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martedì 30 novembre 2021

La letteratura sulla Resistenza invece è per Luti un bilancio a posteriori


È chiaro che gli interlocutori prediletti da Giorgio Luti sono i giovani; questa predilezione è valida anche per le pubblicazioni, concepite spesso per trasmettere loro la propria memoria storica, in modo tale che possano riflettere in maniera critica sul recente passato e su cosa abbia rappresentato. Si tratta di una necessità morale per Luti; in modo particolare è interessato a far comprendere ai giovani aspetti a loro poco noti della Resistenza <488, con l’intento di mostrare che, seppur in un momento di grandi cambiamenti e di sconvolgimenti globali, proprio in quegli anni era nata una nuova cultura.
La raccolta di saggi sulla Resistenza, L’Italia partigiana, curata insieme al collega Sergio Romagnoli, pubblicata per celebrare il trentennale della lotta partigiana, come ben comprende Geno Pampaloni, il quale aveva recensito l’opera sul «Giornale» del 14 dicembre 1975, era stata concepita dai curatori con la volontà di cogliere nella Resistenza «l’espressione di una rinascita popolare a livello civile e morale che dette i suoi frutti anche nello spazio della cultura borghese». Per questo motivo la scelta di Luti e Romagnoli è stata quella di raccogliere testi letterari (passi di romanzi di Bassani, Cassola, Pratolini, Fenoglio, Bilenchi, Renata Viganò), documenti di valore storico (come l’appello di Concetto Marchesi agli studenti di Padova nel 1943 o l’ultima lettera di Giaime Pintor al fratello), pagine di diari, relazioni di capi politici e militari, articoli di giornali clandestini, pagine di riflessione critica, canzoni popolari partigiane e poesie (di Cesare Pavese, Alfonso Gatto, Pier Paolo Pasolini) per sottolineare la rottura della Resistenza rispetto alla cultura letteraria in senso stretto.
Luti e Romagnoli intendono dimostrare infatti, attraverso la naturale integrazione tra letteratura e documento storico, che l’esperienza della Resistenza non avrebbe potuto essere quel grande movimento di popolo e di massa che fu durante la guerra di liberazione se non avesse permesso e quindi favorito la convivenza fraterna nelle sue file di uomini tanto diversi. Studenti e operai, intellettuali e contadini, militari di carriera di ogni grado, montanari e gente di mare, generazioni lontane, borghesi e proletari si ritrovarono, anzi si trovarono, per la prima volta nella nostra storia, l’uno accanto all’altro. Fu l’aspetto più epico della nostra Resistenza e che ancora a tanti anni di distanza viene rievocato con grande stupore <489. Raccogliendo oltre sessanta autori tra i più famosi e i meno noti, i due curatori, attraverso questa scelta antologica, hanno sottolineato come la Resistenza comportò la nascita di una letteratura spontanea, già a partire dal periodo della clandestinità, emblema del quale è la canzone Fischia il vento, urla la bufera, composta sul modello di una canzone russa importata dai reduci dal fronte orientale e di cui esistono diverse varianti.
Luti inoltre è stato tra i primi a sostenere che la Resistenza aveva comportato la nascita di una letteratura della Resistenza, oltre ad una letteratura sulla Resistenza fatta da diari e ricostruzioni storiche. Italo Calvino aveva tentato nel saggio La letteratura italiana sulla Resistenza nel luglio del 1949 di tracciare un primo bilancio sulla letteratura sulla Resistenza <490, rompendo la concezione della continuità tra la cultura prefascista e postfascista e divenendo letteratura nazionale, ovvero letteratura degli uomini che partecipavano attivamente, nel pieno della loro coscienza morale e civile, a un nuovo impegno nazionale attraverso un movimento nato dal basso e quindi espressione di una rinascita popolare e operaia, che si intersecò con la tradizione resistenziale di marca intellettuale. Negli anni del fascismo alla letteratura si erano prospettate due strade: o l’asservimento nei confronti del regime attraverso la ripresa di Gabriele D’Annunzio, l’Accademia d’Italia e l’Enciclopedia gentiliana, oppure l’isolamento volontario entro le mura dello studio della letteratura come era accaduto ai letterati della «Ronda» e più tardi di «Solaria». Luti evidenzia, come aveva già fatto a proposito degli studi sulle riviste, che è la Guerra di Spagna a far nascere i primi rapporti operativi tra intellettuali antifascisti e operai. La prospettiva della rinascita della coscienza popolare, portò infatti molti giovani intellettuali come Duccio Galimberti <491, Leone Ginzburg o Giaime Pintor <492 al sacrificio in nome degli ideali.
