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lunedì 7 marzo 2022

La riluttanza di Franklin Delano Roosevelt a porsi in contrasto con le frange più conservatrici del partito democratico

La signora Mary McLeod Bethune e la signora Roosevelt

«L’idea che il miglioramento delle relazioni interrazziali sia uno dei compiti del governo risale alla nostra amministrazione […] La storia di quest’idea è la storia della nostra amministrazione» <2. Qualche mese prima delle elezioni del novembre 1944, Alfred E. Smith aveva scelto di cominciare così un suo intervento sul Journal of Negro Education, in cui gli era stato chiesto di fornire un giudizio di lungo periodo sui contributi delle agencies newdealiste all’emancipazione politica, civile, economica e sociale degli afroamericani. Smith, che tra il 1934 e il 1943 era stato Race Relation Officer all’interno prima della Federal Emergency Relief Administration (FERA) e poi della Works Progress Administration (WPA), riservò il cuore delle sue valutazioni positive all’esperimento istituzionale da lui ritenuto strategicamente più decisivo per «fornire consigli politici e suggerimenti pratici […] mirati al potenziamento dei programmi governativi sulle relazioni interrazziali» <3. Il riferimento era alla storia dell’attività del Federal Council on Negro Affairs (FCNA), un comitato «a maglie larghe […] che per poco più di cinque anni ebbe in mano il destino dei Negri» <4.
Fondato il 7 agosto 1936 da Mary McLeod Bethune, direttrice della Division of Negro Affairs della National Youth Administration (NYA), il Black Cabinet (BC) - denominazione con cui fu spesso identificato al di fuori dell’ambito istituzionale - era stato concepito come un comitato informale per raccogliere i racial advisers coinvolti a vario titolo all’interno delle strutture federali e delle agenzie newdealiste. Secondo i propositi della sua fondatrice, che ne sarebbe rimasta sempre alla guida, l’eccezionalità offerta dal contesto del Second New Deal aveva consegnato agli afroamericani opportunità ma anche responsabilità inedite ed esclusive, che richiedevano «un interesse comune per soddisfare le esigenze più urgenti dei Negri» e, dunque, di «dimenticare il particolare incarico di ciascuno, per scambiarsi personalmente informazioni [e per] capire in modo approfondito il lavoro dei numerosi dipartimenti» <5.
Già nel giugno dell’anno precedente, quando era divenuta la seconda donna a vedersi riconoscere dalla NAACP la Spingarn Meda <6, Bethune aveva individuato nel New Deal l’avvio di un passaggio storico. Uomini e donne nere stavano infatti cogliendo l’inedita disponibilità da parte del governo ad aprirsi a un confronto inclusivo che, d’altra parte, richiedeva l’impegno verso la realizzazione di «nuove forme di partecipazione politica» <7.
Il FCNA era stato dunque ideato proprio per costruire uno spazio di dibattito ampio e allargato, in grado di porsi come riferimento privilegiato delle istituzioni per favorire l’inclusione delle minoranze nell’agenda governativa. Volendo anche operare come gruppo di pressione sull’amministrazione, per correggere e raffinare l’approccio teorico e politico alla questione razziale, il FCNA «sviluppò le sue efficaci attività attorno a quattro ambiti: influenzare le politiche delle singole agencies, assicurare adeguate iniziative per garantire l’approvazione di buone pratiche, seguire le dinamiche istituzionali, informare e fare divulgazione» <8.
Questo ultimo punto rappresentò non solo una strategia collaterale ma anche una seconda e altrettanto vitale ragione alla base della fondazione del BC. Bethune, che nel 1935 era stata chiamata dall’amministrazione federale nel momento più alto della sua carriera di leader nei movimenti di emancipazione delle donne nere, fu intenzionata a rendere il gruppo un interlocutore politico di riferimento, non solo per i vertici ma anche per la società civile. Per questo, fin dalle prime riunioni, fu stabilito che ai progetti condotti da ogni singolo racial advisers all’interno di ciascuna agenzia fossero associate molteplici forme di scambio e di collaborazione con il mondo dell’associazionismo. Proprio la configurazione informale dell’organismo, rimasto senza un qualsivoglia riconoscimento ufficiale, costituì una scelta consapevole per coinvolgere in modo inclusivo i rappresentanti dei movimenti e per «ottenere migliori risultati […] ragionando e programmando insieme» <9. Secondo Bethune, superare i ristretti confini istituzionali e includere in modo partecipativo la leadership dei movimenti era vincolante «per pensare come un tutt’uno, per garantire il miglior servizio ai nostri concittadini [e per] mantenere sempre vivo il tema della discriminazione» <10. L’impegno del FCNA si innestò dunque attorno a due nodi in apparenza slegati ma che, invece, avevano caratterizzato l’esperienza di Bethune in modo strettamente connesso e interdipendente. La sua più che ventennale leadership nelle associazioni locali e nazionali di donne nere l’aveva portata a credere con forza che il FCNA avesse il dovere di pensare «a come poter, in modo cooperativo, chiarire alla collettività le cose fatte e le cose da fare per i Negri» <11.
