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martedì 5 dicembre 2023

Santiago, Riccardo, Pier delle Vigne e Leone

San Giovanni, Frazione di Sanremo (IM): campagne abbandonate

Si presta a qualche considerazione di carattere locale la recensione di Marco Belpoliti a "Lettere a Chichita (1962-1963)" a cura di Giovanna Calvino, volume dato in uscita presso Mondadori e recensione apparsa sabato 7 ottobre scorso su "la Repubblica" con il titolo «Italo Calvino: “Perché credo negli angeli”» - e sommario «In un suo manoscritto il grande autore svela gli incontri con alcune figure che hanno avuto su di lui un’influenza benefica o salvifica. E su Robinson l’intervista alla figlia e un racconto in esclusiva» -. Dalla scheda di presentazione del citato libro, come già pubblicata, invece, dalla casa editrice milanese sul Web, si possono estrapolare queste parole: "Il primo appuntamento con Chichita, a Parigi nell'aprile 1962, è uno dei momenti che Calvino identificava come cruciali nella propria parabola esistenziale, insieme alla partecipazione alla Resistenza e all'ingresso nella casa editrice Einaudi [...] Ritrovate dalla figlia Giovanna, quelle missive del 1962-1963 sono qui pubblicate per la prima volta assieme a un testo inedito coevo, 'Sulla natura degli angeli', e a una delle risposte di Chichita. Se ne ricava l'affresco di una quotidianità ricca e sfaccettata: oltre alle immancabili incomprensioni della comunicazione a distanza, l'attesa degli incontri con la donna amata, le complicazioni logistiche degli spostamenti (Sanremo-Torino-Roma-Parigi), le luci e le ombre del lavoro editoriale, l'irresistibile richiamo della vocazione letteraria".
Il giornalista concentra la sua attenzione sul manoscritto, di cui riporta anche la data, primo ottobre 1963.
Da Belpoliti vengono citati tre ex partigiani di Sanremo,  ricordati con particolare intensità ("«in sodalizio fraterno» legato a «un'allegria che mai nessuna compagnia d'amici mi ridarà così piena»") da Italo Calvino nel predetto documento, Adriano S., Pier delle Vigne (Pietro Sughi) e Jaurès Sughi (Leone), "altri angeli dei suoi [dello scrittore] inizi: i compagni della Resistenza, quelli che l'hanno introdotto nella lotta partigiana [...] ex-boxeur, futuro gangster [il primo] [...] avanzo della legione Straniera [il secondo], l'altro avanzo di galera [il terzo]". Probabilmente si tratta del primo documento in cui Calvino abbia scritto di questi suoi vecchi sodali. Oltrettutto, Calvino, uso del resto a scrivere in terza persona, nei suoi lavori celava sotto nomi di fantasia personaggi reali.
Adriano S. è da identificare con Adriano (Riccardo) Siffredi, non fosse altro per il fatto che si riporta la notizia della sua morte come avvenuta a Dien Bien Phu, come noto luogo della sconfitta subita nel 1954 dall'esercito francese contro i Việt Minh guidati dal generale Giap, sconfitta che portò alla fine di quella guerra, con i conseguenti accordi di pace di Ginevra, i quali sancirono l'indipendenza - anche se poi la storia vide altri tragici eventi, come la guerra in Vietnam che coinvolse gli Stati Uniti - dell'Indocina. Questa deduzione attinente la figura di Siffredi può essere fatta alla luce di una tradizione orale che, in quanto tale, si lascia in queste righe in un alone di indeterminatezza. Sarà sufficiente aggiungere qualche frase desunta da un articolo, senza titolo, se non quello della rubrica, "Corriere di Sanremo", della "Cronaca di Imperia" de "Il Lavoro Nuovo" (all'epoca quotidiano, con sede a Genova, del Partito Socialista) di domenica 2 ottobre 1955, in una copia conservata da Giorgio Loreti, infaticabile animatore delle iniziative dell'Unione Culturale di Bordighera: "E' tornato dopo la lunga assenza, attraverso diecimila miglia di quel mare che amò con passione quasi morbosa, è tornato ai fiori e agli olivi della sua terra cui donò nei giorni dell'ira e del riscatto l'indomito ardore della giovinezza Adriano Siffredi, il «Riccardo» della nostra lotta [...] Non altrimenti vogliamo ricordarlo questo ventenne comandante partigiano, terrore ai nemici, esempio ai compagni, sprone agli ignavi: tutto il resto si spegne dinanzi alla luce che promana dalla sue gesta: Bignone, San Romolo, Borello, Via Privata, Piazza Colombo, Villa Impero... ovunque vi era un'azione da compiere, un amico da salvare, un nemico da snidare Adriano Siffredi ed i ragazzi-eroi della Matteotti furono sul posto, senza nulla chiedere se non di marciare alla testa dell'Esercito di Liberazione [...]". Il padre, Adolfo Siffredi, patriota antifascista (Fifo), fu il primo sindaco di Sanremo alla Liberazione. La figlia, Eleonora Siffredi, è una valente artista. Riferimenti ad Adriano Siffredi, poi, risultano in modo confuso in dichiarazioni contorte ed evasive contenute nel Diario (brogliaccio) del distaccamento di Sanremo della Brigata Nera "A. Padoan", documento di cui si dirà meglio dopo.

Una pagina del brogliaccio della Brigata Nera di Sanremo in cui appare più volte il nome di Adriano Siffredi

A differenza di Adriano Siffredi, che non viene mai evidenziato nelle recensioni critiche - quantomeno quelle più note - dei lavori di Italo Calvino (il cui nome di battaglia da partigiano era "Santiago"), sui fratelli Sughi esiste una discreta letteratura, dalla quale si può attingere qualche citazione. Premesso che anche Pier delle Vigne e Leone furono valorosi partigiani, si può rammentare - andando in ordine sparso - che Calvino e Jaures Sughi militarono insieme nell'estate del 1944 nella SAP "Matteotti" di Sanremo; che Pietro Sughi aveva raccontato a Pietro Ferrua (che lo riferisce nel suo "Italo Calvino a Sanremo", Famija Sanremasca, 1991) della grotta nella campagna di San Giovanni, Frazione di Sanremo, attrezzata dal padre Mario Calvino, dove in talune circostanze si nascosero Italo, il fratello Floriano - anch'egli partigiano - ed altri patrioti; che quando, nel corso del rastrellamento del 15 novembre 1944, che investì anche San Giovanni, Italo venne catturato - e si salvò dalla fucilazione perché potè esibire un surrettizio foglio di licenza - insieme a lui cadde prigioniero Jaures Sughi, destinato a salvarsi per altre vie, mentre Pietro Sughi e Floriano Calvino erano riusciti a fuggire prima dell'accerchiamento; che sempre Pietro Sughi, "Pier delle Vigne", spiegò a Pietro Ferrua il retroscena reale dell'episodio dell'incendio nel casone riportato ne "Il sentiero dei nidi di ragno": «Cosa era successo in realtà? I partigiani erano pieni di pidocchi e spidocchiandosi sulla fiamma ad uno prese fuoco la camicia, che appiccicò fuoco al canniccio sul quale c’erano delle munizioni». Si aggiunga che "Pier delle Vigne" Sughi era attivamente ricercato dalle Brigate Nere di Sanremo; alcune note del brogliaccio di questa milizia fascista, lette a distanza di tempo, assumono il tono del picaresco, se non del grottesco, specie quella del 1 febbraio 1945 (il che lascia intendere che dalle parti di San Giovanni i partigiani erano ben tornati):"... informa che la concubina di Pier de la Vigna (Sughi Pietro) parte sempre alle ore 9 e 1/4 antim. e ritorna alla sera alle 19 circa (o alle 18 3/4) per andare da Pier de la Vigna (suo concubino) a portargli da mangiare. Fa il seguente itinerario [...] Di lì va alla Madonna del Borgo. Prende la mulattiera. Va al golf e di lì a S. Giovanni. Ci dev'essere un casolare di campagna, isolato, vecchio, dove non abita nessuno, a destra della strada mulattiera, una mezz'oretta - o venti minuti - dopo la Chiesa di S. Giovanni. Sotto c'è la stalla e sopra ci sono due camere [...] Pier de la Vigna e la concubina stanno insieme e mangiano insieme. Generalmente vi sono altri due ribelli [...]". 

Lo schizzo della zona di San Giovanni a Sanremo fatto da un brigatista nero

La copia del documento di identità di Pietro Sughi nel brogliaccio della Brigata Nera di Sanremo

La pagina in questione riporta anche uno schizzo della zona; la stesura del brogliaccio viene interrotta pochi giorni dopo, per lo meno nella copia in dotazione a Paolo Bianchi di Sanremo, da cui qui si attinge; a gennaio 1945 in questo diario viene, altresì, allegata la carta d'identità di Pietro Sughi o una sua riproduzione.
 
Adriano Maini

venerdì 1 dicembre 2023

E Italo Calvino testimoniava a favore di un ex soldato repubblichino

Sanremo (IM): il Monumento ai Partigiani - opera del patriota resistente Renzo Orvieto - sito davanti all'ex Forte di Santa Tecla, dove brevemente fu rinchiuso anche Italo Calvino

Leggendo articoli di quotidiani e di portali web, sembra che non solo per Sanremo e per Bordighera - come si è già visto su questo blog -, ma che per tutta la provincia di Imperia durante la seconda guerra mondiale ci fosse un gran pullulare di spie, ma non di spie qualsiasi, bensì di quelle che oggi rendono appassionanti film, serie televisive e romanzi d'azione. Solo che Kgb e Cia all'epoca non c'erano ancora! E non ci fu neppure nulla di paragonabile a esperienze vissute da personaggi quali Richard Sorge, Kim Philby, ‎Anthony Blunt, ‎Guy Burgess o i membri dell'Orchestra Rossa.
Neppure, forse, nella limitrofa Costa Azzurra.
Detto questo, ad onor del vero furono numerose le operazioni segrete - raramente spettacolari - condotte da o verso la Costa Azzurra da alleati, partigiani, nazifascisti.
Su questo panorama e su quello delle fitte trame intessute sul territorio imperiese c'é da credere che sarà molto illuminante il prossimo libro degli storici locali Giorgio Caudano e Paolo Veziano.
Il grosso degli accadimenti, in ogni caso, riguardava infiltrati - per fortuna, molti a favore della Resistenza! -, sicofanti, voltagabbana, traditori, delatori, opportunisti.
In questo quadro ci sono fatti noti, altri meno, altri pressoché inediti.
 
In questo vasto campo non si può fare altro che procedere con degli esempi.
 
