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venerdì 8 aprile 2022

Traversate clandestine delle Alpi Marittime da parte di esuli antifascisti

Il Monte Clapier - Fonte: Wikimedia

[...] Quella che vorrei ricordare con queste righe però è anche una straordinaria operazione avviata alla fine del 1942 per inviare, al contrario, una serie di dirigenti comunisti in forma clandestina dalla Francia all’Italia per combattere il fascismo. Molti quadri del partito comunista esuli in Francia si erano trasferiti dal 1939 nel sud, nella zona che dal giugno 1940 diverrà regime collaborazionista di Vichy, poi nel novembre 1942 zona occupata dai tedeschi. Qui operavano con la Resistenza, ma per molti di loro la direttiva era di rientrare in Italia per preparare la futura lotta al regime. Il percorso, attraverso le Alpi Marittime, era stato inizialmente tentato senza successo dal veneto Mario Ferro “Romagnosi”, caduto subito nelle mani della polizia fascista. In seguito aveva provato due volte ad aprire la via un friulano, Amerigo Clocchiatti, nato a Tavagnacco (Colugna), ma anch’egli senza successo. Clocchiatti riesce a rientrare in Francia ma le vie che aveva sperimentato si dimostrano impraticabili. L’operazione è infine realizzata da un altro friulano dalla storia straordinaria, Domenico Tomat, di Venzone, assieme a Giulio Albini, originario della Val d’Ossola, boscaiolo e contrabbandiere, e ad un terzo personaggio, probabilmente un bellunese, che non è mai stato sinora identificato. I passaggi iniziano nel dicembre del 1942 e proseguono nell’inverno - primavera del 1943, su percorsi difficilissimi e coperti di neve e ghiaccio.
Tomat era reduce dalla guerra di Spagna, nel corso della quale era stato un abile e valoroso comandante del 1° battaglione della brigata Garibaldi (XII^ Internazionale) e temporaneamente della stessa brigata prima di restare ferito nel marzo 1938. Rientrato in Francia, avendo ottenuto la cittadinanza francese, evita i campi di concentramento ma viene arruolato nell’esercito francese e svolge il suo servizio proprio nella zona delle Alpi Marittime, sul confine con l’Italia, visitando ogni angolo di quelle montagne. In seguito aveva iniziato ad operare con la Resistenza francese a Marsiglia. Ma poi il partito lo aveva incaricato di riuscire ad aprire quella via clandestina con l’Italia che Clocchiatti aveva mancato. Per prima cosa Tomat organizza l’evasione dal campo di Gurs di Giulio Albini, che aveva conosciuto in Spagna, poi assieme iniziano ad esplorare la zona.
Su questa vicenda non si è scritto niente per diverso tempo, poi all’inizio degli anni Settanta è emerso senza grande rilievo dalle poche testimonianze di alcuni di coloro che erano passati in Italia attraverso quella via. E chi era passato era il vero gruppo dirigente del Partito Comunista italiano, da Antonio Roasio e Celeste Negarville a Giorgio Amendola, Agostino Novella, Felice Platone, Giuliano Pajetta, Anton Ukmar e molti altri. Compreso lo stesso Clocchiatti, che una volta in Italia andrà a fare il commissario della Divisione Nannetti tra Veneto e Friuli. (Vedi A. Clocchiatti, Cammina frut, Milano, Vangelista, 1972, pp. 162 - 164. G. Amendola, Lettere a Milano, Roma, Editori Riuniti, 1973. A. Roasio, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977, pp. 188 - 192). A queste vicende ha dedicato un opuscolo nel 2004 il competentissimo compagno Giampaolo Giordana (La via del Clapier. Breve storia di un itinerario clandestino, Castellamonte, Edizioni Valados Lusitanos, 2004).
