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giovedì 29 aprile 2021

Antonicelli fu arrestato una seconda volta

Franco Antonicelli e Ferruccio Parri - Fonte: Catalogo cit. infra

[...] «Molti anni fa, prima della seconda guerra mondiale, un’occasione mi portò nell’Italia del Sud, giù dopo Salerno e dopo la bellissima Paestum, e dove comincia il Cilento. L’occasione fu la stessa che in quei giorni condusse i miei amici Carlo Levi e Cesare Pavese press’a poco nei medesimi luoghi, al di là della famosa terra invalicata da Cristo. In quel lontano paese, mai sentito nominare prima, ci andai dunque per obbligo; ci fui mandato quasi come in una prigione, e vi godetti invece, lo dico con gratitudine, tutta la libertà che si può godere al mondo.
... C’è dunque un nome nella mia vita, una memoria breve o lunga secondo la nostalgia del momento, un nome e una stagione che vorrei portarmi dietro fino all’ultimo giorno... Questo nome è Agropoli, quel tempo è l’autunno... Eppure passa il tempo, molto tempo, e nella mia vita avverto quel riferimento, quel punto fermo: io mi muovo e quel punto è là. È tutto quello che mi resta di allora... Penso soltanto con un rammarico che mi brucia, mi umilia ancora, di non aver ricavato nulla da quella mia esperienza, nulla, dico di scritto».
Franco Antonicelli, Il soldato di Lambessa
 

Benedetto Croce e Franco Antonicelli - Fonte: Catalogo cit. infra

[...] Bobbio scrive: «L’autorità di Croce era indiscussa: armati dei suoi concetti, ci sentivamo superiori ai nostri stessi maestri... Croce era la voce del tempo: stare dalla parte di Croce voleva dire essere nella corrente della storia.
Croce era, personalmente, un esempio di libertà intellettuale, di saggezza, di dignità, di operosità, di serietà negli studi: adunava in sé tutte le qualità dell’educatore, che altri autori o maestri possedevano solo parzialmente».
Tra il 1931 e il 1937 il filosofo napoletano si recò spesso nel Biellese.
Antonicelli ebbe modo di frequentarlo e di ospitarlo nella sua villa.
Il suo rapporto con Croce era di rispetto, quasi di timore: «Oh io non starò più davanti a lui con quell’imbarazzo che tanti, credo tutti, anche gli studiosi di valore, avevano come me di non sapere che cosa dire per meritare la sua attenzione, la sua attenzione che si faceva subito prodiga e per questa sua affabilità scoraggiava che si era preparato a qualche vanteria».
Franco Antonicelli, Il soldato di Lambessa

[...] Antonicelli fu arrestato una seconda volta il 15 maggio 1935; fu una retata nella quale vennero coinvolti il gruppo di Giustizia e Libertà e il gruppo einaudiano della rivista La Cultura: Vittorio Foa, Massimo Mila, Carlo Zini, Luigi Salvatorelli, Giulio Einaudi, Cesare Pavese, Norberto Bobbio, Carlo Levi.
 

Un giovane Giulio Einaudi - Fonte: Catalogo cit. infra

Scrive Stajano: «Non c’era nessun complotto, ma preoccupava l’esistenza di un nucleo organizzato e operante contro il regime, in maggior parte giovane, capace di diffondere idee e di creare una rete di propaganda politica per l’azione antifascista in Italia... Antonicelli non aderiva alle idee di Giustizia e Libertà, impedito dalla sua fede liberale priva di correttivi e dalla sua educazione crociana, ma i “GL” erano i suoi amici più cari, visse con loro la giovinezza... li aiutava nel loro lavoro che per lui continuò a essere un lavoro di professore della politica, non certo di uomo d’azione».
Accusato di aver frequentato la casa della professoressa Barbara Allanson dove si radunavano personaggi ritenuti oppositori del regime (Leone Ginzburg, Mario e Alberto Levi), Antonicelli venne condannato a tre anni di confino presso il paesino di Agropoli, in provincia di Salerno.
Vi trascorse l’estate, l’autunno e l’inverno e l’inizio della primavera del 1936; in Il soldato di Lambessa scrive: «È diventato autunno anche l’estate che vi giunsi, l’inverno che vi trascorsi e quell’inizio di primavera che me ne andai». Nel marzo 1936 la pena di tre anni fu sospesa per un condono nazionale.
[...] «L’occasione (del mio confino) fu la stessa che in quei giorni condusse i miei amici Carlo Levi e Cesare Pavese press’a poco nei medesimi luoghi, al di là della famosa terra invalicata da Cristo... I miei due amici portarono, via qualcosa di meglio per sè e per gli altri, cioè due libri che scrissero, l’uno il celebre Cristo si è fermato a Eboli e l’altro il meno noto ma bellissimo racconto Il carcere».
Franco Antonicelli, Il soldato di Lambessa
 