In ordine alle tristi collaborazioni con i nazifascisti si può evincere che "un fascista repubblicano" di Imperia denunciava il 13 febbraio 1944 due funzionari dell'Ufficio Provinciale delle Corporazioni per generici gesti antifascisti compiuti dopo il 25 luglio 1943; che ci furono, sempre nel capoluogo, altre analoghe denunce; che un impresario edile di Sanremo si dichiarava protetto dalle S.S. tedesche; che molto pesanti furono le accuse a carico di una donna abitante a Bordighera; che a Sanremo il borghese "robusto, statura piuttosto alta, età circa 50 anni, colorito bruno, capelli leggermente brizzolati, barba rasa [...] del quale ho dato i connotati, che secondo me guidava la spedizione, mi disse che era stato lui ad andare dal comando tedesco" (come da un verbale di interrogatorio, oggi documento in Archivio di Stato di Genova - ricerca effettuata da Paolo Bianchi di Sanremo - < fattispecie in seguito in questo post contrassegnata come AS GE>), avrà quasi di sicuro indotto altri rastrellamenti, oltre quello qui appena accennato e nel corso del quale vennero falcidiati i partigiani fratelli Zoccarato; che sempre a Sanremo un mutilato di guerra "che camminava con i bastoni" era comunque in grado di dare informazioni nocive agli antifascisti; che era piuttosto losca la figura dell'impresario di Sanremo del quale "... parecchi giorni dopo si seppe che era stato preso l'O. Il 15 novembre [1944], pochi giorni dopo l'arresto dell'O., i nazi-fascisti effettuarono un  rastrellamento nella zona di San Romolo [n.d.a.: le responsabilità di questo O. per la tragica fine di così tanti partigiani a San Romolo, tra i quali il vecchio gappista Aldo Baggioli, il giorno stesso in cui venivano preso anche Italo Calvino, erano ribadite dall'ex graduato delle SS Ernest Schifferegger - documento statunitense agli atti -] .... tutto San Romolo è voce comune che nel secondo rastrellamento, avvenuto otto giorni dopo, vi era... il quale alla presenza del figlio del custode di Villa Marsaglia presentò ai tedeschi una lista nella quale vi erano tutti i finanziatori dei Patrioti" (AS GE); che SS francesi ancora al 22 aprile 1945 mandavano informazioni carpite a danno dei partigiani al comando locale della X Mas. 
 
Se si leggono alcuni carteggi, quali i documenti in archivio IsrecIm, riassunti da Rocco Fava di Sanremo nella sua tesi di laurea del 1989, si capiscono, inoltre, in controluce talune contromisure adottate dai garibaldini. Il 18 gennaio 1945 "Dario", Ottavio Cepollini, informava la Sezione SIM (Servizio Informazioni Militari) della Divisione d'Assalto Garibaldi  "Silvio Bonfante" che "da parte dei tedeschi continua l'interrogatorio di 'Giulio' e 'Dek', 'Boll' collabora con i tedeschi, viene messo spesso con gli arrestati e con il pretesto di essere caduto anche lui in trappola cerca di carpire notizie utili da riferire ai tedeschi. Si cercherà di fare eliminare 'Boll' proprio dai tedeschi. I tedeschi a Pieve di Teco stanno ricostruendo il ponte crollato". Il 1 marzo 1945 la Sezione SIM del CLN di Sanremo avvisava la Sezione SIM della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" che "... a Sanremo si stava intensificando l'attività spionistica dei tedeschi... era inutile l'attacco contro il sarto Sofia". Il 16 marzo 1945 il CLN di Sanremo informava la Sezione SIM della V^ Brigata che "si trovava di nuovo a Sanremo il 'famigerato maggiore' tedesco Kruemer". Il 28 marzo 1945 "Carmelita" segnalava al C.L.N. di Sanremo  che tra i più assidui informatori dei tedeschi vi era un certo colonnello Alberto Neri, abitante a Sanremo, invalido, ex combattente dell'esercito francese, in diretto contatto con il capitano "Frank" e che un'altra informatrice era una donna sudamericana di nome "Pegg", intima amica del Neri stesso. Il 30 marzo 1945 il responsabile "S. 22", G.B. Barla del SIM della I^ Zona Operativa Liguria scriveva al comando della I^ Zona Operativa Liguria che occorreva procedere all'arresto della spia Seccatore (Coccodé), su cui si erano già date informazioni e che stava agendo a Molini di Prelà.  
 
Si riportano spesso in letteratura specialistica il passaggio di confine con la Francia compiuto in tre direzioni o punti diversi da tre gruppi della missione britannica Flap, cui si erano aggregati, tra gli altri, patrioti del Piemonte, piloti ed avieri, ex prigionieri, e l'arrivo dell'ufficiale di collegamento con la I^ Zona Operativa Liguria Robert Bentley, del Soe. Meno conosciuti, invece, sono - nel novero del Oss - i passaggi della missione Youngstown e di quella Zucca, alla quale ultima partecipava anche Vincenzo Stimolo, un eroe delle Quattro Giornate di Napoli, fallita casualmente alla stazione ferroviaria di Santo Stefano al Mare, mentre poco al largo un sottomarino aspettava di sbarcare il vero referente, un responsabile del servizio statunitense, Bourgoin.
 
Ventimiglia (IM): a sinistra la casa - di colore rosa - in Marina San Giuseppe dove venne ucciso il capitano Gino Punzi

Una storia straordinaria è quella del capitano Gino Punzi, infine reclutato dagli americani Oss antenna di Nizza, nella cui tragica vicenda si incontrano maquisard, poliziotti fascisti prima di Ventimiglia poi di Imperia ma impegnati a sostenere in segreto la sua azione di costruzione di una rete antifascista, patrioti italiani quali Giuseppe Porcheddu, il maggiore degli Alpini a riposo di Ventimiglia Luigi Raimondo - già impegnato a margine della missione Flap -, Chiappa padre e figli di Bordighera, partigiani di passaggio in Costa Azzurra che tentarono di affidargli messaggi di delazione da recapitare ai loro Comandi circa loro compagni dediti a presunte o veritiere attività illecite, pescatori contrabbandieri chi in ferale ritardo chi fatale traditore: il capitano Gino, colpito da tergo alla testa con un'ascia, ricevette il colpo di grazia a Marina San Giuseppe di Ventimiglia per ordine di un agente della S.R.A. della Marina da guerra tedesca di stanza a Sanremo.
 
A danno della Resistenza Imperiese è celebre il caso della cosiddetta "donna velata" che, dopo essersi infiltrata tra i partigiani, creò i presupposti per alcune efferate stragi nazifasciste, soprattutto ad Imperia. Lo è meno quello di Olga, nome fittizio di una giovane, forse jugoslava, di cui parla Michael Ross nel suo libro di memorie "From Liguria with love". Ross, inglese, già prigioniero di guerra a Fontanellato di Parma, dopo essere stato, insieme al suo compagno di fuga Bell, prima aiutato dal martire antifascista Renato Brunati e dalla sua compagna Lina Meiffret, poi, dopo il fallito tentativo di arrivare in Corsica in barca a motore, ospitato in clandestinità per mesi e mesi a Bordighera da Giuseppe Porcheddu - che aveva acceduto alle istanze di Brunati e di Meiffret, i quali sentivano imminente il loro arresto da parte della miliza fascista - si trovava, sempre con Bell, ai primi del 1945 tra i partigiani della zona di Taggia. Per due volte la spiaggia di Arma di Taggia da dove i due - ed altri militari alleati - avrebbero dovuto attendere il canotto di un sottomarino, attivato grazie ai messaggi radio del telegrafista di Bentley, fu, invece, teatro di uno scontro, rischiarato dai bengala tedeschi, tra partigiani e nazisti, con conseguente fallimento della prevista esfiltrazione. Non ci fu un terzo scontro, perché sia i tedeschi che il comandante - che non si era più potuto avvisare - del mezzo navale attesero invano. I garibaldini avevano capito il tradimento di Olga, che venne pertanto giustiziata con un colpo di pistola alla nuca alla presenza dei due britannici: la sua salma venne seppellita in fretta e furia. A marzo 1945 Ross e Bell partirono infine in barca a remi da Vallecrosia con l'aiuto della locale SAP per rientrare da Montecarlo nei propri ranghi.
 
Un funzionario - temporaneo (venne quasi subito arrestato) - di P.S. della Questura fascista di Imperia fece mettere a verbale che aveva contributo a salvare il maggiore Enrico Rossi (reintegrato finito il conflitto nel Servizio Permanente Effettivo del Regio Esercito), che era stato consegnato a giugno 1944 dalla G.N.R. alle SS tedesche insieme al tenente Angelo Bellabarba ed al tenente Alfonso Testaverde, tutti rei di attività antifascista, in cui spiccava la loro pregressa collaborazione con Renato Brunati e Lina Meiffret (AS GE).   
 
Italo Calvino dichiarava il 17 luglio 1945 in Commissariato di Polizia a Sanremo: "Ho conosciuto sempre il N. come di sentimenti antifascisti. Essendo io stato catturato nel rastrellamento del 15 novembre 1944 mi trovavo alcuni giorni dopo nella Caserma Crespi d'Imperia ed arruolato forzatamente in quella Compagnia Deposito. Qui incontrai il N. che era stato costretto a presentarsi in seguito a minacce di rappresaglie verso la sua famiglia. Egli appariva assai abbattuto, moralmente, per aver dovuto compiere quel passo. Io lo avvertii che la compagnia deposito non era che una stazione di smistamento verso i campi di addestramento dai quali non si poteva più scappare perciò lo consigliai, vedendo che egli aveva intenzione di scappare quanto prima di entrare a fare parte della compagnia provinciale cercando di esimersi dal fare rastrellamenti. Alcuni giorni dopo io scappai e non sò specificare l'attività del N. in quel d'Imperia. Posso dichiarare però che egli pur essendo a conoscenza del mio nascondiglio in campagna, non solo non mi denunciò ma mi avvertì che ero attivamente ricercato segnalandomi i rastrellamenti che si sarebbero compiuti nella zona" (AS GE): lo stile di scrittura non é certo quello del grande autore de "Il sentiero dei nidi di ragno"!
 
Un rapporto della flotta statunitense di stanza nel Mediterraneo annunciava l'arrivo il 10 settembre 1944 nelle vicinanze di Saint-Raphaël di tre giovanotti, colà pervenuti in barca a remi da Ventimiglia e latori di alcune informazioni di spessore militare (" Più tardi nostre navi spararono, con il supporto di aerei da ricognizione, su alcuni obiettivi indicati da questi patrioti italiani"), una attestazione che conferma un racconto tramandato oralmente in zona ma non molto noto, anche se tramandato anni fa da Arturo Viale nel suo "Vite parallele".
 
Nel diario brogliaccio del distaccamento di Sanremo delle Brigate Nere si può leggere che il comandante Mangano - di cui oggi qualcuno insinua che fosse anche in contatto con gli americani - ebbe almeno un abboccamento - destando stupore nel verbalizzante - con un partigiano autonomo. Mangano, appena finita la guerra, morì suicida a Genova.
 
"Per assicurare la dovuta segretezza alle nostre comunicazioni è stato stabilito che ogni nostro Agente firmi ogni suo rapporto, relazione, informazione, ecc con una sigla. Vogliate prendere nota che la SIGLA a Voi assegnata e con la quale dovete firmare é: VEN 38" scriveva il comandante della Legione G.N.R., Bussi, ad un suo agente confidente - goielliere di Ventimiglia - alle dipendenze dell'U.P.I. (Ufficio Politico, in pratica uno dei tanti servizi segreti della Repubblica di Salò) (AS GE).  
 
