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giovedì 19 gennaio 2023

Meridiano d’Italia si compiace di descrivere un Visconti furioso che abbandona immantinente Venezia


All’uscita di "Ossessione" (1942) Visconti raccolse con cura le recensioni in due album suddividendole tra favorevoli e contrarie. Tra di esse, ve n’erano fatalmente molte provenienti da giornali allineati al regime e capaci persino di invocare «legnate» <1 per il regista di quella che venne accolta come un’opera di esemplare degenerazione. In seguito Visconti prese a ostentare disinteresse per la critica, fatta eccezione per alcuni recensori con cui intratteneva rapporti personali, e certamente non ha continuato a occuparsi di quella d’estrema destra. Non è però vero il contrario: il regista è stato infatti per molti anni un bersaglio di questa stampa, tanto da stabilire un poco invidiabile primato eguagliato solo da Pier Paolo Pasolini.
È possibile persino seguire il migrare di questi suoi oppositori (critici anzitutto, ma anche scrittori, giornalisti e burocrati) dal regime alla Repubblica.
Lo scrittore Marco Ramperti, ad esempio, che nel 1944 attacca «quello sporco rigagnolo» <2 che è per lui "Ossessione", diverrà il più sguaiato dei corsivisti di “Meridiano d’Italia”; Adriano Baracco, che l’anno prima su “Film” aveva apprezzato l’esordio di Visconti ma insinuava sul modo in cui Clara Calamai era «tenuta un po’ in secondo piano da una regia banchettante con esagerato compiacimento sui muscoli di Girotti» <3, sotto lo pseudonimo Ugo Astolfo diverrà il critico cinematografico dello “Specchio”.
“Candido” (1945-1961), “Meridiano d’Italia” (1946-1962), “Il Borghese” (1950-1994) e “lo Specchio” (1958-1975), su cui concentreremo l’attenzione, sono solo quattro delle testate che nel dopoguerra raccolgono le spoglie della cultura di destra transitata dal regime <4. Le differenze che le separano non sono trascurabili, soprattutto nel rapporto che intrattengono con il ventennio, variabile tra la nostalgia dichiarata e l’atteggiamento più prudente di una destra «non più fascista ma nello stesso tempo estranea all’antifascismo» <5. Ma queste differenze, così come le vicissitudini interne delle singole testate, non impediscono loro di riflettere nell’insieme un immaginario coerente, fondato - nella sintesi di Germinario - sull’avversione per l’antifascismo, per la modernità, per la Repubblica e per il comunismo <6. Una consonanza, come vedremo, riscontrabile anche nell’atteggiamento assunto da questi giornali nei confronti di Visconti.
[...] non sorprende che "Senso" (1954) venga criticato per la sua rilettura gramsciana del Risorgimento. Sorprende semmai la pacatezza dei toni <7, ancora lontani dall’aggressività di cui i rotocalchi dell’estrema destra daranno prova in seguito, ad esempio quando Baracco definirà "Senso" «uno stupendo vassoio con sopra una carogna in putrefazione» <8. Anche nel caso di “Meridiano”, benché i suoi recensori siano sempre suscettibili quando la guerra è coinvolta o anche solo evocata in metafora, le espressioni salaci sono per ora riservate al neorealismo, con i suoi soggetti «trovati nelle pattumiere e nelle fogne dei suburbi» <9, i suoi «vergognosi e menzogneri miti della “liberazione”» <10, i suoi «concimi merdosi» <11. Visconti invece non provoca ancora insofferenza e in questi anni non è fatto oggetto di attenzioni privilegiate, come del resto non lo è lo spettacolo in generale: composto di sole quattro pagine fino al 1950, “Meridiano d’Italia” si occupa quasi esclusivamente di politica e di storia recente. Per il primo pezzo polemico sul cinema occorre aspettare il 1951, così come per la prima rubrica di recensioni <12, la cui attenzione si sposta presto dal cinema al teatro.
