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lunedì 8 maggio 2023

Analogamente a quanto accaduto in Italia, i servizi segreti francesi costituirono delle vere e proprie reti in funzione anticomunista


Prima ancora di alimentare lo scoppio dei conflitti coloniali, l’anticomunismo [in Francia] fu il collante indispensabile delle formazioni e dei movimenti di destra, analogamente a quanto avvenuto in Italia.
L’anticomunismo si sviluppò particolarmente nella destra francese durante l’epurazione seguita alla fine del conflitto mondiale. Il Comité national des écrivains (Cne) <178, sotto la guida del comunista Louis Aragon, mise in atto una vera e propria persecuzione ai danni degli intellettuali francesi macchiatisi di collaborazionismo con il regime di Vichy, nei cui riguardi fu attuata una vera e propria schedatura già nel corso della guerra. Obiettivo del comitato comunista non fu solo l’ottenimento della giustizia, ma anche realizzare una effettiva sostituzione degli elementi sgraditi con esponenti comunisti, inseritisi così ai posti chiave della cultura, in modo da rendere più agevole e rapida la scalata al potere del partito <179. Ciò, se da una parte favorì notevolmente il Partito Comunista, destinato a diventare uno dei più forti d’Europa insieme a quello italiano, dall’altra incrementò l’anticomunismo della destra francese, interpretato in chiave nazionalistica, ovvero votato alla difesa della patria, minacciata, secondo l’opinione dei suoi esponenti, dalle mire espansionistiche di Mosca.
La lunga serie di processi finì per cancellare culturalmente e politicamente l’intero gruppo dirigente di destra degli anni Trenta, costretto ad affrontare condanne a morte o fuggire all’estero, mentre la propaganda comunista costrinse quanti scamparono all’epurazione a ritirarsi dalla vita pubblica o a stringersi intorno a Charles de Gaulle, visto come il male minore.
Con l’abbandono del Mouvement républicain populaire <180 da parte del generale de Gaulle, nel 1947, le cose cambiarono: il partito cattolico gaullista, infatti, idealmente collocato a destra rispetto ai principali partiti di sinistra, abbandonò l’impostazione moderata sviluppando un anticomunismo convinto (seppure già condiviso anche dal generale), ma evitando di appoggiarsi a elementi nazionalisti. De Gaulle, da parte sua, fondò il Rassemblement du peuple français <181 con lo scopo di combattere l’avanzata comunista, facilitato dalla rottura tra questi ultimi e i socialisti, primo serio contraccolpo al manifestarsi dei sintomi della Guerra Fredda, che favorirono il ritorno sulla scena politica della destra conservatrice, così come di di quella estrema.
La minaccia sovietica convinse allora i reduci dell’estrema destra a coalizzarsi e concentrarsi attorno alla figura di de Gaulle, mettendo allo stesso modo da parte il proprio odio contro gli Stati Uniti, visti entrambi come l’unico baluardo capace di impedire la conquista comunista della Francia. Portavoce di questa inedita alleanza con americani e gaullisti furono le riviste, come ad esempio "La Sentinelle", che ai toni antisemiti accostarono la lotta anticomunista, come fa notare lo storico Joseph Algazy, il quale spiega che «la lutte sans merci contre le communisme […] continua d’être leur principal thème, mais il ne fut cependant pas question de renoncer au thème raciste […], l’ennemi juif garda toute sa place aux côtés de l’ennemi bolchevique», motivo per cui «ils consacrèrent une part importante de leur efforts de propagande à expliquer les raisons de leur engagement récent dans le camp nazi» <182, che sfociò poi nello sviluppo di una vera e propria corrente negazionista e revisionista.
Il 1947 segnò il punto di svolta fondamentale, dunque, trasformando la lotta anticomunista nel tema cardine destinato a riunire tutte le formazioni appartenenti alla destra francese che, da parte sua, poté comunque godere di sostegni analoghi a quelli dei colleghi d’oltralpe italiani. Anche in Francia, infatti, si costituì una rete clandestina votata alla lotta contro l’invasore sovietico: il Rassemblement du peuple français, per esempio, fornì da un lato la manovalanza e, dall’altro, il polo d’attrazione principale per gli esponenti dell’estrema destra, mentre i dirigenti gaullisti continuavano a cercare di attirare tra loro quanti erano a propria volta preoccupati per l’eventuale caduta francese in mano sovietica.