Il 16 settembre 1944 alcuni giovani francesi tentarono un vera e propria azione di commando sulla frontiera di Ponte San Luigi, tra Mentone e Ventimiglia. Il colpo fallì: morirono Jean Bolietto, di origini astigiane, saltato su una mina, e Joseph Arnaldi, detto Jojo, raggiunto da proiettili, cui si sottrassero gli altri tre del gruppo. Su questi partigiani e su questo fatto ha scritto diverse volte il professor Enzo Barnabà.         
Stando alle sue dichiarazioni del maggio 1945 (AS GE) un ex poliziotto ausiliario della polizia saloina - di nuovo in carcere con l'accusa di avere militato in precedenza nelle fila fasciste - doveva incontrare alla fine di novembre del 1944 a Camporosso alcuni partigiani francesi, ma ne venne impedito in quanto catturato da ex colleghi repubblichini di Bordighera.
Si hanno notizie (pregressa ricerca del compianto Giuseppe "Mac" Fiorucci, autore di "Gruppo Sbarchi Vallecrosia" - con ogni evidenza in ciò aiutato dallo stimato storico nizzardo Jean-Louis Panicacci -) di incursioni - confermate da precise mappe dei luoghi, ancora esistenti - in zone del nostro ponente compiute da Joseph Manzone, detto "Joseph le fou" (un nome, un programma!), maquisard del dipartimento delle Alpi Marittime, che aveva già aiutato intorno all'8 settembre 1943 soldati italiani della IV Armata a fuggire o a raggiungere la locale Resistenza, protagonista di svariate altre avventure, lunghe da raccontare.
Da ottobre 1944 in avanti diversi furono da parte di partigiani ed agenti transalpini i tentativi compiuti di entrare in Italia attraverso la Val Roia, ma fallirono tutti o quasi. Particolarmente efficiente fu in questo contrasto a febbraio 1945 il servizio di controspionaggio tedesco.
 
Adriano Maini

domenica 13 agosto 2023

Le Fiabe sono state dedicate a Raggio di sole, certo, ma non è solo una dedica a R.D.S, una dedica all’amata, è di più


Nell'opera Gli amori difficili sono presenti anche dei racconti che implicitamente contengono dei riferimenti autobiografici alla vita dello stesso Calvino e in particolare alla sua relazione amorosa con l'attrice Elsa de' Giorgi <113, come "L'avventura di un viaggiatore" e "L'avventura di un poeta". Il primo dei due testi ha come protagonista Federico, un uomo che abitualmente compie lunghi viaggi in treno durante la notte per raggiungere Roma, dove vive la fidanzata Cinzia.
Giulia Zanocco, I personaggi femminili nella narrativa di Italo Calvino: stereotipizzazione e complessità, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2019-2020

Tra il 1956 e il 1958, tra le Fiabe e l’uscita dei Racconti, gli avvenimenti della vita di Calvino sono numerosi: tra questi, l’uscita dal Pci, Il barone rampante, La speculazione edilizia, La nuvola di smog e molti racconti de Gli amori difficili, e si tratta della produzione calviniana più compromessa con l’autobiografia. Vale la pena quindi di fare una preliminare analisi testuale ravvisando i collegamenti tra questi testi e i motivi accennati nei brani delle lettere oltre alle somiglianze tra i personaggi inventati nelle opere e le figure della sua vita. Individuando e interpretando la peculiarità della scrittura calviniana si può dire che si tratta quindi di racconti in cui Calvino rielabora spunti autobiografici e si racconta senza freni, mostrandosi nella più cruda debolezza del suo percorso intellettuale ancora in fieri, pur non assumendosi direttamente la responsabilità del genere mediante l’identità di autore, narratore e protagonista. Se ci domandiamo quindi quanto delle lettere sia stato sviluppato nelle opere e quanto di Calvino sia stato mostrato nelle lettere, in entrambi i casi la risposta è ‘molto’.
Proprio mentre sta lavorando alle Fiabe scrive alcune lettere in cui scende così nel profondo da entrare in crisi sulla sua capacità creativa. Calvino oscilla, per quanto concerne la propria vocazione letteraria, tra momenti di entusiasmo e momenti di sconforto.
"È un momento in cui mi sento più che mai senza prospettive, non so cosa sarà di me (…), ho girato per due giorni per le stanze come una belva in gabbia , convincendomi che nessuna delle idee che ho in testa sono capace a sviluppare in una narrazione. Ho puntato troppo alto, ho disperso le mie forze, ora non ho nemmeno quella mano sicura, quell’inclinazione dell’occhio anche limitata, parziale, che permette a uno scrittore di continuare il mondo, a far piccole scoperte. <115
(…) un fiume quasi secco. Dovrei fare un’operazione coraggiosa: rinunciare decisamente alla narrativa e mettermi a fare solo il saggista, il critico. Ma non ho il coraggio di rinunciare a una strada intrapresa e così non faccio né uno né l’altro; m’impegno in lavori che sono solo degli alibi, come queste Fiabe. Ecco, mi viene fuori solo una lettera triste come questa, e voleva invece essere una lettera per essere più vicino a te, combattere la tristezza degli ostacoli". <116
Lo scrittore si lamenta sul suo “continuo cambiar di genere, dalla fiaba all’autobiografia, dalla secchezza neorealistica all’aura simbolistica” e così le Fiabe inizialmente gli paiono un alibi, si ritrova diviso tra l’esigenza di far critica e una necessità di creazione; solo dopo, con l’impegno assiduo di un anno, il lavoro delle Fiabe lo conquisterà a tal punto da assorbirlo totalmente, tanto da domandarsi: “riuscirò a rimettere i piedi sulla terra?” <117.
Le Fiabe sono state dedicate a Raggio di sole, certo, ma non è solo una dedica a R.D.S, una dedica all’amata, è di più: è un orientamento a nuove tematiche, come l’amore e come la bellezza, delle quali non aveva sentito un richiamo così forte fino ad ora. È proprio nel mezzo di questo cambiamento che si inserisce una polemica di Calvino contro il disinteresse nei confronti valore estetico da parte di uno studio critico, talvolta troppo altero e lontano dal riconoscere un istinto archetipico nell’uomo che lo porta ad avere esigenza, da sempre, di inserire il reale all’interno di una cornice fantastica. È una logica antica, eterna e perduta che l’uomo moderno ha estrema necessità di riscoprire e recuperare. Calvino tratteggia i limiti e i doveri di chi dovrebbe fare la letteratura e su come si dovrebbe farla e da dei consigli efficaci sulla “retorica” del saggista-conferenziere sulla necessità di:
"(…) nascondere tutto l'apparato libresco, e far parere che tutti i giudizi, gli aforismi, i paradossi ti vengano fuori come fischiettando (…). Questa è l'arte dei saggisti "artisti", dei pensatori d'ingegno e di stile, e quel che li distingue dal professorone, il quale invece per ogni ideuzza scomoda mezza storia della filosofia (…) <118
Mi piacerebbe riflettere, cosa che tutti questi professori non fanno, sul perché della fortuna di certi motivi, sul perché si affondano più in certi luoghi che in certi altri, cioè sulle ragioni prime della poesia, del bisogno poetico e fantastico degli uomini. L’indifferenza al fatto estetico da parte di questi studiosi mi pare il più grande limite delle ricerche di questo tipo". <119
[NOTE]
115 “cara Paloma, il mio Visconte è un libro freddo, meccanico”: le idee, le crisi, gli errori dello scrittore Calvino nelle lettere a Elsa de’ Giorgi di Paolo Di Stefano del 11/08/2004
116 M. Corti, Un eccezionale epistolario d’amore in Vuoti del tempo, Bompiani, Milano 2003 p.144 (contenuto anche in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi)
117 Introduzione alle Fiabe in I. Calvino, Fiabe Italiane, raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti da Italo Calvino, Einaudi, Torino 1956
118 “cara Paloma, il mio Visconte è un libro freddo, meccanico”: le idee, le crisi, gli errori dello scrittore Calvino nelle lettere a Elsa de’ Giorgi di Paolo Di Stefano del 11/08/2004
119 M. Corti, Un eccezionale epistolario d’amore in Vuoti del tempo, Bompiani, Milano 2003 p.145 (contenuto anche in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi)

Eugenia Petrillo, Italo Calvino ed Elsa De Giorgi: l’itinerario di un carteggio, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014-2015

sabato 15 luglio 2023

Calvino non viene riconosciuto al momento dell’arresto come partigiano, ma semplicemente come renitente alla leva