Secondo Luti, è proprio in queste testimonianze dirette che si constata il prodotto più efficace della Resistenza italiana. La letteratura della Resistenza spazia quindi dal documento scritto in medias res, al bilancio, al ricordo, dal canto popolare partigiano alle cronache e ai diari fino ad arrivare al prodotto più impegnativo che è il romanzo. Il punto focale della riflessione di Luti a tal proposito è la spontaneità con cui sono nati alcuni prodotti della letteratura della Resistenza - inni partigiani, stampa clandestina, periodici - espressione diretta del Comitato di Liberazione Nazionale, da confrontare con i giornali d’informazione nati nelle formazioni partigiane soprattutto del nord Italia come «Il partigiano alpino» di Giustizia e Libertà, «Il Combattente» delle Brigate Garibaldi, «Il Ribelle» di Fiamme Verdi, «Il Partigiano» delle Brigate Matteotti <493, documenti che lo interessano per il loro carattere di anonimità. Questi risultati di una scrittura dal basso - nei quali include anche la canzone popolare partigiana - si affiancano a testimonianze letterariamente più alte, rappresentate da diari, racconti e poesie clandestine dei letterati partigiani, i partigiani-scrittori. La letteratura sulla Resistenza invece è per Luti un bilancio a posteriori, negli anni del dopoguerra, di un’esperienza conclusa da affiancare alla saggistica sulla Resistenza <494, caratterizzata da una memorialistica pensata e meno appassionata, fattori questi dovuti al loro espletamento di funzione di bilancio storico. Cosa diversa invece è avvenuto secondo Luti per la narrativa e la poesia che negli anni dell’immediato dopoguerra proposero opere di alto livello letterario, nate dal cuore della Resistenza, come Il mio cuore a Ponte Milvio di Vasco Pratolini, Uomini e no di Elio Vittorini, Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino e I ventitré giorni della città di Alba di Beppe Fenoglio, nelle quale secondo Luti «si realizza la fusione organica tra intento letterario e partecipazione umana, in una dimensione difficilmente mantenibile negli anni che seguono, e nondimeno orientata alla soluzione del nuovo problema narrativo proposto dalla cultura nata negli anni della Resistenza» <495. Sul fronte della poesia invece, poeti come Corrado Govoni, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Umberto Saba, Cesare Pavese, Rebora o Mario Tobino non seppero dar voce ad una poesia nuova. Casi isolati sono rappresentati, secondo Luti, da Alfonso Gatto, le cui poesie circolarono clandestinamente fino alla raccolta Il capo sulla neve. Liriche della resistenza (Milano, Toffaloni, 1947), da Salvatore Quasimodo con le liriche Con il piede straniero sopra il cuore (Milano, Costume, 1946) e da Franco Fortini con la raccolta Foglio di via (Torino, Einaudi, 1946), nella quale Luti riconosce «l’esempio più sintomatico di una nuova dimensione corale che avvicina la poesia al canto popolare anonimo» <496.
[NOTE]
488 L’invito ai giovani di guardare con rinnovata coscienza ciò che la Resistenza ha comportato è sottolineato da Luti anche nel passo finale del saggio introduttivo all’antologia L’Italia partigiana: «Il ricorso a una memoria che non sia astratta rievocazione ma discorso concreto, esempio e stimolo per le nuove generazioni al di là di ogni possibile confusione. Ed è proprio in questa direzione che molti anni or sono ci conducevano le parole di Piero Calamandrei: “La Resistenza fu, e se non è morta dovrà essere qualcosa di più dell’ideologia di un partito, qualcosa di più profondo, di più universale, di più penetrante nei cuori, come una sintesi, come una promessa, come una volontà di comprendere umana” (Scritti e discorsi politici, vol. 1, Firenze, La Nuova Italia, 1966). Ebbene, è a questa sintesi e a questa volontà che oggi dobbiamo guardare con rinnovata coscienza, soprattutto i giovani ai quali è affidato il futuro» (GIORGIO LUTI, Resistenza e letteratura in L’Italia partigiana, antologia a cura di Giorgio Luti e Sergio Romagnoli, Milano, Longanesi, 1975, pp. XLVII-XLVIII).
