giorni dell'Insurrezione generale un numero di circa 250.000/300.000 unità <87 (mentre secondo Bocca le forze partigiane effettivamente attive e combattenti ammontavano a circa 100.000 tra uomini e donne <88). A fianco o all’interno di queste formazioni maggiori combatterono anche i ragazzi del Fronte della Gioventù, che la conferenza dei “Triumvirati insurrezionali” del PCI stimava già nel novembre 1944 in almeno 15.000 unità <89, numero certamente da rivedere al rialzo nei giorni dell’Insurrezione.
[NOTE]
73 de Lazzari, Storia del Fronte della gioventù nella Resistenza, p. 27.
74 Vedi Appendice (1.).
75 Vedi Appendice (2.).
76 Vedi Appendice (3.).
77 Per ulteriori dettagli si rimanda a: http://www.treccani.it/enciclopedia/eugenio-curiel_(Dizionario-Biografico)/[Ultima consultazione: 11 dicembre 2014]
78 Vedi Appendice (4.).
79 E padre Turoldo nascose le armi dei partigiani, “Corriere della Sera”, 7 marzo 2002, p. 37.
80 Contatti estesi in ogni direzione: da quadro dirigente comunista, anche verso gli ambienti democristiani e cattolici. Padre Camillo De Piaz, all’indomani dell’uccisione di Curiel per mano fascista (il 24 febbraio 1945), celebrerà insieme al primo nucleo del FdG un messa di suffragio funebre presso il convento Servita dove era stata tenuta la fondamentale riunione del gennaio ‘44.
81 Si veda ad esempio l’articolo «Il FdG e i compiti dell’ora» in Bollettino del Fronte della gioventù, anno I, n. 1, 5 gennaio 1944 cfr. de Lazzari , Storia del Fronte della gioventù nella Resistenza, pp. 48-49.
82 Si veda ad esempio la lettera spedita al collaboratore del gruppo piemontese Paolo Cinanni (“Andrea”), nella quale Curiel sostiene che «[…] dobbiamo batterci senza rompere con gli altri, per soluzioni più democratiche, per riunioni, per conferenze di nostri aderenti, cercando con attenzione il punto nel quale passare la frontiera dalle forme paritetiche alle forme democratiche» cfr. de Lazzari, Storia del Fronte della gioventù nella Resistenza, p. 51.
83 O nascevano autonomamente associazioni antifasciste che prendevano contatti col FdG in un secondo momento.
84 A questo scopo verranno diffusi centinaia di volantini, come ad esempio quello realizzato dal gruppo di Bologna, il cui originale è oggi conservato presso l’Istituto Gramsci: «Giovani bolognesi! I gerarchi fascisti […] vogliono che vi presentiate alle armi. L’accozzaglia fascista, non contenta di aver trascinato l’Italia in una guerra ignominiosa […] vuol concludere la sua opera […] mettendo i figli del popolo gli uni contro gli altri […]. Il governo italiano ha dichiarato guerra alla Germania. I vostri fratelli dell’Italia meridionale combattono in prima linea contro i nazisti […]. Mettetevi a fianco dei partigiani, dei lavoratori e lottate […] contro gl’invasori tedeschi […] non presentatevi alle chiamate. Datevi alla macchia, andate coi partigiani […] Chi aiuta i tedeschi tradisce l’Italia. Non presentatevi.» Cfr. de Lazzari, Storia del Fronte della gioventù nella Resistenza, p. 69.
85 Si vedano ad esempio le testimonianza di Dario Bazzara, Frugolino Rizzi, Aldo Feruglio, Giuseppe De Paulis, Alceo Basandella, Vinicio Burba, Manlio Cucchini e Guido Pegoraro. cfr. de Lazzari, Storia del Fronte della gioventù nella
Resistenza: 1943-1945, pp. 68-69 e 237-240.
86 Copia dell’opuscolo è conservata presso la Biblioteca della Resistenza dell’Istituto Gramsci. Cfr. de Lazzari, Storia del Fronte della gioventù nella Resistenza, p. 125.
87 Giorgio Rochat (a cura di), Atti del Comando generale del Corpo volontari della libertà (Giugno 1944-aprile 1945), prefazione di Ferruccio Parri, Franco Angeli, Milano, 1972.
88 Giorgio Bocca, Storia dell'Italia partigiana. Settembre 1943-maggio 1945, Bari, Laterza, 1966, pp. 493-494.
89 «Nella lotta, l’organizzazione del Fronte della gioventù si è estesa e consolidata. […]. Secondo le cifre incomplete che abbiamo finora raccolto, escludendo quelli che militano nelle formazioni partigiane di montagna, sono almeno 15 mila gli attivisti del Fronte della gioventù nell’Italia occupata» in: La nostra lotta, anno II, n. 19-20, 25 novembre 1944. Cfr. de Lazzari, Storia del Fronte della gioventù nella Resistenza, p. 63.

Giacomo Graziuso, Gioventù e Università italiana tra fascismo e Resistenza: l’attribuzione delle lauree Honoris Causa nell’Archivio del Novecento dell’Università di Padova (1926-1956), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova,  Anno Accademico 2013-2014