Da Sinistra Carlo Levi e Gaetano Salvemini nel 1947 - Fonte: Catalogo cit. infra

[...] «Voi (portuali di Livorno) sapete chi era Salvemini. Era un grande uomo e affettuosamente, ricordandolo, dico che era politicamente uno sconclusionato, e dico sconclusionato con molto affetto, con l’affetto di chi ama gli uomini sconclusionati, cioé gli uomini che non predicano niente, che non fanno profezie e che sbagliano sempre, ma che hanno un meraviglioso vigore. Hanno un meraviglioso vigore. È stata, questa, la coscienza di italiano di Gaetano Salvemini.
Gaetano Salvemini uomo era così; era un vecchio socialista, poi persino abbandonò il Partito Socialista più che altro per ragioni di indipendenza».
Franco Antonicelli, Le letture tendenziose
 

Mario Fubini - Fonte: Catalogo cit. infra

[...] L’Ovra, la polizia del regime fascista, incominciò a sospettare che il gruppo costituitosi intorno alla casa editrice e alla rivista La Cultura fosse legato al movimento clandestino Giustizia e Libertà: i controlli si fecero più assidui e in un rapporto di polizia del 1935 i collaboratori einaudiani vengono definiti “intellettualoidi con sentimenti di ostilità nascosta o palese nei confronti del regime fascista”. Comune al movimento Giustizia e Libertà e a questi “intellettualoidi” era, secondo le parole di Leo Levi, l’“antitesi spirituale contro il clima storico del fascismo”: da un lato i giellisti con la loro attività cospirativa, dall’altra i liberali crociani fra cui Francesco Ruffini, lo storico Nino Valeri, il critico letterario Mario Fubini, l’avvocato Anton Dante Coda direttore, negli anni venti, de La Tribuna biellese, organo del partito liberale biellese. Molti di essi caddero nella retata del maggio 1935: Giulio Einaudi fu arrestato e dopo qualche giorno, rilasciato, ma la rivista La Cultura fu soppressa.
 

Luigi Salvatorelli - Fonte: Catalogo cit. infra

[...] All’inizio della guerra una bomba francese distrusse il tetto della casa di Salvatorelli a Torino.
Antonicelli, in una minuta di lettera a Mario Vinciguerra, scriveva: «Tutti bene, ma chinando la testa come sotto una minaccia. (I Salvatorelli) stanno bene; la sera vanno a dormire fuori. Dispersi dovunque un po’ tutti... Torino faceva pensare al dopo la peste dei Promessi Sposi... ».
Il 27 novembre del ‘42 c’era chi annotava: «L’esodo dalla città ha assunto proporzioni che superano ogni immaginazione: qualunque mezzo è buono, dall’autocarro al triciclo, dal carro alla bicicletta».
Infatti i Salvatorelli col camioncino di un verduriere si rifugiarono nell’alessandrino presso una cascina di Antonicelli.
[...] Nella Torino di Gobetti e del gruppo Giustizia e Libertà Antonicelli appare come “professore della politica, non certo uomo d’azione”: «Gli azionisti, i liberalsocialisti erano tutti amici miei, però io non ero dentro, cioé non ero militante di quei gruppi». Nel 1973 scriverà: «Ho necessità di vendicarmi della mia giovinezza in fondo pigra e velleitaria... La storia della mia vita è di una lentissima gestazione... Ero maturo in alcune cose, ero sano moralmente, ma non avevo preparato nulla di serio alla mia maturità spirituale e politica. Solo da trent’anni mi sono avviato bene». A trent’anni, ossia nel 1943, si colloca l’anno di svolta: la Resistenza di Antonicelli inizia con la caduta del regime fascista. Il 26 luglio scrive la prima dichiarazione unitaria dei partiti antifascisti ed entra a far parte del Fronte nazionale; dopo la vana difesa di Torino contro i nazisti e il tradimento del generale Adami Rossi che consegna la città al nemico, Antonicelli diventa ‘uomo d’azione’. Lavora al Risorgimento liberale ed è nuovamente arrestato il 6 novembre 1943 e condotto a Regina Coeli dove vede per l’ultima volta l’amico Leone Ginzburg: «Ci scorgemmo appena: egli fece finta di non conoscermi e passò innanzi come chi va cauto nel buio... di giorno eravamo accanto come una volta lo eravamo stati per anni davanti a libri, riviste, a carte bianche o scritte, passando fervidi e ironici da un progetto all’altro... La notte dal 1° al 2 febbraio fui portato via... a Forte Urbano... seppi ch’egli era morto. Mai una morte mi parve meno vera, meno possibile, meno giusta... Egli era uno di quegli uomini nati a guidare: nati col prestigio istintivo, col dominio immediato e incontrastato sugli altri».
Tradotto al carcere di Castelfranco Emilia, vi uscì il 18 aprile 1944 e cominciò l’attività clandestina.
[...]
Catalogo della Mostra Franco Antonicelli. Galleria di simboli, Viscione Editore, II Edizione, 2010

