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sabato 6 agosto 2022

La Resistenza prese le mosse in Friuli nel marzo 1943


L’organizzazione di un movimento di opposizione armata all’occupante nazista e politicamente antagonista al regime fascista prese le mosse in Friuli sei mesi prima che nel resto d’Italia, cioè sei mesi prima dell’8 settembre 1943, col formarsi del 1° distaccamento Garibaldi nel marzo 1943. Si trattò di un piccolo reparto armato che ebbe da 12 a 25 uomini a seconda dei momenti.
Questa significativa specificità, come del resto la maggior parte dei caratteri distintivi assunti dal movimento resistenziale nella regione, deve la propria origine alla particolare posizione geografica del Friuli, terra di confine tra Italia, Jugoslavia e Austria e al fatto che fin dal 1942 comparvero sul nostro territorio i reparti partigiani sloveni. <4 Fu proprio questa presenza partigiana slovena sulle montagne del Friuli, con cui le formazioni comuniste presero contatti e accordi fin dal 1942, a determinare l’esigenza dell’insorgere di una formazione partigiana italiana prima dell’8 settembre 43. <5
Questa vicinanza territoriale e la collaborazione basata su una certa affinità ideologica riproponeva, però, anche antichi e irrisolti problemi di convivenza tra etnie diverse, rivendicazioni territoriali e rivalità nazionali che si esacerbarono verso la fine del conflitto.
In principio, in seguito ai fatti dell’8 settembre, il movimento partigiano friulano si andò allargando. L’originale distaccamento Garibaldi si trasformò in battaglione e contemporaneamente si costituì ex novo, presso Faedis, sulle Prealpi Giulie, il battaglione Friuli.
Accanto a queste formazioni, a prevalente direzione comunista, sorsero nello stesso lasso di tempo altri due gruppi di combattenti: uno di Giustizia e Libertà, creato dagli uomini del Partito d’Azione, organizzato da Fermo Solari (Somma-Sergio) e Carlo Comessatti (Spartaco) a Subìt, una frazione del comune di Attimis, e uno, a prevalenza democristiana e costituito in gran parte da ex militari, organizzato sempre nella zona di Attimis da Manlio Cencig (Mario).
Il gruppo di Giustizia e Libertà entrò subito in contatto, tramite il commissario Solari, con Mario Lizzero (Andrea), commissario della formazione Garibaldi Friuli e le due unità operative instaurarono una stretta collaborazione tattica militare, pur non riuscendo a rimuovere gli ostacoli che le separavano dalla realizzazione di un’effettiva unificazione dei comandi.
Quello del comando unico delle formazioni partigiane fu anche uno dei primi problemi ad essere affrontato, benché senza successo, dal neocostituito CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Udine. Esso era composto da Giovanni Cosattini per il Partito Socialista, don Aldo Moretti (Lino) per la Democrazia Cristiana, Carlo Comessatti per il Partito d’Azione ed Emilio Beltrame per il Partito Comunista. La controversia tra le varie componenti del comitato traeva origine da proposte mal conciliabili, in base alle quali si sarebbe dovuto scegliere il criterio da usare per l’indicazione del comandante. Azionisti e democristiani desideravano che la designazione del comandante unico venisse effettuata, per selezione, nella ristretta cerchia dei militari di carriera, mentre i comunisti, inclini a dare più valore alle azioni effettivamente svolte nell’ambito della lotta partigiana piuttosto che ai gradi conseguiti nell’esercito, si rifiutavano di accettare un comandante rigidamente imposto dall’alto.
In ogni caso, nonostante queste prime diatribe, gli accordi militari tra garibaldini e giellisti restarono operanti fino ai grandi rastrellamenti tedeschi dell’ottobre-novembre 1943, in occasione dei quali le due formazioni furono costrette a separarsi. Successivamente il Partito d’Azione avrebbe svolto una parte importante nella costituzione delle formazioni Osoppo, in totale antitesi rispetto a quanto avvenne nel resto dell’Italia, in cui le brigate di Giustizia e Libertà rimasero sempre al fianco delle Garibaldi. <6
I feroci rastrellamenti tedeschi dell’autunno 1943, misero a dura prova non solo le giovani formazioni italiane, ma anche le più solide formazioni slovene. I partigiani in parte scesero in pianura mantenendo l’attività, in parte si dispersero, tutti comunque furono costretti a ripiegare. Da quella terribile esperienza, le forze della Resistenza italiana uscirono estremamente provate. Rimasero in tutto, sui monti, una cinquantina di uomini delle formazioni Garibaldi Friuli, che si erano ritirati, almeno la maggior parte, in una zona sicura a occidente del Tagliamento, sul monte Ciaurlec, mentre a est, sul Collio, restò il battaglione Mazzini, con una decina di uomini in tutto.
Un’altra importante formazione italiana prese le mosse in questo tempestoso periodo: il 24 dicembre 1943 il CLN di Udine, vista l’impossibilità di giungere ad un accordo sul problema del comando unificato delle formazioni di montagna, autorizzò la costituzione di un altro gruppo partigiano, che avrebbe dovuto impegnarsi a combattere a fianco delle Garibaldi, ma in modo autonomo.
La nuova formazione, che avrebbe in seguito adottato il nome di Osoppo <7, era destinata ad assumere un ruolo particolarmente importante nella società rurale friulana. A differenza delle unità garibaldine, più unite dal punto di vista ideologico, nelle Osoppo confluirono forze varie, spesso distanti le une dalle altre per posizioni, sentimenti e propositi. Intorno al partigianesimo “politico” del PdA e della DC, si muovevano un generico sentimento socialisteggiante delle masse popolari che invocava giustizia sociale, il modernismo cattolico e del clero friulano, il patriottismo degli ex militari, soprattutto degli ufficiali, fedeli al giuramento e, in genere, l’apporto degli apolitici, civili o militari che fossero.
Un ruolo fondamentale nell’aggregazione delle spinte potenzialmente antagoniste al nuovo ordine nazifascista fu svolto dal clero friulano, che vedeva nelle nascenti formazioni osovane un argine al dilagare del comunismo. Numerose furono le parrocchie che si occuparono dall’assistenza ai partigiani sbandati, ai militari e agli ex prigionieri, dell’attività di informazione e di sostegno materiale alle bande armate, nonché della diffusione, all’interno della società contadina friulana, della quale spesso rappresentavano l’unico centro di coesione e partecipazione, di sentimenti antinazisti e patriottici che esortavano ed incoraggiavano la popolazione alla resistenza passiva. Alcune parrocchie e istituti religiosi friulani divennero, inoltre, veri e propri centri di reclutamento del personale da inviare in montagna, in particolare, ovviamente, presso le formazioni Osoppo. Numerosi anche i preti “patrioti”, schierati in prima linea nelle file dell’antifascismo militante: si trattò perfino, a volte, di veri e propri preti combattenti, come fu ad esempio don Ascanio De Luca (Aurelio).
Ma è a don Aldo Moretti, figura decisamente più moderata, che deve tributarsi il merito di aver contribuito al superamento di tutte quelle remore di carattere etico e religioso che rendevano difficoltosa per qualunque cattolico l’ammissione della necessità e del dovere, in determinati frangenti, di aderire alla lotta armata. Per il clero infatti l’adesione alla guerriglia presuppose una serie di approfondimenti e di premesse, senza le quali esso sentiva di non poter agire. <8
Le discussioni che ebbero luogo a Udine, nel “Cenacolo di Studi Sociali per sacerdoti”, tra il 10 novembre 1943 e il 29 marzo 1944, furono in tal senso decisive, in quanto finirono per riconoscere la legittimità della resistenza non solo passiva ma anche militarmente attiva.
Quest’ultima tuttavia, seppur imposta dalle tragiche circostanze del momento, doveva essere praticata il meno possibile e, salvo il caso di legittima difesa, solo quando tutti gli altri mezzi di dissuasione avessero dimostrato la loro inefficacia. La Resistenza, inoltre, si configurava come emanazione della volontà del governo nazionale, espressione di tutto il popolo e dopo la dichiarazione di guerra alla Germania, proclamata dal re il 13 ottobre 1943, non poteva più configurarsi come guerriglia anarcoide o rivoluzionaria.
Tale impostazione era ben diversa da quella del partigianato comunista, e ciò suscitò non pochi attriti. I cattolici vennero accusati di "attendismo", soprattutto nella prima fase della Resistenza, mentre ai comunisti veniva spesso rimproverato di non tener conto, nelle loro azioni, dei costi umani pagati dalle popolazioni. <9
Le distanze tra le posizioni osovane e quelle garibaldine risultarono piuttosto evidenti anche su altri temi. Se i garibaldini ritenevano che la lotta contro il nemico dovesse puntare ad una partecipazione quanto mai estesa e popolare, gli osovani cercavano invece di limitare il ricorso alle armi e tendevano a privilegiare il reclutamento, soprattutto ai livelli di comando, di personale specializzato, generalmente ex ufficiali dell’esercito.
Oltre a ciò, a dividere e differenziare le due organizzazioni della Resistenza c’era la questione dei rapporti con gli sloveni. I garibaldini sostenevano e avrebbero continuato a sostenere, che nonostante le ripetute ed intransigenti prese di posizione jugoslave sulla questione territoriale, sarebbe stato impensabile combattere da rivali una stessa guerra contro lo stesso nemico e che del resto il modo migliore per lavare l’onta del fascismo, che macchiava il nome del popolo italiano, era quello di mostrare attraverso il combattimento comune il volto diverso e umano dello stesso popolo. La linea adottata dai comunisti friulani fin dalle prime trattative con gli sloveni, si fondò sul rifiuto di dibattere questioni che riguardassero la futura sistemazione del territorio, e sul rinvio a fine guerra e alle trattative dei futuri governi, del problema dei nuovi confini. Da parte osovana si registrava, invece, una maggiore diffidenza alla collaborazione con l’esercito di Tito e la netta ripulsa delle rivendicazioni territoriali slovene. <10
Dopo una stasi invernale, con la primavera del 1944 le formazioni di montagna ripresero ad aumentare in numero e dimensioni.
[NOTE]
4 In Jugoslavia, infatti, la Resistenza iniziò già nel 1941, dopo che il 6 aprile fu invasa da Germania e Italia (con l’appoggio di Bulgaria e Ungheria) e occupata nel giro di soli 11 giorni.
5 M. Lizzero, Considerazione sui reparti partigiani e sui gruppi di resistenza passiva nel ‘43 in Friuli, in “Storia Contemporanea in Friuli” n°10, anno IX, 1979, pp.255-256. Per una panoramica generale sulla Resistenza in Friuli vedi G.C. Bertuzzi, La Resistenza in Friuli e Venezia Giulia, in “Storia del ‘900”, IRSML-LEG, Gorizia 1997, pp.371-382, cui si rinvia anche per l’ampia bibliografia.
6 M. Lizzero, Origini e peculiarità della Resistenza in Friuli, in “Storia Contemporanea in Friuli”, n°2/3, anno II, 1972, pp.221-223
7 Il nome fu tratto dall’omonima località friulana dove nel 1848 i patrioti resistettero all’assedio austriaco.
8 R. Mascialino, La Resistenza dei cattolici in Friuli (1943-1945), Udine 1978, pp.70-71
9 M. Lizzero, Considerazione sui reparti partigiani e sui gruppi di resistenza passiva nel ‘43 in Friuli, in “Storia Contemporanea in Friuli” n°10, anno IX, 1979, pp.249-250
10 D. Franceschini, Porzûs. La Resistenza lacerata, IRSML, Trieste, pp.1-12
Eleonora Buzziolo, Partigiane in Friuli: storia e memoria, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2003/2004

