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giovedì 27 novembre 2025

La giovane Adelina Pilastri collaborò con il martire antifascista Ettore Renacci

 


Un recente libro, Protagoniste. Storie di donne e Resistenza nel Ponente ligure (Isrecim - Regione Liguria - Fusta Editore, 2025), scritto da Daniela Cassini, Gabriella Badano e Sarah Clarke Loiacono, costituisce una mole straordinaria di emozionante documentazione.
È più che doveroso sottolineare il ruolo determinante - troppo a lungo misconosciuto - ricoperto dalle donne nella lotta di Liberazione.
È impossibile - ma non è neppure giusto - riassumere in poche righe il contenuto del menzionato lavoro.
Ed anche citare, a titolo meramente indicativo, alcuni minuti aspetti, radicati nella zona di Ventimiglia, qui di seguito riportati, non aiuta a comprendere la complessità dei temi trattati.
Brigida Rondelli, nata a Camporosso nel 1905, era sorella di altri tre partigiani, di Andreina, dunque, e dei più giovani Fulvio (Lilli) ed Eliano Vicàri. Fulvio cadde in Valle Argentina a marzo 1945: alla sua memoria venne concessa (Decreto presidenziale 11 luglio 1972 in Gazzetta Ufficiale n. 319 del 9 dicembre 1972) la medaglia d'argento. Diverse persone ricordano ancora Brigida, detta "Bigìn", iscritta al Partito comunista e abitante, qualche decennio fa, in Via Dante di Ventimiglia lato mare. 

Bordighera (IM): il Municipio

Adelina Pilastri, giovane impiegata del comune di Bordighera, poco dopo l'8 settembre 1943 portava notizie ai militari sbandati, riuniti nei pressi di Rocchetta Nervina; ebbe la possibilità di avvisare del pericolo di arresto diversi renitenti alla leva fascista, consentendo loro di cavarsela; collaborò con Ettore Renacci, uno dei 67 prigionieri politici del campo di transito di Fossoli, trucidati (tra di loro anche il ferroviere ventimigliese Giuseppe Palmero) il 12 luglio 1944 al poligono di tiro di Cibeno per una rappresaglia dalle motivazioni mai chiarite: proprio nei giorni scorsi è stata posta in Bordighera nei pressi di quella che fu la sua abitazione una pietra d'inciampo alla memoria di Renacci. Nel suo memoriale Adelina Pilastri tenne a sottolineare che Renacci, nonostante le torture subite, non fece mai il suo nome. La ragazza dovette salire poi in montagna con i partigiani, assumendo il nome di battaglia di "Sascia", con il quale aveva già dato un epico resoconto in L'epopea dell'esercito scalzo (Mario Mascia, 1946, due più recenti ristampe di Isrecim) delle traversie passate sulle nevi del Mongioie nel tentativo riuscito di salvare mezzi di sussistenza.

La zona Nervia di Ventimiglia fotografata dalla collina di Collasgarba qualche giorno dopo il bombardamento del 10 dicembre 1943 - Fonte: Silvana Maccario