[...] Per il resto, "La terra trema" (1948) è appena citato in una serie di articoli dedicati a ricostruire il modo in cui i comunisti, non potendo fare aperta propaganda senza perdere l’appoggio del pubblico, preferirebbero mimetizzarsi con apporti di sceneggiatura e regia apparentemente privi di risvolti politici <14, mentre "Le notti bianche" (1957) riscuote misurati apprezzamenti, al punto che si esprime l’augurio che Visconti trovi i soldi per fare un nuovo film nonostante la crisi <15.
Alla fine del decennio però qualcosa cambia irreversibilmente il rapporto con Visconti. Annunciando la lavorazione di "Rocco e i suoi fratelli" (1960), il giornale si concede un primo affondo, ancora misurato: «[…] senza nulla togliere al merito di Luchino Visconti, perché questo regista va sempre in cerca di soggetti che han sempre da farsi perdonare qualcosa dalla vita?» <16. A settembre si colloca orgogliosamente fuori dal coro approvando la scelta della giuria di Venezia: nell’oltraggio generale di chi ritiene sopravvalutato "Le passage du Rhin" (Il passaggio del Reno) anche quando non si voglia compromettere con un appoggio esplicito a Visconti, “Meridiano d’Italia” difende il film di André Cayatte dalle accuse di essere «“fascista” o “nazista” […] per il semplice fatto che i personaggi tedeschi non sono dipinti con la solita tavolozza conformista del dopoguerra, come gente bieca, selvaggia, truce e bestiale; ma hanno caratteristiche umane come tutti gli altri», e di conseguenza si compiace di descrivere un Visconti furioso che abbandona immantinente Venezia <17. A distanza di qualche settimana prende inoltre posizione a favore dell’intervento della magistratura e quindi dell’oscuramento in proiezione dei punti ritenuti scabrosi: di fronte alla «sinistra sporca» e a coloro i quali «dovendo fare del teatro o del cinema ricorrono, per fare presa sul pubblico o per dar sfogo ai loro istinti, alle oscenità di ogni genere», “Meridiano” è persino disposto, con malcelato sforzo, a dichiarare che «si può dare ragione anche al Governo Fanfani» e a una censura addirittura «coraggiosa» <18.
Sin qui le ragioni della polemica sembrano legate nuovamente alle modalità di rappresentazione della guerra e a generiche questioni di moralità che coinvolgono sì Visconti, ma accanto a Fellini e a tutta una schiera di imitatori che stanno accelerando il processo di erotizzazione della cinematografia italiana.
Una virata fortemente sentita se il giornale arriva ad avallare l’operato di una DC che ha appena chiuso le porte al MSI dopo il disastroso naufragio di Tambroni. Se infatti la difesa di un film accusato di fascismo si accorda pienamente con la linea editoriale della rivista, l’anticomunismo (su questa come su tutte le riviste che andiamo considerando) si accompagna di solito ad altrettanta diffidenza nei confronti del partito di maggioranza relativa, soprattutto perché reo di rinnegare i trascorsi fascisti di molti suoi rappresentanti.
Nemmeno la posizione sulla censura può dirsi scontata se si considera come sia più diffusa nell’ultradestra la tesi della sua sostanziale inutilità, o peggio di una sua esizialità (perché fonte di pubblicità) rispetto alla quale si preferirà dare appoggio alla magistratura. La svolta va posta sullo sfondo della trasformazione radicale subita da “Meridiano” nel 1959 quando, conclusa la pubblicazione di una biografia a puntate di Mussolini che ne aveva monopolizzato le pagine per quasi due anni, adotta il modello del rotocalco e si apre ad argomenti variegati. Occorre inoltre tenere presente come "Rocco e i suoi fratelli" inneschi una reazione a partire da contenuti oggettivamente provocatori, aggravati dallo sfruttamento ideologico del film fatto da una sinistra incurante di deformarne in parte il senso. Visconti può infatti ora tornare a forme e contenuti che aveva già fatto affiorare nei suoi esordi sia cinematografici sia teatrali (aggirando la censura fascista e approfittando della sua temporanea abolizione nell’immediato dopoguerra) e che erano stati poi inibiti dalla censura restaurata da Andreotti (tanto a teatro quanto al cinema), come accade con l’affossamento di tutti gli adattamenti di Tennessee Williams progettati da Visconti tra il 1954 e il 1957 <19.