Franco Antonicelli, Federico Ghedini, Bice Bertolotti - Fonte: Catalogo cit. supra

Come ricordare la ricca personalità e biografia di un uomo come Franco Antonicelli? A questo interrogativo risponde un prezioso volume appena pubblicato dalla casa editrice torinese Seb 27 e curato in modo eccellente da Diego Guzzi. Il libro s’intitola In sintonia con il presente. Franco Antonicelli tra politica e cultura. Guzzi, docente e vice-presidente dell’Unione culturale «Franco Antonicelli», ha raccolto sette contributi di studiosi e studiose che permettono di ricostruire le molteplici attività di Antonicelli (vissuto tra il 1902 e il 1974), sempre al confine tra letteratura, politica culturale e impegno politico diretto.
Come ricordarlo dunque? In primo luogo come un raffinato letterato, capace di trasmettere in forme diverse la sua cultura. Supplente al Liceo D’Azeglio di Torino, precettore di Gianni Agnelli, direttore della collana «Biblioteca Europea» dei libri dell’editore Frassinelli attraverso la quale fece conoscere in Italia le opere, tra gli altri, di Franz Kafka, Herman Melville e James Joyce (senza dimenticare il «Topolino» di Walt Disney), fondatore nel 1942 della casa editrice «Francesco da Silva».
In secondo luogo come un combattente per la libertà. Anzi, un capo della lotta per la libertà. Nel 1945, alla vigilia della liberazione, assunse le funzioni di Presidente del Comitato Liberazione Nazionale piemontese, di cui faceva parte come rappresentante del partito Liberale. Proprio a Antonicelli come «oratore della Resistenza» è dedicato nel libro un interessante saggio di Barbara Berruti e Chiara Colombini.
In terzo luogo, finita la guerra, come un instancabile organizzatore di cultura, animatore dei più importanti centri culturali torinesi. Sia per trasmettere la memoria della Resistenza, sia per tenere sempre viva la tensione etica e politica per la piena attuazione della Costituzione e per combattere ogni tentativo di restaurazione autoritaria. Impegno politico e politica culturale, strettamente intrecciati tra di loro, analizzati nel volume dai saggi di Claudio Panella, Pietro Polito e Paola Olivetti (la quale ha studiato più precisamente l’attività di Antonicelli al cinema, alla radio e alla televisione).
Nel 1968 fu eletto senatore nelle liste del Pci, diventando uno dei fondatori della Sinistra Indipendente. La rottura con il partito liberale era avvenuta al tempo del referendum tra Monarchia e Repubblica (1946) e Antonicelli aveva sempre collaborato con gli esponenti della sinistra torinese e in particolare con i comunisti. Il progetto della creazione di un gruppo della «Sinistra Indipendente» avrebbe dovuto realizzarsi già nel 1963, ma il tentativo era fallito. Questa vicenda è importante perché permette di capire una dinamica che era, in effetti, iniziata, un decennio prima. Gli esponenti dell’antifascismo democratico torinese, di area liberale e azionista, avevano reagito con preoccupazione alla sconfitta del movimento sindacale alla Fiat e alle dure repressioni all’interno delle fabbriche che ne erano seguite. A loro giudizio si correva il rischio di rendere più complicato un sano conflitto politico all’interno dela città e in generale in Italia: un conflitto che permetesse di selezionare le energie migliori e quindi di rafforzare uno Stato democratico debole. Per questa ragione alcuni di loro scelsero di collaborare più strettamente con i comunisti, pur preservando la loro indipendenza.
Il volume è inoltre arricchito da un ricordo personale della figlia Patrizia e da un apparato di fotografie ancora inedite. L’attore Marco Gobetti - che ha recitato in diversi licei piemontesi la «Lezione Recitata Franco Antonicelli», anch’essa pubblicata nel libro - nel suo intervento riporta un commento scritto da una studentessa, Giulia Barattini, dopo avere assistito a una recita. Vale la pena leggerne un breve brano:
«In un Paese che sperpera la parola… e spesso vede la cultura unicamente come fonte di guadagno, chi si adopera per per cambiare qualcosa è visto come un salmone che risale il fiume. A lungo termine, però, solo i pesci morti vanno con la corrente, e ci si rende conto che non sono i banchi, o le lavagne multimediali, a garantire ciò di cui abbiamo bisogno, ma le persone in quanto esseri umani, che vivono e sentono davvero ciò che dicono, che se ne appropriano per elargirlo agli altri».
Vivere con passione le cose che si vogliono trasmettere agli altri è un principio che Franco Antonicelli avrebbe sicuramente condiviso e a cui ha effettivamente ispirato gran parte della sua vita e della sua azione.
In sintonia con il presente. Franco Antonicelli tra politica e cultura - Edizioni Seb27
Leonardo Casalino, Antonicelli, da precettore di Agnelli alle battaglie politiche a fianco del Pci, striscia rossa, 5 aprile 2019