Ventimiglia (IM): Villa Olga qualche anno fa

Emilia Giacometti aveva dodici anni da compiere alla fine della guerra, ma affrontò in quel periodo con i genitori traversie incredibili vissute tra Sanremo ed il confine. Figlia di Pietro [detto anche Dino], il suo diario, anche se redatto ad anni di distanza dagli eventi, ha inoltre il merito di fare piena luce sul grande contributo del padre alla lotta antifascista, al di là di quanto avesse riferito nel suo memoriale - non molto noto, invero - l'amico Giuseppe Porcheddu. Occorre subito aggiungere che Emilia, ormai stabilita in Roma, mantenne sino all'ultimo i contatti con Lina Meiffret, dalla quale, anzi, ricevette gran parte dell'archivio personale. Dalla narrazione degli anni trascorsi a Ventimiglia da Emilia Giacometti non si può fare a meno di espungere la testimonianza sui tragici bombardamenti aerei di Nervia del 10 dicembre 1943 e la conferma che l'abitazione di proprietà della famiglia fosse all'epoca Villa Olga.
Il libro Protagoniste offre anche il destro per qualche riflessione attinente la discordanza delle fonti.
Irene Anselmi di Vallecrosia, ad esempio, fornisce una versione diversa da quella ampiamente assodata del tragitto clandestino, compiuto, tra lo sbarco ed il balzo finale verso la I^ Zona Operativa Liguria, dal capitano Robert Bentley, del britannico SOE, per svolgere le mansioni di ufficiale di collegamento tra gli alleati e i partigiani dell'estremo ponente ligure. Non è secondario rimarcare che Irene Anselmi era nipote di Giuseppe Anselmi, suo zio, membro del C.L.N. di Sanremo, fucilato per rappresaglia ad Imperia il 6 novembre 1944 insieme ad Armando Denza e Luigi Novella, ma che nella sua relazione non fa nessun cenno sul suo ruolo - ancorché forse inconsapevole - avuto nell'agguato da cui conseguì il grave ferimento del comandante partigiano Stefano Carabalona (Leo).

Perinaldo (IM)

Emma Borgogno di Perinaldo collocava un altro grave ferimento, quello del partigiano Adler, come avvenuto vicino al paese (questa, almeno, è l'impressione ricavata), mentre, ad esempio, Angelo Mariani in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia (Isrecim, 2007), lo riferiva in connessione con l'attacco al campo di concentramento di Vallecrosia dei primi di settembre del 1944. Entrambi sottolinearono come Adler venisse curato e salvato: nelle parole di Mariani "Quando fu ferito la madre contattò l’ufficiale tedesco che lo aveva catturato, diede false generalità e spiegò che lei ed il figlio erano solo degli sfollati e che non avevano niente a che fare con i partigiani. L’ufficiale si convinse ed autorizzò il ricovero di Adler all’ospedale di Sanremo, dove fu trasportato su un carretto da alcuni contadini di Perinaldo. Su disposizione del CLN portai personalmente alla mamma di Adler, all’ospedale di Sanremo, 5.000 lire di allora...". Va da sè che quella di Emma è un'altra preziosa testimonianza, perché presenta pagine inedite sulla Resistenza a Perinaldo.

Adriano Maini

giovedì 20 novembre 2025

Di Bagnabraghe, di altre spiagge, di altri scogli

 

La spiaggia di Bagnabraghe, situata nella parte di levante di Bordighera, è stata a lungo il sito preferito dai pescatori del posto.
La denominazione è tutto un programma e si spiega, invero, da sola.
Anche di là partirono gozzi a remi e barche a motore per viaggi via mare verso la Costa Azzurra di ebrei stranieri in fuga dall'Italia a causa delle leggi antisemite del regime fascista.
 



Un bravo imprenditore edile racconta di tanto in tanto di quando da ragazzino fece l'apprendista (il "bocia") pescatore dell’unico equipaggio della città delle palme accettato come tale alla svolta degli anni Cinquanta a Marina San Giuseppe di Ventimiglia: forse salpando di là arrivavano a zone più ricche di prede, guidati da professionisti che ne sapevano più di loro.



Sarà pur vero che per uno strano fenomeno fisico sul mare o vicino ad una spiaggia le voci si trasmettono molto lontano ed in modo chiaro, ma un pescatore dilettante - in verità, provetto forse più di tanti professionisti - riusciva dal largo a farsi sentire con un poderoso fischio dai familiari in casa in Via Dante di Ventimiglia: con modulazioni in codici decifrabili solo dai suoi cari.
Del resto, se non era in mare, dove aveva insegnato a tante persone un po' dei suoi segreti, quell'ex ferroviere era una presenza costante, quasi un punto di riferimento per chi passava, su quella spiaggia prossima alla sua abitazione, tutto intento a rigovernare quanto attinente alla sua profonda passione.
Il figlio maschio, per nulla seguace del padre, ha amato il mare in modo diverso, al punto da rievocare oggi con toni lirici "meravigliose domeniche passate su quegli scogli chiamati 'le moese' per catturare le zigurelle, pesciottini coloratissimi e rimediare ustioni clamorose".