sabato 14 maggio 2022

Già nell’ottobre 1942 i comunisti italiani presero contatto con le formazioni slovene per concordare alcune forme di collaborazione

Lusevera (UD) nella Benecìa - Fonte: Mapio.net

La lotta armata nella Venezia Giulia e in Friuli ha caratteri specifici ed originali che la differenziano dalla Resistenza nel resto d’Italia.
Questa originalità deriva, innanzitutto, dalla posizione geografica della regione, sita com’era a cavaliere tra Austria e Jugoslavia in un punto chiave per i tedeschi, crocevia logistico-operativo fra il fronte italiano, la Germania e i Balcani.
A queste motivazioni d’ordine geografico-militare se ne accompagnano altre di tipo etnico: infatti abitavano la zona popolazioni slovene e croate che convivevano qui da secoli a fianco della componente italiana. L’oppressione scatenata dal fascismo contro sloveni e croati (allogeni e alloglotti) della Venezia Giulia e del Friuli, spinse costoro alla ribellione durante tutto il ventennio, coinvolgendo di conseguenza anche la popolazione italiana. Le radici della Resistenza friulana s’innestarono quindi nella forte tradizione dell’antifascismo clandestino regionale, uno dei più attivi e dei più perseguitati d’Italia <50: questo è il motivo principale del perché scaturì in regione un così precoce spirito resistenziale. Alla luce di ciò si comprende meglio perché nella Venezia Giulia e in Friuli la Resistenza assunse subito un carattere plurinazionale, con la nascita e lo sviluppo, sin dalla tarda estate del 1941, di formazioni partigiane slovene nelle province di Gorizia e Trieste; queste formazioni penetrarono anche nelle Valli del Natisone (Slavia veneta, altrimenti detta Benecìa <51). L’organizzata Resistenza slovena creò diversi punti di riferimento per l’antifascismo friulano e giuliano e costituì, agli inizi, uno stimolo ed un esempio per le sue iniziative. Questa vicinanza, in seguito, si ripercosse negativamente sulle vicende friulane: i fini ultimi della lotta dell’Esercito di Liberazione jugoslavo (lotta di liberazione nazionale e rivoluzione sociale) complicarono non poco i rapporti tra le formazioni e tra i partiti italiani; i rapporti da tenere con gli sloveni diventarono motivo di aspre discussioni e di paralisi per l’unificazione dei diversi comandi partigiani italiani, soprattutto nelle zone di confine. La prossimità con questo forte movimento di liberazione a direzione comunista fu la principale ragione del perché si formò proprio in Friuli la più robusta organizzazione partigiana non comunista, la Osoppo, che ha pochi eguali in Italia.
Il dualismo fra i reparti diretti dai comunisti (Garibaldi) e quelli sostenuti da altri partiti (Osoppo) non fu connotato tipico friulano, ma in questa regione assunse un valore particolare.
L’insorgere di una questione nazionale e di frontiera sollevata dal movimento jugoslavo è un altro degli aspetti caratterizzanti, dal punto di vista politico-militare, della Resistenza nel Friuli Venezia Giulia.
La Resistenza friulana si segnala, inoltre, per una serie di “primati”: fu in regione, infatti, che nacque l’unico distaccamento italiano sorto prima dell’armistizio dell’8 settembre; per primi, in Friuli, i reparti garibaldini si organizzarono in battaglioni e brigate (nelle altre regioni si combatteva ancora per bande, per piccoli nuclei); qui si costituì la prima brigata italiana, la Garibaldi “Friuli”, e si assistette alla prima grande battaglia contro i tedeschi (Gorizia 12-19 settembre 1943: probabilmente l’unico esempio in Friuli di insurrezione armata spontanea).
Non di minore rilevanza storico-politica sono i trattati stipulati dai garibaldini con il IX Korpus d’armata jugoslavo o la creazione di grandi zone libere, con il conseguente controllo di vasti territori (come la Zona Libera della Carnia) che videro il coinvolgimento diretto e l’intervento nella vita sociale e amministrativa delle popolazioni civili, con interessanti esperimenti di autogoverno e l’avvio di una Costituzione avanzata.
[...] Già nell’ottobre 1942 i comunisti italiani presero contatto con le formazioni slovene per concordare alcune forme di collaborazione <52. L’intesa (superando molte perplessità interne) fu raggiunta dalla federazione udinese: gli italiani s’impegnarono a passare informazioni sui movimenti tedeschi, a rifornire di armi, medicinali e viveri le formazioni slovene; gli sloveni, da parte loro, concessero la formazione di un reparto autonomo di partigiani italiani, con comando e simboli nazionali, riunendo quei combattenti che già stavano lottando disseminati nelle formazioni jugoslave. In seguito a tali accordi, nella primavera del 1943, nacque il primo nucleo partigiano: il Distaccamento “Garibaldi” <53, composto da una quindicina di volontari italiani, e operante sui monti della Slavia veneta. Questo distaccamento porta il nome di Garibaldi non per un caso: Garibaldi, infatti, era un eroe popolare; “garibaldini” erano i combattenti di Spagna nelle Brigate Internazionali contro il fascismo franchista e, soprattutto, il nome di Garibaldi richiamava forte l’immagine che voleva la resistenza al fascismo e ai tedeschi come continuazione del Risorgimento italiano.
Il Distaccamento, braccato di continuo dai nemici, si spostò continuamente e si sciolse.I superstiti, all’indomani dell’8 settembre, formarono sul Collio (in continuazione del vecchio distaccamento) il battaglione “Garibaldi”, costituito con l’apporto di antifascisti del cormonese, di partigiani italiani che militavano nelle file slovene, di soldati sbandati e di alcuni dispersi della brigata “Proletaria” dopo la sconfitta nella battaglia di Gorizia. Raggiunse in pochi giorni le 120 unità e, su pressante invito sloveno, si spostò nelle Valli del Natisone.
In seguito al forte afflusso di giovani e volontari dopo l’8 settembre, nacquero nuovi battaglioni partigiani nella zona orientale del Friuli.
Fra il 12 e il 20 settembre si costituì, sempre nelle valli del Natisone, il Battaglione “Friuli”, organizzato su tre compagnie, come il “Garibaldi”.
Ai primi di Ottobre risale anche la formazione del Battaglione “Pisacane”, composto in parte da membri degli altri due battaglioni e forte già di 70 uomini.
A questi si aggiunse il Battaglione “Mazzini”, costituitosi a fine ottobre sul Collio (l’unico reparto italiano accettato in zona dagli sloveni), e dal quale in futuro avrebbe avuto vita la Brigata “Natisone”. La storia di questo reparto è diversa dalle altre formazioni garibaldine: infatti, ebbe sempre una notevole autonomia decisionale conferitagli dal decentramento logistico cui fu costretto e dalla contiguità con i reparti sloveni.
Con la nascita e lo sviluppo di questi primi battaglioni si posero i presupposti per la costituzione di una brigata partigiana. Furono i comandi garibaldini a caldeggiare la formazione della brigata, unico mezzo per affermare in maniera decisa l’esistenza di formazioni italiane autonome nelle Prealpi Giulie. Inoltre incominciava a farsi pressante la necessità della presenza di una adeguata e congrua formazione militare italiana dato che, con la caduta del fascismo e a causa di rivendicazioni territoriali sempre più ufficiali e dettagliate da parte slovena, il problema dei confini orientali andava facendosi sempre più attuale.
Dall’unione di questi battaglioni (nati e operanti fra i fiumi Natisone, Judrio e Isonzo) nacque così alla fine del 1943, sulle Prealpi Giulie, la Brigata “Friuli”, la prima in Italia, composta da circa 450 uomini.
Volontari friulani, operai isontini (molto forte fu il numero di iscritti e sostenitori del partito comunista nei cantieri di Monfalcone) ed ex-militari, formarono il grosso di queste unità.
Il P.C.I. fu anche il principale organizzatore della lotta armata in pianura. Tra settembre e dicembre 1943 creò una robusta rete di organismi politici e militari che operarono a supporto dei reparti di montagna, concorrendo a mobilitare le masse e a suscitare la guerriglia.
Furono diretti dal P.C.I., infatti, i gruppi dell’Intendenza, i G.A.P. e la maggior parte delle S.A.P. Su iniziativa della Federazione comunista i primi nuclei di G.A.P. erano stati costituiti già ad ottobre in tutta la regione. Da principio erano piccoli gruppi di persone (tre, cinque al massimo) che vivevano in legalità; si riunivano solo per compiere sabotaggi, recuperare armi, munizioni e viveri <54, attaccare macchine nemiche isolate, eliminare spie.
Altri raggruppamenti di massa furono il Fronte della Gioventù, i Gruppi di Difesa della Donna, i Comitati operai e contadini in cui, in genere, erano comunque i comunisti a prevalere.
Le condizioni in cui operarono furono difficili e pericolose.
All’interno delle stesse forze di pianura si possono individuare due diverse tipologie di combattenti: c’erano quelli che vivevano alla macchia, in continuo spostamento, accampati tra la vegetazione per non essere scovati, simili per certi versi ai partigiani di montagna (nel 1943 non si hanno ancora notizie di questi gruppi che si svilupparono, verosimilmente, nella primavera-estate 1944). C’erano poi uomini che vivevano in legalità, a casa propria, svolgendo servizi di intendenza, stampa, propaganda, a volte di aiuto sanitario; erano i cosiddetti “territoriali” che occasionalmente si armavano per azioni di guerriglia (rientrano in questa categoria la maggior parte dei G.A.P., le S.A.P., gli appartenenti al F.d.G.).
[NOTE]
50 Centinaia furono gli arrestati e i condannati a pene detentive durissime, migliaia i confinati e gli internati (I. DOMENICALI, G. FOGAR, La Resistenza, in “Storia regionale contemporanea, guida alla ricerca”, edizioni Grillo, Udine, 1979, p. 48).
51 Per T. MANIACCO e F. MONTANARI (I Senza storia. Il Friuli dal 1866 al 25 Aprile 1945, Casamassima, 1978) è più corretto chiamare queste zone Slavia veneta piuttosto che friulana.
52 Si veda, per esempio, G. C. BERTUZZI, 1942-1943. “Esercito partigiano italiano” e “questione nazionale”: alle origini di una vicenda controversa in “Storia contemporanea in Friuli”, anno XII, n.13, I.F.S.M.L., Udine, 1982.
53 Probabilmente la dicitura “Distaccamento Garibaldi” fu successiva alla creazione del nucleo.
54 A. C., in un’intervista orale, ricorda l’assalto al deposito militare di Percoto da parte della popolazione locale per rifornirsi di scatolette di cibo. La sua testimonianza è confermata da F. MAUTINO (Guerra di popolo, Feltrinelli, Padova, 1981, p. 56).
Alessio Di Dio, Il Manzanese nella guerra di Liberazione. Partigiani, tedeschi, popolazione, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2002-2003