Sanremo (IM): ex fortezza di Santa Tecla

«Per quel che mi riguarda, la Resistenza mi ha messo al mondo, anche come scrittore. Tutto quello che scrivo e penso parte da quell’esperienza» <16: con queste poche parole si percepisce l’importanza che assumeranno questi ventuno mesi per Calvino, mesi dettati dal profondo entusiasmo di poter partecipare attivamente alle fasi del cambiamento di regime. Si trova presso il campo della milizia universitaria di Mercatale di Vernio, costretto al servizio militare che aveva provato a disertare molte volte, quando arriva la notizia del ritorno di Badoglio al governo. Subito la sua reazione è di estremo entusiasmo, ma da alcune lettere indirizzate al padre e a Eugenio Scalfari, si percepisce tutto il suo dispiacere di essere «fuori dal mondo, […] lontano dal mio paese» (L, p. 140). Sente quindi forte il richiamo della sua Liguria e decide di partecipare attivamente alla lotta anti-fascista.
Ad agosto 1944, dopo aver sostenuto alcuni esami, tornerà a Sanremo dove, nominato caporale maggiore, verrà posto in licenza illimitata dopo l’8 settembre. Dopo questa data, per sfuggire alla leva della repubblica di Salò, trascorse molti mesi nascosto per non essere arrestato dalla polizia fascista come disertore e per combattere la solitudine si buttò a capo fitto su varie letture che influenzarono la sua vocazione di scrittore. In questi quarantacinque giorni, giorni di profondo fervore, prese la decisione di entrare «nell’organizzazione comunista clandestina» (S, p. 2744).
I primi mesi del 1944 lo vedranno sottoporsi a diverse visite presso l’ospedale militare di Genova e quello di Savona e a maggio presterà servizio presso il Tribunale militare di Sanremo in qualità di scritturale (ubicato presso Piazza Colombo e completamente distrutto durante un bombardamento), come si evince dalla domanda di ammissione presentata all’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia <17. Si farà sempre più pressante, in questi mesi, la necessità di agire, così deciderà di entrare nel partito comunista considerato da Italo «la forza più attiva e organizzata» (S, p. 2744) contro il fascismo:
"Quando seppi che il primo capo partigiano della nostra zona, il giovane medico Felice Cascione, comunista, era caduto combattendo contro i tedeschi a Monte Alto nel febbraio del 1944, chiesi a un amico comunista di entrare nel partito" (S, p. 2745).
Così, insieme al fratello Floriano, prenderà la decisione di salire sui monti per apportare il proprio contributo alla causa della Resistenza, testimoniata anche dalle parole che il fratello maggiore rivolgerà al fratello minore nel racconto La stessa cosa del sangue, uscito inedito nella raccolta del 1949 Ultimo viene il corvo: «Questa vita di ribelli di lusso non ho più testa a farla. O facciamo il partigiano o non lo facciamo. Uno di questi giorni sarà bene che pigliamo la via dei monti e saliamo con la brigata» <18. I racconti di questo periodo, scritti tutti in terza persona, sono in realtà un chiaro indicatore degli eventi che Calvino affronta come partigiano, e pur nella trasfigurazione letteraria offrono indizi preziosi per ricostruirne la biografia di quegli anni, le scelte effettuate.
Ripercorrere esattamente i mesi che seguirono la scelta di entrare a far parte dei vari distaccamenti partigiani dell’entroterra ligure non è facile visto lo scarso materiale a disposizione, ma la ricostruzione di alcuni studiosi come Claudio Milanini, Francesco Biga, Domenico Scarpa, Pietro Ferrua e di altri, possono aiutarci a delineare, pur con qualche dubbio o lacuna, la sua esperienza partigiana.
Dalla domanda dell’ANPI, datata 7 ottobre 1945, i primi dati certi sono da far risalire all’agosto-settembre dello stesso anno [n.d.r.: invece si trattava del 1944]. Durante questo periodo di effettiva presenza come partigiano nelle località di Beulle, Baiardo e Ceriale nel distaccamento Alpino guidato dal comandante Umberto, all’anagrafe Candido Bertassi, Calvino prenderà parte alle azioni armate di Coldirodi (3 settembre) e Baiardo (5 settembre) <19. Prima di queste date abbiamo solo le dichiarazioni del comandante Erven, Bruno Luppi, che sostenne la presenza di Italo Calvino nella IX Brigata garibaldina durante il combattimento di Carpenosa del 16 giugno. Il piccolo paese di Carpenosa è un agglomerato di case adagiate sulla strada che da Badalucco e Montalto Ligure porta a Molini di Triora e Triora. Al suo fianco scorre il fiume Argentina che dà il nome alla vallata e che fu al centro della lotta resistenziale. Il 27 giugno il comandante Erven venne ferito nel combattimento di Sella Carpe e i garibaldini subirono forti perdite, così il suo gruppo si sciolse per aggregarsi ad altre formazioni. La battaglia di Sella Carpe fu l’inizio di dieci giorni tempestosi per tutta la Resistenza nella provincia di Imperia. Da ciò si evince che Calvino potrebbe essere stato quindi con i garibaldini, prima di entrare a far parte della brigata guidata dal comandante Umberto che guidava un gruppo badogliano.
[...] In questo mese, dal 15 agosto al 20 settembre 1944, Calvino insieme al fratello Floriano milita nel gruppo del comandante Umberto nel bosco delle Beulle sul Monte Ceppo e poi nella zona di Ceriana (nel documento dell’ANPI appare scritto Ceriale invece di Ceriana, ma è presumibilmente un errore di trascrizione) per poi entrare nella brigata cittadina «Giacomo Matteotti», distaccamento «Leone», al secolo Juares Sughi, guidato dal comandante Aldo Baggioli che aveva base a San Giovanni. Non ci sono molti documenti che comprovino il periodo in cui Calvino si trova a far parte di questo distaccamento, ma alcuni suoi racconti ci possono chiarire alcuni episodi, come quello relativo all’arresto della madre. In questo periodo i fratelli Calvino si nascondevano di giorno in una grotta creata dal padre Mario nelle campagne di San Giovanni. Era un nascondiglio segreto che ricreava una vera e propria cameretta in muratura, dove i due si nascondevano insieme ad altri partigiani. Questa grotta, come riporta Ferrua attraverso la voce di Pierto Sughi, fratello di Jaures, era stata costruita dal padre di Calvino, Mario, per i figli Italo e Floriano e si trovava in prossimità di una concimeria. Era una vera e propria cameretta dove c’era «una tonnellata di legname e c’era un buco dove ci passavamo, un buco fatto su misura, che non si vedeva» <22. Aggiunge poi che i due fratelli Calvino trascorrevano lì tutto il giorno per uscire la notte.
Risale a questo periodo un episodio importante per Italo: l’arresto dei genitori, interrogati e torturati per riuscire a fargli confessare dove si nascondessero i figli, altri partigiani e le armi. Ma entrambi non cedono, anzi, la forza e la determinazione della madre sarà ben descritta da Italo in Autobiografia politica giovanile:
"Non posso tralasciare di ricordare qui […] il posto che nell’esperienza di quei mesi ebbe mia madre, come esempio di tenacia e coraggio in una Resistenza intesa come giustizia naturale e virtù familiare, quando esortava i due figli a partecipare alla lotta armata, e nel suo comportarsi con dignità e fermezza di fronte alle SS e ai militari, e nella lunga detenzione come ostaggio, e quando la brigata nera per tre volte finse di fucilare mio padre davanti ai suoi occhi" (S, p. 2746).
Riguardo i giorni di prigionia dei genitori una grande testimonianza ci viene offerta dal racconto La stessa cosa del sangue che, insieme a Attesa della morte in un albergo e Angoscia in caserma, compongono un gruppo di racconti coeso che avrà una vicenda editoriale complessa <23, dove, tra le righe del racconto, c’è un chiaro rimando autobiografico.
Nella domanda dell’ANPI si legge che Italo è stato in carcere per tre giorni a Santa Tecla, dopo essere stato arrestato durante il rastrellamento di San Romolo. La fortezza settecentesca di Santa Tecla, costruita a seguito di una durissima repressione attuata verso la popolazione di Sanremo che si era ribellata al governo di Genova e che fu successivamente caserma, sede dell’arma dei carabinieri, base di idrovolanti e deposito di munizioni e che durante la Resistenza assunse la funzione di carcere dove i prigionieri aspettavano di conoscere il loro destino: salvati o uccisi. Durante i circa dieci giorni del rastrellamento, alcuni partigiani come Floriano Calvino riescono a scappare, altri uccisi come Aldo Baggioli <24, molti altri vengono catturati come Italo Calvino. Da un’intervista fatta a Sanremo il 17 ottobre 1985 al partigiano Massimo Porre raccolta da Ferrua <25, si legge che Calvino e il fratello Floriano, Jaures Sughi, lo stesso Porre e un certo Pino si trovavano nella grotta di San Giovanni quando vennero svegliati da forti rumori di porte sfondate nelle vicine abitazioni. Nel rastrellamento Santiago <26 e Leone, nome di battaglia rispettivamente di Italo Calvino e Jaures Sughi, vengono catturati ma, fortunatamente Italo sarà salvato dalla fucilazione immediata grazie ad un foglio di licenza datogli da un partigiano di Ancona, Guido Pancotti, il futuro «ingegner Travaglia» della Speculazione edilizia. Pancotti era andato via da Ancona portandosi dietro con sé dei fogli di licenza, uno dei quali lo aveva dato a Calvino. La città marchigiana in quel momento stava per essere occupata dagli americani.
Sul numero dei giorni effettivi che Calvino trascorre in carcere nella fortezza di Santa Tecla ci sono notizie contrastanti. Potrebbero essere effettivamente tre come si legge dalla domanda dell’ANPI, oppure una a Santa Tecla e due a Villa Auberg o Villa Giulia come sostiene Milanini dopo un colloquio con il partigiano Grignolio, o ancora al Castello Devachan <27. Una bella descrizione della fortezza sul porto servita precedentemente «da prigione di rigore per i soldati tedeschi» <28 e di un «grande albergo da poco degradato a caserma e prigione» (RR II, p. 228), la troviamo in Attesa della morte in un albergo: "Il carcere era una vecchia fortezza sul porto, dove allora era installata la contraerea tedesca. La cella dove erano stati rinchiusi era servita da prigione di rigore per i soldati tedeschi […]. Loro erano una ventina, nella stessa cella, stesi a terra l’uno a fianco all’altro […]. L’inferriata dava sulla scogliera; il mare rogliava tutta la notte spinto negli scogli, come il sangue nelle arterie e i pensieri nelle volute dei crani" (RR I, p. 230).
Anche la presenza di «un vecchio padre con la barba bianca, vestito da cacciatore, padre d’uno di loro» (RR I, p. 229) aumenta le correlazioni tra questo racconto e l’episodio realmente vissuto da Calvino.
Sempre nella domanda dell’ANPI si legge: «arruolato nella Rep. (dep. Prov. I)» vicino alla sezione riguardante l’arresto di Italo. Quindi non viene riconosciuto al momento dell’arresto come partigiano, ma semplicemente come renitente alla leva, perciò non fu mandato come molti compagni nel carcere di Marassi a Genova, ma arruolato d’ufficio nella Repubblica Sociale e rinchiuso nel Deposito Provinciale di Imperia.
Dei giorni trascorsi a Imperia abbiamo un lungo resoconto in Angoscia in caserma. Qui descrive come era suddivisa la caserma, sia da un punto di vista strutturale che riguardo la suddivisione in gruppi di prigionieri. Inoltre nella seconda parte del racconto espone le varie fasi della fuga iniziata grazie ad un guasto al camion che trasportava i prigionieri [...]
[NOTE]
16 Italo Calvino, Sono nato in America… Interviste 1951-1985, a cura di Luca Baranelli, introduzione di Mario Barenghi, Mondadori, Milano, 2002, pp. 33-34. Intervista dal titolo La resistenza mi ha messo al mondo. (Risposte scritte alle domande di Enzo Maizza per il dibattito su La giovane narrativa, «La Discussione», 29 dicembre 1957).
17 Questo prezioso documento è stato ritrovato da Francesco Biga, direttore scientifico dell’Istituto Storico della Resistenza di Imperia (fino alla morte, avvenuta nel 2013), partigiano e autore insieme con altri della monumentale Storia della Resistenza imperiese in 5 volumi. Ho potuto visionare personalmente il documento conservato presso l’Istituto della Resistenza di Imperia.
18 Italo Calvino, La stessa cosa del sangue, in RR I, pp. 221-227 (227).
19 Le due azioni armate fanno parte di una serie di offensive partigiane concomitanti volte a liberare il litorale nella speranza che le truppe alleate che erano già sbarcate in Francia, arrivassero fino in Italia. L’attacco a Coldirodi coincise con quelli effettuati dai garibaldini anche a Pigna, Dolceacqua, Taggia, Bordighera, Vallecrosia, città del ponente ligure.
20 L’epopea dell’esercito scalzo, a cura di Mario Mascia, A.L.I.S. Sanremo, s.d. [ma 1945] (firmati da Calvino sono i capitoli su Castelvittorio paese delle nostre montagne, pp. 49-50, e Le battaglie del comandante Erven, pp. 235-244). Mario Mascia, nato a Ponticelli (Napoli) nel 1900, si iscrisse al partito socialista italiano nel 1919. Dopo la laurea in Giurisprudenza lascià l’Italia per gli Stati Uniti a causa del fascismo. Tornò in Italia dove si trasferì a Sanremo e insegnò inglese all’Istituto tecnico commerciale per ragionieri, dal quale venne sospeso perché lontano dai dettami fascisti. Fondò il primo comitato anti-badogliano italiano e divenne membro del Cln di Sanremo. Morì a Sanremo all’età di sessant’anni (Romano Lupi, Italo Calvino e la Resistenza, in La città visibile: luoghi e personaggi di Sanremo nella letteratura italiana, Philobon, Ventimiglia 2016, pp. 93-103 (93).
22 Pietro Ferrua, Italo Calvino a Sanremo, cit., p. 92.
23 Questi tre racconti fanno parte del trittico di racconti introspettivi in terza persona della Resistenza che nascono da episodi autobiografici. Usciranno nella prima edizione di Ultimo viene il corvo del 1949, ma successivamente saranno espunti dall’edizione del 1969 per rientrare nell’ultima: quella del 1976.
24 Aldo Baggioli, nome di battaglia Cichito, giovane comandante di brigata, venne ucciso con altri partigiani la mattina del 15 ottobre 1944 da una raffica di mitra, durante il rastrellamento dei tedeschi a San Romolo.
25 Pietro Ferrua, Italo Calvino a Sanremo, cit., p. 93.
26 Santiago è il nome di battaglia che avrà Calvino da partigiano e si rifà al nome della città cubana in cui nasce: Santiago de las Vegas.
27 Claudio Milanini, Appunti sulla vita di Italo Calvino 1943-1945, «Belfagor», LXI, 1, 2006, pp. 43-61 (p. 55).
28 Italo Calvino, Attesa della morte in albergo, in RR I, p. 228-235 (229). Secondo dei tre racconti sulla guerra e rimasto inedito fino alla sua pubblicazione nel 1949 in Ultimo viene il corvo.
Elisa Longinotti, Calvino e i suoi luoghi, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2022-2023

venerdì 3 marzo 2023

La De Giorgi, rievocando il suo rapporto con Calvino, dedica un intero capitolo al loro usuale ritrovo a Caponero