Non molto lontano da quel rione, qualche decennio prima che venisse costruito il porto turistico di Ventimiglia, un nonno, già collega del bravo pescatore poc'anzi citato, rassicurava in più di un'occasione il nipotino che avrebbe cucinato e mangiato qualche pesciolino non molto più grosso di un dito pollice, catturato dal piccolo, spesso quasi ad onta di persone che, ben munite di ultimi ritrovati, rientravano, invece, con i cestini vuoti, con attrezzo quasi di fortuna dal vecchio molo, costruito per un progetto da tempo tramontato ed ormai - caotico, ma fascinoso ammasso di scogli - quasi del tutto sprofondato in acqua, in attesa del nuovo scalo che lo avrebbe ricoperto.

Adriano Maini

lunedì 3 novembre 2025

Anche un macello in legno

 





Si è aperto già per questa ultima stagione a Camporosso nella zona a mare un campeggio di quelli come una volta, di quelli con le tende portate da casa, insomma, come quelli già esistenti negli anni Cinquanta e Sessanta sulle due sponde, dunque, anche su quella di Ventimiglia, della foce del torrente Nervia.



Foto Mariani

A Nervia di Ventimiglia Vico del Pino prendeva il nome da un maestoso albero, che cadde, tuttavia sotto la furia di una tromba d’aria nei primi anni Sessanta: si collocava più o meno all'angolo con Via Nervia ed un muro nell'estate del 2018 portava ancora sotto forma di squarcio la traccia di quel crollo: la recizione nel frattempo è stata ristrutturata. 

Le scuole di Nervia

L'edificio, prima Ospedale, poi, sino a qualche anno fa presidio ASL, che negli anni Cinquanta ospitava le scuole elementari di Nervia

Avanzando di poche decine di metri a ponente ci si imbatte nel plesso scolastico costruito nel 1960, dove venne spostato il ciclo delle elementari, prima ospitato al piano terra dell'ex clinica Isnardi - poi a lungo ospedale - e fu aggiunta una sezione di medie inferiori.








Nel campetto posto alla foce del fiume Roia a Ventimiglia si svolgevano, come di certo nell'estate del 1951, tornei di calcio, si facevano talora - con rischio di incendiare i pini dei limitrofi Giardini Pubblici - i fuochi d'artificio per la Festa patronale di San Secondo, si vide nel 1967 anche una gara di dama vivente, ma soprattutto si consentì a lungo (di sicuro ancora nel 2010) una destinazione d'uso a parcheggio per automobili: utilizzi oggi inibiti per motivi di sicurezza.


Diverse persone affermano che il 1970 fu l'anno di più intense frequentazioni culturali, sociali e politiche presso il Bar Irene di Ventimiglia, quello che vedeva l'abituale presenza - in orari diversi, notturno di sicuro per il primo! - di Francesco Biamonti, di Lorenzo Muratore, di Elio Lanteri, di Lorenzo Trucchi, di dirigenti, di attivisti e di utenti dell'antistante Camera del Lavoro.



Dalla stazione ferroviaria di Vallecrosia, adesso fermata incustodita nella singola giornata per un treno in direzione Genova e per uno di ritorno, quando la produzione floricola del ponente era diversa e più florida, partivano comunque per il nord Europa carri merci colmi di variopinti prodotti della terra.