Il primo nucleo nacque come “distaccamento Garibaldi” nella Slavia Friulana (Benecìa) già nel marzo del 1943, per iniziativa del PCI e del movimento di liberazione sloveno. Fu la prima formazione militare della Resistenza italiana. Subito dopo l’8 settembre, in quella zona, si era formata una Brigata Garibaldi.
Nei mesi successivi, dopo la dispersione delle forze combattenti dovuta all’offensiva tedesca, il battaglione venne ricostruito dando vita a due formazioni distinte: il Btg. Garibaldi ed il Mazzini. Da questo sdoppiamento, nasceranno tre brigate: la Buozzi, la Picelli e la Gramsci, raggruppate nella Divisione Garibaldi Natisone, costituita ufficialmente il 17 agosto 1944 inquadrando 1.200 uomini che in settembre raggiungeranno circa 2 mila uomini. Alla fine del 1944, dopo la conclusione dell’esperienza della Zona libera della Carnia e dell’Alto Friuli, e quella del Friuli orientale, la Divisione si trasferì oltre l’Isonzo, passando alle dipendenze operative dell’Esercito di liberazione jugoslavo. Partecipò a diversi e sanguinosi combattimenti, rientrando a Trieste il 20 maggio del 1945. Lasciò in terra slovena ben 1.000 caduti. Di questa unità fece parte anche la Brigata Triestina, aggregatasi nei giorni della Liberazione.
Bibliografia:
G. Gallo, La Resistenza in Friuli 1943-1945, IFSML, Udine 1988;
L. Patat, Mario Fantini “Sasso”. Comandante della Divisione “Garibaldi Natisone”, IFSML, Udine 2000;
G. Padoan (Vanni), Abbiamo lottato insieme. Partigiani italiani e sloveni al confine orientale, Del Bianco Editore, Udine 1965;
A.a.V.v., La Repubblica partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli, Il Mulino, Bologna 2013;
A. Buvoli-A. Zannini (a cura), Estate-autunno 1944. La Zona libera partigiana del Friuli orientale, Il Mulino, Bologna 2016;
E. Cernigoi, La Brigata d’Assalto ‘Triestina’ nella Zona di Operazioni Litorale Adriatico. Una storia militare 1943-1945, Ed. Tempora, 2017.
Redazione, Divisione Garibaldi Natisone, ANED (Associazione Nazionale ex Deportati nei campi nazisti) Brescia, 23 febbraio 2020