Ospedaletti (IM): il mare davanti a Capo Nero

Negli anni dal 1954 al 1956 per incarico dell’editore Einaudi Calvino si dedicò ad un importante studio filologico: raccolse e riscrisse le Fiabe italiane, servendosi del lavoro di Cocchiara e di Pitré, i due insigni studiosi di tradizioni popolari italiane. Mancava in Italia una raccolta tanto minuziosa ed esauriente del patrimonio popolare fiabesco quale esisteva in altri paesi, per esempio in Germania, già da centocinquant’anni.
Questi furono anche gli anni della relazione sentimentale con l’attrice Elsa de' Giorgi (dal 1955 al 1958), di cui si conserva un importante epistolario. Maria Corti, che conosce quelle lettere per averle ricevute in consegna dalla stessa de’ Giorgi, lo presenta:
"L’epistolario, giacente dal novembre 1994 nel Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia, consta di 297 lettere di Calvino alla De Giorgi, tutte di rilevante lunghezza, delle quali 144 (dal giugno del ’55 alla fine estate del ’58) sono state sigillate, in base alle disposizioni dei Beni Culturali sugli epistolari, per 25 anni, periodo per il quale non sono quindi consultabili né descrivibili, dato il carattere privato delle missive. Postillerei solo che si tratta forse dell’epistolario più bello, così lirico e drammatico insieme, del Novecento italiano". (CORTI, M., 1998: 301)
Annalisa Piubello, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016
 
Nell'opera "Gli amori difficili" sono presenti anche dei racconti che implicitamente contengono dei riferimenti autobiografici alla vita dello stesso Calvino e in particolare alla sua relazione amorosa con l'attrice Elsa de' Giorgi <113, come "L'avventura di un viaggiatore" e "L'avventura di un poeta". Il primo dei due testi ha come protagonista Federico, un uomo che abitualmente compie lunghi viaggi in treno durante la notte per raggiungere Roma, dove vive la fidanzata Cinzia
[...] Paradossalmente, quando nel finale del racconto il protagonista arriva a Roma e incontra Cinzia, viene travolto da insicurezze e paure che oscurano il senso di pienezza provato durante il viaggio e che gli impediscono di spiegare all'amata perché preferisce la notte trascorsa sul treno circondato da oggetti simbolici e familiari ai giorni frenetici e caotici vissuti con la donna reale; ancora una volta l'uomo è quindi incapace di spiegare il suo appagamento e la totalità del suo desiderio poiché esso rappresenta un'esperienza ineffabile, una visione intima e personale dell'amore.
[...] Anche nel testo "L'avventura di un poeta" è presente l'elemento autobiografico, poiché il viaggio in barca del protagonista Usnelli insieme all'amata Delia richiama le ore estive trascorse da Calvino e da Elsa de' Giorgi «in her small boat swimming and exploring the Ligurian coast» <118, e la figura del poeta sembra in un certo senso rappresentare l'alter ego dell'autore. Il nucleo centrale del racconto consiste nella lotta insanabile tra l'ineffabile esperienza amorosa e la volontà di esprimerla attraverso il linguaggio <119. Il protagonista e la donna amata stanno infatti esplorando una piccola isola a bordo di una barca, ma, nonostante entrambi stiano osservando lo stesso paesaggio, le loro reazioni e le modalità di esprimere lo stupore che provano sono nettamente differenti. Mentre Delia dà voce a tutto il suo entusiasmo urlando di gioia e recitando poesie, Usnelli non riesce a pronunciare nemmeno una parola perché sente che il linguaggio sarebbe completamente inadeguato davanti allo splendore della natura e potrebbe violare il senso di meraviglia che il protagonista prova dentro di sé; lui infatti si rende conto che nella sua attività di poeta non ha mai dedicato nemmeno un verso alla felicità, allo stupore, all'amore, a quelle esperienze umane positive che vanno al di là del mondo delle parole e che risultano inesprimibili.
[...] Il legame tra l'autobiografia dello scrittore e i personaggi del romanzo è ben visibile se si osserva la protagonista femminile dell'opera e la sua connessione con Elsa De' Giorgi, la donna che ha rappresentato per lo scrittore il vero amore e che «sopravvive nella Viola del 'Barone rampante', nella Claudia della 'Nuvola di smog', nei personaggi femminili della serie di racconti 'Gli amori difficili'» <130. L'attrice italiana presenta infatti dei tratti in comune con varie figure femminili della narrativa calviniana, ma essi diventano evidenti e più espliciti nel caso di Viola, perché l'amore tra lei e Cosimo richiama fortemente la relazione tra Elsa De' Giorgi e Calvino.
[...] Le somiglianze tra Elsa e Viola sono numerose: le due donne sono bionde, voluttuose, civettuole e desiderano vivere in modo agiato e confortevole; entrambe inoltre suscitano nel compagno un sentimento di rabbia e di gelosia molto forte a causa del loro modo di fare quando sono in compagnia di altri uomini. Al di là dei singoli elementi di correlazione tra le due figure <132, ciò che più è interessante constatare è il fatto che il riferimento fortemente autobiografico nella costruzione del personaggio femminile dimostra la centralità della donna nell'opera e la sua complessità, frutto appunto di numerosi elementi combinati tra loro, tra i quali quelli ricavati dalla vita privata dell'autore e dalla sua relazione con l'amata.
[NOTE]
113 Per un approfondimento della relazione amorosa tra Elsa de' Giorgi e Italo Calvino e dei riferimenti autobiografici connessi a questo rapporto nelle opere dello scrittore si rimanda a E. DE' GIORGI, Ho visto partire il tuo treno, Milano, Leonardo, 1992, e al saggio M. CORTI, Un eccezionale epistolario d'amore di Italo Calvino, contenuto in G. BERTONE (a cura di), Italo Calvino. A writer for the next millennium, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1988.
118 B. TOMPKINS, Calvino and the Pygmalion Paradigm, cit., p. 67.
119 Per approfondire il concetto calviniano della lotta tra l'esperienza amorosa umana e la sua espressione si rimanda a I. CALVINO, Otto domande sull'erotismo, «Nuovi Argomenti», n. 51-52, luglio-ottobre 1961.
130 D. SCARPA, Italo Calvino, Milano, Mondadori, 1999, p. 20.
132 Per un maggiore approfondimento dei tratti di somiglianza tra Elsa e Viola si rinvia a E. DE' GIORGI, Ho visto partire il tuo treno, cit., e al saggio M. CORTI, Un eccezionale epistolario d'amore di Italo Calvino, cit.
Giulia Zanocco, I personaggi femminili nella narrativa di Italo Calvino: stereotipizzazione e complessità, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2019-2020

Ospedaletti (IM): pini a Capo Nero

Le vicende biografiche che legano Calvino all'America latina sono note: la nascita a Santiago de Las Vegas, il matrimonio con la traduttrice argentina Esther Singer, i viaggi a Cuba (1964), in Messico (1964 e 1976) e in Argentina (1984). Calvino rientra in Italia a tre anni, ma ricorda come nel pastiche linguistico del padre entrasse anche la lingua di paesi presso cui questi lavorò tra il 1909 e il 1925. [6]
[6] Cfr. la lettera ad Elsa de' Giorgi del 6/1/1958, allorché Calvino descrive il proprio rapporto con la lingua scientifica usata dalla madre ed il pastiche linguistico del padre; l'occasione è una riflessione sul lessico botanico, avvertito da Calvino come impoetico. "Questo principio che non potevo naturalmente giustificarmi mi si configurava - di fronte al culto di mia madre per l'esattezza della terminologia - come una colpa, in modo tanto grave da vietarmi di distinguere - cioè di avere il bisogno di dar loro un nome - le piante, di considerarle nella loro specifica diversità. Quindi per farmi imparare la botanica avrei avuto bisogno di un precisissimo raffinamento e decadentismo letterario in modo d'apprezzare il pastiche polilinguistico, e trovare ad esempio una contraddittoria coerenza nel linguaggio di mio padre, misto di termini scientifici, dialettali, spagnoli, italiani, inglesi, in cui tutto diventava riconoscimento d'una rigorosa unità stilistica; ad apprezzare il pastiche fatico molto di più. Quindi posso dire che non ho mai imparato la botanica per la stessa ragione per cui mi riesce difficile apprezzare C.E. Gadda". Qui citato da M. CORTI , Un eccezionale epistolario d'amore di Italo Calvino, in Italo Calvino, a writer for the next millennium, a cura di G. Bertone, Edizioni dell'Orso, Alessandria, 1998, p. 305
Luigi Marfè, Il sapore del Messico e altre cose. Italo Calvino e le letterature iberiche, Artifara, 5, 2005     