In località Cabane di Bordighera sono scomparsi due casolari di antica bellezza, ancora presenti nei primi anni Sessanta, per fare posto a nuove costruzioni in terreni che due famiglie coltivavano in affitto.
Al confine con i Piani di Borghetto, ma più di recente, è stata demolita - per dare più volumetria ad un nuovo edificio - una casa in pietra, che insisteva sull'attuale Via Giulio Cesare, dove iniziò a metà anni Trenta il decollo per un'attività di successo una stirpe di bravi gelatieri, tuttora attivi a Bordighera con la loro antica insegna. Dietro resistono ancora i ruderi di un pozzo (noria!) cui si attingeva a trazione animale, l'ultimo di una discreta schiera diffusa nelle vicinanze. Più verso il mare, rispetto a quel punto, svolse ai tempi le sue funzioni anche un macello in legno.

Adriano Maini

giovedì 16 ottobre 2025

A cavallo del confine ligure con la Francia nel 1939

Ventimiglia (IM): la stazione ferroviaria

A lungo nel 1939 un uomo, nella bella stagione vestito con un abito di lino chiaro, sostava sull'ingresso dell'albergo dove alloggiava, posto davanti alla stazione ferroviaria di Ventimiglia.
La tradizione orale lo ha identificato con una delle persone che organizzavano a pagamento in quel periodo - ma costui con maggiore energia, perché per lo più con una piccola flottiglia di barche a motore appositamente allestita - viaggi clandestini verso la Francia di ebrei stranieri, cacciati dall'Italia dalle leggi "razziali" del regime fascista, il quale spesso tollerava tali fughe: questi fatti sono stati puntualmente rievocati da Paolo Veziano sia in "Ombre di confine: l'emigrazione clandestina degli ebrei stranieri dalla Riviera dei fiori verso la Costa Azzurra. 1938-1940 (Alzani, 2001) che in "Ombre al confine. L’espatrio clandestino degli Ebrei dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra. 1938-1940" (Fusta, 2014).

Nei primi mesi del 1939 Rachele Zitomirski, di famiglia ebrea russa, ricevette l'abilitazione ad esercitare la professione di farmacista, come il padre, che da tempo la farmacia l'aveva aperta in Vallecrosia.

Zitomirski padre, lo scienziato Serge Voronoff da Grimaldi e il commerciante Ettore Bassi da Ventimiglia centro, tutti ebrei, erano molto attivi, sostenendole anche con contributi in danaro, con le organizzazioni di soccorso ai profughi ebrei Delasem (Delegazione assistenza emigranti) ed il precedente Comasebit, poi sciolto d'autorità.

Francesco Biamonti, ancora bambino, se non vide, in quell'anno, sentì parlare di ebrei fuggiaschi in transito dalla zona intemelia, ma ne fece con i fratelli esperienza diretta in collina sopra San Biagio della Cima, il loro paese, negli anni ancora più tremendi della seconda guerra mondiale: avrebbe poi scolpito nei suoi romanzi quelle tragiche vicende con parole memorabili.

Nel 1939 continuavano a passare la frontiera di Ventimiglia con la Francia, in una direzione e nell'altra, anche esuli politici o loro familiari, seppure in numero ridotto rispetto agli anni precedenti. Non sempre in regola con i documenti, anche tra di loro furono numerosi i fermi e gli arresti. A prescindere - va da sé - dai clandestini per necessità.

Viene festeggiata l'elezione a deputato di Virgile Barel: Victoire du Front Populaire: défilé du Parti Communiste, section Nice-Saint-Roch. Laugier Charles. Reporter-Photographe, 8 avenue Félix-Faure, Nice (1936). Archives Nice Côte d’Azur, 3 Fi 9