Il percorso aperto da Tomat ed Albini iniziava in territorio francese a Saint Martin Vésubie. Da qui chi doveva raggiungere l’Italia, in genere due persone, con documenti falsi forniti da un “tecnico” (probabilmente Domenico Manera, che aveva avuto dal partito quell’incarico) assieme a Tomat ed Albini e talvolta a guide francesi raggiungeva una casa contadina a Roquebillière, dove venivano approntati attrezzatura e rifornimenti. Poi la marcia proseguiva lungo le pendici del monte Clapier, massiccio di 3.000 metri di altitudine posto lungo la linea di confine, e proseguiva in territorio italiano con la discesa verso Palanfré terminando a Vernante, in provincia di Cuneo dove le persone “traghettate” venivano ospitate, a pagamento, in casa di una persona fidata, una “donna anziana, gentile, pratica di contrabbandieri” (Clocchiatti, p. 167) ed indirizzate alle loro destinazioni in Italia. La marcia poteva durare anche una settimana, se il tempo cambiava in peggio, su sentieri scoscesi e ghiacciati. Qui abili alpinisti come Tomat ed Albini conducevano politici che non avevano assolutamente esperienza di montagna, talvolta fisicamente deboli per il carcere, le privazioni, la guerra che avevano vissuto, oppure appesantiti e poco avvezzi alla fatica fisica, incoraggiandoli ma anche spingendoli in ogni modo ad andare avanti in caso di stanchezza o di crisi, salvandoli se si mettevano in difficoltà. Lungo il percorso vi erano alcuni rifugi di pastori abbandonati, casermette vuote, ed una casa, a Tetto Coletta, abitata da un’altra anziana e fidata montanara, della famiglia Rizzo, dove riposarsi e rifocillarsi; scatolame e gallette venivano nascoste in luoghi noti solo alle guide. La famiglia di Tetto Coletta non ha mai chiesto compenso per l’attività svolta. Il tutto sotto il naso della milizia confinaria fascista che non è mai riuscita a rendersi conto di quanto avveniva.
Quasi una “leggenda metropolitana” il racconto di quanti scivolavano pericolosamente sul ghiaccio verso un precipizio e venivano bloccati dalla picozza piantata da Tomat o Albini senza grossi scrupoli tra le gambe dei malcapitati cozzando dolorosamente sui genitali. Durissime erano state le osservazioni di Tomat contro il futuro deputato della Costituente e sindaco di Torino (Negarville), evidentemente affaticato e indebolito, che aveva bevuto in poco tempo la riserva di liquore destinata a tutto il gruppo. Lo stesso Negarville, dopo sei giorni di marcia, sfinito, aveva ordinato a Tomat di fermarsi, ma lui aveva risposto “Caro Negarville, tu sei responsabile del lavoro politico ma io sono responsabile di farti arrivare in Italia. Quindi sono io in questo caso che decido” (Roasio, p. 192). Le gerarchie di partito in quei momenti non avevano valore. Una volta in Italia, una parte dei “traghettati” attraverso il Clapier formerà il Centro Interno del PCI e darà un grande contributo alla Resistenza.
Tutti i viaggi condotti da Tomat ed Albini sono stati portati a termine senza incidenti, senza che la milizia fascista si accorgesse di niente, senza che alcuno dei “passeggeri” rimanesse infortunato o peggio. Alla fine del 1943 i due verranno spostati su ordine del partito in Svizzera, dalla Svizzera Tomat rientrerà in Italia andando a fare il partigiano in Valtellina. Clocchiatti ricorda un poco tristemente nella sua autobiografia che Tomat avrebbe potuto raccontare una serie di storie straordinarie in merito a queste vicende; storie che purtroppo oggi sono perse per sempre.
Marco Puppini, Espatri e rimpatri clandestini di antifascisti friulani negli anni del regime, Friuli Occidentale. La storia, le storie, 3 aprile 2020  