Franco Antonicelli, presidente del Cln del Piemonte, comizio in piazza Vittorio Veneto a Torino il 6 maggio 1945 - Fonte: Catalogo cit. supra

La primavera del 1963 fu per Einaudi una stagione di libri straordinari. Nel giro di poche settimane uscirono La cognizione del dolore di Gadda, La giornata di uno scrutatore di Calvino, Lessico famigliare della Ginzburg, il Consiglio d'Egitto di Sciascia, Le memorie di Adriano della Yourcenar, Lo scialle andaluso della Morante, Una giornata di Ivan Denisovic di Solgenitsyn, Franny e Zooey di Salinger, Gli incolpevoli di Broch. Il giovane germanista Claudio Magris pubblicava nei "Saggi" la sua tesi di laurea, Il mito absburgico nella letteratura austriaca moderna. «Il 1° febbraio ero stato assunto    all'ufficio stampa dopo una specie di piccolo concorso. [...] Verso i primi di marzo mi trovai sul tavolo le bozze di un libro di un certo Primo Levi, La tregua. Non sapevo niente dell' autore, e cominciai a leggere. A pagina due, come un rullare di tamburi in un concerto beethoveniano, ecco la scena dell' arrivo nel Lager abbandonato a se stesso dei quattro giovani soldati russi, "sospesi sui loro enormi cavalli", "oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno... Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa"... Restai folgorato. Persino un giovane redattore di nessuna esperienza poteva cogliere la grandezza di quelle pagine, in cui si saldavano la profondità del magistero morale e fermezza classica del dettato. Eccolo lì sul vetrino del microscopio, il male oscuro del Novecento, il virus dell' infezione che ha debilitato il secolo. Nemmeno Montaigne avrebbe potuto dire meglio. Anni dopo, seppi che i primi due capitoli della Tregua erano stati scritti di getto nel 1946-47, coevi dunque della stesura di Se questo è un uomo. Il racconto allora si era fermato lì, perché a Levi premeva soprattutto testimoniare l'incredibile». Allora quel dovere primario era stato assolto, anche se in mezzo alle nebbie di un incubo ricorrente: non essere ascoltati, non essere creduti. Incubo realistico, come sappiamo. Nel 1947 Einaudi si era detto non interessato al libro, e Franco Antonicelli l'aveva pubblicato da De Silva, cambiandogli titolo: da I sommersi e i salvati a Se questo è un uomo, appunto. [...]
Ernesto Ferrero, La tregua, il romanzo degli sconfitti, la Repubblica, 7 febbraio 1997

sabato 27 febbraio 2021

Alba tenera ragazza dalla capigliatura nera

Fonte: Laura Hess

Giorgio Loreti ricorda quanto gli raccontava Guido Seborga di Alba Galleano [che divenne sua moglie].
Guido diceva più o meno così: "Venivo a Bordighera a trovare mia madre che era allora ospite di un pensionato di suore. Io alloggiavo in un cameretta di un albergo. Stavo in una specie di mansarda, vicino al municipio, dove comincia il Paese Alto. Alla mattina mi facevo la barba ad uno specchio accanto alla finestra e spesso e volentieri sotto, in strada, passava Alba. Lei mi chiamava, ci salutavamo ridendo, dandoci un appuntamento giù al mare".  
Fonte: Laura Hess

Fonte: Laura Hess

Fonte: Laura Hess

[...] Nata a Torino nel 1915, Alba Galleano ha trascorso, a causa di problemi di salute, gran parte dell’infanzia e dell'adolescenza tra Torino, Meana e Bordighera.
 