Tuttavia queste considerazioni non bastano a comprendere la portata del mutamento e il motivo per cui si instaura una campagna stampa che non muterà toni e contenuti di fronte a più innocui lavori successivi e che coinvolge tutta la stampa di destra, al di là del caso specifico dell’organo del MSI. Occorre dunque guardare a un quadro più ampio, di cui cinema e teatro sono parte integrante ma non costituiscono la totalità.
[NOTE]
1 L.L., Ossessione... di brutti film, in: “Italia Giovane”, 19 giugno 1943. I due album sono conservati presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, Fondo Visconti, serie 7, unità 10, sottofascicoli 16 e 41.
2 M. Ramperti, Incontri e letture, in: “Stampa Sera”, 6 maggio 1944.
3 A. Baracco, Dalle zero alle 24, in: “Film”, a. VI, n. 23, 5 giugno 1943, p. 5.
4 Cfr. M.B. Sentieri, Dal neofascismo alla nuova destra. Le riviste 1944-1994, Roma, Nuove Idee, 2007.
5 R. Liucci, L’Italia borghese di Longanesi. Giornalismo politica e costume negli anni ’50, Venezia, Marsilio, 2002, p. 194.
6 Cfr. F. Germinario, Da Salò al governo. Immaginario e cultura politica della destra italiana, Torino, Bollati Boringhieri, 2005. È altresì significativo che vi siano firme comuni a diverse redazioni: ad esempio, le differenze tra “Candido” e “Il Borghese”, pur rilevanti, non impediscono a Giovannino Guareschi di collaborare con quest’ultimo quando il suo giornale viene chiuso.
7 Cfr. Mario Monti, Senso, in: “Il Borghese”, 4 febbraio 1955, e Marco Monti, Dalle cannonate di Custoza ai carri di El Alamein, in: “Meridiano d’Italia”, 13 febbraio 1955.
8 U. Astolfo, Le stelle putrefatte, in: “lo Specchio”, 3 ottobre 1965, p. 31.
9 L. Jocca, Decima Musa, in: “Meridiano d’Italia”, 2 marzo 1952, p. 3.
10 E. Canevari, Cinema italiano, in: “Meridiano d’Italia”, 26 ottobre 1952, p. 3.
11 M. Ramperti, Crollo d’un baraccone, in: “Meridiano d’Italia”, 26 settembre 1954, p. 3.
12 In precedenza compaiono solo, nel 1946, la rubrica “Tra le quinte dello spettacolo” (dedicata ad aneddoti e folclore popolare legato a cinema e teatro, ma non a un vero e proprio esercizio critico) e, nel 1949, una serie di articoli in cui Ramperti rievoca la sua esperienza del cinema in lavorazione a Salò.
14 Cfr. A. Bolzoni, Falliscono i film comunisti, in: “Meridiano d’Italia”, 14 febbraio 1954.
15 Cfr. A. Bolzoni, Cinema, in: “Meridiano d’Italia”, 11 febbraio 1958.
16 A. Desmain, Rocco, il cocco di Luchino, in: “Meridiano d’Italia”, 24 aprile 1960, p. 11.
17 N. Frati, È caduto il festival dell’“apertura”, in: “Meridiano d’Italia”, 18 settembre 1960, p. 29.
18 Cfr. s.n., L’equivoca Arialda, in: “Meridiano d’Italia”, 27 novembre 1960, p. 34. Cfr. anche XYZ, L’offensiva dei pornografi, in: “Meridiano d’Italia”, 4 dicembre 1960.
19 Cfr. M. Giori, Poetica e prassi della trasgressione in Luchino Visconti. 1935-1962, Milano, Libraccio, 2011, pp. 186-188. Sui rapporti tra Visconti e il teatro di Tennesse Williams si veda ora A. Clericuzio, Tennessee Williams and Italy. A Transcultural Perspective, London, Palgrave, 2016
Mauro Giori, Alla corte di Re Luchino. Visconti visto dalla stampa dell’estrema destra laica in (a cura di) Massimo De Grassi, "Luchino Visconti oggi: il valore di un’eredità artistica", Trieste EUT Edizioni Università di Trieste, 2020, pp. 85-116