Tra i quattro friulani attivi nella Resistenza francese del sud-est appena citati, un rilievo particolare dev’essere dato ad Amerigo Clocchiatti, noto anche con i suoi numerosi pseudonimi di battaglia come «Grillo» o «Ugo», nato a Colugna in provincia di Udine. Lasciò l’Italia per la Francia nel 1930 per sfuggire ad una condanna del Tribunale speciale fascista. Dopo aver alternato negli anni Trenta soggiorni francesi a ritorni clandestini in Italia, inframmezzati da corsi seguiti alla scuola leninista di Mosca, lo troviamo nel 1941 e 1942 a Marsiglia, inviato dal Partito comunista italiano in supporto di Teresa Noce, «Estella», moglie di Luigi Longo, nella direzione delle attività degli FTP-MOI <14 per tutto il sud-est. A partire dalla metà del ’42 la sua principale preoccupazione sarà quella di trovare il modo di passare la frontiera tra Francia e Italia allo scopo di riprendere la propaganda comunista in Italia. Ci riuscirà dopo molti tentativi falliti solo alla fine del ’42, primo di tanti altri dirigenti comunisti presenti in Francia all’epoca: lo farà percorrendo una pista alpina estremamente pericolosa, situata a tremila metri d’altitudine, epico percorso da lui stesso narrato nella più fortunata delle sue autobiografie <15.
Una volta in Italia, dopo l’8 settembre divenne uno dei più prestigiosi comandanti partigiani, prima nel Veneto poi in Emilia. Alla fine del ’42 Clocchiatti riuscì, dopo molti tentativi infruttuosi, ad oltrepassare la frontiera con l’Italia, diventata sempre più invalicabile dopo l’occupazione italiana del sud-est, grazie all’aiuto e complicità dell’altro dei quattro friulani evocati sopra: Domenico Tomat. Questi fu una figura dal percorso al tempo stesso epico-leggendario e atipico. Quanto al primo aspetto, basti ricordare il suo arrivo precoce in Francia, negli anni Venti; i due anni di combattente volontario nella guerra civile spagnola durante la quale occupò posti di grande responsabilità e autorevolezza <16; l’attività di sostegno e assistenza agli ex-compagni combattenti di Spagna quando si trovavano nei campi d’internamento del sud della Francia, che Tomat aveva evitato perché ferito e rientrato in Francia prima della fine della guerra; le sue imprese al servizio della Resistenza francese tra il ’41 e il ’43 nella regione di Marsiglia, in riconoscimento delle quali ricevette in seguito una decorazione ufficiale della Repubblica francese; il ruolo decisivo di «traghettatore», nel senso letterale del termine ma a tremila metri di altitudine, di quasi tutto lo stato maggiore del Partito comunista italiano in esilio alla vigilia del 25 luglio 1943; le sue gesta, infine, di comandante partigiano in Italia negli ultimi mesi della guerra, al comando della brigata d’assalto «Valtellina».
Riguardo all’aspetto atipico, sul quale vorrei avere maggiori elementi d’informazione di quanti ne abbia, questo appare inusuale per la sua precocissima, e più unica che rara, acquisizione della cittadinanza francese fin dal 1927, due anni soltanto dopo l’inizio del suo esilio; oltra a tutto il suo percorso militante successivo che sembra fare a pugni con questa naturalizzazione francese, perché esclusivamente italiano, e che pare piuttosto predisporlo a una brillante carriera politica nel Partito comunista italiano, fino al giorno in cui, pochi mesi dopo la Liberazione, Tomat decise di tornare in Francia per non più allontanarsene fino alla sua morte, nel 1985.
Quanto agli altri due dirigenti degli FTP-MOI originari o del Friuli, come Antonio Zorzetto, o di Trieste, come Antonio Ukmar, essi presentano un profilo relativamente simile a quello di Amerigo Clocchiatti. Anche per essi, come per Clocchiatti, un soggiorno più o meno lungo a Mosca figura nel loro percorso, ma avevano anche fatto, al pari di Tomat, la guerra di Spagna. Antonio Ukmar <17 nel 1940 passò inoltre qualche mese in Etiopia a sostegno dei guerrilleros etiopi che si battevano contro l’occupazione italiana <18. Dopo il 1943 i loro percorsi, tuttavia, prendono strade diverse: mentre Zorzetto torna in Italia solo dopo il 1945, inserendosi nelle istanze locali friulane del Partito comunista italiano, Ukmar rientra in Italia, svolge un’importante attività di comandante partigiano in Liguria, per tornare poi nella sua regione d’origine, iscriversi al Partito comunista jugoslavo e finire i suoi giorni a Capodistria, in territorio attualmente sloveno <19.
14 Gli F.T.P., ovvero Francs Tireurs Partisans, erano un’organizzazione clandestina creata dal Partito comunista francese nel gennaio del 1942. Era un’organizzazione specializzata soprattutto in atti di sabotaggio e in attentati individuali o a ufficiali delle truppe di occupazione o a collaboratori e spie notorie. Gli immigrati erano di varie nazionalità, tra le quali, insieme agli ebrei di Europa orientale, soprattutto polacchi. Gli italiani erano fra i più numerosi, raggruppati in sezioni speciali che prendevano il nome di M.O.I., secondo un acronimo che era già esistito negli anni Venti e Trenta prendendo il posto dell’iniziale M.O.E. Quest’ultimo acronimo stava per Main-d’oeuvre étrangère e M.O.I. per Main-d’oeuvre immigrée e non, come si trova scritto in molte autobiografie militanti italiane e nel libro di Pia Carena Leonetti sopra citato Movimento operaio internazionale. I G.A.P. italiani successivi all’8 settembre 1943 erano a loro volta ispirati, per la loro organizzazione e per le loro modalità d’azione, a questo precedente francese. Non solo, ma alcuni eroi dei G.A.P. italiani, valga per tutti il nome di Giovanni Pesce «Visone», avevano alle spalle un’esperienza francese. Vedasi ora, su quest’ultimo punto, l’autorevole conferma del bel libro di S. Peli, Storie di Gap, Einaudi, Torino 2014, di cui ho potuto prendere visione solo quando il presente saggio era già stato ultimato.
15 A. Clocchiatti, Cammina frut, Vangelista, Milano 1972.
16 Cfr. M. Puppini, In Spagna per la libertà, cit., pp. 228-29; cfr. anche G. Calandrone, La Spagna brucia: cronache garibaldine, Editori Riuniti, Roma 1974 (2a ed.), pp. 280-81
17 Come Ilio Barontini, un altro dirigente degli FTP-MOI, che aveva avuto un ruolo di primo piano nella resistenza marsigliese, («L’esperienza di lotta armata vissuta a Marsiglia fu molto importante per gli sviluppi futuri della guerra partigiana in Italia [...] quando si trattò di iniziare a Roma la lotta armata, io mi ricordai delle lezioni marsigliesi di Ilio e cercai di metterle a profitto [...] la bomba sul tram del Vieux Port fornì l’idea cui si ispirarono i gappisti che posero la bomba in via Rasella», avrebbe scritto anni dopo Giorgio Amendola nelle sue Lettere a Milano. Ricordi e documenti. 1939-1945, Editori Riuniti, Roma 1973, p.62), futuro sindaco comunista di Livorno nel dopoguerra.
18 Cfr. M. Puppini, In Spagna, cit., p. 236.
19 Ibid.