venerdì 8 aprile 2022

Traversate clandestine delle Alpi Marittime da parte di esuli antifascisti

Il Monte Clapier - Fonte: Wikimedia

[...] Quella che vorrei ricordare con queste righe però è anche una straordinaria operazione avviata alla fine del 1942 per inviare, al contrario, una serie di dirigenti comunisti in forma clandestina dalla Francia all’Italia per combattere il fascismo. Molti quadri del partito comunista esuli in Francia si erano trasferiti dal 1939 nel sud, nella zona che dal giugno 1940 diverrà regime collaborazionista di Vichy, poi nel novembre 1942 zona occupata dai tedeschi. Qui operavano con la Resistenza, ma per molti di loro la direttiva era di rientrare in Italia per preparare la futura lotta al regime. Il percorso, attraverso le Alpi Marittime, era stato inizialmente tentato senza successo dal veneto Mario Ferro “Romagnosi”, caduto subito nelle mani della polizia fascista. In seguito aveva provato due volte ad aprire la via un friulano, Amerigo Clocchiatti, nato a Tavagnacco (Colugna), ma anch’egli senza successo. Clocchiatti riesce a rientrare in Francia ma le vie che aveva sperimentato si dimostrano impraticabili. L’operazione è infine realizzata da un altro friulano dalla storia straordinaria, Domenico Tomat, di Venzone, assieme a Giulio Albini, originario della Val d’Ossola, boscaiolo e contrabbandiere, e ad un terzo personaggio, probabilmente un bellunese, che non è mai stato sinora identificato. I passaggi iniziano nel dicembre del 1942 e proseguono nell’inverno - primavera del 1943, su percorsi difficilissimi e coperti di neve e ghiaccio.
Tomat era reduce dalla guerra di Spagna, nel corso della quale era stato un abile e valoroso comandante del 1° battaglione della brigata Garibaldi (XII^ Internazionale) e temporaneamente della stessa brigata prima di restare ferito nel marzo 1938. Rientrato in Francia, avendo ottenuto la cittadinanza francese, evita i campi di concentramento ma viene arruolato nell’esercito francese e svolge il suo servizio proprio nella zona delle Alpi Marittime, sul confine con l’Italia, visitando ogni angolo di quelle montagne. In seguito aveva iniziato ad operare con la Resistenza francese a Marsiglia. Ma poi il partito lo aveva incaricato di riuscire ad aprire quella via clandestina con l’Italia che Clocchiatti aveva mancato. Per prima cosa Tomat organizza l’evasione dal campo di Gurs di Giulio Albini, che aveva conosciuto in Spagna, poi assieme iniziano ad esplorare la zona.
Su questa vicenda non si è scritto niente per diverso tempo, poi all’inizio degli anni Settanta è emerso senza grande rilievo dalle poche testimonianze di alcuni di coloro che erano passati in Italia attraverso quella via. E chi era passato era il vero gruppo dirigente del Partito Comunista italiano, da Antonio Roasio e Celeste Negarville a Giorgio Amendola, Agostino Novella, Felice Platone, Giuliano Pajetta, Anton Ukmar e molti altri. Compreso lo stesso Clocchiatti, che una volta in Italia andrà a fare il commissario della Divisione Nannetti tra Veneto e Friuli. (Vedi A. Clocchiatti, Cammina frut, Milano, Vangelista, 1972, pp. 162 - 164. G. Amendola, Lettere a Milano, Roma, Editori Riuniti, 1973. A. Roasio, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977, pp. 188 - 192). A queste vicende ha dedicato un opuscolo nel 2004 il competentissimo compagno Giampaolo Giordana (La via del Clapier. Breve storia di un itinerario clandestino, Castellamonte, Edizioni Valados Lusitanos, 2004).
Il percorso aperto da Tomat ed Albini iniziava in territorio francese a Saint Martin Vésubie. Da qui chi doveva raggiungere l’Italia, in genere due persone, con documenti falsi forniti da un “tecnico” (probabilmente Domenico Manera, che aveva avuto dal partito quell’incarico) assieme a Tomat ed Albini e talvolta a guide francesi raggiungeva una casa contadina a Roquebillière, dove venivano approntati attrezzatura e rifornimenti. Poi la marcia proseguiva lungo le pendici del monte Clapier, massiccio di 3.000 metri di altitudine posto lungo la linea di confine, e proseguiva in territorio italiano con la discesa verso Palanfré terminando a Vernante, in provincia di Cuneo dove le persone “traghettate” venivano ospitate, a pagamento, in casa di una persona fidata, una “donna anziana, gentile, pratica di contrabbandieri” (Clocchiatti, p. 167) ed indirizzate alle loro destinazioni in Italia. La marcia poteva durare anche una settimana, se il tempo cambiava in peggio, su sentieri scoscesi e ghiacciati. Qui abili alpinisti come Tomat ed Albini conducevano politici che non avevano assolutamente esperienza di montagna, talvolta fisicamente deboli per il carcere, le privazioni, la guerra che avevano vissuto, oppure appesantiti e poco avvezzi alla fatica fisica, incoraggiandoli ma anche spingendoli in ogni modo ad andare avanti in caso di stanchezza o di crisi, salvandoli se si mettevano in difficoltà. Lungo il percorso vi erano alcuni rifugi di pastori abbandonati, casermette vuote, ed una casa, a Tetto Coletta, abitata da un’altra anziana e fidata montanara, della famiglia Rizzo, dove riposarsi e rifocillarsi; scatolame e gallette venivano nascoste in luoghi noti solo alle guide. La famiglia di Tetto Coletta non ha mai chiesto compenso per l’attività svolta. Il tutto sotto il naso della milizia confinaria fascista che non è mai riuscita a rendersi conto di quanto avveniva.
Quasi una “leggenda metropolitana” il racconto di quanti scivolavano pericolosamente sul ghiaccio verso un precipizio e venivano bloccati dalla picozza piantata da Tomat o Albini senza grossi scrupoli tra le gambe dei malcapitati cozzando dolorosamente sui genitali. Durissime erano state le osservazioni di Tomat contro il futuro deputato della Costituente e sindaco di Torino (Negarville), evidentemente affaticato e indebolito, che aveva bevuto in poco tempo la riserva di liquore destinata a tutto il gruppo. Lo stesso Negarville, dopo sei giorni di marcia, sfinito, aveva ordinato a Tomat di fermarsi, ma lui aveva risposto “Caro Negarville, tu sei responsabile del lavoro politico ma io sono responsabile di farti arrivare in Italia. Quindi sono io in questo caso che decido” (Roasio, p. 192). Le gerarchie di partito in quei momenti non avevano valore. Una volta in Italia, una parte dei “traghettati” attraverso il Clapier formerà il Centro Interno del PCI e darà un grande contributo alla Resistenza.
Tutti i viaggi condotti da Tomat ed Albini sono stati portati a termine senza incidenti, senza che la milizia fascista si accorgesse di niente, senza che alcuno dei “passeggeri” rimanesse infortunato o peggio. Alla fine del 1943 i due verranno spostati su ordine del partito in Svizzera, dalla Svizzera Tomat rientrerà in Italia andando a fare il partigiano in Valtellina. Clocchiatti ricorda un poco tristemente nella sua autobiografia che Tomat avrebbe potuto raccontare una serie di storie straordinarie in merito a queste vicende; storie che purtroppo oggi sono perse per sempre.
Marco Puppini, Espatri e rimpatri clandestini di antifascisti friulani negli anni del regime, Friuli Occidentale. La storia, le storie, 3 aprile 2020  

Tra i quattro friulani attivi nella Resistenza francese del sud-est appena citati, un rilievo particolare dev’essere dato ad Amerigo Clocchiatti, noto anche con i suoi numerosi pseudonimi di battaglia come «Grillo» o «Ugo», nato a Colugna in provincia di Udine. Lasciò l’Italia per la Francia nel 1930 per sfuggire ad una condanna del Tribunale speciale fascista. Dopo aver alternato negli anni Trenta soggiorni francesi a ritorni clandestini in Italia, inframmezzati da corsi seguiti alla scuola leninista di Mosca, lo troviamo nel 1941 e 1942 a Marsiglia, inviato dal Partito comunista italiano in supporto di Teresa Noce, «Estella», moglie di Luigi Longo, nella direzione delle attività degli FTP-MOI <14 per tutto il sud-est. A partire dalla metà del ’42 la sua principale preoccupazione sarà quella di trovare il modo di passare la frontiera tra Francia e Italia allo scopo di riprendere la propaganda comunista in Italia. Ci riuscirà dopo molti tentativi falliti solo alla fine del ’42, primo di tanti altri dirigenti comunisti presenti in Francia all’epoca: lo farà percorrendo una pista alpina estremamente pericolosa, situata a tremila metri d’altitudine, epico percorso da lui stesso narrato nella più fortunata delle sue autobiografie <15.
Una volta in Italia, dopo l’8 settembre divenne uno dei più prestigiosi comandanti partigiani, prima nel Veneto poi in Emilia. Alla fine del ’42 Clocchiatti riuscì, dopo molti tentativi infruttuosi, ad oltrepassare la frontiera con l’Italia, diventata sempre più invalicabile dopo l’occupazione italiana del sud-est, grazie all’aiuto e complicità dell’altro dei quattro friulani evocati sopra: Domenico Tomat. Questi fu una figura dal percorso al tempo stesso epico-leggendario e atipico. Quanto al primo aspetto, basti ricordare il suo arrivo precoce in Francia, negli anni Venti; i due anni di combattente volontario nella guerra civile spagnola durante la quale occupò posti di grande responsabilità e autorevolezza <16; l’attività di sostegno e assistenza agli ex-compagni combattenti di Spagna quando si trovavano nei campi d’internamento del sud della Francia, che Tomat aveva evitato perché ferito e rientrato in Francia prima della fine della guerra; le sue imprese al servizio della Resistenza francese tra il ’41 e il ’43 nella regione di Marsiglia, in riconoscimento delle quali ricevette in seguito una decorazione ufficiale della Repubblica francese; il ruolo decisivo di «traghettatore», nel senso letterale del termine ma a tremila metri di altitudine, di quasi tutto lo stato maggiore del Partito comunista italiano in esilio alla vigilia del 25 luglio 1943; le sue gesta, infine, di comandante partigiano in Italia negli ultimi mesi della guerra, al comando della brigata d’assalto «Valtellina».
Riguardo all’aspetto atipico, sul quale vorrei avere maggiori elementi d’informazione di quanti ne abbia, questo appare inusuale per la sua precocissima, e più unica che rara, acquisizione della cittadinanza francese fin dal 1927, due anni soltanto dopo l’inizio del suo esilio; oltra a tutto il suo percorso militante successivo che sembra fare a pugni con questa naturalizzazione francese, perché esclusivamente italiano, e che pare piuttosto predisporlo a una brillante carriera politica nel Partito comunista italiano, fino al giorno in cui, pochi mesi dopo la Liberazione, Tomat decise di tornare in Francia per non più allontanarsene fino alla sua morte, nel 1985.
Quanto agli altri due dirigenti degli FTP-MOI originari o del Friuli, come Antonio Zorzetto, o di Trieste, come Antonio Ukmar, essi presentano un profilo relativamente simile a quello di Amerigo Clocchiatti. Anche per essi, come per Clocchiatti, un soggiorno più o meno lungo a Mosca figura nel loro percorso, ma avevano anche fatto, al pari di Tomat, la guerra di Spagna. Antonio Ukmar <17 nel 1940 passò inoltre qualche mese in Etiopia a sostegno dei guerrilleros etiopi che si battevano contro l’occupazione italiana <18. Dopo il 1943 i loro percorsi, tuttavia, prendono strade diverse: mentre Zorzetto torna in Italia solo dopo il 1945, inserendosi nelle istanze locali friulane del Partito comunista italiano, Ukmar rientra in Italia, svolge un’importante attività di comandante partigiano in Liguria, per tornare poi nella sua regione d’origine, iscriversi al Partito comunista jugoslavo e finire i suoi giorni a Capodistria, in territorio attualmente sloveno <19.
14 Gli F.T.P., ovvero Francs Tireurs Partisans, erano un’organizzazione clandestina creata dal Partito comunista francese nel gennaio del 1942. Era un’organizzazione specializzata soprattutto in atti di sabotaggio e in attentati individuali o a ufficiali delle truppe di occupazione o a collaboratori e spie notorie. Gli immigrati erano di varie nazionalità, tra le quali, insieme agli ebrei di Europa orientale, soprattutto polacchi. Gli italiani erano fra i più numerosi, raggruppati in sezioni speciali che prendevano il nome di M.O.I., secondo un acronimo che era già esistito negli anni Venti e Trenta prendendo il posto dell’iniziale M.O.E. Quest’ultimo acronimo stava per Main-d’oeuvre étrangère e M.O.I. per Main-d’oeuvre immigrée e non, come si trova scritto in molte autobiografie militanti italiane e nel libro di Pia Carena Leonetti sopra citato Movimento operaio internazionale. I G.A.P. italiani successivi all’8 settembre 1943 erano a loro volta ispirati, per la loro organizzazione e per le loro modalità d’azione, a questo precedente francese. Non solo, ma alcuni eroi dei G.A.P. italiani, valga per tutti il nome di Giovanni Pesce «Visone», avevano alle spalle un’esperienza francese. Vedasi ora, su quest’ultimo punto, l’autorevole conferma del bel libro di S. Peli, Storie di Gap, Einaudi, Torino 2014, di cui ho potuto prendere visione solo quando il presente saggio era già stato ultimato.
15 A. Clocchiatti, Cammina frut, Vangelista, Milano 1972.
16 Cfr. M. Puppini, In Spagna per la libertà, cit., pp. 228-29; cfr. anche G. Calandrone, La Spagna brucia: cronache garibaldine, Editori Riuniti, Roma 1974 (2a ed.), pp. 280-81
17 Come Ilio Barontini, un altro dirigente degli FTP-MOI, che aveva avuto un ruolo di primo piano nella resistenza marsigliese, («L’esperienza di lotta armata vissuta a Marsiglia fu molto importante per gli sviluppi futuri della guerra partigiana in Italia [...] quando si trattò di iniziare a Roma la lotta armata, io mi ricordai delle lezioni marsigliesi di Ilio e cercai di metterle a profitto [...] la bomba sul tram del Vieux Port fornì l’idea cui si ispirarono i gappisti che posero la bomba in via Rasella», avrebbe scritto anni dopo Giorgio Amendola nelle sue Lettere a Milano. Ricordi e documenti. 1939-1945, Editori Riuniti, Roma 1973, p.62), futuro sindaco comunista di Livorno nel dopoguerra.
18 Cfr. M. Puppini, In Spagna, cit., p. 236.
19 Ibid.