Fonte: Laura Hess

Fu a Bordighera che a 16 anni conobbe Guido Hess (Seborga) di cui s’innamorò immediatamente e che sposò nel 1939.
 

Fonte: Laura Hess

Frequentò Bordighera per tutta la vita, ma fino alla guerra ci furono anche Forte dei Marmi vicino a casa De Chirico e villa Trossi a Portofino.
Con Guido frequentò gli ambienti culturali e i gruppi antifascisti a Torino con Agosti, Galante Garrone, Ada Gobetti, Ciaffi, Navarro, Silvia Pons, Anna Salvatorelli, Raf Vallone, Giorgio Diena e a Bordighera con Porcheddu, Brunati, Lina Meyffret

<<[ E pure morì sotto il martirio nazista l’animatore d'una delle prime bande a Baiardo: Brunati, il partigiano poeta. E la trista Germania inghiottì Lina Meiffret, prima partigiana.
Italo Calvino, articolo apparso sul numero 13 de La voce della democrazia, uscito a Sanremo martedì 1° maggio 1945

Lina Meiffret, ritornata dai campi di concentramento della Germania... rinvenimento di alcuni dattiloscritti di Italo Calvino relativi ai racconti partigiani, poi raccolti in Ultimo viene il corvo, conservati tra le carte di Lina Meiffret, partigiana sanremese amica e sodale del giovane Calvino... Fonte: Lumsa

Rivedo Lina Meyfrett che pare sempre miracolosamente scampata ad un campo di concentramento e insieme ricordiamo Renato Brunati e Beppe Porchedddu...
Guido Seborga, Occhio folle occhio lucido, Graphot/Spoon river, Torino 2012 ]>>
 

Entrò [Alba Galleano] poi nella Resistenza e fu Azionista.
È restata "famosa" la sua arringa su un tavolo a Trofarello ai soldati sbandati invitandoli alla Resistenza.
Erano i giorni successivi all’8 settembre e stava tornando a Torino da Bordighera insieme a  Guido con l’ultimo treno da Bordighera prima che i tedeschi facessero saltare i ponti.

Fonte: Laura Hess

<<[...] ancora Loreti: "Anche sua moglie Alba era nella Resistenza, lo ha seguito e lo ha aiutato, quando i fascisti, i tedeschi, lo cercavano, lo nascondeva in soffitta.">>
 

Prima e dopo la guerra, insieme al marito, frequentò  Umberto Mastroianni, arrivato nel '28 da Roma, Luigi Spazzapan, Mattia Moreni, Oscar Navarro, Raf Vallone, Vincenzo Ciaffi, Albino Galvano, Carlo Mussa, Giorgio e Rosetta Montalenti, Augusto e Luisotta Monti. Con Luisa Monti Sturani l’amicizia durò per moltissimi anni.

Fonte: Laura Hess

Nell’immediato dopoguerra scrisse su diversi giornali quali Il Ponte e Il Sempre Avanti dove, a differenza di Mario Gromo su La Stampa e Arturo Lanocita su Il Corriere della Sera fece una recensione molto favorevole a Paisà di Rossellini.


Fonte: Laura Hess

Avuti due figli, fu costretta a limitare la sua attività lavorativa, ma partecipò per tutta la vita alle esperienze del marito Guido Seborga sia come consigliera che curandone gli aspetti pratici e accettandone le lunghe assenze.
Fu suo il difficile compito di far quadrare i bilanci familiari e a tale scopo, utilizzando le sue competenze nel campo dell’antiquariato e dell’arte, aiutò molte signore torinesi nell’arredamento della propria casa.
 

Fonte: Laura Hess

Fino all’ultimo giorno della sua vita, che finì nel 1989, curò e diede sostegno a Guido, che la raggiunse nel 1990.

