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domenica 19 dicembre 2021

Nel 1957 Bianciardi viene licenziato dalla Feltrinelli ‘per scarso rendimento’


Dopo l’8 settembre 1943 e il conseguente sfaldarsi delle file dell’esercito italiano all’indomani dell’armistizio, Luciano Bianciardi si aggrega, in qualità di interprete, a un reparto di soldati inglesi; viene trasferito a Forlì, poi torna finalmente a Grosseto. Nel novembre dello stesso anno, deciso a continuare gli studi universitari, viene ammesso alla Scuola Normale di Pisa, in seguito a un concorso bandito per settanta tra reduci e partigiani. Successivamente, nell’autunno del ’45, si iscrive al Partito d’Azione, un’esperienza molto importante, rivelatrice di quella che agli occhi di Bianciardi è una profonda necessità per la politica: vale a dire lasciarsi guidare dagli intellettuali, tratto questo inscritto nella storia del partito. Bianciardi ricorda così quell’esperienza politica:
"Io mi ero iscritto […] al Partito d’azione; il qual partito non è facile ora dire che cosa sia stato, anche perché fu forse molte, troppe cose. Mi pare […] di poter dire che fu un altro tentativo di governo (l’ultimo?) della piccola borghesia intellettuale. Cadde per le contraddizioni interne e per la incapacità ormai accertata del nostro ceto, privo di contatti con gli strati operai e quindi largamente disposto a tutti gli sterili intellettualismi ed alla costruzione gratuita di problemi astratti".
Quando il Partito d’Azione si scioglie, nel 1947, Bianciardi rimane profondamente deluso.
Nel febbraio del 1948 si laurea discutendo con Guido Calogero una tesi dal titolo: "Il problema del conoscere nel pensiero di John Dewey". Nell’aprile dello stesso anno sposa Adria Belardi, contro il volere di sua madre, che voleva per il figlio una laureata e non la semplice figlia di una cappellaia; nell’ottobre del 1949 nasce il primogenito di Luciano, Ettore. La paternità a ventisette anni tocca corde profonde nell’uomo Bianciardi, come rivela un altro brano di "Nascita di uomini democratici":
"Venne anche mio padre, quel giorno, accanto alla nuova culla, e parlammo della nostra vita, e di quella nuova vita che era nata ora. Dovemmo concludere che avevamo fallito, lui ed io, e forse anche suo padre, se c’erano state due guerre mondiali con tanti morti, e la miseria e la fame, e così scarsa sicurezza di vita e di lavoro e di libertà per gli uomini del mondo. Io conclusi che non doveva più accadere tutto questo, che non volevo che mio figlio, come me e come mio padre, rischiasse un giorno di morire o di uccidere, di soffrire la fame o di finire in carcere per avere idee sue, libere. Non potevo neppure più rinunciare ad avere fiducia nel mio mondo e nei miei simili, chiudermi in un bel giardinetto umanistico e di ozio incredulo, soddisfatto dell’aforisma che al mondo non c’è nulla di vero. Dovevo scegliere, la presenza di mio figlio me lo imponeva, non potevo neppure pensare di risolvere il problema individualmente, o di rimandarlo a più tardi, cercare, al momento buono, di truffare l’Ufficio leva, o creare per mio figlio una situazione di privilegio, far di lui ‘il primo della classe’, come aveva voluto mia madre. Non ci sarà soluzione sicura per mio figlio se non sarà sicura anche per tutti i bambini del mondo, anche questo mi pareva abbastanza chiaro... non basta essere soli col proprio lavoro e con la propria miseria, ci vuole anche un figlio per desiderare l’avvenire e lavorare a costruirlo".
Dopo aver insegnato per qualche anno inglese in una scuola media, Bianciardi diventa professore di storia e filosofia nello stesso liceo che aveva frequentato come studente; nel 1951 accetta l’incarico di direttore della locale Biblioteca Chelliana, semidistrutta dai bombardamenti e dall’alluvione del 1946, dando avvio all’iniziativa del Bibliobus, un furgone carico di libri della biblioteca che viaggia per la campagna grossetana, andando a raggiungere anche gli abitanti dei paesi più isolati.