Antonio Bechelloni, Friulani e giuliani attivi nella Resistenza francese (1940-1944). Dal socialismo all’antifascismo, dall’antifascismo alla Resistenza: la coerenza di un percorso collettivo in (a cura di) Diego D’Amelio e Patrick Karlsen, «QUALESTORIA» - Rivista di storia contemporanea - 2. Collaborazionismi, guerre civili e resistenze, Anno XLIII, N.ro 2, Dicembre 2015, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia

giovedì 21 ottobre 2021

Ebrei fuggiti dai loro Paesi d’origine nella missione britannica Danbury in Carnia...

Pianoro del Monte Pala (Anduins di Vito d’Asio), autunno 1944: davanti alla sede del comando del Battaglione Italia-D.D. (3° Brigata Osoppo-Friuli), i componenti del gruppo Danbury assieme ad alcuni partigiani. È probabile che MacCabe sia l’autore della foto. Il primo a sinistra è Cheyney; al centro, con la piccozza, c’è Simon. Alle sue spalle, con il basco nero, c’è Hauber, la cui presenza fa risalire lo scatto almeno alla seconda metà di ottobre. Tra gli altri, si riconoscono anche i fazzoletti verdi Burbo, Muk, Cepe, Caverna, Speranza, Rex e Fuca. Rimane non identificato il primo uomo a destra, da alcune fonti genericamente indicato come “membro della missione inglese” (ph. © Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

È la notte tra il 12 ed il 13 agosto 1944. Al chiaro di luna, nel cielo del Friuli vola un aereo decollato da una delle basi pugliesi della Royal Air Force britannica. In attesa di lanciarsi con il paracadute ci sono uomini scelti per un’importante missione organizzata a Monopoli, nel quartier generale del SOE in Italia: tre agenti costituiscono il gruppo Danbury. Indossano la divisa degli ufficiali inferiori britannici ma, in realtà, sono Ebrei fuggiti dai loro Paesi d’origine dopo l’ascesa del nazismo e rifugiati nel Regno Unito. I tre sono stati appositamente addestrati dal SOE come specialisti nel maneggiare gli esplosivi e sabotatori. L’obiettivo segreto di Danbury è il sabotaggio della linea ferroviaria Villach-San Candido, nel tratto tra Greifenburg, nella valle della Drava, e Sillian, in Alta Val Pusteria, nel Tirolo Orientale.
Redazione, La Panarie 1968-2018: cinquanta anni di cultura (opuscolo per il 50° della rivista), 7-13 ottobre 2018 

Un gruppo di agenti della X Section del SOE. Tra gli altri, si riconoscono MacCabe, al centro in prima fila, e Priestley, il secondo da destra in seconda fila (arch. E. Sanders, immagine trasmessa agli autori dal Dr. Peter Pirker) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Anteprima libraria oggi, alle 17.30, in municipio a Clauzetto. Le amministrazioni di Clauzetto e Vito d'Asio propongono la presentazione della ricerca storica "Autunno 1944, Danbury sul Monte Pala". Una fotografia scattata sul Monte Pala nell'autunno del 1944 ha ispirato la ricerca di Enrico Barbina e Jurij Cozianin, sulle tracce di tre agenti ebrei del Soe britannico, paracadutati in Friuli per compiere la loro missione segreta in Austria. Grazie alla consultazione di documenti d'archivio, è stato possibile accertarne l'identità, conoscerne le biografie e il servizio operativo. Ricercatori e articolisti della rivista friulana di cultura "La Panarie", gli autori si sono avvalsi della collaborazione di Peter Pirker, docente dell'università di Vienna. Barbina e Cozianin faranno luce sulla vicenda, mettendosi a disposizione di appassionati e curiosi per approfondire questo avvenimento che coinvolse i nostri territori sul finire del secondo conflitto mondiale.
G.Z., Agenti segreti sul Pala. La storia in una ricerca, Messaggero Veneto, 24 novembre 2018 

Il Douglas C-47 Dakota eretto a monumento nell’area dell’airfield “Piccadilly Hope” di Otok (Metlika), in Slovenia (ph. © kraji.eu) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

È la notte tra il 12 ed il 13 agosto 1944.
Al chiaro di Luna, nel cielo del Friuli vola un aereo decollato da una delle basi pugliesi della Royal Air Force britannica <1. In attesa di lanciarsi con il paracadute ci sono sette uomini, scelti per un’importante missione organizzata a Monopoli, nel quartier generale del SOE <2 in Italia (No. 1 Special Force).
Alcuni di loro appartengono alla Sezione Tedesco-Austriaca (X Section) del servizio segreto di Sua Maestà, diretta da Ronald Thornley <3, costituita già alla fine del 1940 con l’allora ambizioso, se non velleitario, obiettivo di favorire e poi sostenere in Austria un’auspicabile insurrezione nazionale e separatista che determinasse il ripristino dell’indipendenza perduta nella primavera del 1938 con l’annessione al Terzo Reich nazista (Anschluss).
A tal fine, sono stati progressivamente reclutati ed addestrati nelle fila della Sezione diverse decine di esiliati politici, rifugiati e disertori della Wehrmacht. In realtà, rispetto ad un contesto di fatto sconosciuto e probabilmente molto meno favorevole di quanto sperato, le missioni destinate a raggiungere l’Austria dal territorio italiano, con il supporto dei partigiani locali, sono partite solo all’inizio dell’estate del ’44.
Quattro degli uomini a bordo dell’aereo compongono in effetti la missione Rudolf o gruppo Bakersfield: il maggiore Francis <4, l’operatore radio caporale Buttle <5, il tenente tirolese Georgeau <6 e il capo missione, il maggiore Rudolf <7. Il loro compito è di infiltrarsi nelle valli del Gail e della Drava, con l’obiettivo di verificare se ci siano le condizioni per alimentare la Resistenza locale, qualora esista, o favorirne la nascita e l’organizzazione, attraverso lo sviluppo di una rete di corrieri, contatti ed appoggi logistici, da estendersi in direzione di Innsbruck, Lienz, Salisburgo e Villach. Di fatto, essi vanno a rafforzare la missione Beckett <8, già operativa dal 14 giugno ed alla quale si sono aggregati un mese più tardi anche il capitano Pat <9 e l’operatore radio sergente Charles <10.
Gli altri tre agenti costituiscono invece il gruppo Danbury. Indossano la divisa degli ufficiali inferiori britannici ma, in realtà, sono Ebrei fuggiti dai loro Paesi d’origine dopo l’ascesa del nazismo e rifugiati nel Regno Unito. Il leader del gruppo è Simon ovvero il sottotenente Otto Karminski, soprannominato “Putzi” <11, austriaco, nato a Vienna il 17 febbraio 1913 [...]
[NOTE]
1. La ricerca degli autori non ha consentito di rintracciare il Record del volo. È probabile che l’aereo fosse un Halifax appartenente ad uno degli squadroni polacchi utilizzati per le missioni segrete Special Duties nel Nord Italia e nei Balcani. Di norma, in quel periodo a tali fini veniva utilizzato l’aeroporto “Campo Casale” di Brindisi. Tuttavia, vista la concomitanza delle numerose missioni effettuate a sostegno della Rivolta di Varsavia, non è escluso che il volo sia stato effettuato a bordo di un Douglas C-47 Dakota del 267 Squadron RAF decollato da Bari.
2. Special Operations Executive, servizio segreto britannico istituito il 22 luglio 1940 per lo svolgimento di operazioni speciali dietro le linee nemiche. Era composto da uomini e donne di provenienza militare e civile.
3. Tenente Colonnello Ronald Howe Thornley (1909-1986).
4. William Francis Dayrell St. Clair Smallwood (1914-1945).
5. Arthur Ernest George Buttle (1924-1975).
6. Hubert Mayr (1913-1945), alias Jean Georgeau ovvero Banks, giovane socialista di Innsbruck, reduce della Guerra Civile Spagnola, catturato dai tedeschi in Tunisia, fuggito da un campo di prigionia italiano, dalla fine del 1943 agente della Sezione Austriaca del SOE. Disperso nel corso della missione nell’inverno 1944/45 e dichiarato morto nel 1945. L’11 febbraio 2011 egli è stato insignito dell’onorificenza postuma “Ehrenzeichen für Verdienste um die Befreiung Österreichs”, per i servizi resi ai fini della Liberazione dell’Austria.
7. George Rudolf Hanbury Fielding (1915-2005), reduce dalla battaglia di Creta e dal Nord Africa tra i ranghi del reggimento di cavalleria “3rd The King’s Own Hussars”. Agente del SOE dal 1944.
8. Altrimenti detta missione Balloonet o gruppo Aunsby. Beckett era il nome in codice del capo missione, il Conte Manfred Czernin (1913-1962), Manfredi per i partigiani friulani. Berlinese di nascita e figlio di un nobile diplomatico austriaco, valoroso Maggiore della RAF nella Battaglia d’Inghilterra, dal 1943 pluridecorato agente del SOE. Venne paracadutato sul Monte Losa, tra Sauris e la Val Pesarina, nella notte tra il 13 ed il 14 giugno 1944, assieme al marconista Piero, il bolognese Piero Cantoni (alias Piero Bruzzone o Boeri).
9. Patrick Martin-Smith (1917-1995), londinese, già ufficiale nei Commandos, dall’aprile del 1944 agente del SOE, in missione in Friuli anche in qualità di British Liaison Officer (BLO), ufficiale di collegamento con le formazioni partigiane.
10. Ernest Charles Roland Barker (1919-1953), del Royal Corps of Signals. Deceduto in servizio, in Malesia.
11. Vezzeggiativo traducibile con “piccolino”.
Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Autunno 1944, Danbury sul Monte Pala, La Panarie 1968-2018: 50° Nuova Serie, 198/267