Ospedaletti (IM): scogli a Capo Nero

Tuttavia c'è anche il Calvino "lirico": nessuna delle trecento lettere che lui scrisse all'attrice Elsa De Giorgi durante la loro intensa relazione negli anni '50 si può trovare in questa collezione.
[...] In un periodo storico intellettualmente importantissimo come quello del secondo dopoguerra, Calvino era il Calvino de "Il Midollo del leone", il Calvino dirigente dell'Einaudi e quello che abbandonò il Pci; era il Calvino delle "Fiabe italiane" che hanno consolidato l'immagine di un Calvino "favolista"; il Calvino del "Barone rampante" e della "Speculazione edilizia"; il Calvino della "Nuvola di Smog" e del "Cavaliere inesistente". Quindi, forse, è in queste lettere che si potrà rintracciare il Calvino più autentico e vulnerabile che ad Elsa De Giorgi ha dedicato i libri più belli, liberi, liberatori che abbia scritto, quelli che ben giustificano la sua fama e il suo valore.
Calvino aveva sempre considerato l'amore come cosa secondaria ed accessoria, non certamente essenziale per la vita completa di un poeta, aveva sempre pensato che altro non fosse che un elemento esistenziale vissuto nell'ambito della nostalgia e del desiderio. Dopo l'incontro amoroso con la De Giorgi egli prende coscienza di qualcosa di nuovo: l'amore arricchisce la vita e aumenta la sete di essa. Si vedrà dunque, nei capitoli successivi, come molte osservazioni importanti per comprendere l'opera calviniana siano disseminate nelle epistole amorose, ma si constaterà anche quanto queste analisi risultino solo un assaggio di quello che in realtà è tenuto ingiustamente nascosto da leggi che impediscono la conoscenza di elementi preziosi alla comprensione di uno scrittore come Calvino e al sommuoversi del suo linguaggio. Man mano che Calvino si convince della portata di questa nuova visione, lascia spazio ad un Calvino nuovo, ottimista, il più adorabile forse, il Calvino del gioco, dell'umorismo sapiente ed innocente, quello che secondo la De Giorgi scriveva disegnando avvenimenti e stati d'animo, con una grazia di cui è un delitto non poter portare a conoscenza i lettori.
Il fatto che la sua opera sembri sortita, per molti critici, dalla naturalezza di uno scrittore sapiente, destinato ad esserlo senza l'assillo di una propria storia umana, secondo la De Giorgi a Calvino non sarebbe piaciuto per niente. Quindi, contro l'immagine più nota dello scrittore timido, sognante, appartato e capace di un grande rigore intellettuale, appare un Calvino passionale, umorale ed irrequieto.
'Quello che è avvenuto dopo la morte di Calvino, l'inconcludenza con la quale si è girato intorno alla sua opera, rispecchia una crisi intellettuale generazionale, giunta al suo culmine, non certo per rovelli stilistici ai quali, per la verità, con Garboli solo Citati pose attenzione in uno degli articoli scritti a caldo dopo la sua morte, (…) ma per la sbrigatività con la quale si liquidò Calvino monumentalizzandolo perentoriamente in quella classicità di gesso che era precisamente l'opposto di ogni sua vocazione e problematicità. Eppure è forse in quella crisi, rivelata dal disorientamento dei suoi critici postumi presi in contropiede dalla sua morte, che va indagato Calvino.' <7
Nei capitoli seguenti ho cercato quindi di studiare il carteggio attraverso quello che è stato possibile recuperare delle trecento lettere di cui è composto, di cui circa la metà è stata posta sotto sigillo. Ho cercato di raggruppare la maggior estensione possibile dei brani trovati, attraverso la collazione e l'unione degli stralci recuperati in primo luogo da "Ho visto partire il tuo treno" (il libro che scrisse la De Giorgi sulla relazione con Calvino in cui cita le lettere dello scrittore), che ha costituito la fonte primaria del reperimento. Un'altra fonte sono stati gli articoli di giornale presenti nell'archivio dei quotidiani, che a partire dal 1956 vennero scritti sul caso Calvino-De Giorgi, un'altra ancora dai saggi di Maria Corti e di Martin McLaughlin; infine è risultato un materiale fondamentale, per la buona estensione dei brani delle lettere, quello che è rimasto in rete dopo la pubblicazione delle lettere su 'Epoca', avvenuta per volere della De Giorgi e poi bloccata dalla vedova Calvino. Si tratta di un lavoro di sistemazione e assemblaggio di tutto quello che è stato detto e scritto sul caso Calvino-De Giorgi negli interventi sui periodici, nella cronaca mondana dei quotidiani e nei saggi critici, al fine di dare un'idea di come andarono le cose, sviluppando gli aspetti importanti dove è stato possibile farlo e preparando così il materiale per quando le lettere potranno essere finalmente lette e studiate.
[...] La De Giorgi, rievocando il suo rapporto con Calvino, dedica un intero capitolo al loro usuale ritrovo a Caponero, località tra Ospedaletti e Sanremo, e all'impatto esplosivo che ebbe il loro incontro. Se per lei - che era sposatissima - fu un processo più lento e solo col tempo incominciò a ricambiare l'amore, per Calvino fu un coinvolgimento immediato "Sono con te, tutto il resto mi è estraneo e indifferente" e, come un fuoco che divampa, ha invaso ogni aspetto della sua vita "(…) e soprattutto l'amore, un amore grande come tutte le ragioni dell'intelletto e della vitalità che è in noi". <80
Tutto il discorso amoroso calviniano ha ora i suoi termini specifici che prevedono un registro nuovo rispetto a quello usato solitamente dall'autore. Lo scrittore si pone sotto una nuova luce in quanto uomo: si descrive e viene descritto come un essere bicefalo che non può raggiungere la sua completezza se non accompagnato dalla figura di una donna che finisce per risultare l'unico elemento indispensabile alla felicità. La De Giorgi scrive: 'Per Calvino la convinzione di sentirsi ancora radicato quale parte intelligente a un creato dove l'amore - come lo aveva scoperto - poteva nei suoi imprevedibili impulsi respingerlo o accoglierlo nelle supreme armonie':
Il nostro amore scorre ancora accidentato e tutto rapide e anse come un torrente, e forse è in questa sua natura, nella natura accidentata e sassosa del terreno che attraversa la sua vera natura, la prova vera della sua forza: ma è di quei torrenti che si sa che diventeranno fiumi che traverseranno pianure e regioni che nutriranno mari.'
[HPT ('Ho visto partire il tuo treno) pag.33]
"Come abbiamo saputo in mezzo a tutto questo costruire la nostra felicità, a fili, a festuche, come due uccelli che si costruiscono il nido in mezzo ai fili dell'alta tensione (…) come hai saputo sempre combattere la mia tendenza a lasciarmi andare giù per il versante grigio della vita, come mi hai sempre insegnato a tenermi con la faccia al sole (…) il dato di natura della tua bellezza è solo uno strumento" <81
[posteriore al settembre 1955]
Varie sono le considerazioni di Calvino sul tempo, sul suo umore, sugli stati d'animo, sulle impressioni e sul luogo in cui si trova: a Sanremo, a Torino, a Roma, "Sono triste", "oggi sono rattristato", "ho un rimorso", "era una giornata triste ieri", "sono contento"; "sono tornato da Milano"; "sono a Sanremo". L'intento della De Giorgi, dunque, è quello di non rinviare l'annotazione dei ricordi prima che le immagini custodite in essi di un Italo Calvino singolare, spariscano. Urge impellente la necessità di recuperare un tempo non perduto, ma vissuto in una storia che non è esclusivamente d'amore. La De Giorgi cerca di compendiare fatti e cose che sembrano avvilupparsi al sembrano avvilupparsi al
racconto quasi conclusivamente, prima di averle affidate alla confidenza di una ragionevole stesura.
[...] Come si è già accennato precedentemente, la relazione segreta veniva messa a dura prova anche dai pettegolezzi e da imprevisti come il caso de 'L'Espresso'. Le "Fiabe italiane", alle quali Calvino aveva iniziato a lavorare nel 1954, escono il 12 novembre del 1956 da Einaudi (gran parte di quest'anno lo dobbiamo dunque considerare occupato da questo lavoro molto impegnativo sulle 'Fiabe') e quando lo scrittore le pubblicò, le dedicò a "Raggio di sole", che era uno dei nomignoli con cui lui chiamava Elsa e di cui solo lei era a conoscenza. Naturalmente nel bel mondo letterario si scatenò la caccia per capire chi fosse la fantomatica Raggio-di-sole, e fra le ipotesi dei pettegoli letterati di via Veneto si fece anche il nome dell'attrice. <88 'L'Espresso' raccoglieva da poco sotto la testatina "Confidenze italiane" certe cronache di mondanità culturale che venivano firmate da Mino Guerrini con lo pseudonimo di Minimo, che in quest'occasione scrisse: "Intanto dall'altra parte della città, in un caffè di via Veneto, ebbe inizio il mistero, un nuovo quiz di cui discutere della serata: a chi aveva dedicato il libro il giovane scrittore? A Pavese, naturalmente, ma anche ad un'altra persona adombrata nella dedica sotto il nome di 'Raggio di sole', personaggio che non è nel libro. Chi poteva essere questo Raggio di sole? Furono suggeriti molti nomi, ma soltanto a sera tarda, dopo molte discussioni ad un tavolo di letterati, fu trovata la risposta esatta: Elsa De Giorgi. Raggio di sole è infatti l'anagramma, quasi esatto, del suo nome, manca solo una 'e'." <89
La notizia uscì su 'L'Espresso', Calvino lo seppe in anticipo, ma non riuscì a fermare la pubblicazione e la cosa diede parecchi fastidi all'attrice, che era impegnata nella complessa causa di divorzio [n.d.r.: di separazione: il divorzio all'epoca non era ancora legge] e che così racconta <90:
'Ci fu poi l'episodio dell''Espresso', che scoperse nella prefazione delle 'Fiabe' dedicate a Raggio di Sole l'anagramma del mio nome. Calvino aveva fatto di tutto per impedire la pubblicazione dell'articolo, rivolgendosi direttamente al direttore Benedetti, ma purtroppo il pezzo era già stampato emi recò danno: fu infatti usato contro di me in tribunale.' <91
[HPT pag. 42]
L'episodio viene quindi riportato sia dalla De Giorgi sia da Calvino che le scrive una lettera e, riferendole così l'accaduto, mostra una visibile apprensione. Calvino infatti allude a "implicazioni legali" evidentemente legate alla causa di separazione (a cui si possono attribuire sia il tentativo di far intervenire direttore ed editore dell'Espresso, sia il tono di leggera e minimizzante blandizie che usava con la su corrispondente): "Mia cara, eccomi qui e appena arrivato mi sono trovato di fronte a un piccolo tentativo scandalistico da parte dell'Espresso che spero d'aver fatto in tempo ad evitare. M'hanno mandato la bozza dell'articolo per la manifestazione delle fiabe e alla fine dell'articolo, che è piuttosto lungo, tirano fuori la dedica a Raggio di sole e che a via Veneto la sera si discuteva su chi era Raggio di sole. Furono suggeriti molti nomi, ma soltanto a sera tarda, dopo molte discussioni, ad un tavolo di letterati fu trovata la risposta esatta: Elsa De Giorgi. Raggio di sole è infatti l'anagramma quasi esatto del tuo nome, manca solo la «e». Ho mandato subito un telegramma lampo a Benedetti raccomandandomi alla sua cortesia perché elimini la parte finale. E ho telefonato a Carlo (Caracciolo, ndr) perché telefonasse subito e si interessasse della cosa, magari soltanto facendo togliere il nome. Non so però se si è ancora in tempo, o se il numero è stato già stampato. Me lo sentivo che qualcosa combinavano. Spero soltanto che il mandarmi le bozze (per due giorni avevo inutilmente dato loro la caccia per riuscire a leggere l'articolo) sia stato fatto per vedere se protestavo. Sulla bozza il titolo non c'è e anche questo potrebbe essere uno scherzo di questo tipo. (Però, questa dell'anagramma è una scoperta loro, a cui noi non avevamo mai pensato, e che corrisponde alla verità! E se distogliamo il pensiero per un momento dalle implicazioni legali e giornalistiche è molto bello). <92
[*novembre 1956] <93
[...] Ad un certo punto, prima che la loro storia decollasse veramente, all'improvviso Calvino scompare senza dare più sue notizie virando così del tutto la preoccupazione della De Giorgi su di lui. Era scomparso Sandrino, ora anche Calvino, e così la contessa racconta:
"Calvino (…) Scomparve. Per alcuni giorni nessuno, né in ufficio, né la madre, ne seppe più nulla. (…) Calvino ne stava imitando i gesti proprio per richiamare la mia attenzione su di sé. Si appropriava della mia preoccupazione, obbligandomi a dividerla con quella per Sandrino. (…) Non potevo dimenticare in certe sue lettere la descrizione dei suoi patemi perché aspettava la mia telefonata sul corridoio gelido della camera mobilitata che abitava a via Carlo Alberto 9"
[HPT pag. 44]
Molti sono i racconti che Calvino fa della sue attese al telefono, in un corridoio freddo, con il terrore che le persone o la padrona di casa o l'inquilino potessero ascoltare la sua conversazione. Così, per esempio, Calvino scrive: "Per colmo di ventura qui la camera vicino al telefono è occupata da un inquilino e non posso parlare liberamente". Fu però proprio il telefono, a porre fine a quella terribile attesa e a riportare in contatto la De Giorgi con la voce irriconoscibile di Calvino. Lo scrittore si annunciò, dopo giorni, senza aggiungere alcun particolare. Lei lo implorò di rivelarle dove fosse e la paura di perdere quel contatto la spinse a dirgli: "Senti, se sei a Torino parto e ti raggiungo".
Rintracciato Calvino la De Giorgi lo raggiunge immediatamente alloggiando al Principe di Piemonte.
 