Analogamente a quanto accaduto in Italia, i servizi segreti francesi costituirono delle vere e proprie reti in funzione anticomunista, servendosi di militanti appartenenti all’estrema destra collegati alle forze di sicurezza. Ne fu un esempio il commissario di polizia Jean Dides, che durante l’occupazione lavorò presso la quinta sezione dei Renseignments généraux <183, incaricata della repressione degli stranieri, il quale fu prelevato dall’Office of Strategic Services (OSS) americano proprio in virtù della sua esperienza pratica per essere riutilizzato in funzione anticomunista all’interno delle strutture di sicurezza. Dides, in particolare, utilizzando come elemento di collegamento Charles Delarue, agente di polizia collaborazionista a sua volta salvato e reclutato dai servizi americani, creò e diresse almeno fino al 1954 un gruppo interno ai servizi francesi stessi che condusse una vera e propria campagna di intossicazione ai danni dei comunisti. L’«affaire de fuites» consistette nella montatura di uno scandalo ai danni del Parti communiste français (Pcf) accusato di aver passato i piani militari francesi ai sovietici e, quindi, di aver causato la disfatta di Diên Biên Phu. La creazione, però, di una commissione ministeriale adibita alla verifica della colpevolezza del partito comunista mise a nudo il piano e smascherò la rete di complicità che legava i servizi di sicurezza americani e francesi <184.
Dides e Delarue fecero contemporaneamente parte di una struttura parapoliziesca, a sua volta creata in funzione anticomunista, chiamata "Paix et liberté". Ideata nel 1950 dal deputato radical-socialista Jean Paul David con il sostegno pratico della Central Intelligence Agency (CIA) e finanziario della North Atlantic Treaty Organization (NATO) e supportata dal ministero dell’Interno francese, ebbe come scopo principale la messa fuori legge del Parti communiste français, da realizzarsi con una feroce azione di propaganda volta a denunciare l’esistenza di «quinte colonne» sovietiche all’interno dell’amministrazione statale <185. Pur rivelandosi a sua volta un fallimento, l’iniziativa favorì il rinsaldarsi della destra francese attorno all’obiettivo comune della lotta anticomunista.
La guerra d’Algeria non fu priva di riferimenti alla lotta in atto per preservare la Francia dalla minaccia sovietica. Negli anni Cinquanta, alla vigilia del conflitto, infatti, l’Algeria era considerata non una colonia, ma parte integrante della Francia e l’insurrezione venne interpretata, erroneamente, come un attacco sovietico all’unità della nazione. La lotta al comunismo fu così, ancora una volta, egemonizzata dalle forze di destra, estrema e non, che la interpretarono in chiave nazionalistica, invece di comprendere i fermenti che avrebbero portato alla decolonizzazione.
In questo contesto, portato all’estremo proprio dai pieds-noirs <186 e dalle forze di destra, si realizzò una sorta di guerra civile francese, che vide schierarsi da un lato i difensori della conservazione dell’«Algeria francese» e, dall’altro, i sostenitori dell’indipendenza algerina. Questi ultimi, rappresentanti di un «fronte pacifista e terzomondista» <187, furono denunciati dall’estrema destra come membri della già citata «quinta colonna» sovietica, dei sabotatori aventi come fine ultimo la sconfitta della Francia, da realizzarsi privando la nazione delle sue colonie <188. Le forze politiche furono ugualmente accusate di starsene a guardare, inermi non per la forza delle rivendicazioni dei popoli sottomessi al dominio coloniale francese, ma perché succubi dei comunisti, portando a sostegno di questa tesi la perdita dell’Indocina e la disfatta di Diên Biên Phu, che consentirono alla destra di godere dell’appoggio massiccio e determinante di ampi settori militari.