Pur riuscendo a coinvolgere quasi cinquanta membri all’apice della sua attività nel 1939, il FCNA ha sofferto di una lunga disattenzione da parte della storiografia. Sebbene molti studi siano concordi nel definirlo un comitato singolare, senza precedenti e meritevole di una rinnovata attenzione scientifica, anche nelle maggiori ricostruzioni sul New Deal esso ha trovato poco spazio di approfondimento specifico. Il dibattito scientifico offre comunque un quadro ricco, all’interno del quale il passaggio tra la seconda metà degli anni Trenta e i primi anni Quaranta continua a essere oggetto di discussioni interdisciplinari e a rappresentare una delle fasi costantemente narrate e contronarrate dalla storiografia. I principali filoni di studi, coltivati fin dagli anni successivi al secondo conflitto mondiale e ormai consolidati, hanno riconosciuto il sostanziale fallimento delle politiche strutturali del New Deal di fronte agli afroamericani <12. Le interpretazioni di Alan Brinkley, Gary Gerstle e Raymond Wolters hanno giudicato la mancata approvazione di politiche razziali incisive soffermandosi soprattutto sul timore e sulla riluttanza di FDR [n.d.r.: Franklin Delano Roosevelt] a porsi in contrasto con le frange più conservatrici del partito democratico <13. Anche lo studio molto più recente di Ira Katznelson ha confermato che «l’amministrazione Roosevelt seguì una strategia di pragmatica dimenticanza sulle questioni razziali il più a lungo possibile» <14. Eppure, questa stessa storiografia ha riconosciuto che «una popolazione disperata […] vide Roosevelt salvarla dalla fame» <15 e che «il New Deal offrì agli afroamericani benefici materiali e riconoscimenti più di qualsiasi altra amministrazione» <16.
La storiografia si è dunque soffermata in vari modi sul contributo politico del New Deal all’emancipazione politica, civile, economica e sociale degli afroamericani. Impegnandosi a problematizzare la complessa tensione tra i risultati concreti delle riforme e l’ascendente simbolico della famiglia presidenziale, molti studi hanno individuato nel passaggio tra la seconda metà degli anni Trenta e i primi anni Quaranta un complesso e intricato turning point, «una fase di semina e non di raccolto» che portò innegabilmente a «una più completa partecipazione dei neri nella società americana» <17. Ad oggi, la letteratura offre una tradizione di lungo periodo e di ampio respiro in merito a questioni, approcci e metodologie sulle forme di inclusione della questione razziale nel più ampio progetto del New Deal. Eppure, alcune esperienze politiche innovative e singolari sono spesso state lasciate ai margini, concorrendo a sottostimare il protagonismo di uomini e donne nere come soggetti attivi e dirimenti sulla scena istituzionale.
[...] Nell’estate del 1941 Weaver strutturò più minuziosamente la sua divisione all’interno dell’OPM, occupandosi a sviluppare una concreta presenza sul territorio ad avviare strette forme di collaborazione con le organizzazioni locali, le associazioni di categoria e il mondo imprenditoriale. Pur occupandosi di promuovere le attività istituzionali, Weaver confermò la propria distanza dai movimenti, si trovò in conflitto con la NAACP e suscitò giudizi contrastanti anche all’interno del FCNA. La parziale rottura si coagulò attorno al caso della Brewster Aeronautical, una società newyorchese che aveva attirato forti accuse di discriminazione da parte della NAACP <46. Nel mese di luglio Weaver difese invece la compagnia, annunciando la recente assunzione di un gruppo di afroamericani. La NAACP lo ritenne un gesto strategico, unicamente teso a evitare proteste, tanto che Roy Wilkins e Walter F. White si definirono «letteralmente infuriati contro Robert C. Weaver per le dichiarazioni rilasciate dall’OPM» <47. Dopo un successivo scambio di comunicazioni, in cui Weaver difese il proprio operato mentre White gli intimò di «[stare] estremamente attento a prevenire report troppo ottimistici su pratiche di assunzione nell’industria bellica» <48, anche il FCNA si spaccò. Su National Grapevine, Alfred E. Smith si espresse con ostilità, asserendo che «sebbene Weaver [avesse] lavorato molto e raggiunto alcuni risultati definiti e storici per l’impiego dei Negri […] egli aveva comunque perso la faccia facendo dichiarazioni grandi e troppo ottimistiche sulla stampa» <49.