Fonte: Eugenia Petrillo, Op. cit. infra

[NOTE]

7 Da E. De Giorgi, Ho visto partire il tuo treno, Leonardo Editore, Milano 1992
80 HPT pag. 167
81 M. Corti, Un eccezionale epistolario d'amore in Vuoti del tempo, Bompiani, Milano 2003 p.142 (contenuto anche in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi)
88 A.Cambria, Nove dimensioni e mezzo, Donzelli Editore Roma 2010: 'Nel 1962 ormai a Roma da due anni, avevo letto il Visconte dimezzato, il Cavaliere inesistente e le Fiabe italiane di Calvino, che incominciavo a raccontare, magari semplificandole, al mio bambino… le Fiabe italiane erano dedicate dall'autore a "Raggio di Sole"… Avrei scoperto soltanto nel 1979 che "Raggio di sole" era l'anagramma -"quasi esatto" - di Elsa de' Giorgi: come scrisse Calvino, in una delle 407 sue lettere all'amata. Ma di lei, purtroppo, continuavo a non sapere nulla…. …Una sera del 1962 nella mia casa di via del Babuino - quella dell'"astratto salotto romano" di cui Sergio Saviane m'avrebbe attribuito la colpevole titolarità - arrivò anche Italo Calvino, con un'amica che nessuno di noi conosceva: era "Chiquita" (Esther Judith Singer), la traduttrice di cittadinanza argentina che lo scrittore aveva incontrato a Parigi e che aveva sposato il 19 febbraio 1964 a L'Avana. (Calvino era nato a Santiago de Las Vegas, a pochi chilometri dall'Avana, dove suo padre era il direttore del giardino botanico tropicale). La serata con Calvino e la sua amica in via del Babuino fu, come accadeva quasi sempre, un piacevole dopocena di chiacchiere spiritose e polemiche elitarie, ed erano quelli di sempre gli altri ospiti del mio divano angolare con la fodera di parcalle a fiorellini: Moravia, Morante, Pier Paolo Pasolini, Enzo Siciliano con la fidanzata, l'elegante Flaminia Petrucci, che allora da single emancipata (responsabile della grafica de "L'Espresso") abitava nell'appartamento al piano di sotto…. Calvino parlava poco, la sua amica ancora meno, andarono via presto e qualcuno pronosticò, pagando il dovuto al tasso di misoginia naturale dell'epoca: "Dopo il ciclone Elsa de' Giorgi , questa Chiquita sarebbe una moglie del tutto inoffensiva…"'.
89 S. Bartezzaghi, Scrittori giocatori, Einaudi, Torino 2010 pag. 208
90 http://www.trivigante.it
91 Dall'articolo di Alessandra Pavan su www.libreriamo.it, 20 0ttobre 2014:"AMORE COME DIVERTISSMENT ANAGRAMMATICO" - 'L'amore inoltre è argomento di enigmi e giochi letterari a partire appunto dal Barocco e da Luigi Groto, che compone due sonetti sull'amor sacro e l'amor profano , nei quali il contrario in senso direzionale crea il contrario nel significato. Ma i giochi con i nomi dell'amata cominciano già con Beatrice, Laura (l'aura) e Eleonora di Tasso (E …le onora) fino ad arrivare ad Italo Calvino, il cui interesse per l'anagramma risale al momento in cui si firmò come Tonio Cavillo in un ‘edizione per le scuole de Il barone rampante. A fine anni ‘50 Calvino si innamorò di un amore impossibile per Elsa de Giorgi, un attrice dell'epoca sposatissima e pubblicò le Fiabe Italiane dedicandole a Raggio di Sole, un anagramma imperfetto del nome dell'amata. Fu l'Espresso nel 1957 ad interrogarsi per primo sull'identità di Raggio di Sole e ad arrivare a questa congettura, poco plausibile - un anagramma imperfetto - per un autore perfezionista quale fu Calvino. E allora? "Fu il caso che svelò la cosa e ne derivò un caos?", così Bartezzaghi sigilla la sua lectio dedicata alle lettere che si intrecciano con i cuori.'
92 Stefano Bartezzaghi, giornalista e scrittore e soprattutto esperto di enigmistica, si è occupato di questo caso in Scrittori Giocatori alle pgg. 205-210. 'La cosa buffa e meravigliosa è che né Calvino né la De Giorgi avevano mai notato la cosa, come si deduce dalla parte finale della lettera.' Si tratta di un'operazione inconsapevole. Parrà strano, ma nel 1957 il concetto di anagramma non era affatto diffuso se non tra gli enigmisti, ed è dunque molto probabile che Calvino non praticasse la difficile arte (ne risultano altri esempi di tecnica argomentativa nelle altre opere di questo scrittore).
93 Non si può risalire con precisione alla data precisa della lettera; si può chiaramente ipotizzare che sia stata scritta in prossimità della pubblicazione delle Fiabe, quindi risale circa al mese di novembre 1956. Nella schedatura di McLaughlin non viene registrata nessuna lettera risalente al 12 novembre, ma soprattutto nessuna lettera riporta l'incipit "eccomi qui e appena arrivato mi sono trovato di fronte", neanche le lettere schedate senza data. Si dovrebbe quindi pensare che questo brano non sia compreso nelle 156 missive consultabili e schedate da McLaughlin; tuttavia, data l'inesattezza con cui potrebbero essere stati riportati alcuni passi reperiti delle lettere, da coloro che hanno avuto la possibilità di leggerle, la lettera schedata da McLaughlin il cui incipit si avvicina di più è la lettera 2,31: "Eccomi qui sballottato" datata nell'arco di tempo tra il 1956/1957.
 
Fonte: Eugenia Petrillo, Op. cit. infra. Per la lettura integrale della nota di Calvino acclusa da questa autrice nella tabella vedere post scriptum

Eugenia Petrillo
, Italo Calvino ed Elsa De Giorgi: l'itinerario di un carteggio, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014-2015
 
P.S. 
particolarmente nel suo innesto con un linguaggio che sentivo naturale, come quello dialettale e semidialettale parlato dalla gente, e questo principio che non potevo naturalmente giustificarmi mi si configurava - di fronte al culto di mia madre per l’esattezza della terminologia- come una colpa, in modo tanto grave da vietarmi di distinguere - cioè di avere bisogno di dar loro un nome- le piante, di considerarle nella loro specifica diversità. Quindi per farmi imparare la botanica avrei avuto bisogno di un precisissimo raffinamento o decadentismo letterario in modo d’apprezzare il pastiche polilinguistico, e trovare ad esempio una contraddittoria coerenza nel linguaggio di mio padre, misto di termini scientifici, dialettali, spagnoli, italiani, inglesi in cui tutto diventava naturale. Ma il [mio] modo di arrivare alla comprensione estetica è il riconoscimento d’una rigorosa unità stilistica; ad apprezzare il pastiche fatico, molto di più. Quindi posso dire che non ho mai imparato la botanica per la stessa ragione per cui mi riesce difficile apprezzare C.E Gadda.