Bianciardi ricorderà sempre il periodo grossetano come quello più felice della sua vita e in effetti la sua vivacità, l’energia e l’entusiasmo che lo animano sono evidenti.
Sono questi gli anni nei quali si occupa attivamente di un cineclub, organizza cicli di conferenze e dibattiti insieme a Carlo Cassola, - che in quel periodo si era trasferito a Grosseto e insegnava nello stesso liceo di Bianciardi - e partecipa alla creazione del “Movimento di Unità Popolare”.
Nel 1953, un anno importante per Bianciardi, s’impegna concretamente in politica, legando il suo nome alla breve ma estremamente significativa esperienza della creazione del Movimento di Unità Popolare, “cartello elettorale” costituitosi il 18 aprile 1953 dalla confluenza “di due movimenti: il Movimento di autonomia socialista (Mas) e l’Unione di rinascita repubblicana (Urr) […] a seguito delle scissioni che avevano assottigliato il fianco sinistro rispettivamente del Partito Socialdemocratico (Psdi) e del Partito Repubblicano italiano (Pri) […] con il contributo del movimento di Giustizia e Libertà, ricostituito da Carlo Cassola nel grossetano” (Colozza).
Bianciardi, molto legato all’amico scrittore Cassola, collaborò con lui a questa breve ma significativa esperienza politica, nata per contrastare l’approvazione della cosiddetta ‘legge truffa.’ 
Come è noto, la finalità che questo cartello elettorale si diede, venne raggiunta: "L’esito della battaglia elettorale di Movimento di Unità Popolare (Up) fu vittorioso, nel senso che Up vide coronato l’obiettivo per cui era sorta: impedire che la maggioranza centrista ottenesse il 50% + 1 dei suffragi ed avesse quindi diritto al premio di due terzi dei seggi parlamentari previsto dalla nuova legge. Peraltro, ciò non deve indurre a pensare che il ruolo di Up sia stato decisivo nell’economia del risultato". (Colozza 1)
L’esperienza, al di là del suo effettivo contributo elettorale, è, come accennavo, importante perché fa ben comprendere come Bianciardi concepisca, fin dalla giovane età, il ruolo dell’intellettuale in intima connessione con l’impegno sociale e, ove necessario, direttamente politico: ogni tentazione di rinchiudersi in una torre d’avorio, dove occuparsi esclusivamente di disincarnate questioni intellettuali, disinteressandosi della vita politica e sociale, gli è pertanto del tutto estranea. La vicenda del Movimento di Unità Popolare viene infatti “generalmente associata a quella del Partito d’azione, di cui essa per certi versi rappresentò una riedizione”, così scrive Giovanni De Luna in Storia del Partito d’Azione 1942-1947. E, a corroborare questo aspetto del pensiero di Bianciardi, va messo in rilievo il nome che l’amico Cassola scelse per il movimento nel grossetano: Giustizia e Libertà, il nome del movimento antifascista fondato a Parigi dai fratelli Rosselli nell’agosto del 1929, di cui il Partito d’azione fu poi il principale erede politico. Come si vede, il cerchio si stringe e rivela la propria unità di ispirazione ideale.
Nei primi anni Cinquanta un ex collega di università di Bianciardi, Umberto Comi, assume la direzione della Gazzetta di Livorno e gli affida la cura di una rubrica intitolata “Incontri Provinciali”. Nello stesso periodo Bianciardi inizia a collaborare anche con altre testate: Belfagor, l’Avanti; nel 1953, inizia a scrivere per II Mondo mentre nel ’54, avvia la collaborazione con II Contemporaneo. Il 1954 è l’anno in cui Bianciardi, insieme a Carlo Cassola, scrive per l’Avanti un’inchiesta sulle condizioni di vita dei minatori. Con il già citato Bibliobus, i due scrittori si recano spesso a Ribolla, un piccolo agglomerato costituito dalle case dei minatori nei pressi di Grosseto. Bianciardi prende molto a cuore la condizione dei minatori: si informa sulle loro condizioni di lavoro, li intervista, ne scrive le biografie e ne diventa amico. Il 4 maggio 1954 salta in aria uno dei pozzi della miniera di Ribolla per un’esplosione di grisù uccidendo 43 persone: questa tragedia porterà Bianciardi alla decisione definitiva di partire per Milano. Quando il poeta Antonello Trombadori gli chiede se sia disponibile a partecipare alla costituzione di una nuova casa editrice, la Feltrinelli a Milano, Bianciardi accetta subito e parte frettolosamente per il capoluogo lombardo.