Al contrario, Smith continuò invece a celebrare la figura di Bethune e il lavoro da lei portato avanti all’interno del FCNA, nonostante il periodo di stasi per lo stato di salute piuttosto critico. Provando a coniugare l’impegno istituzionale a una presenza sempre più attiva e critica dei movimenti e delle donne nere nello sforzo bellico, l’attività politica e la leadership di Bethune raggiunsero esiti particolarmente significativi proprio nei primi anni Quaranta. Per Smith, in primo luogo, «la personale amicizia con Eleanor Roosevelt le [garantiva] libero accesso alla Casa Bianca» <50. In effetti, come è stato riconosciuto anche da Elaine M. Smith, Bethune e la first-lady coltivarono «una amicizia interrazziale rara, pubblica e privata» <51, caratterizzata da forme di cooperazione variegate. Nel 1941, Bethune era ormai particolarmente vicina a Eleanor Roosevelt, che fu coinvolta nel progetto educativo del Bethune-Cookman College e si dimostrò altrettanto presente per la NYA e per il NCNW. A nome del FCNA, Bethune aveva inoltre continuato a sollecitare il suo intervento e la sua mediazione per favorire l’inclusione degli afroamericani e contrastare la discriminazione nel programma di difesa. Molti report e memorandum venivano direttamente inoltrati alla Casa Bianca, chiedendo una diretta azione della first-lady per favorire «l’inclusione dei Negri nell’elaborazione e nell’organizzazione di nuove agenzie per la difesa» <52.
[...] già nel settembre 1939 Bethune era entrata a far parte del Committee to Defend America by Aiding the Allies, sostenendo fortemente la necessità di un imminente intervento da parte degli Stati Uniti per contrastare i totalitarismi europei, in linea con i precedenti impegni pubblici per richiedere condanne ufficiali o interventi mirati del presidente e del governo contro l’ascesa dei fascismi in Europa e le politiche razziste di Germania e Italia, le leggi di Norimberga, gli accordi di Monaco <64.
La NYA, ormai spostata dalla WPA alla FSA, fu particolarmente coinvolta nello sforzo bellico. Al suo interno, Bethune e il direttore Aubrey W. Williams si occuparono di promuovere le attività dell’agenzia e di coinvolgere la società civile nello sforzo internazionale. Come direttrice della Division for Negro Affairs, Bethune si ritagliò un ruolo attivo soprattutto nel sollecitare la mobilitazione femminile. Infatti, si attivò per la fondazione e la gestione del Negro Woman’s Committee for Democracy in National Defense. Credendo che «l’esclusione e la discriminazione nelle agenzie governative [mettesse] in serio pericolo la nazione» <65, il comitato fu fondato nel 1941 e riunì gruppi e associazioni femminili particolarmente interessate ad esercitare un ruolo attivo nel programma di difesa. Poiché «il mondo [era] impegnato in una lotta per il mantenimento della democrazia» <66, il movimento si impegnò a sottolineare il ruolo attivo che anche le donne nere avrebbero dovuto ricoprire all’interno della società. Il comitato cercò la collaborazione dei racial advisers attorno a una serie di temi specifici, chiedendo in particolare una «mobilitazione a livello nazionale per il lavoro nelle industrie di difesa […] la formazione e l’apprendistato per i giovani» <67, concentrandosi soprattutto sulla mobilitazione femminile poiché «le donne Negre [potevano] e [dovevano] partecipare allo sforzo comune per rendere la democrazia funzionante» <68.