Laura Hess [figlia di Alba Galleano e di Guido Hess Seborga]

lunedì 1 febbraio 2021

L'occhio magico di Carlo Mollino

Una fotografia di Carlo Mollino - Fonte: Il Manifesto

Progettista di interni, scrittore, designer, architetto, automobilista, fotografo. Carlo Mollino è stato tutto questo e molto altro. Nato a Torino nel 1905, fin da bambino rimase affascinato del mezzo fotografico, passione trasmessa dal padre Eugenio che aveva allestito una camera oscura in una stanza della casa di famiglia.
Consapevole e sedotto delle possibilità di ricreazione del reale proprie della fotografia, è stato tra i primi architetti a «ritrarre» gli edifici e gli interni da lui stesso progettati. Già nel 1937, alcuni suoi scatti di Casa Miller furono scelti da Gio Ponti per essere pubblicati sulla copertina di Domus, consacrandolo non solo come architetto ma anche come fotografo. Negli interni di Casa Miller - così come in altre sue decorazioni d’interni - Mollino ha realizzato scatti al confine con il surreale e il metafisico, in cui corpi, specchi e oggetti d’arredamento creano un universo organico. Passato e futuro, apparati anatomici e manufatti di design si contaminano tra loro.
Mollino ha al suo attivo migliaia di scatti con tecniche e i formati diversi, dal negativo su lastra a quello su pellicola, dal bianco e nero al colore, al fotomontaggio, fino alla polaroid per quelli più privati [...] i, come dimostra l’esposizione a Torino L’occhio magico di Carlo Mollino. Fotografie 1934-1973, visitabile a Camera - Centro Italiano per la Fotografia, fino al 13 maggio [2018].
LA RASSEGNA RACCOGLIE oltre cinquecento immagini tra le quindicimila conservate nelle collezioni del Fondo Carlo Mollino presso il Politecnico di Torino, dove l’architetto aveva insegnato Composizione architettonica per più di vent’anni.
«Con questa mostra abbiamo voluto indagare e riflettere sull’atteggiamento curioso di Mollino, vorace, colto - ma a tratti anche caotico e disordinato - nei confronti della fotografia», ha affermato il curatore Francesco Zanot. «Ci siamo chiesti come fosse possibile mostrare materiali tanto diversi. Abbiamo deciso di rinunciare a una selezione di highlights  e scelto immagini con tipologie eterogenee: opere d’arte, documentazioni, fotografie personali, immagini tecniche, per permettere al visitatore un’immersione totale in quel suo universo fotografico, la cui unica possibilità di comprensione sta proprio nella sua assunzione per intero, senza suddivisioni né artificiose frammentazioni».
L’esposizione è una sorta di biografia iconografica, in cui si ripercorrono gli eventi più importanti della sua vita, dalle prime fotografie di architettura degli anni ’30, alle immagini di viaggio, in cui ritraeva sia dettagli di edifici iconici di Le Corbusier o di Frank Lloyd Wright, sia frammenti di esistenze e luoghi anonimi della campagna rumena o olandese, fino alle polaroid degli ultimi anni.
«MOLLINO UTILIZZAVA la fotografia per prendere appunti sulla sua vita. Anche se le immagini ritrovate dopo la sua morte, nello studio professionale di Pamparato a Torino, nel 1973, non erano organizzate in modo ordinato e non erano accompagnate da annotazioni, avevano sempre un aspetto diaristico», ha sottolineato il curatore. Era considerato un outsider, sia come fotografo, sia come teorico della fotografia. Nel 1949 venne pubblicato il libro Il messaggio dalla camera oscura, da lui scritto durante la guerra in pressoché totale isolamento, un epocale trattato di storia ed estetica fotografica, in cui elevava la fotografia al rango di arte, in dialogo con l’evoluzione del gusto estetico del tempo. Mollino rimase però sempre fuori da qualsiasi gruppo o movimento codificato. Anche se nelle sue opere fotografiche è possibile individuare alcune influenze surrealiste, non vi sono stati contatti diretti con il movimento perché Mollino, pur a conoscenza di quello che accadeva a Parigi, estraeva dalla poetica e dalla pratica surrealista simboli come ombre, specchi, orologi, e autori di riferimento come Atget e Man Ray, per farli propri.