Fu in questo contesto che, per esempio, venne creato l’effimero movimento chiamato «Résistance à la désagrégation de la France et l’Union française» in contatto con il Service de Documentation Extérieure et de Contre-Espionnage (SDECE), il servizio segreto francese addetto al controspionaggio, incaricato di impedire il rifornimento di armi al Front de libération nationale (Fln) algerino, traffico proveniente, secondo i servizi, dai paesi dell’Est, finanziati dall’Unione Sovietica <189. Appartenente al medesimo ambiente e con le stesse convinzioni fu anche il Front nationale de l’Algérie française (FnAf), guidato da Jean-Marie Le Pen, che a Parigi poté contare sul sostegno del Comité national pour l’integrité du territoire. A questi due movimenti se ne unirono molti altri, caratterizzati a loro volta da una durata effimera e da un’azione, per quanto articolata, effettivamente ridotta. Ciò che li accomunava, comunque, era la difesa a ogni costo, anche ricorrendo alla violenza, dell’unità territoriale dalla minaccia comunista disgregatrice.
Anche l’Organisation de l’Armée Secrète fu caratterizzata da un forte anticomunismo. Molti furono infatti i generali e comandanti aderenti all’OAS reduci dal conflitto indocinese che disertarono per unirsi all’organizzazione, convinti di agire per il bene della nazione e in sua difesa. L’esperienza indocinese fu considerata anzi un vantaggio, perché chi vi aveva preso parte aveva provato sulla propria pelle l’attacco comunista traendone degli insegnamenti, in materia di controterrorismo e guerra sovversiva, da utilizzare a proprio beneficio.
[NOTE]
178 Il Comité national des écrivains (CNE) fu un organismo della Resistenza «letteraria», emanazione del Front national des écrivains creato nel 1941 dal Partito Comunista Francese (PCF), radicalizzatosi notevolmente in seguito alla Liberazione, tanto da divenire un vero e proprio strumento di controllo dell’opposizione da parte comunista. Per ulteriori informazioni, si veda: http://vercorsecrivain.pagesperso-orange.fr/cne.html#II.
179 M. GERVASONI, La Francia in nero, cit., p. 218. Tra gli intellettuali accusati di tradimento, Gervasoni indica Céline, Châteaubriant, Drieu La Rochelle, Maurras e Brasillach. Quest’ultimo, in particolare, fu processato per collaborazionismo e fucilato.
180 Il Movimento Repubblicano Popolare (Mouvement Républicain populaire, MRP) fu un partito politico fondato da Georges Bidault in Francia nel 1944 e attivo fino al 1967, caratterizzato da un’ideologia cristiano-democratica ed europeista. Fu partito di governo per quattro volte, con l’elezione a presidente del Consiglio di Robert Schuman, Georges Bidault stesso e Pierre Pflimlin. Per ulteriori informazioni, si veda: http://chsp.sciences-po.fr/fond-archive/mouvement-republicain-populaire-mrp.
181 Il Rassemblement du peuple français (RPF) fu il partito politico fondato da Charles de Gaulle il 14 aprile 1947 e dissoltosi nel 1954. Ideato per tradurre in realtà il programma di de Gaulle esposto all’indomani dello sbarco in Normandia e all’indomani della Liberazione (i famosi «discorsi di Bayeux»), fu uno dei principali movimenti d’opposizione sotto la IV Repubblica. Per ulteriori approfondimenti, si veda: http://www.union-gaulliste-de-france.org/pages/Histoire_du_RPF_19471954-568252.html.
182 A. MAMMONE, Transnational Neofascism in France and Italy, cit., p.46.
183 I Renseignements généraux furono l’equivalente dell’Ufficio politico della Questura italiano, e si occuparono di informare il governo di eventuali minacce alla sicurezza interna dello Stato.
184 Per approfondire l’episodio, si consiglia: F. LAURENT, L’orchestre noir. Enquête sur les réseaux néofascistes, Paris, Nouveau monde éditions, 2013, pp. 45-47.
185 Ivi, p. 47.
186 L’espressione pieds-noirs è utilizzata per indicare i cittadini francesi (e, prima ancora, europei) d’Algeria, che la utilizzarono per identificarsi tra loro una volta tornati in Francia. Oggi, questa denominazione è diventata quasi sinonimo di «rapatrié», rimpatriato, poiché i francesi d’Algeria furono rimpatriati con la conquista dell’indipendenza dello Stato algerino, nel 1962. Per un ulteriore approfondimento terminologico, si veda: A. BRAZZODURO, Soldati senza causa, cit., p. 282.