Nell’aprile del successivo 1955 gli nasce la figlia Luciana.
Inizia a collaborare a Nuovi Argomenti e l’Unità, nel frattempo lo raggiunge a Milano Maria Jatosti, che sarà la sua compagna per più di quindici anni e nel 1958 gli darà il terzo figlio, Marcello.
Nel 1956, insieme a Carlo Cassola, pubblica presso Laterza I minatori della Maremma, il libro inchiesta sulle condizioni di vita dei minatori, che porta avanti con ben altro respiro e maggiore ambizione gli articoli sul medesimo argomento scritti nel 1954 per le colonne de l’Avanti.
Contemporaneamente, comincia a lavorare a Cinema Nuovo, la rivista diretta da Guido Aristarco e finanziata dall’editore Feltrinelli, ma dopo un breve, infelice periodo di collaborazione con Aristarco, passa alla redazione della casa editrice vera e propria. Qui gli viene offerta la traduzione de Il flagello della svastica di Lord Russell, il secondo titolo pubblicato dalla neonata casa editrice Feltrinelli, che Bianciardi traduce in pochi mesi; è questo l’inizio della sua carriera di traduttore, che continuerà fino alla morte e che Bianciardi chiamerà “il mio diuturno battonaggio, carte su carte di ribaltatura”.
Nel 1957 Bianciardi viene licenziato dalla Feltrinelli ‘per scarso rendimento’: scrive in una lettera del febbraio 1958 all’amico Terrosi, “E mi licenziarono soltanto per via di questo fatto che strascico i piedi, mi muovo piano, mi guardo intorno anche quando non è indispensabile”.
Feltrinelli gli garantisce però che continuerà ad affidargli lavori di traduzione e in fondo per Bianciardi è una liberazione: niente orari da rispettare e soprattutto niente ipocrisie inutili.
“La verità è che le case editrici sono piene di fannulloni frenetici: gente che non combina una madonna dalla mattina alla sera, e riesce, non so come, a dare l’impressione, fallace, di star lavorando. Si prendono persino l’esaurimento nervoso.” 
Parallelamente al lavoro di traduzione, Bianciardi pensa a una cosa tutta sua, una sorta di autobiografia: realizza così II lavoro culturale, pubblicato da Feltrinelli nello stesso anno. Nel luglio del 1959, a Chianciano, in dieci giorni di ‘vacanza traduttoria’, Bianciardi scrive L’integrazione, pubblicato da Bompiani l’anno seguente. Bianciardi continua il lavoro di traduzione e si riserva soltanto la domenica per scrivere cose sue: nasce così Da Quarto a Torino. Breve storia della spedizione dei Mille, pubblicata sempre dai tipi di Feltrinelli nel 1960, una prova narrativa che definisco importante per il piglio franco e vigoroso con cui si abbandona al puro piacere della narrazione, che segue le vicende della spedizione dei Mille dalla partenza da Quarto fino al momento in cui Garibaldi, l’amatissimo eroe del libro, abbandona il campo all’esercito dei Savoia. Traduce entusiasticamente entrambi i Tropici di Miller e scrive quello che diventerà il suo capolavoro: La vita agra.

Ilaria Muzzi, Il dilemma del prigioniero. Luciano Bianciardi e il disincanto del moderno, A dissertation submitted to the Graduate Faculty in Comparative Literature in partial fulfillment of the requirements for the degree of Doctor of Philosophy, The City University of New York, 2016, qui ripresa da academicworks.cuny.edu