VISITANDO LA MOSTRA, si possono scoprire le tante passioni di questo misterioso artista. Amava l’automobilismo: nel 1955 aveva partecipato alla gara automobilista 24 ore di Le Mans in Francia con l’auto da corsa Bisiluro Damolnar, progettata insieme a Mario Damonte ed Enrico Nardie, l’aeronautica, l’alpinismo e lo sci. Nel 1951 viene pubblicato Introduzione al discesismo, un testo audace, illustrato con disegni e fotografie, ristampato nella sua forma originale alcuni anni fa, in cui lo statement «lo stile plasma la tecnica», come da lui scritto nella premessa al volume, è in perfetta sintonia con i suoi oggetti di design e le opere architettoniche.
Carlo Mollino è stato anche autore di una decina di edifici. Alcuni di questi, come la Società Ippica Torino, sono stati demoliti; altri – la stazione per slittovia con albergo al Lago Nero e l’Auditorium Rai di Torino – restaurati, ma landmark della città sabauda come la Camera di Commercio, struttura di acciaio in vetro che sembra sospesa nel vuoto, il nuovo Teatro Regio e la Sala da ballo Lutrario, sono ancora attivi e visitabili.
L’ULTIMA E LA PIÙ AMPIA sezione della mostra - «L’amante del duca» - è dedicata al tema del corpo e della posa. Sono messi a confronto sciatori e ritratti femminili, i primi colti in posizioni che evidenziano la perfezione del gesto tecnico (Mollino fu anche direttore della commissione delle scuole e dei maestri di sci), le donne ritratte negli interni delle abitazioni da lui progettati con pose che ricordano quelle della statuaria antica, nelle stampe in bianco e nero, e con le Polaroid, in cui il gusto del boudoir, sempre elegante e sofisticato, viene amplificato dalla ricerca delle messe in scena.
Prima di scattare Mollino faceva molti preparativi, era attento agli arredi e acquistava personalmente gli abiti che lasciava indossare alle modelle per creare un’unità compositiva tra abiti, corpi, luci e interni domestici. Sembra quasi che cercasse un ideale di bellezza, continuamente da perfezionare, senza riuscirvi mai completamente, provando con nuove modelle e abiti originali. Si tratta di un lavoro privato, che Mollino voleva tenere per sé, ritrovato dopo la morte da Fulvio Ferrari, come racconta lo stesso Ferrari nel testo pubblicato in catalogo. Un lavoro difficilmente classificabile e che non può essere inserito nella storia della fotografia erotica o pornografica.
In mostra ci sono anche documenti, lettere, manoscritti, cartoline e memorabilia come il «drago da passeggio» di carta che l’architetto regalò ad alcuni amici per il capodanno del 1964 accompagnato dagli scatti fotografici di una donna velata, in compagnia dell’animale.
NONOSTANTE TUTTI questi materiali, Mollino rimane un autore enigmatico. Amava circondarsi di letture e oggetti esoterici non è un caso che la copertina de Il messaggio dalla camera oscura presenti un ritratto della regina egizia Tiy, moglie del faraone Amenofi III. Come suggerisce Ferrari è una sorta di consapevole mise en abyme, in cui il sarcofago, dove il corpo del Faraone è contenuto, non è una tomba ma una dimora divina che proietta il faraone nella vita ultraterrena, una sorta di «camera oscura», che ne riflette la presenza. Un’ulteriore indicazione di quante suggestioni e possibilità di lettura offra il lavoro di Mollino, tanto vasto e multiforme da aprirsi a più interpretazioni.
Lorenza Pignatti, L’esoterica perfezione del gesto - Fotografia. Una mostra dedicata a Carlo Mollino, figura poliedrica di artista tra immagini, oggetti di design, architetture e scrittura, in Il Manifesto, 27 febbraio 2018, articolo ripreso in pari data da neldeliriomaisola
Lorenza Pignatti è docente del corso di Fenomenologia dell’arte contemporanea alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Ha insegnato alla Supsi (Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana) di Lugano e all’Università di Urbino e Bologna. Ha curato il libro Mind the Map. Mappe, diagrammi e dispositivi cartografici (Postmedia Books), e Errore di sistema. Teoria e pratiche di Adbusters con Franco “Bifo” Berardi e Marco Magagnoli (Giangiacomo Feltrinelli Editore). Ha curato la retrospettiva di Pere Portabella al Festival Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, la rassegna su Home Movies, Archivio filmico della memoria familiare per neon>campobase e l’omaggio a Mika Taanila per il festival I boreali. Ha collaborato con ART for The World Europe e ha scritto per numerosi volumi collettivi. Collabora con “D la Repubblica”, “Il Manifesto”, “Il Corriere della Sera”, “Art Review”, “No Order, Art in a Post-fordist Society”.