187 M. GERVASONI, La Francia in nero, cit., p. 235.
188 Ibidem.
189 O. DARD, Voyage au coeur de l’OAS, cit., pp. 32-33.
Veronica Bortolussi, I rapporti tra l’estrema destra italiana e l’Organisation de l’Armée Secrète francese, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari Venezia, Anno Accademico 2016-2017

giovedì 19 gennaio 2023

Meridiano d’Italia si compiace di descrivere un Visconti furioso che abbandona immantinente Venezia


All’uscita di "Ossessione" (1942) Visconti raccolse con cura le recensioni in due album suddividendole tra favorevoli e contrarie. Tra di esse, ve n’erano fatalmente molte provenienti da giornali allineati al regime e capaci persino di invocare «legnate» <1 per il regista di quella che venne accolta come un’opera di esemplare degenerazione. In seguito Visconti prese a ostentare disinteresse per la critica, fatta eccezione per alcuni recensori con cui intratteneva rapporti personali, e certamente non ha continuato a occuparsi di quella d’estrema destra. Non è però vero il contrario: il regista è stato infatti per molti anni un bersaglio di questa stampa, tanto da stabilire un poco invidiabile primato eguagliato solo da Pier Paolo Pasolini.
È possibile persino seguire il migrare di questi suoi oppositori (critici anzitutto, ma anche scrittori, giornalisti e burocrati) dal regime alla Repubblica.
Lo scrittore Marco Ramperti, ad esempio, che nel 1944 attacca «quello sporco rigagnolo» <2 che è per lui "Ossessione", diverrà il più sguaiato dei corsivisti di “Meridiano d’Italia”; Adriano Baracco, che l’anno prima su “Film” aveva apprezzato l’esordio di Visconti ma insinuava sul modo in cui Clara Calamai era «tenuta un po’ in secondo piano da una regia banchettante con esagerato compiacimento sui muscoli di Girotti» <3, sotto lo pseudonimo Ugo Astolfo diverrà il critico cinematografico dello “Specchio”.
“Candido” (1945-1961), “Meridiano d’Italia” (1946-1962), “Il Borghese” (1950-1994) e “lo Specchio” (1958-1975), su cui concentreremo l’attenzione, sono solo quattro delle testate che nel dopoguerra raccolgono le spoglie della cultura di destra transitata dal regime <4. Le differenze che le separano non sono trascurabili, soprattutto nel rapporto che intrattengono con il ventennio, variabile tra la nostalgia dichiarata e l’atteggiamento più prudente di una destra «non più fascista ma nello stesso tempo estranea all’antifascismo» <5. Ma queste differenze, così come le vicissitudini interne delle singole testate, non impediscono loro di riflettere nell’insieme un immaginario coerente, fondato - nella sintesi di Germinario - sull’avversione per l’antifascismo, per la modernità, per la Repubblica e per il comunismo <6. Una consonanza, come vedremo, riscontrabile anche nell’atteggiamento assunto da questi giornali nei confronti di Visconti.
[...] non sorprende che "Senso" (1954) venga criticato per la sua rilettura gramsciana del Risorgimento. Sorprende semmai la pacatezza dei toni <7, ancora lontani dall’aggressività di cui i rotocalchi dell’estrema destra daranno prova in seguito, ad esempio quando Baracco definirà "Senso" «uno stupendo vassoio con sopra una carogna in putrefazione» <8. Anche nel caso di “Meridiano”, benché i suoi recensori siano sempre suscettibili quando la guerra è coinvolta o anche solo evocata in metafora, le espressioni salaci sono per ora riservate al neorealismo, con i suoi soggetti «trovati nelle pattumiere e nelle fogne dei suburbi» <9, i suoi «vergognosi e menzogneri miti della “liberazione”» <10, i suoi «concimi merdosi» <11. Visconti invece non provoca ancora insofferenza e in questi anni non è fatto oggetto di attenzioni privilegiate, come del resto non lo è lo spettacolo in generale: composto di sole quattro pagine fino al 1950, “Meridiano d’Italia” si occupa quasi esclusivamente di politica e di storia recente. Per il primo pezzo polemico sul cinema occorre aspettare il 1951, così come per la prima rubrica di recensioni <12, la cui attenzione si sposta presto dal cinema al teatro.
