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martedì 3 maggio 2011

Varaldo o del giallo italiano

Pur essendo (stato?) un accanito lettore di romanzi polizieschi, il nome del ventimigliese Alessandro Varaldo mi era sempre un po' sfuggito, nonostante il fatto che pubblicazioni locali ne facessero spesso cenno e che un lungomare della città di confine da anni ne riportasse il nome.

Forse tenevo più da conto altri autori italiani degli anni '30, di cui percepivo, come poi riscontrato in autorevoli commentatori, le grandi potenzialità inesorabilmente tarpate dalle forbici censorie fasciste.

Eppure Varaldo fu espressamente incaricato dal fondatore della storica collana, che doveva ubbidire alle direttive schizoidi di quel regime tese ad alternare in un certo numero pubblicazioni nostrane a quelle straniere, di stendere il primo romanzo giallo italiano. Schizoidi perché - e mi spiace rovinare eventualmente la sorpresa a qualcuno - gli assassini, ad esempio fondamentale, dovevano essere invariabilmente stranieri.

Nel dopoguerra i lettori faticarono sia a trovare che ad appassionarsi per le opere dei pochi autori italiani di genere. Ruppe alquanto il ghiaccio Scerbanenco, che venne subito, credo, dimenticato. 

Oggi, a mio avviso, il mercato sforna sin troppi libercoli che sembrano videogames in carta stampata, forse conseguenza imitativa del difficile successo ottenuto dagli specialisti italiani che infine un po' di attenzione hanno ottenuto, scrivendo opere degne, spesso - ironia della sorte! - ambientate negli anni bui del fascismo, e contribuendo a creare un vero e proprio giallo sociale italiano.

Anche queste righe sono, da parte mia, una sorta di appunti, in parte ripresi da precedenti post, come per sottolineare che in modo più organico prima o poi dovrò decidermi a dare libero sfogo al mio entusiasmo per tanti autori nostrani di questo settore.

Sì, perché lo spunto per accingermi a scrivere quanto sopra me lo ha fornito il corrente 135° anniversario della nascita di Alessandro Varaldo, occasione nella quale a Ventimiglia ne é appena stata rieditata una trilogia di romanzi storici, quanto meno interessanti per la ricostruzione di vicende e luoghi. Nella prefazione viene ricordato, altresì, come venisse restaurato a cura di Bartolomeo Durante il "Fondo Varaldo" conservato nella storica Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia, che a sua volta meriterebbe diversi capitoli a parte. E a parte merita, credo, ora che ne so di più, parlare ancora di Varaldo, che fu anche drammaturgo e fondatore e presidente, prima di essere sostituito da un gerarca, della SIAE.

Sullo sfondo la spiaggia delle Asse di Ventimiglia cara - come ho letto mentre mi documentavo un po' - ad Alessandro Varaldo




lunedì 11 aprile 2011

Bar Irene, Ventimiglia


Ogni tanto qualcuno mi parla del Bar Irene di Ventimiglia (IM), che si trovava, inizialmente come locale molto piccolo, nella strada in fondo nella fotografia riportata qui sopra. Qualche tempo fa, parlando con uno dei primi proprietari, il medesimo mi fece scivolare nel discorso che qualcuno voleva scriverne la storia: ignorando, come il sottoscritto, in quel momento che qualcosa, anzi, ben più di qualcosa, come poi specificherò, era già stato in proposito realizzato.

Il fascino di quel locale, irradiato dal 1968 a metà anni '70, prima di cambiare anche nome, stava nel fatto, per dirla in estrema sintesi, che fu luogo, pur essendo fisicamente un semplice ritrovo come potevano essere tanti altri, di confronto civile e culturale per molti giovani e molti adulti. Mi riesce difficile spiegarne le ragioni:  di sicuro giovò la presenza di un cinema, poi chiuso come tanti altri, e della Camera del Lavoro, oggi in una sede più grande a poche decine di metri di distanza.

Molte persone di cui ho già parlato o le ho conosciute o le ho frequentate anche in quell'esercizio.

Vi passarono in quegli anni uomini molto significativi. Di Francesco Biamonti, non ancora famoso e sempre disponibile a discutere, ho già in altra occasione accennato. Rimarco, ma avrei già dovuto farlo in precedenza, nell'occasione, come per altri di cui ancora dirò, il link che ho qui prima evidenziato.

Di Elio Lanteri, emerso come scrittore originale di questo entroterra solo poco prima della sua recente morte, voglio ricordare la carica umana non usuale, mentre rimando ad Imperia Parla, perché chi volesse, come mi auguro, saperne di più, con pazienza, di collegamento in collegamento può scoprirne il fascino d'autore, così come messo in evidenza da più commentatori. Ad ogni buon conto qui si può rinvenire una significativa recensione, di cui ringrazio virtualmente gli estensori.

Di Guido Seborga non sono del tutto sicuro di una sua qualche presenza al Bar Irene, ma la fugace conoscenza che ne potei personalmente avere l'ho ricavata di sicuro per occasioni maturate tra quelle mura.