domenica 8 agosto 2010

Milano, Via Santa Radegonda


In questi giorni mi viene spesso da pensare ad un certo modo con cui ho visto Milano, vuoi per la presenza dalle mie parti in questo periodo di vacanze di amici e parenti colà residenti, vuoi per una bella discussione avuta la settimana scorsa con un amico che nel capoluogo lombardo, se non vi é nato, vi ha per lo meno vissuto a lungo.

La prima volta che venni portato a Milano avevo poco più di due anni, come testimoniato da una fotografia di famiglia, scattata in Piazza Duomo con l'immancabile cornice di piccioni, uno in mano a mio padre, ma non posso certo ricordarne nulla.

Ricordo bene, invece, che, prima dell'età scolastica, dalla finestra di un piano ben alto posizionato in Via Santa Radegonda mi sembrava di toccare con una mano quel Duomo che mi affascinava tanto.

Quella casa non c'é più, sostituita già prima delle vicende cantate ne "Il ragazzo della Via Gluck" da un orrendo silo-parcheggio, quasi adiacente alla Galleria. Ed il Duomo non mi appare oggi poi così vicino.

Non voglio ora indagare sulle demolizioni dei centri storici, né sullo sradicamento dai medesimi dei ceti popolari, argomenti molto importanti che altri hanno saputo e sanno affrontare in modo più degno del sottoscritto.

E neppure sfiorare l'intreccio di rapporti familiari ed amicali di un'altra epoca, che pur hanno creato, credo, tante belle pagine nelle storie personali di tanti italiani.

Nel mio caso, non posso certo dimenticare che quella casa fu la base di partenza, ad esempio, per le prime escursioni verso il Lago Maggiore: a Stresa un trenino su cremagliera salendo verso la cima del Mottarone riempiva di meraviglia un bambino di cinque anni.

Io di Via Santa Radegonda voglio adesso ricordare una signora, vicina di appartamento agli zii di mio padre, che a me sembrava anziana, ma che, pur parlando in dialetto stretto e per me incomprensibile, mi appare ancora, a tanti anni di distanza, dotata di una formidabile carica umana.

Ho recuperato più avanti, per via di altre frequentazioni e non solo di parentela, acquisita o meno, il senso di una pregressa diffusa bonomia popolare, composta di arguzia e di solidarietà, mai disgiunta da senso civico e da tradizionale, autentica etica del lavoro.

Mi sono formato queste convinzioni, sia ascoltando storie ambientate in Via della Spiga, quando era ancora un rione popolare, che in zona Fiera-Sempione, anche questa ormai centro urbano, ma anche vivendo per tempo di persona situazioni ambientate un po' ovunque in quella metropoli, come in Via San Marco e in zona Niguarda.

Voglio arrivare all'amara constatazione che quel sano humus popolare mi risulta largamente disperso, come, per non andare tanto lontano, pur si evince dalla lettura di innumerevoli cronache quotidiane.

Se é vero che "ricordare é conoscere", come proprio da poco ha scritto un amico nel suo blog, può darsi che il mio risulti un modesto contributo al miglioramento del clima sociale e civile del Paese.