[...] Per il resto, "La terra trema" (1948) è appena citato in una serie di articoli dedicati a ricostruire il modo in cui i comunisti, non potendo fare aperta propaganda senza perdere l’appoggio del pubblico, preferirebbero mimetizzarsi con apporti di sceneggiatura e regia apparentemente privi di risvolti politici <14, mentre "Le notti bianche" (1957) riscuote misurati apprezzamenti, al punto che si esprime l’augurio che Visconti trovi i soldi per fare un nuovo film nonostante la crisi <15.
Alla fine del decennio però qualcosa cambia irreversibilmente il rapporto con Visconti. Annunciando la lavorazione di "Rocco e i suoi fratelli" (1960), il giornale si concede un primo affondo, ancora misurato: «[…] senza nulla togliere al merito di Luchino Visconti, perché questo regista va sempre in cerca di soggetti che han sempre da farsi perdonare qualcosa dalla vita?» <16. A settembre si colloca orgogliosamente fuori dal coro approvando la scelta della giuria di Venezia: nell’oltraggio generale di chi ritiene sopravvalutato "Le passage du Rhin" (Il passaggio del Reno) anche quando non si voglia compromettere con un appoggio esplicito a Visconti, “Meridiano d’Italia” difende il film di André Cayatte dalle accuse di essere «“fascista” o “nazista” […] per il semplice fatto che i personaggi tedeschi non sono dipinti con la solita tavolozza conformista del dopoguerra, come gente bieca, selvaggia, truce e bestiale; ma hanno caratteristiche umane come tutti gli altri», e di conseguenza si compiace di descrivere un Visconti furioso che abbandona immantinente Venezia <17. A distanza di qualche settimana prende inoltre posizione a favore dell’intervento della magistratura e quindi dell’oscuramento in proiezione dei punti ritenuti scabrosi: di fronte alla «sinistra sporca» e a coloro i quali «dovendo fare del teatro o del cinema ricorrono, per fare presa sul pubblico o per dar sfogo ai loro istinti, alle oscenità di ogni genere», “Meridiano” è persino disposto, con malcelato sforzo, a dichiarare che «si può dare ragione anche al Governo Fanfani» e a una censura addirittura «coraggiosa» <18.
Sin qui le ragioni della polemica sembrano legate nuovamente alle modalità di rappresentazione della guerra e a generiche questioni di moralità che coinvolgono sì Visconti, ma accanto a Fellini e a tutta una schiera di imitatori che stanno accelerando il processo di erotizzazione della cinematografia italiana.
Una virata fortemente sentita se il giornale arriva ad avallare l’operato di una DC che ha appena chiuso le porte al MSI dopo il disastroso naufragio di Tambroni. Se infatti la difesa di un film accusato di fascismo si accorda pienamente con la linea editoriale della rivista, l’anticomunismo (su questa come su tutte le riviste che andiamo considerando) si accompagna di solito ad altrettanta diffidenza nei confronti del partito di maggioranza relativa, soprattutto perché reo di rinnegare i trascorsi fascisti di molti suoi rappresentanti.
Nemmeno la posizione sulla censura può dirsi scontata se si considera come sia più diffusa nell’ultradestra la tesi della sua sostanziale inutilità, o peggio di una sua esizialità (perché fonte di pubblicità) rispetto alla quale si preferirà dare appoggio alla magistratura. La svolta va posta sullo sfondo della trasformazione radicale subita da “Meridiano” nel 1959 quando, conclusa la pubblicazione di una biografia a puntate di Mussolini che ne aveva monopolizzato le pagine per quasi due anni, adotta il modello del rotocalco e si apre ad argomenti variegati. Occorre inoltre tenere presente come "Rocco e i suoi fratelli" inneschi una reazione a partire da contenuti oggettivamente provocatori, aggravati dallo sfruttamento ideologico del film fatto da una sinistra incurante di deformarne in parte il senso. Visconti può infatti ora tornare a forme e contenuti che aveva già fatto affiorare nei suoi esordi sia cinematografici sia teatrali (aggirando la censura fascista e approfittando della sua temporanea abolizione nell’immediato dopoguerra) e che erano stati poi inibiti dalla censura restaurata da Andreotti (tanto a teatro quanto al cinema), come accade con l’affossamento di tutti gli adattamenti di Tennessee Williams progettati da Visconti tra il 1954 e il 1957 <19.