lunedì 6 maggio 2013

Insistendo con le cartoline d'antan

Facendo seguito ad un mio recente post, posso affermare di avere ritrovato, significativa sul piano della cultura materiale, un'altra cartolina di Torino, più precisamente di Superga, con la tranvia che lascia respirare aria d'antan, continuazione virtuale - come leggo nel Web - di un trenino a funicolare inaugurato nel 1884.





Insistendo su immagini "viaggiate", ne presento una di Boves, proprio spedita da me a metà anni '70, per un sintetico pensiero dedicato ad una  Città Martire della Resistenza, con il che mi trattengo, in questa occasione, da riferire aneddoti a me colà capitati.








La cartolina di Sarajevo, spedita a mia nonna materna da care ed affabili persone, a prescindere dal fatto che i saluti ivi contenuti allargassero alquanto il concetto di Slovenia, zona d'origine di quel lato della mia famiglia, riporta, dopo tanti anni, tristemente con il pensiero alle ultime criminali guerre dei Balcani.






Con la spiaggia di Ventimiglia, che oggi presenta in quel punto - prossimo a dove ho anche abitato - alcune rotonde, chiudo il mio breve argomentare con l'auspicio di una prossima, serena estate.











domenica 28 aprile 2013

Divagando circa Torino

Ho aspettato alquanto per ringraziare mr.Hyde che, parlando di Torino, mi ha onorato, sostenendo nel suo post di aver preso da me l'idea di procedere a dei confronti tra  luoghi come appaiono in vecchie cartoline e il loro stato attuale.
Non ho trovato di meglio, infine, che pubblicare una cartolina di Superga, pervenuta in famiglia circa trent'anni fa', ma apparentemente di stampa più datata, sì da riportarmi idealmente più o meno allo stesso periodo indicato da mr.Hyde

E compiere qualche divagazione sul tema.

Potrei, invero, aggiungere qualche cenno sulla città subalpina, non, poi, così lontana da questa Riviera Ligure di Ponente, dove ho sempre abitato, ma non riesco ancora a filtrare al meglio tra i ricordi personali: posso al limite annotare, per mettere in evidenza un aspetto forse significativo su un piano più generale, che ho visto, senza, fresco undicenne, poter salire - con mio rammarico - sul trenino, perché non c'era tempo in quell'occasione, l'ormai scomparsa monorotaia, appena costruita per il Centenario dell'Unità d'Italia, ma anche per quell'Esposizione Internazionale del Lavoro, che rammentavo solo vagamente.
E le immagini, riferite a Torino, da me più facilmente reperibili, sono di carattere molto privato o banali, mentre, anche per pigrizia, non ho ancora rinvenuto - combinazione! - quelle - al pari di altre, con soggetti diversi, che pur mi interessano - di una vecchia, per certi versi memorabile, partita di calcio, giocata sempre a Torino, in quella domenica, appunto, di Italia '61. 


Dovrei pervenire a qualcosa come questa fotografia del 20 gennaio 1965 - ma in questo caso io non ero presente! -, che offre uno scorcio dello stadio di S. Siro di Milano com'era prima della profonda ristrutturazione del 1990.








La ricerca in casa di vecchie fotografie e di vecchie cartoline mi porta, invece, talora a delle curiose scoperte. Non ricordavo, ad esempio, né di esserci stato in quell'anno, né una cartolina spedita da me nel settembre 1970 da Vallauris, la cittadina amata da Picasso al punto da dedicarle una Cappella della Pace e da donare ai suoi ceramisti spunti notevoli di design. Tra questi artigiani, molti di origine italiana, che ho conosciuto qualche anno dopo.


Il fatto singolare é che ho sempre cercato di conservare - immaginando già che col tempo mi avrebbero raccontato delle storie - le cartoline ricevute, comprese quelle, recuperate, senza tuttavia con quello spirito affannarmi più di tanto, da persone intime, come facevo con mia nonna materna, alla quale, nelle mie pregresse escursioni, ne spedivo tante, non solo per affetto, ma anche per alimentare la mia particolare collezione.
Solo che oggi, come ho già insinuato, non tutto ritrovo, sia perché, lasciando mettere in ordine, a volte si nascondono le cose, sia perché in qualche eccesso di generosità devo avere provveduto anni fa' a qualche sostanzioso donativo...



sabato 1 ottobre 2011

Cartoline

Torino.

Scorcio panoramico dalla Paganella (TN).

Ecco. Una volta familiari, parenti, amici, conoscenti, in viaggio, in vacanza, anche per semplici saluti, mandavano tante cartoline. Oggi molte, molte di meno. Si scambiano, invece, diverse fotografie tramite email, chiavette, ecc. Talora precedute o seguite da almeno un cartoncino illustrato vecchia maniera.

Vignola (MO).

E così capita pure che chi viene in visita per la prima volta a Ventimiglia ne veda un angolo particolare, forse un po' sfuggito a noi locali, da uno dei belvedere che circondano la Città Alta e ne mandi anche a noi un gradito ricordo ...