[...] Sottolineando la mancanza di rispetto delle politiche contro la discriminazione e dell’Executive Order 8802 emanato nel luglio del 1941, Bethune chiese al direttore della NYA di «impegnarsi a dichiarare una politica chiara, con un linguaggio diretto e preciso, che [potesse] costituire il principio guida per dare direttive a seguito della riorganizzazione dell’agenzia» <81. La sempre più forte denuncia da parte dei movimenti aveva spinto Bethune ad assumere posizioni particolarmente critiche verso le istituzioni e a influire sull’avvicinamento sempre più significativo del FCNA ai movimenti, rivestendo un ruolo non secondario nella fase forse di più acuta crisi, generata dal MOWC di Randolph e dal rischio di una marcia di protesta sulla capitale.
[NOTE]
2 A.E. Smith, Educational Programs for the Improvement of Race Relations: Government Agencies, in The Journal of Negro Education, Vol. 13, No. 3 (Summer, 1944), p. 361.
3 Ibidem, p. 363.
4 Ibidem, p. 364.
5 Minutes of the First Meeting of the FCNA, 7 August 1936, MMB, RSC, p. 2, r. 7, 0693.
6 La prima donna a ricevere la Spingarn Medal della NAACP era stata Mary B. Talbert nel 1922. Dopo Bethune, nel 1939 il riconoscimento fu assegnato alla cantante Marian Anderson.
7 M. McLeod Bethune, Twenty-First Spingarn Medalist, MMB, ARC, b. 2, f. 1.
8 A.E. Smith, Educational Programs for the Improvement of Race Relations, cit., p. 365.
9 Minutes of the First Meeting of the FCNA, cit.
10 Ivi.
11 Ivi.
12 Alcuni tra i primi studi più d’impatto sul New Deal in rapporto all’emancipazione razziale: H. Garfinkel, When Negroes March. The March on Washington Movement in the Organizational Politics for FEPC, Glencoe, The Free Press, 1959; R.E. Sherwood, Roosevelt and Hopkins: an Intimate History, Harper & Brothers, New York, 1948.
13 Cfr. A. Brinkley, The End of Reform: New Deal Liberalism in Recession and War, New York, Vintage, 1995; G. Gerstle, The Crucial Decade: The 1940s and Beyond, in The Journal of American History, Vol. 92, No. 4 (Mar., 2006), pp. 1292-1299; Id., The Protean Character of American Liberalism, in American Historical Review, 99 (Oct. 1994), pp. 1043-73; R. Wolters, The New Deal and the Negro, in J. Braeman, R.H. Bremner, D. Brody (eds.), The New Deal, Columbus, Ohio State University Press, 1975, pp. 170-217.
14 I. Katznelson, Fear Itself: The New Deal and the Origins of Our Time, New York, W.W. Norton, 2013, p. 168.
15 Ibidem, p. 176.
16 R. Wolters, The New Deal and the Negro, cit., p. 170.
17 H. Sitkoff, A New Deal for Blacks. The Emergence of Civil Rights as a National Issue: the Depression Decade. 30th Anniversary Edition, New York, Oxford University Press, 2009, p. XX.
46 W.E. Pritchett, Robert Clifton Weaver and the American City, cit., p. 100.
47 W.F. White, R. Wilkins cit. in W.E. Pritchett, Robert Clifton Weaver and the American City, cit., p. 101.
48 W.E. Pritchett, Robert Clifton Weaver and the American City, cit., p. 102.
49 C. Cherokee, National Grapevine, 13 September 1941, AES, ARK, b. 5, f. 4.
50 C. Cherokee, National Grapevine, 9 August 1941, AES, ARK, b. 5, f. 4.
51 E.M. Smith, Pursuing a True and Unfettered Democracy, cit., p. 108.
52 M. McLeod Bethune to E. Roosevelt, 8 April 1941, ER, RSC, p. 1, r. 0863.
64 E.M. Smith, Pursuing a True and Unfettered Democracy, cit., p. 137.
65 Announcing a Nation-Wide Call to Negro Women of America, 28 June 1941, RG 119, NARA, b. 6, f. Broadcasts 1939.
66 Ivi.
67 Ivi.
68 Ivi.
81 M. McLeod Bethune to A.W. Williams, 20 May 1942, AW, FDRL, b. 7, f. 1942-43 Program.
Annalisa Mogorovich, Un comitato informale nell'amministrazione Roosevelt. Il Federal Council on Negro Affairs e la leadership di Mary McLeod Bethune (1936-1943), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 2015-2016