In questo episodio dedicato alla missione Coolant, destinata al Friuli, ripercorreremo i mesi dal luglio 1944 al settembre dello stesso anno. Il maggiore Hedley Vincent, inviato come capomissione nella zona, organizzò i partigiani locali, divisi tra brigate Garibaldi e Osoppo, per dar battaglia ai nazi-fascisti, mentre ancora tutti nutrivano la speranza che la guerra sarebbe finita di lì a pochi mesi. L'estate fu quindi un periodo molto intenso, in cui i partigiani liberarono una vasta zona sulle Alpi Giulie.  
Redazione, Episodio 43 - Coolant: L'arrivo di Hedley Vincent, Racconti dal nascondiglio, 29 maggio 2021

Questo secondo episodio dedicato alla missione Coolant chiude il capitolo che vide il maggiore Hedely Vincent a dirigerla. I partigiani, che controllavano un territorio piuttosto ampio a nord-est di Udine, furono attaccati con violenza dal nemico nel settembre 1944. La battaglia tra i due schieramenti infuriò per giorni, mentre la situazione diventava sempre più disperata e, contemporaneamente, diventava sempre più chiaro che l'avanzata alleata a sud era stata bloccata e non sarebbe arrivato aiuto per i partigiani.
Redazione, Episodio 44 - Coolant: il grande rastrellamento di settembre 1944, Racconti dal nascondiglio, 5 giugno 2021

In questo episodio seguiremo l'avvicendamento alla guida della missione Coolant tra il maggiore Vincent e il maggiore Macpherson. Questi, reduce da una lunga prigionia in mano nemica, e poi una missione in Francia, fu designato in quanto ufficiale esperto e capace. Tuttavia, le sfide che dovette affrontare furono notevoli: non solo la presenza massiccia di forze nemiche, rinforozate anche da truppe cosacche e croate, ma anche le crescenti tensioni tra sloveni e italiani, che infine esplosero a metà inverno.
Redazione, Episodio 45 - Coolant: l'arrivo di Macpherson, Racconti dal nascondiglio, 12 giugno 2021

In questo episodio affronteremo gli ultimi mesi di attività della missione Coolant in Friuli al comando di Macpherson. A gennaio la situazione è critica, i partigiani sono pochi e i loro nemici numerosi a agguerriti. Tuttavia, questo non fermò la Resistenza che presto si riogranizzò in varie forme, fino alla ricostituzione delle bande nella primavera. La Liberazione, tuttavia, non sarà cosa facile, visto che il Friuli rappresenta una delle direttrici di ritirata dei tedeschi verso la Germania.
Redazione, Episodio 46 - Coolant: La fine della guerra, Racconti dal nascondiglio, 19 giugno 2021

Un container di armi ed esplosivi. Si notano i mitra Sten Mk II, diffusi tra i partigiani friulani - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Le Brigate Osoppo furono formazioni partigiane autonome fondate presso la sede del Seminario Arcivescovile di Udine il 24 dicembre 1943 su iniziativa di volontari di ispirazione laica, liberale, socialista e cattolica, gruppi già attivi dopo l'8 settembre nella Carnia e nel Friuli.
I fini della Osoppo erano cooperare in autonomia con le formazioni garibaldine comuniste e contribuire alla lotta antifascista contro le forze occupanti tedesche. Quest'ultime avevano infatti istituito la Operationszone Adriatisches Küstenland, sottraendo di fatto l'intero territorio del Friuli-Venezia Giulia all'autorità della Repubblica Sociale Italiana ed instaurando un rigido regime di repressione e spogliazione, avvalendosi della partecipazione di reparti di SS etniche, di cosacchi e di forze repubblicane fasciste.
Il raggruppamento ebbe al comando: Candido Grassi (nome di battaglia "Verdi"), Manlio Cencig (nome di battaglia "Mario"), due capitani del Regio Esercito Italiano e don Ascanio De Luca (già cappellano degli Alpini in Montenegro e in quel momento parroco a Colugna, frazione di Tavagnacco).
A causa della complessa situazione politico-militare presente nel territorio friulano e della Venezia Giulia, al centro di opposti nazionalismi e di secolari rivalità etnico-territoriali, le formazioni della Osoppo ebbero rapporti spesso conflittuali con i reparti garibaldini comunisti e furono in contrasto con le forze partigiane sloveno-jugoslave.
Il Gruppo Brigata Osoppo dell'Est, comando unificato con la Divisione Garibaldi Natisone, non accettò di passare a est del fiume Isonzo per mettersi alle dipendenze del IX Corpus sloveno dell'Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia di Tito.
Il 22 novembre 1944, il Partito Comunista Italiano (e non il CLNAI, unico comando in grado di impartire legittimamente ordini sull'impiego operativo delle forze partigiane) aveva dato l'ordine ai partigiani italiani della zona di passare alle dipendenze del IX Corpus jugoslavo per favorire la creazione di (secondo le parole di Togliatti in una lettera a Vincenzo Bianco, rappresentante del PCI nel IX Corpus, « una condizione profondamente diversa da quella che esiste nella parte libera dell'Italia. Si creerà insomma una situazione democratica.»
La disposizione era che "tutte le unità italiane della zona [del litorale adriatico friulano] devono operare soltanto sotto il comando del IX Corpo di armata di Tito", aggiungendo che chi avesse rifiutato questo comando sarebbe stato considerato fascista ed imperialista e trattato di conseguenza; il comando delle Brigate Osoppo aveva rigettato la richiesta con il grido paà nostris fogolars (per i nostri focolari).
La dipendenza fu quindi accettata dai circa 3500 partigiani comunisti della divisione Garibaldi-Natisone ma non dagli autonomi della Osoppo, tra i quali militava una ragazza, Elda Turchetti, uccisa e ritenuta successivamente dai comunisti una spia della X MAS ma possibilmente anche un intermediario secondo altre fonti.
Se gli osovani basavano la loro posizione sui principi della difesa degli interessi nazionali, dei quali si sarebbe dovuto discutere solo a guerra finita, anche i garibaldini erano molto dubbiosi viste le posizioni politiche e i metodi autoritari adottate dagli sloveni nei loro territori.
[...] Sin dal luglio 1944 l'OSS (il servizio segreto degli USA che poi diventerà l'attuale CIA, relativo alle operazioni all'estero) aveva avviato in Friuli una propria missione di collegamento con i partigiani, denominata Chicago-Texas. La missione era guidata da due agenti italiani affiliati al PCI, Alfredo Michelagnoli e Giuseppe Gozzer. La missione fu organizzata sulla scorta di un più ampio accordo tra OSS e Partito comunista, che prevedeva l'arruolamento di "uomini esperti" indicati dal partito, in cambio della possibilità, per quest'ultimo, di utilizzare le radio del servizio segreto per comunicare con i propri dirigenti nell'Italia occupata dai nazifascisti.
Gozzer, tuttavia, sebbene alla testa di una missione alleata, divenne presto capo di stato maggiore della Brigata Garibaldi Friuli, generando incertezze tra i membri del SOE (uno dei vari servizi segreti britannici per operazioni dietro le linee nemiche), già operanti in zona, i quali non avevano chiaro quando considerare le sue iniziative come adottate nella sua qualità di rappresentante degli statunitensi, o in quella di comandante partigiano e comunista.
D'altra parte, non esisteva alcun coordinamento specifico tra le missioni OSS e SOE e questo, a prescindere dal differente approccio politico tra statunitensi e britannici, generò "la più completa confusione", arrivando a mettere in concorrenza involontaria le missioni inviate indipendentemente su uno stesso territorio, e generando inefficienza e pericoli indebiti per gli stessi agenti alleati. Inoltre, il diverso approccio delle differenti missioni alleate non forniva ai partigiani una coerente immagine dell'alleanza angloamericana, e rendeva meno efficace la loro azione militare.
Redazione, Brigate Partigiane Osoppo-Friuli, Bella ciao, Milano!