L'8 ottobre 1939 veniva arrestato a Nizza nella sua abitazione di Piazza Saluzzo, in conseguenza - con lo scoppio della seconda guerra mondiale - della messa fuori legge del suo partito, il deputato comunista Virgile Barel, già impegnato nell'assistenza ai fuggiaschi ebrei riusciti ad arrivare nel dipartimento con la sezione locale del Comitato denominato in acronimo CAR (sulla cui ampiezza in territorio nazionale si potrebbe leggere, in francese, di Vicki Caron "Les politiques de la frustration: le renouveau de l’effort juif de secours. 1936-1940)": si ha contezza di questo per uno dei paradossi della storia, in base al quale una lettera di questo sodalizio datata 5 dicembre 1939, pubblicata dal citato "Ombre di confine" di Paolo Veziano, annoverava ancora Barel nel Comitato d'Onore allorquando era già incarcerato. Si può annotare brevemente a margine che Barel fu maestro elementare - che seguiva una pedagogia innovativa e progressista - del futuro comandante partigiano imperiese Giuseppe Vittorio Guglielmo (Vittò), che non ne dimenticò mai gli insegnamenti morali; che fu alla fine degli anni Venti diffusore de "La Riscossa", periodico in lingua italiana, che i nostri emigrati comunisti non distribuivano più per non incappare, loro stranieri, nei controlli di polizia; che il figlio Max Barel, cui è intestata una piazza a Nizza, quella d'arrivo dalla Moyenne Corniche, cadde da partigiano nel centro della Francia; che Barel tornò nel dopoguerra alcune volte all'Assemblea Nazionale, tanto da esserne definito il decano; che Barel già nel 1971 chiedeva nel massimo consesso l'attivazione per l'estradizione del criminale nazista Klaus Barbie.

Nel 1939 cospiravano contro il regime fascista a Bordighera Guido Seborga, che era in contatto con altri antifascisti a Torino, Renato Brunati, destinato ad essere fucilato nella strage del Turchino a maggio 1944, Lina Meiffret, che riuscì a tornare viva dalla deportazione in Germania e Giuseppe Porcheddu, che nella città delle palme era appena arrivato forse per essere più vicino al fratello avvocato. Altri antifascisti della cittadina non si erano ancora messi in contatto con i primi.

Nel 1939 vennero raggiunti dai genitori, sempre a Bordighera, i fratelli Asiani, torchiati, finita la guerra, da agenti del servizio segreto statunitense, probabilmente per essere indotti a diventare spie al loro seguito, non tanto per malefatte compiute, come in altri casi,  ma per la comprovata conoscenza del territorio a cavallo del confine ligure con la Francia.

Secondo il figlio, che oggi ricerca informazioni e documenti in merito, il padre, Nathan Schmierer, nato a Schaje Podowzyka il 13 ottobre 1907, si trovava già a Sanremo nel 1939. Il mentovato e la moglie Anny Riendl risultavano ebrei stranieri il 24 aprile 1940 per il Ministero degli Interni come da comunicazione che mandava alla Prefettura di Imperia: sussistono ancora sue tracce di internamento a Padova per l'arco aprile-agosto 1943.

A dicembre 1939 Dora Kellner, partita da Sanremo, incontrava in una stazione ferroviaria di Parigi l'ex marito Walter Benjamin. I due grandi intellettuali ebrei - lei, ingiustamente, molto meno nota - non si rividero più; loro figlio Stefan era già in salvo a Londra; la pensione nella città dei fiori, Villa Verde, da cui erano passati tanti loro parenti, amici e conoscenti, ormai gestita - data la normativa antiebraica - in modo surrettizio dalla donna, che se ne era occupata in quei tristi momenti di persecuzioni per meri motivi di sostentamento economico, era ormai in procinto di subire un fallimento, dopo il quale anche Dora passò oltre Manica abbandonando per sempre, a differenza del figlio che visitò la vecchia casa nel 1958, la Riviera.

Adriano Maini

martedì 16 settembre 2025

C'era chi si aspettava il solito ballo liscio

 


Raccontava Alfredo Moreschi, in base ai ricordi della mamma, la quale conobbe il futuro noto attore di varietà, di teatro e del cinema, che Carlo Dapporto da bambino già affascinava con la sua verve amici coetanei, anche nella portineria, cui era addetta la madre, di un palazzo in fondo - verso la ferrovia ed il Forte di Santa Tecla - dell'attuale Corso Mombello a Sanremo.
 