Tuttavia queste considerazioni non bastano a comprendere la portata del mutamento e il motivo per cui si instaura una campagna stampa che non muterà toni e contenuti di fronte a più innocui lavori successivi e che coinvolge tutta la stampa di destra, al di là del caso specifico dell’organo del MSI. Occorre dunque guardare a un quadro più ampio, di cui cinema e teatro sono parte integrante ma non costituiscono la totalità.
[NOTE]
1 L.L., Ossessione... di brutti film, in: “Italia Giovane”, 19 giugno 1943. I due album sono conservati presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, Fondo Visconti, serie 7, unità 10, sottofascicoli 16 e 41.
2 M. Ramperti, Incontri e letture, in: “Stampa Sera”, 6 maggio 1944.
3 A. Baracco, Dalle zero alle 24, in: “Film”, a. VI, n. 23, 5 giugno 1943, p. 5.
4 Cfr. M.B. Sentieri, Dal neofascismo alla nuova destra. Le riviste 1944-1994, Roma, Nuove Idee, 2007.
5 R. Liucci, L’Italia borghese di Longanesi. Giornalismo politica e costume negli anni ’50, Venezia, Marsilio, 2002, p. 194.
6 Cfr. F. Germinario, Da Salò al governo. Immaginario e cultura politica della destra italiana, Torino, Bollati Boringhieri, 2005. È altresì significativo che vi siano firme comuni a diverse redazioni: ad esempio, le differenze tra “Candido” e “Il Borghese”, pur rilevanti, non impediscono a Giovannino Guareschi di collaborare con quest’ultimo quando il suo giornale viene chiuso.
7 Cfr. Mario Monti, Senso, in: “Il Borghese”, 4 febbraio 1955, e Marco Monti, Dalle cannonate di Custoza ai carri di El Alamein, in: “Meridiano d’Italia”, 13 febbraio 1955.
8 U. Astolfo, Le stelle putrefatte, in: “lo Specchio”, 3 ottobre 1965, p. 31.
9 L. Jocca, Decima Musa, in: “Meridiano d’Italia”, 2 marzo 1952, p. 3.
10 E. Canevari, Cinema italiano, in: “Meridiano d’Italia”, 26 ottobre 1952, p. 3.
11 M. Ramperti, Crollo d’un baraccone, in: “Meridiano d’Italia”, 26 settembre 1954, p. 3.
12 In precedenza compaiono solo, nel 1946, la rubrica “Tra le quinte dello spettacolo” (dedicata ad aneddoti e folclore popolare legato a cinema e teatro, ma non a un vero e proprio esercizio critico) e, nel 1949, una serie di articoli in cui Ramperti rievoca la sua esperienza del cinema in lavorazione a Salò.
14 Cfr. A. Bolzoni, Falliscono i film comunisti, in: “Meridiano d’Italia”, 14 febbraio 1954.
15 Cfr. A. Bolzoni, Cinema, in: “Meridiano d’Italia”, 11 febbraio 1958.
16 A. Desmain, Rocco, il cocco di Luchino, in: “Meridiano d’Italia”, 24 aprile 1960, p. 11.
17 N. Frati, È caduto il festival dell’“apertura”, in: “Meridiano d’Italia”, 18 settembre 1960, p. 29.
18 Cfr. s.n., L’equivoca Arialda, in: “Meridiano d’Italia”, 27 novembre 1960, p. 34. Cfr. anche XYZ, L’offensiva dei pornografi, in: “Meridiano d’Italia”, 4 dicembre 1960.
19 Cfr. M. Giori, Poetica e prassi della trasgressione in Luchino Visconti. 1935-1962, Milano, Libraccio, 2011, pp. 186-188. Sui rapporti tra Visconti e il teatro di Tennesse Williams si veda ora A. Clericuzio, Tennessee Williams and Italy. A Transcultural Perspective, London, Palgrave, 2016
Mauro Giori, Alla corte di Re Luchino. Visconti visto dalla stampa dell’estrema destra laica in (a cura di) Massimo De Grassi, "Luchino Visconti oggi: il valore di un’eredità artistica", Trieste EUT Edizioni Università di Trieste, 2020, pp. 85-116