[...] Mentre è ancora in corso la ricerca dei contenitori scesi dal cielo e sparsi nella zona, ad accogliere i sette agenti segreti ci sono Beckett (Manfredi), Pat ed i partigiani dal fazzoletto verde e dal cappello Alpino, ovvero gli uomini della 3ª e 4ª Brigata Osoppo-Friuli, schierate in Val d’Arzino e Val Tramontina. Non sono giorni sereni per loro, dopo l’improvviso attacco tedesco e repubblichino al castello di Pielungo, sede del comando osovano, avvenuto il 19 luglio. La controversa “crisi” politico-militare che ne è derivata, aggravata dalla destituzione e dall’arresto di Verdi <22 ed Aurelio <23 a Rutizza (Tramonti di Mezzo), è ancora in corso. Verrà risolta tra qualche giorno, con la decisiva presa di posizione, in armi, dei più carismatici comandanti dei reparti della 3ª Brigata, la liberazione di entrambi gli “imputati” ed il loro immediato reintegro nelle rispettive funzioni <24.
L’epilogo segnerà il definitivo tramonto di ogni ipotesi di stabilire un Comando Unico tra le formazioni partigiane osovane e quelle garibaldine operanti in zona. In questo complesso contesto, riconosciuto come tale anche dalle missioni alleate, la Resistenza friulana e carnica sta per affrontare i più duri mesi di lotta, non solo contro tedeschi e fascisti, ma anche contro i reparti cosacchi e caucasici affluiti in Carnia ed Alto Friuli, con migliaia di civili e di cavalli al seguito.
Saranno giorni di lutti, sofferenze e sacrifici per tutta la popolazione.
A parte Georgeau, gli altri sei agenti pacadutati si presentano in uniforme britannica, senza abiti borghesi nello zaino e privi di documenti utili da esibire in Austria, in caso di necessità. La volontà di non indossare abiti da civili può essere comprensibile per i componenti di Danbury, in virtù del fatto di essere ebrei ovvero del rischio di essere, se catturati, smascherati e trattati come tali. Il problema in realtà è serio per tutti e condiziona la loro missione. Beckett e Pat ne sono pienamente consapevoli.
In Austria non è consentito ciò che lo è in Italia o in Slovenia, dove gli agenti del SOE operano in divisa tra i partigiani di una Resistenza già organizzata ed in armi. Per il momento a muoversi oltre confine saranno così solo Georgeau e la preziosa guida austriaca Vienna <25, mentre Rudolf e gli altri troveranno una sistemazione in Carnia, scortati da Aurelio e dai partigiani del Battaglione Fedeltà, completando la ricognizione dei passi montani che consentono l’accesso alla valle del Gail, in attesa di ricevere dalla Base Maryland le armi ed i rifornimenti promessi.
Beckett comprende che almeno per ora neppure Danbury può muoversi secondo il piano originario. 

Il Nobel No. 808, l’esplosivo al plastico utilizzato dai partigiani e dal SOE nelle azioni di sabotaggio. Veniva fornito con gli aviolanci o prelevato dalle polveriere presidiate dal nemico - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Nell’attesa, i tre possono rendersi utili in altri modi, innanzitutto istruendo i partigiani della Osoppo sull’utilizzo degli esplosivi e dei timer <26. In particolare, i patrioti della 3ª Brigata, ovvero dei battaglioni Italia-D.D., Giustizia e Libertà hanno già dimostrato di saperne fare buon uso, anche nel giorno dell’attacco al castello di Pielungo, quando hanno bloccato la rientrante colonna nemica tra le gallerie della Strada Regina Margherita, infliggendole notevoli perdite. Non sono neppure mancati i sabotaggi a ponti e viadotti della ferrovia pedemontana e a tratti stradali. Ai primi di ottobre gli uomini del Libertà tenteranno anche l’ardita distruzione del Ponte di Ragogna-Pinzano sul Tagliamento, impedita solo dall’insufficiente quantità dell’esplosivo fatto brillare <27.
 

Gli effetti di un atto di sabotaggio partigiano sulla Ferrovia Pontebbana (ph. © Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Beckett ha invece in mente di colpire la Pontebbana, certamente un’arteria stradale e ferroviaria molto importante per la Werhmacht. 

Cartolina del vecchio ponte ferroviario di Dogna. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale venne solo parzialmente danneggiato dai bombardamenti aerei alleati - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

A Simon viene così affidata la missione di provare a far saltare il ponte di Dogna, da tempo nel mirino dei partigiani ed in particolare dei guastatori del Battaglione Monte Canin <28, ma la ricognizione effettuata lo convince dell’impossibilità dell’operazione. L’obiettivo è ben presidiato, con molte mitragliatrici e fotoelettriche.
Nella seconda settimana di settembre il gruppo Danbury raggiunge Rudolf all’Albergo Sottocorona di Forni Avoltri, in cui egli si è insediato, proveniente da Liariis (Ovaro) e Priola (Sutrio), sede del comando del battaglione osovano Val But. Lungo la marcia, i quattro partigiani che scortano Simon hanno teso un agguato ad una pattuglia tedesca. Lo scontro è terminato con otto caduti tra i nemici. La partecipazione dell’agente del SOE all’iniziativa altrui viene considerata un’intemperanza dal comando britannico e come tale biasimata.
Aggirando Santo Stefano, presidiata dai tedeschi, la via per il Cadore è ancora libera ed è là che Simon vuole verificare se ci sia la possibilità di entrare in Austria, con l’aiuto delle formazioni partigiane locali. Raggiunta Lorenzago con un paio di guide, incontra così i fazzoletti rossi della Divisione garibaldina Nino Nannetti. Essi si dicono disponibili ad aiutarlo, con l’intento di trasferirsi più a nord-ovest, vicini alla frontiera. Per loro la nuova base potrebbe essere il punto di partenza anche per una requisizione di bestiame oltreconfine.
Al momento Simon cerca di disssuaderli da quest’ultimo proposito e prende tempo, promettendo loro il lancio delle armi e delle scorte di viveri di cui hanno disperato bisogno. Individua infatti la dropping zone, dando disposizioni a Cheyney di presidiarla costantemente e a MacCabe, spostatosi a Forni di Sopra, di mantenere il contatto radio con Monopoli.
I rifornimenti consentirebbero anche di dare il via al piano partigiano, messo a punto da MacCabe ed approvato dalla Base, di liberare Santo Stefano dalla guarnigione tedesca, peraltro progressivamente rinforzata fino a contare ottocento uomini.
Nel frattempo, i lanci promessi e mai ricevuti rimangono la più grave preoccupazione anche per Rudolf, oltre alla mancanza di un operatore radio per Georgeau, in Austria. Le ricognizioni effettuate oltreconfine hanno dato via via motivi di moderato ottimismo rispetto all’obiettivo della missione, pur in un contesto che si è rivelato molto più difficile di quanto la Base aveva previsto o semplicemente sperato. Le prospicienti valli austriache infatti, specie quella del Gail, sono poco abitate, in particolare dai maschi, impegnati al fronte e nell’industria bellica del Terzo Reich. L’atteggiamento di chi è rimasto nei paesi è di apatia se non di terrore, visto il rigido controllo esercitato da anni dalla Gestapo. Non è certo facile trovare uomini e donne disposti ad imbracciare le armi o a fare da staffette. Tuttavia, grazie agli indomiti sforzi di Georgeau e Vienna, una prima rete di complicità, aiuti ed appoggi logistici è stata creata e si estende tra le valli del Gail e della Drava fino a Villgraten, nel Tirolo Orientale. I disertori austriaci e tedeschi tra le fila della Werhmacht vanno inoltre aumentando ed alcuni di loro sono già utilizzati come corrieri. I passi alpini sono ancora praticabili ed in genere non presidiati dal nemico <29.
Con il passare dei giorni e delle settimane, l’attesa dei lanci si fa però così snervante da spingere Rudolf ad inviare un caustico messaggio alla Base in cui, contro la presunta ritrosia dei piloti a volare di notte ed in condizioni meteorologiche non ideali, invoca da loro “more of the spirit of the Battle of Britain and less of the bottle of Bari”.
 