Ancora Moreschi tramandava un curioso episodio che gli occorse appena finita la guerra. Accompagnato al Casinò di Sanremo il fotografo dell'azienda di famiglia, intento anche a scattare immagini di diverso genere in occasione della prima commedia che si dava dopo il conflitto, una commedia di carattere storico, i responsabili della compagnia si accorsero che quel ragazzo di poco più di quattordici anni era adatto ad interpretare un certo personaggio per il quale mancava un attore: lo mandarono in scena, rivestito in fretta e furia di acconcio costume, ma in sala c'erano diversi compagni di scuola dell'esordiente, che proruppero in fragorose risate, anticipatrici dei continui disturbi poi arrecati allo spettacolo.


Qualcosa del genere, anzi, forse con il superamento di maggiori limiti, accadde a Ventimiglia in un Teatro Comunale ancora lungi dall'essere ristrutturato, a metà anni Sessanta, ad opera degli studenti delle scuole superiori della zona che dovevano assistere ad una commedia del Goldoni. I maschiacci in galleria non si lasciarono distrarre dal fare baccano neppure dalle provocanti scollature delle procaci attrici.
Non poteva assistere a questo avvenimento Gianfranco Raimondo, già grandicello e con un suo lavoro, che per il tempo libero le esperienze di teatro, precedenti a quelle di presentatore, iniziò a farsele a Nervia. Gianfranco, nelle sue diverse rievocazioni di fatti e di persone, anche senza specifiche sottolineature ha come stabilito un accostamento virtuale non solo tra Dapporto e Cino Tortorella, il Mago Zurlì dello Zecchino d'Oro e di altre trasmissioni televisive, che non perse mai i suoi legami con Ventimiglia, ma pure con altri estrosi uomini della città di confine.

Ai tempi delle prime esibizioni di cantanti stranieri al Festival della Canzone di Sanremo a certi nottambuli poteva occorrere di incontrare e, se non conversare, scambiare amabilmente saluti al Bar Nadia di Bordighera, aperto sino all'alba, quando veniva chiuso solo per un breve lasso, con protagonisti della citata kermesse, i quali non avevano particolari accompagnatori: tra questi, in un'occasione, l'americano Pat Boone.

Pat Boone si esibiva una ventina d'anni dopo all'Ariston di Sanremo davanti a poche decine di spettatori, ma lo faceva, indifferente al vuoto, con grande professionalità.


In un affermato stabilimento balneare a Marina San Giuseppe di Ventimiglia un ragazzo di Milano, arrivato per le vacanze estive, intratteneva amici e conoscenti con particolari parlata e atteggiamenti comici, che qualche anno dopo sarebbero stati portati al successo sul grande schermo da un altro immigrato nella metropoli lombarda, destinato presto, tuttavia, ad assumere anche altri ruoli.


Portò le sue prime canzoni ad una modesta Festa de l'Unità in frazione Roverino di Ventimiglia un Vasco Rossi, che non era proprio agli esordi. Toccò anche a lui, per conferire con gli organizzatori, camminare con i suoi mocassini quasi da ballerino sui grossi sassi che ingombravano gli spiazzi ancora di cantiere per la costruenda scuola media. Affluirono quella volta discretamente numerosi i giovani, mentre rimasero alquanto perplesse le persone di una "clientela" più tradizionale, che si aspettavano della musica per ballare il solito liscio.
Riportava spesso questa circostanza a grandi linee, talora con qualche elemento di fantasia, anche in qualche intervista di carattere locale, il compianto Franco Paganelli, già consigliere comunale di Ventimiglia, storico presidente della Bocciofila di Roverino, il quale - pare - ebbe l'occasione di rivedere a Bordighera il buon Vasco e di riepilogare con lui qualche particolare di quella vecchia vicenda.

Adriano Maini

mercoledì 3 settembre 2025

Autoscontri, giostrine, baracconi, fotografie...

 




E così anche a Bordighera, sulla passeggiata a mare, c'era un tempo un servizio a pagamento di automobiline a pedali, che, tuttavia, non risulta abbia mai avuto una ancorché pallida eco letteraria, come invece tuttora accade per analoga pregressa fattispecie ubicata nelle vicinanze dello zoo di Milano, ogni tanto ricordata quanto meno in qualche libro poliziesco.