Antonio Bechelloni, Friulani e giuliani attivi nella Resistenza francese (1940-1944). Dal socialismo all’antifascismo, dall’antifascismo alla Resistenza: la coerenza di un percorso collettivo in (a cura di) Diego D’Amelio e Patrick Karlsen, «QUALESTORIA» - Rivista di storia contemporanea - 2. Collaborazionismi, guerre civili e resistenze, Anno XLIII, N.ro 2, Dicembre 2015, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia

venerdì 27 gennaio 2012

La bontà del contadino che nasconde nel fienile un vecchio ebreo




Nizza, Alpi Marittime, Cimitero alle pendici della collina del Castello.

"Da Babji Jar di Evgenij Evtušenko
...
Io sono ognuno dei vecchi fucilati qui.
Io sono ognuno dei bambini fucilati qui.
Niente dentro di me dimenticherà mai!
...
Nel mio sangue non c’è sangue ebraico.
Nella loro folle rabbia tutti gli antisemiti
Devono odiarmi ora come se fossi un ebreo.
"
Evgenij Evtušenko

"Ed ecco, a fianco del minaccioso, grande bene, esiste una bontà quotidiana. È la bontà della vecchia che porta un pezzo di pane a un prigioniero, del soldato che da da bere dalla sua borraccia al nemico ferito, della gioventù che ha pietà della vecchiaia, è la bontà del contadino che nasconde nel fienile un vecchio ebreo."
Vasilij Semenov Grossman

"Le truppe tedesche entrarono nella Valle del Bevera dall'Italia nel settembre 1943 e s'installarono sulle alture dell’Authion, lasciando a Sospel solo dei doganieri. La comunità ebrea fu subito minacciata: molte persone furono trasferite a Nizza in attesa di deportazione; altre riuscirono a rifugiarsi a Monaco."
da Museé de la Résistance Azuréenne

"Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell'aria. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. In questo libro se ne descrivono i segni: il disconoscimento della solidarietà umana, l'indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l'abdicazione dell'intelletto e del senso morale davanti al principio d'autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un'idea."
Primo Levi


giovedì 3 novembre 2011

Scorci di Alpi Marittime


Nella fotografia si può notare, come mi ha detto Bruno, che, insieme ad altre, me l'ha fornita, la Rocca dell'Abisso vista dalla Bassa di Peirafica.


Qui, invece, la Cima Lusiera, sempre lì vicino, con interferenze di Valmasca (o Valmasque).


In questa immagine Monte Bego, dalla storia leggendaria, molto visibile dalla costa delle mie parti.