martedì 30 novembre 2021

La letteratura sulla Resistenza invece è per Luti un bilancio a posteriori


È chiaro che gli interlocutori prediletti da Giorgio Luti sono i giovani; questa predilezione è valida anche per le pubblicazioni, concepite spesso per trasmettere loro la propria memoria storica, in modo tale che possano riflettere in maniera critica sul recente passato e su cosa abbia rappresentato. Si tratta di una necessità morale per Luti; in modo particolare è interessato a far comprendere ai giovani aspetti a loro poco noti della Resistenza <488, con l’intento di mostrare che, seppur in un momento di grandi cambiamenti e di sconvolgimenti globali, proprio in quegli anni era nata una nuova cultura.
La raccolta di saggi sulla Resistenza, L’Italia partigiana, curata insieme al collega Sergio Romagnoli, pubblicata per celebrare il trentennale della lotta partigiana, come ben comprende Geno Pampaloni, il quale aveva recensito l’opera sul «Giornale» del 14 dicembre 1975, era stata concepita dai curatori con la volontà di cogliere nella Resistenza «l’espressione di una rinascita popolare a livello civile e morale che dette i suoi frutti anche nello spazio della cultura borghese». Per questo motivo la scelta di Luti e Romagnoli è stata quella di raccogliere testi letterari (passi di romanzi di Bassani, Cassola, Pratolini, Fenoglio, Bilenchi, Renata Viganò), documenti di valore storico (come l’appello di Concetto Marchesi agli studenti di Padova nel 1943 o l’ultima lettera di Giaime Pintor al fratello), pagine di diari, relazioni di capi politici e militari, articoli di giornali clandestini, pagine di riflessione critica, canzoni popolari partigiane e poesie (di Cesare Pavese, Alfonso Gatto, Pier Paolo Pasolini) per sottolineare la rottura della Resistenza rispetto alla cultura letteraria in senso stretto.
Luti e Romagnoli intendono dimostrare infatti, attraverso la naturale integrazione tra letteratura e documento storico, che l’esperienza della Resistenza non avrebbe potuto essere quel grande movimento di popolo e di massa che fu durante la guerra di liberazione se non avesse permesso e quindi favorito la convivenza fraterna nelle sue file di uomini tanto diversi. Studenti e operai, intellettuali e contadini, militari di carriera di ogni grado, montanari e gente di mare, generazioni lontane, borghesi e proletari si ritrovarono, anzi si trovarono, per la prima volta nella nostra storia, l’uno accanto all’altro. Fu l’aspetto più epico della nostra Resistenza e che ancora a tanti anni di distanza viene rievocato con grande stupore <489. Raccogliendo oltre sessanta autori tra i più famosi e i meno noti, i due curatori, attraverso questa scelta antologica, hanno sottolineato come la Resistenza comportò la nascita di una letteratura spontanea, già a partire dal periodo della clandestinità, emblema del quale è la canzone Fischia il vento, urla la bufera, composta sul modello di una canzone russa importata dai reduci dal fronte orientale e di cui esistono diverse varianti.
Luti inoltre è stato tra i primi a sostenere che la Resistenza aveva comportato la nascita di una letteratura della Resistenza, oltre ad una letteratura sulla Resistenza fatta da diari e ricostruzioni storiche. Italo Calvino aveva tentato nel saggio La letteratura italiana sulla Resistenza nel luglio del 1949 di tracciare un primo bilancio sulla letteratura sulla Resistenza <490, rompendo la concezione della continuità tra la cultura prefascista e postfascista e divenendo letteratura nazionale, ovvero letteratura degli uomini che partecipavano attivamente, nel pieno della loro coscienza morale e civile, a un nuovo impegno nazionale attraverso un movimento nato dal basso e quindi espressione di una rinascita popolare e operaia, che si intersecò con la tradizione resistenziale di marca intellettuale. Negli anni del fascismo alla letteratura si erano prospettate due strade: o l’asservimento nei confronti del regime attraverso la ripresa di Gabriele D’Annunzio, l’Accademia d’Italia e l’Enciclopedia gentiliana, oppure l’isolamento volontario entro le mura dello studio della letteratura come era accaduto ai letterati della «Ronda» e più tardi di «Solaria». Luti evidenzia, come aveva già fatto a proposito degli studi sulle riviste, che è la Guerra di Spagna a far nascere i primi rapporti operativi tra intellettuali antifascisti e operai. La prospettiva della rinascita della coscienza popolare, portò infatti molti giovani intellettuali come Duccio Galimberti <491, Leone Ginzburg o Giaime Pintor <492 al sacrificio in nome degli ideali.
Secondo Luti, è proprio in queste testimonianze dirette che si constata il prodotto più efficace della Resistenza italiana. La letteratura della Resistenza spazia quindi dal documento scritto in medias res, al bilancio, al ricordo, dal canto popolare partigiano alle cronache e ai diari fino ad arrivare al prodotto più impegnativo che è il romanzo. Il punto focale della riflessione di Luti a tal proposito è la spontaneità con cui sono nati alcuni prodotti della letteratura della Resistenza - inni partigiani, stampa clandestina, periodici - espressione diretta del Comitato di Liberazione Nazionale, da confrontare con i giornali d’informazione nati nelle formazioni partigiane soprattutto del nord Italia come «Il partigiano alpino» di Giustizia e Libertà, «Il Combattente» delle Brigate Garibaldi, «Il Ribelle» di Fiamme Verdi, «Il Partigiano» delle Brigate Matteotti <493, documenti che lo interessano per il loro carattere di anonimità. Questi risultati di una scrittura dal basso - nei quali include anche la canzone popolare partigiana - si affiancano a testimonianze letterariamente più alte, rappresentate da diari, racconti e poesie clandestine dei letterati partigiani, i partigiani-scrittori. La letteratura sulla Resistenza invece è per Luti un bilancio a posteriori, negli anni del dopoguerra, di un’esperienza conclusa da affiancare alla saggistica sulla Resistenza <494, caratterizzata da una memorialistica pensata e meno appassionata, fattori questi dovuti al loro espletamento di funzione di bilancio storico. Cosa diversa invece è avvenuto secondo Luti per la narrativa e la poesia che negli anni dell’immediato dopoguerra proposero opere di alto livello letterario, nate dal cuore della Resistenza, come Il mio cuore a Ponte Milvio di Vasco Pratolini, Uomini e no di Elio Vittorini, Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino e I ventitré giorni della città di Alba di Beppe Fenoglio, nelle quale secondo Luti «si realizza la fusione organica tra intento letterario e partecipazione umana, in una dimensione difficilmente mantenibile negli anni che seguono, e nondimeno orientata alla soluzione del nuovo problema narrativo proposto dalla cultura nata negli anni della Resistenza» <495. Sul fronte della poesia invece, poeti come Corrado Govoni, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Umberto Saba, Cesare Pavese, Rebora o Mario Tobino non seppero dar voce ad una poesia nuova. Casi isolati sono rappresentati, secondo Luti, da Alfonso Gatto, le cui poesie circolarono clandestinamente fino alla raccolta Il capo sulla neve. Liriche della resistenza (Milano, Toffaloni, 1947), da Salvatore Quasimodo con le liriche Con il piede straniero sopra il cuore (Milano, Costume, 1946) e da Franco Fortini con la raccolta Foglio di via (Torino, Einaudi, 1946), nella quale Luti riconosce «l’esempio più sintomatico di una nuova dimensione corale che avvicina la poesia al canto popolare anonimo» <496.
[NOTE]
488 L’invito ai giovani di guardare con rinnovata coscienza ciò che la Resistenza ha comportato è sottolineato da Luti anche nel passo finale del saggio introduttivo all’antologia L’Italia partigiana: «Il ricorso a una memoria che non sia astratta rievocazione ma discorso concreto, esempio e stimolo per le nuove generazioni al di là di ogni possibile confusione. Ed è proprio in questa direzione che molti anni or sono ci conducevano le parole di Piero Calamandrei: “La Resistenza fu, e se non è morta dovrà essere qualcosa di più dell’ideologia di un partito, qualcosa di più profondo, di più universale, di più penetrante nei cuori, come una sintesi, come una promessa, come una volontà di comprendere umana” (Scritti e discorsi politici, vol. 1, Firenze, La Nuova Italia, 1966). Ebbene, è a questa sintesi e a questa volontà che oggi dobbiamo guardare con rinnovata coscienza, soprattutto i giovani ai quali è affidato il futuro» (GIORGIO LUTI, Resistenza e letteratura in L’Italia partigiana, antologia a cura di Giorgio Luti e Sergio Romagnoli, Milano, Longanesi, 1975, pp. XLVII-XLVIII).
489 SERGIO ROMAGNOLI, Interpretazione della Resistenza in L’Italia partigiana. Antologia, cit., p. XIV.
490 «Un primo bilancio delle opere letterarie italiane sulla Resistenza pubblicate a tutt’oggi, può dar luogo a discorsi e giudizi tutt’affatto differenti, a seconda che ci si ponga dal punto di vista della Resistenza o da quello della letteratura. Perché a chi si chieda se la letteratura italiana ha dato qualche opera in cui si possa riconoscere “tutta la Resistenza”, (e intendo “tutta” anche parlando d’un solo villaggio, d’un solo gruppo, “tutta” come spirito), un’opera letteraria che possa dire veramente di sé: “io rappresento la Resistenza”, l’indubbia risposta è: “Purtroppo non ancora”. Mentre invece a chi si chieda se la Resistenza ha “dato” alla letteratura e ai letterati, se la letteratura italiana s’è arricchita, attraverso l’esperienza della Resistenza, di qualcosa di nuovo e necessario, io credo si debba rispondere risolutamente: “Si”. Infatti, mentre gli scrittori già noti che all’esperienza della Resistenza si sono ispirati, non ci hanno dato altro […] che il documento della loro posizione d’intellettuali singoli di fronte alla lotta, cioè opere in cui la Resistenza non è mai la protagonista, ma solo il termine di un’antitesi (e anche i giovani che si son voluti innestare nella tradizione letteraria della generazione precedente hanno fatto lo stesso, pur talvolta servendosi di simboli meno diaristici), d’altra parte, tra i libri che pur essendo concepiti con intenti letterari, hanno come prima preoccupazione quella rievocativa e documentaria, libri che dovuti spesso alla penna di figure eminenti del movimento partigiano, sono in gran parte d’indiscutibile valore morale e di una capacità naturale d’emozione non foss’altro che per gli argomenti trattati, si situano meglio nella storia d’una pur necessaria diaristica e saggistica storico-politica, che nella storia della poesia» (ITALO CALVINO, La letteratura italiana sulla Resistenza, «Il movimento di Liberazione in Italia. Rassegna bimestrale di studi e documenti», I, 1, luglio 1949, p. 40).
491 Duccio Galimberti, all’anagrafe Tancredi Achille Giuseppe Olimpio Galimberti, (Cuneo, 30 aprile 1906-3 dicembre 1944), conseguita la laurea in giurisprudenza a Torino nel 1926, esercitò la professione di avvocato penalista. Non scese mai a compromessi con il fascismo, preferendo, dopo la chiamata alle armi, svolgere il servizio di leva come soldato semplice per non iscriversi al Partito fascista. Durante la Resistenza è stato tra i fondatori della banda partigiana Italia Della Guerra, da cui in seguito nacquero le Brigate Giustizia e Libertà.
492 A riprova degli ideali da cui muovono questi giovani intellettuali, riporto un passo dell’ultima lettera di Giaime Pintor al fratello Luigi scritta a Napoli il 28 novembre 1943, alcuni giorni prima della morte, avvenuta a Castelnuovo al Volturno mentre cercava di attraversare il fronte e recarsi nel Lazio per organizzare l’attività partigiana. La lettera in un primo momento venne diffusa dattiloscritta a cura degli amici nel periodo tedesco e poi pubblicata da Einaudi nell’opuscolo In memoria di Giaime Pintor (Torino, Einaudi, 1946): «A un certo momento gli intellettuali devono essere capaci di trasferire la loro esperienza sul terreno dell’utilità comune, ciascuno deve sapere prendere il suo posto in una organizzazione di combattimento. Questo vale soprattutto per l’Italia. Gli italiani sono un popolo fiacco, profondamente corrotto dalla sua storia recente, sempre sul punto di cedere a una viltà o a una debolezza. Ma essi continuano a esprimere minoranze rivoluzionarie di prim’ordine: filosofi e operai che sono all’avanguardia d’Europa. Oggi in nessuna nazione civile il distacco fra le possibilità vitali e la condizione attuale è così grande: tocca a noi di colmare questo distacco e di dichiarare lo stato di emergenza. Musicisti e scrittori dobbiamo rinunciare ai nostri privilegi per contribuire alla liberazione di tutti» (GAIME PINTOR, Il sangue d’Europa, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1965, pp. 187-188).
493 Per maggiori notizie riguardanti le riviste partigiane clandestine rimando ai saggi di Laura Conti La stampa clandestina della Resistenza in una raccolta documentata («Il Movimento di Liberazione in Italia», gennaio-marzo 1960, pp. 3-23) e di Giovanni De Luna, Nanda Torcelli e Paolo Murialdi La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta (in Storia della Stampa italiana, V, a cura di Valerio Castronovo e Nicola Trafaglia, Roma-Bari, Laterza, 1980).
494 Luti riflette anche sulla saggistica e la memorialistica partigiana del decennio 1950-1960, come Tempo dei vivi: 1943-1945 di Bianca Ceva (Milano, Ceschina, 1954), Uomini e città della Resistenza. Discorsi, scritti ed epigrafi di Piero Calamandrei (Bari, Laterza, 1955), Giorni di fuoco di Silvio Micheli (Roma, Edizioni di cultura sociale, 1955), Diario partigiano di Ada Marchesini Prospero Gobetti (Torino, Einaudi, 1956), Storia della Resistenza italiana di Roberto Battaglia (Torino, Einaudi, 1964).
495 GIORGIO LUTI, Resistenza e letteratura,cit., p. XLII.
496 Ivi, p. XLIV.
Erika Bertelli, Giorgio Luti. Studi e ricerche. La tradizione del moderno nell’Università di Firenze, Tesi di Dottorato, Università degli Sudi di Firenze, 2018