La tradizione orale non tramanda per Bordighera, invece, tracce di giostrine, autoscontri, luna park o "baracconi", come dicevano certi ragazzotti di un tempo, che si trovavano sparsi tra Camporosso e Ventimiglia.
In quest'ultima città in almeno un'occasione gli autoscontri vennero collocati in uno scomparso cortile interno di una via centrale, ma era la piazza del Municipio ad ospitare più spesso tali attrazioni.
 
Camporosso (IM): Piazza d'Armi

Queste, quando venivano poste nell'altrettanto scomparso campo di calcio di Piazza d'Armi lungo la Via Aurelia a Camporosso, al momento dei traslochi lasciavano, al pari dei tendoni e dei carri di circhi, che di tanto in tanto si mettevano là, su quello, che definire un prato erboso era molto arduo, solchi evidenti sul terreno, accentuati dagli effetti delle piogge che non mancavano mai: al punto da domandarsi dove andasse nel frattempo a giocare la squadra di calcio dilettanti della Ventimigliese, che a tutto il 1964 ebbe la titolarità di quello spiazzo.
 

Nella città di confine faceva, intanto, consolidate apparizioni la giostra popolarmente ribattezzata "calci nel posteriore" (l'espressione, invero, sarebbe più pittoresca), stabile presenza in seguito alle Feste dell'Unità nei Giardini Pubblici: un'attrezzatura che più tardi sarebbe incorsa in un triste evento, ma che era gestita da una famiglia che, abitando ad Imperia, nei prati di periferia di Milano aveva trovato le maggiori occasioni di lavoro.

Capita che si possa essere diffidati dal fare fotografie da una strada pubblica o in una campagna abbandonata.
Se ne fornisce qualche esempio, senza entrare troppo nei dettagli, che sarebbero quasi romanzeschi.



Per la Chiesa della Madonna della Ruota a Bordighera interveniva, dopo le grida di una donna affacciata ad una finestra dell'edificio che incorpora il piccolo tempio, il manente della villa sottostante, il cui proprietario, noto industriale, fa, o faceva, alloggiare, i suoi domestici nella citata costruzione. Una scusa addottata per i rimproveri fu quella che non si voleva più che un vicino esercizio turistico spacciasse nella sua propaganda immagini relative ai loro beni immobili. Nel frattempo, quella specie di condominio, che occulta al suo interno anche le testimonianze di un antico ostello per pellegrini, veniva ridipinto nelle facciate, ma di questa novità qui non si possono fornire al momento degli scatti.
 




Poco lontano da San Giacomo di Camporosso, il fotografo amatoriale stava quella volta contemplando un superbo rudere, quando veniva redarguito da una donna che aveva fermato la sua automobile poco lontano nella leggera salita per la Frazione: al momento l'uomo si affrettava a sostenere che avrebbe subito spostato la propria di autovettura, in effetti parcheggiata poco sotto quel piccolo bastione naturale a fianco di una catena, ma la signora voleva sottolineare la sua preoccupazione che là in piena aria si stessero facendo dei preparativi per dei furti nelle dimore, dimore non proprio circostanti.

Carro "Arlecchino", progettato da Mario Raimondo Barbadirame, Compagnia "Nuova Generazione",  Battaglia di Fiori di Ventimiglia, 1964. Fonte: Ivo Motroni

Spuntano ancora, per fortuna, fotografie concernenti edizioni storiche della Battaglia di Fiori di Ventimiglia, che aiutano a capirne alcuni aspetti. Si può, quindi, tornare pure sull'esperienza che intorno alla manifestazione fecero militanti e simpatizzanti comunisti, che avevano titolato le loro compagnie di carristi con i nomi di alcune testate di riviste del partito.

In ogni caso, è difficile su questo blog sottrarsi ad alcune ripetizioni ed integrazioni.

Adriano Maini