Ho pensato bene di riprodurre - non so quanto chiara, ma di meglio non ho trovato - una cartina della zona in questione, che non dettaglia, comunque, tutto, per mettere in evidenza che si tratta di una parte delle Alpi Marittime francesi, al confine con la provincia di Cuneo.
Sono montagne di cui, specie di quelle ubicate in provincia di Imperia, parlano alcuni blogger con maggiore competenza del sottoscritto, che da tanti anni ha smesso di fare escursioni non dico tra le cime, ma anche nei pressi.


Questo é un bunker della Cresta di Rionard, vicino a Briga, più esattamente La Bigue, sempre che abbia trascritto bene le spiegazioni di Bruno.
Rimanda con il pensiero alla Seconda Guerra Mondiale, quando le opposte fortificazioni italiane di tutto il pomposamente definito Vallo Alpino Occidentale non diedero grande prova. Ma a me, per associazione di idee, fa venire in mente anche altri momenti di storia, abbastanza inediti, credo.
Insomma, pur avendo a disposizione altri scatti, sono partito dalla parte francese, alla quale questa volta mi sono limitato, come per stendere, una volta di più, appunti da sviluppare in seguito.


Ma eccolo qui Bruno, a Pian Tendasco con scorcio della Valle delle Meraviglie, sempre se ho ben capito le sue indicazioni. Di cognome fa Calatroni ed é anche il collezionista di fumetti al quale ho già accennato altra volta. Come si può notare, la sua disponibilità é ampia. Anche a farsi notare su questo blog ...



venerdì 26 agosto 2011

Girovagando per Nizza


Ieri sono stato a Nizza, ma non ero del tutto convinto di volerci arrivare. Cercavo, invece, tra Grand e Moyenne Corniche di raffigurarmi com'erano le scorciatoie per arrivare al capoluogo delle Alpi Marittime francesi quando non c'era ancora un compiuto tragitto autostradale. E di vedere Eze, eventualmente. Per poi fare ritorno "par la bord de la mer" per rinvenire posti topici di tante storie curiose, come molte negli anni mi sono capitate in Costa Azzurra. Ma a fare inizio, intanto, da lì. Di raffigurare il paesaggio, data la grande foschia, neanche a parlarne: oltrettutto non sono granché come fotografo.


A La Turbie, dove già ero arrivato per le vie più lunghe, mi é sembrato di rivivere, come se fossero appena accaduti, gustosi aneddoti di gioventù. Dopo quell'incrocio, nella mia memoria teatro nel passato di gravi incidenti, il mio girovagare a casaccio ha accentuato le sue connotazioni. Non mi ricordavo che quel tratto di Moyenne, che prosegue in salita a destra, rimaneggiato più volte nel tempo sbancando le rocce, oggi ha più in su un raccordo verso l'autostrada, sulla quale, non avendo fatto caso alla segnaletica che ha colori inversi a quelli italiani, passato per un tunnel, sono involontariamente transitato: a quel punto a Nizza mi ci sono ritrovato, optando, tirando idealmente a sorte, per la prima uscita.


Pensavo a quel punto di salire a Cimiez. Distratto dalla possibilità di vedere una chiesa che non conoscevo, ma sbagliando strada, anche perché indicazioni non ce ne sono, ho iniziato a fare una serie di giri apparentemente a vuoto. Sorvolo sul fatto di essere andato a La Trinité - altre vecchie storie - senza fermarmi, perché a quel momento inseguivo un'abbazia, alla quale, logicamente fatte le premesse da cui sono partito, non sono arrivato. Ho fatto un giro per colline, su cui non ero mai stato ma simili a tante altre da quelle parti, specie a quelle dove conobbi tanti italiani emigrati. Di sicuro ho trovato punti panoramici notevoli: la visibilità, come preannunciato, era tuttavia quella che era. Da tornarci, certo, per vedere Nizza come su certe antiche carte!

 
 

Preso, da Piazza Garibaldi, per Nizza Vecchia, mi sono, rispetto ai propositi del momento, distratto una volta di più, ritrovandomi a risalire per il Castello, di cui non é rimasto praticamente niente, come cercherò di documentare altra volta. Così come mi sono ripromesso di rivisitarlo al più presto, per scoprire se mi funzionerà meglio il gioco della memoria, poiché ieri ad esempio non ho ritrovato l'esatta ubicazione di certe grandi feste popolari, quelle dove tra l'altro, imparai ad apprezzare il cous cous.


Potevo, infine, nell'anno del 150° Anniversario dell'Unità d'Italia fare mancare un saluto ideale da Garibaldi?