489 SERGIO ROMAGNOLI, Interpretazione della Resistenza in L’Italia partigiana. Antologia, cit., p. XIV.
490 «Un primo bilancio delle opere letterarie italiane sulla Resistenza pubblicate a tutt’oggi, può dar luogo a discorsi e giudizi tutt’affatto differenti, a seconda che ci si ponga dal punto di vista della Resistenza o da quello della letteratura. Perché a chi si chieda se la letteratura italiana ha dato qualche opera in cui si possa riconoscere “tutta la Resistenza”, (e intendo “tutta” anche parlando d’un solo villaggio, d’un solo gruppo, “tutta” come spirito), un’opera letteraria che possa dire veramente di sé: “io rappresento la Resistenza”, l’indubbia risposta è: “Purtroppo non ancora”. Mentre invece a chi si chieda se la Resistenza ha “dato” alla letteratura e ai letterati, se la letteratura italiana s’è arricchita, attraverso l’esperienza della Resistenza, di qualcosa di nuovo e necessario, io credo si debba rispondere risolutamente: “Si”. Infatti, mentre gli scrittori già noti che all’esperienza della Resistenza si sono ispirati, non ci hanno dato altro […] che il documento della loro posizione d’intellettuali singoli di fronte alla lotta, cioè opere in cui la Resistenza non è mai la protagonista, ma solo il termine di un’antitesi (e anche i giovani che si son voluti innestare nella tradizione letteraria della generazione precedente hanno fatto lo stesso, pur talvolta servendosi di simboli meno diaristici), d’altra parte, tra i libri che pur essendo concepiti con intenti letterari, hanno come prima preoccupazione quella rievocativa e documentaria, libri che dovuti spesso alla penna di figure eminenti del movimento partigiano, sono in gran parte d’indiscutibile valore morale e di una capacità naturale d’emozione non foss’altro che per gli argomenti trattati, si situano meglio nella storia d’una pur necessaria diaristica e saggistica storico-politica, che nella storia della poesia» (ITALO CALVINO, La letteratura italiana sulla Resistenza, «Il movimento di Liberazione in Italia. Rassegna bimestrale di studi e documenti», I, 1, luglio 1949, p. 40).
491 Duccio Galimberti, all’anagrafe Tancredi Achille Giuseppe Olimpio Galimberti, (Cuneo, 30 aprile 1906-3 dicembre 1944), conseguita la laurea in giurisprudenza a Torino nel 1926, esercitò la professione di avvocato penalista. Non scese mai a compromessi con il fascismo, preferendo, dopo la chiamata alle armi, svolgere il servizio di leva come soldato semplice per non iscriversi al Partito fascista. Durante la Resistenza è stato tra i fondatori della banda partigiana Italia Della Guerra, da cui in seguito nacquero le Brigate Giustizia e Libertà.
492 A riprova degli ideali da cui muovono questi giovani intellettuali, riporto un passo dell’ultima lettera di Giaime Pintor al fratello Luigi scritta a Napoli il 28 novembre 1943, alcuni giorni prima della morte, avvenuta a Castelnuovo al Volturno mentre cercava di attraversare il fronte e recarsi nel Lazio per organizzare l’attività partigiana. La lettera in un primo momento venne diffusa dattiloscritta a cura degli amici nel periodo tedesco e poi pubblicata da Einaudi nell’opuscolo In memoria di Giaime Pintor (Torino, Einaudi, 1946): «A un certo momento gli intellettuali devono essere capaci di trasferire la loro esperienza sul terreno dell’utilità comune, ciascuno deve sapere prendere il suo posto in una organizzazione di combattimento. Questo vale soprattutto per l’Italia. Gli italiani sono un popolo fiacco, profondamente corrotto dalla sua storia recente, sempre sul punto di cedere a una viltà o a una debolezza. Ma essi continuano a esprimere minoranze rivoluzionarie di prim’ordine: filosofi e operai che sono all’avanguardia d’Europa. Oggi in nessuna nazione civile il distacco fra le possibilità vitali e la condizione attuale è così grande: tocca a noi di colmare questo distacco e di dichiarare lo stato di emergenza. Musicisti e scrittori dobbiamo rinunciare ai nostri privilegi per contribuire alla liberazione di tutti» (GAIME PINTOR, Il sangue d’Europa, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1965, pp. 187-188).
493 Per maggiori notizie riguardanti le riviste partigiane clandestine rimando ai saggi di Laura Conti La stampa clandestina della Resistenza in una raccolta documentata («Il Movimento di Liberazione in Italia», gennaio-marzo 1960, pp. 3-23) e di Giovanni De Luna, Nanda Torcelli e Paolo Murialdi La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta (in Storia della Stampa italiana, V, a cura di Valerio Castronovo e Nicola Trafaglia, Roma-Bari, Laterza, 1980).
494 Luti riflette anche sulla saggistica e la memorialistica partigiana del decennio 1950-1960, come Tempo dei vivi: 1943-1945 di Bianca Ceva (Milano, Ceschina, 1954), Uomini e città della Resistenza. Discorsi, scritti ed epigrafi di Piero Calamandrei (Bari, Laterza, 1955), Giorni di fuoco di Silvio Micheli (Roma, Edizioni di cultura sociale, 1955), Diario partigiano di Ada Marchesini Prospero Gobetti (Torino, Einaudi, 1956), Storia della Resistenza italiana di Roberto Battaglia (Torino, Einaudi, 1964).
495 GIORGIO LUTI, Resistenza e letteratura,cit., p. XLII.
496 Ivi, p. XLIV.
Erika Bertelli, Giorgio Luti. Studi e ricerche. La tradizione del moderno nell’Università di Firenze, Tesi di Dottorato, Università degli Sudi di Firenze, 2018