Infine, arrivando al punto cui ho già accennato in premessa, una testimonianza già pubblicata del Maestro Scultore Elio Lentini, raccolta con usuale competenza da Bartolomeo Durante, che pur frequentò in quegli anni quel locale, fa vibrare ben altre intense corde di quelle che son capace di toccare io. Ne stralcio qualche passo qui di seguito: "La Ventimiglia che non c'è più: anni '60 - '70 l' "Accademia" estemporanea del bar Irene ... Aniante, Comisso, Laurano, Morlotti, Biamonti e tanti altri intellettuali nel ricordo di un protagonista: il Maestro Scultore Elio Lentini ... Eran altri tempi, di ideologie e di passioni, tempi anche controversi intrisi comunque di sogni. L'autografo del Maestro Elio Lentini, che fu testimone di quella stagione, permette di riviverla assieme a personaggi divenuti celebri e con altre persone dimenticate anche contro la ragionevolezza. E' uno spaccato di storia intemelia ma non di una storia ordinaria ... in un modo o nell'altro i protagonisti di quella stagione, sempre sospesa sugli equilibrismi di quell'epoca controversa che corre dal '68 ai primi anni '70, hanno lasciato in molti un ricordo profondo ... e anche degli insegnamenti."

Aggiungo, infine, che qui si trova la continuazione di questa testimonianza, in una pagina molto intensa, ancorché dettagliata.



venerdì 4 marzo 2011

Storie nostrane

Camporosso (IM): Frantoio dello Sfrollo

Dalle mie parti, da Bordighera (IM) al confine, compreso l'entroterra, vale a dire in questa zona, detta Intemelia in onore di un'antica tribù dei Liguri, la Storia non é passata certo leggera, forse per la lunghissima funzione di limite politico-amministrativo, risalente di sicuro all'età romana. Tanti autori ne hanno parlato, tante persone oggi ne scrivono, sul posto, con affetto e competenza affidandosi a diversi mezzi di comunicazione. Ed anche l'arte figurativa, la letteratura e la poesia hanno trovato qui  feconda ispirazione, soprattutto per il paesaggio. Sempre più mi appassiona la materia e sempre più penso che sia interessante farne talora almeno qualche accenno, anche nella consapevolezza che qualcosa di analogo sussiste indubbiamente in tante altre situazioni geografiche del nostro Bel Paese, apparentemente trascurate dai Grandi Annali.
Charles Garnier: Bordighera (IM), Chiesa di Terrasanta, part.

Alpi Marittime francesi, Valle delle Meraviglie, part. (Foto di Alfredo Moreschi di Sanremo)
Un grande evento, abbastanza noto, fu il turismo d'elite inglese dell'800 che ha fatto conoscere le due Riviere (compresa quella nizzarda) un po' ovunque, creando altresì in loco fattori di intensa vita culturale: basti rammentare che la scoperta e la prima valorizzazione delle testimonianze preistoriche della Valle delle Meraviglie venne effettuata da un figlio di Albione, che aveva base all'epoca a Bordighera, e, tra gli artisti che allora da noi trovarono ispirazione o, comunque, lasciarono decisi segni, almeno Claude Monet e Charles Garnier.
Ventimiglia (IM) - la medievale Porta Canarda (Foto di Alfredo Moreschi di Sanremo)
Rivado, invero, con il pensiero allo stupore giovanile di quando rinvenivo nei libri di testo, in anticipo sulle lezioni, tracce locali in grandi autori, da Tacito che in "Vita di Agricola" attesta in territorio ventimigliese la morte della madre del condottiero ad opera degli scherani di Otone, a Dante con il suo ricorso al paragone della costa scoscesa tra Lerici e Turbia (l'attuale La Turbie davanti agli occhi qui da noi ogni giorno se solo si alza lo sguardo), a Foscolo che nell'"Ortis" compie una descrizione veritiera, ancorché romantica della Val Roja.
Sanremo tanti tanti anni fa (Archivio di Giulio Rigotti di Bordighera)
Ma già mi attraggono, con alquanto spudorato ardire, altre vicende ed altre situazioni, che conosco meno bene, localizzate nel resto della provincia di Imperia. E mi viene da rendere un informale omaggio ad Italo Calvino, altresì cantore di una Sanremo che fu, perché da giorni in costanza di conversazioni  e letture mi tornano alla mente vive testimonianze, che lo riguardano, ascoltate molto tempo fa da suoi compagni d'arme della Resistenza.



mercoledì 19 gennaio 2011

Dei romanzi

Ebbene, sì, non ho resistito alla tentazione. Imbattutomi nell'odierno articolo di Umberto Eco su "la Repubblica", mi sono fatto prendere dall'impulso di segnalarlo semplicemente per una lettura critica. Il noto autore parla, invero, di capolavori della letteratura, ma a me piace aggiungere, o, meglio, implicitamente suggerire, ulteriori sfumature al discorso in questione. Si può, e si deve, discutere Eco, al pari di ogni tema significativo del nostro orizzonte civile, morale  e culturale, ma , a mio parere, rimane il fatto della sua grande erudizione, delle sue doti di affabulatore, dei suoi intenti di divulgatore e della sua capacità di essere sempre provocatore in termini costruttivi. A me ha procurato, comunque, una personale soddisfazione con la sottolineatura da lui rimarcata al romanzo poliziesco: anche se avrei da eccepire su una certa sua indistinta parziale sottovalutazione.