La time pencil (Switch No. 10), dispositivo di innesco dell’esplosivo, ritardato mediante la corrosione controllata di un filo metallico da parte di un liquido contenuto in un’ampolla. Quelle con la safety strip gialla avevano un ritardo di dodici ore - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra


I mancati rifornimenti impediscono anche a Danbury di mantenere la promessa fatta ai partigiani del Cadore e l’unica cosa che Cheyney, soprannominato “Teddy il dinamitardo”, può offrire loro è la somma di 10.100 Lire, consegnata il 26 settembre alla Compagnia Alto Piave della Brigata Calvi. Simon tuttavia non desiste dal proposito di infiltrarsi in Val Pusteria e tentare il sabotaggio del ponte ferroviario sulla Drava a Tassenbach (Strassen) nei pressi di Sillian, come suggerito da “un ufficiale americano” incontrato da MacCabe <30. La zona risulta tuttavia ben sorvegliata dalle pattuglie tedesche, secondo quanto riportato dalla guida mandata in perlustrazione.
Nel suo tentativo, anche Simon s’imbatte infatti nel nemico, sfuggendo per un soffio dalle sue grinfie ed essendo costretto ad abbandonare l’esplosivo.
Lo scenario sta in effetti rapidamente volgendo al peggio e l’8 ottobre scatta la prima fase dell’operazione Waldläufer, la massiccia offensiva nazifascista e cosacca contro la Zona Libera della Carnia e dell’Alto Friuli, in cui è stata proclamata la Repubblica partigiana.
Nella notte tra il 12 ed il 13 è previsto il lancio a Tramonti di altri quattro agenti del SOE, tra i quali ci sono anche Turner, il quarto uomo di Danbury, e Priestley <31, l’operatore radio tanto atteso da Rudolf, da affiancare a Georgeau in Austria.
A causa di un errore accidentale del pilota polacco, probabilmente ingannato dalle luci delle caserme, il lancio viene disgraziatamente effettuato sopra Tolmezzo.
Gli uomini atterrano nelle braccia del nemico. Taggart <32 muore, forse suicida, Priestley e Turner vengono catturati <33, l’unico che riesce a fuggire è Hauber <34.
Rudolf è costretto ad abbandonare precipitosamente Forni Avoltri, rastrellata senza pietà il giorno 13, ed a spostarsi a Sauris su cui, lasciato il Cadore, convergono anche i membri di Danbury. Dopo aver atteso a lungo il lancio promesso, il laconico messaggio cifrato “Insufficient cloud cover” trasmesso dalla Base ha infranto ogni loro residua speranza.
Nel frattempo anche Francis e Charles sono stati catturati <35, mentre di Georgeau e Vienna non si hanno più notizie <36.
Nell’emergenza e con una taglia sulla sua testa di 800.000 Lire, Rudolf segnala alla Base un’ulteriore dropping zone, in vista di un ventilato lancio di massa, da ben dieci aerei, di armi e scorte, indispensabili anche per il Fedeltà.
In realtà, la situazione venutasi a creare con l’offensiva nemica e l’acuirsi dell’inverno, con l’impraticabilità dei passi verso l’Austria, ha convinto la Base dell’impossibilità di rifornire adeguatamente gli agenti ed i reparti partigiani che li supportano.
Gli uomini del SOE devono essere progressivamente richiamati.
A giorni, l’annuncio del Proclama Alexander chiarirà le motivazioni della decisione.
Alla fine di ottobre il primo a dover rientrare a Monopoli è Beckett. Il giorno 29 lo preleva un Lysander, atterrato nel campo di Pradileva, un ampio terreno tra Tramonti di Mezzo e Tramonti di Sotto, approntato a tal fine dai fazzoletti verdi del Battaglione Monte Canin nel corso dell’estate. Il giorno seguente giunge in Val Tramontina anche il gruppo Danbury, con Buttle ed il redivivo Hauber. Su ordine di Rudolf attendono di ricevere finalmente un lancio, benchè non così abbondante come a lungo vanamente sperato.
Nel corso della loro marcia, c’è stato il tempo per scattare una fotografia assieme ad alcuni partigiani, davanti alla sede del comando del Battaglione Italia-D.D., nel pianoro del Monte Pala <37, ad Anduins di Vito d’Asio. È il primo reparto in armi della Osoppo, formato a partire dal 25 marzo del ’44, il giorno in cui un manipolo di patrioti è salito in Palamajȏr <38, alle pendici del Monte Rossa <39. 

Il comandante Goi sul Monte Pala nel 1944 (ph. © Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Intitolato a Renato Del Din Anselmo <40, dopo la sua morte nell’attacco alla caserma della Milizia fascista di Tolmezzo, il battaglione è agli ordini di Goi <41, il suo rude e carismatico comandante. Coraggioso e di gran cuore. Temprato dai cinque avventurosi anni trascorsi a Sidi Bel Abbes, in Algeria, tra i ranghi della Legione Straniera, e dai duri giorni in Croazia in qualità di Sergente Maggiore del 2º Reggimento di Fanteria “Re”, si è guadagnato il rispetto, la fiducia e l’affetto dei suoi uomini. Tali rimarranno anche a guerra finita.
Il 6 novembre sono a Tramonti anche Rudolf e gli uomini del Fedeltà, degni del nome del proprio reparto. La loro discesa dalla Carnia è stata a dir poco avventurosa, resa molto complicata e rischiosa dal dover percorrere i sentieri innevati di alta montagna, cercando di evitare le vallate occupate dal nemico.
La marcia ha comportato la perdita dei muli e nel corso di uno scontro a fuoco a Luint (Ovaro) Rudolf è stato ferito ad un braccio <42. I suoi rapporti con il maggiore Nicholson <43, il nuovo British Liaison Officer in Val Tramontina, sono piuttosto tesi, a causa della non facile convivenza operativa e delle rispettive rivendicazioni sui lanci di armi, equipaggiamenti e scorte. Nicholson sfoga la sua insofferenza in un messaggio alla Base, nel quale definisce “inutili, indisciplinati e senza guida” gli elementi austro-inglesi della X Section, accusandoli di interferire nella sua attività quotidiana e chiedendone l’allontanamento.
Vorrebbe trattenere al suo servizio solo MacCabe, anche per il fatto che sa parlare l’italiano <44. Quanto alle missioni di sabotaggio, egli suggerisce alla Base la formazione di un gruppo di sciatori cadorini, da affidare a Prior <45.
Dopo la ricezione del lancio atteso da Rudolf, l’8 novembre a partire sono così tutti i membri di Danbury ed Hauber, assieme ad una dozzina di ex prigionieri alleati ed aviatori statunitensi <46. 

Vista sul Tagliamento dal Monte di Ragogna. Al centro l’isolotto del Clapàt ed i due tronconi del ponte stradale e ferroviario di Cornino-Cimano (ph. © J. Cozianin) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

La loro marcia verso la Slovenia inizia in una notte tempestosa con l’attraversamento del Tagliamento, poco a valle del ponte ferroviario di Cornino-Cimano, sorvegliato dal nemico. Con loro ci sono alcune guide partigiane oltre ad Aurelio e Goi. Come sempre, è necessario togliersi gli scarponi, i calzettoni ed i pantaloni. Il guado dei bracci del fiume e del suo infido greto di ciottoli e pietre non è certo dei più semplici, se le sue fredde acque sono gonfiate dalle piogge autunnali, se non si conosce l’ostacolo e non si ascoltano i saggi consigli di chi, invece, ne ha ormai scoperto ogni segreto. Deve essere così, se il piccolo Simon per ben due volte viene trascinato via dalla corrente e “ripescato” in extremis da Goi, “a suon di moccoli” <47. Il suo zaino è inzuppato e molto del contenuto è andato perso. Costretto a fermarsi a riva, tra i tuoni egli fa solo in tempo a gridare a Cheyney e MacCabe di proseguire, con l’obiettivo di ricongiungersi presso la missione Coolant del maggiore Macpherson <48, paracadutato sul Monte Joanaz nella notte tra il 4 ed il 5 novembre ed acquartierato nelle malghe di Porzûs (Topli Uorch), presso il comando osovano di Bolla <49.
Esausto, Simon ritorna sui suoi passi e ripara in un fienile, ospite di un generoso contadino. La notte successiva riesce finalmente a guadare il fiume, aggrappandosi alla coda del cavallo montato da un partigiano. Nel frattempo, Cheyney e MacCabe, senza più guida e con il conforto della sola bussola, trovano rifugio nella prima casa isolata incontrata nel loro cammino. Una donna li accoglie benevolmente, dicendo loro di avere un nipote partigiano. Pochi minuti dopo una pattuglia tedesca si avvicina all’abitazione. Gli agenti del SOE attendono con le pistole in pugno che la porta si spalanchi da un momento all’altro. Non è così, il nemico si allontana e la loro marcia può proseguire. La via verso la Slovenia prevede l’attraversamento della Pontebbana poco più a Nord di Tricesimo e, oltre Nimis, la risalita del sentiero che da Porzȗs conduce al Monte Carnizza ed alle malghe in cui si è installata la missione Coolant.
È lì che il gruppo Danbury si ricongiunge.
Dopo l’attraversamento dell’Isonzo e l’ingresso in territorio sloveno, di norma le guide partigiane jugoslave conducono a Čepovan e poi alla sede del quartier generale del IX Korpus e della missione britannica Crayon. Di certo, scavalcata la ferrovia Trieste-Lubiana, la lunga marcia verso la Bela Krajina consente al gruppo Danbury e ad Hauber, il 3 dicembre 1944, di raggiungere Črnomelj, ovvero il quartier generale dei partigiani sloveni (Glavni Štab Slovenije) e la missione Flotsam di cui sono responsabili il Tenente Colonnello Peter Moore <50 ed il Maggiore Owen Reed <51. Entrambi operano in Jugoslavia per il SOE fin dall’autunno del 1943. Tra Črnomelj e Metlika ci sono alcuni airfields <52 molto utilizzati dagli Alleati per evacuare gli agenti segreti, gli ex prigionieri, gli equipaggi dei bombardieri abbattuti ed i partigiani feriti. Tuttavia, a causa del protrarsi delle avverse condizioni meteorologiche, i componenti di Danbury ed Hauber non possono salire a bordo di un aereo come previsto ma devono proseguire la loro marcia, diretti alla missione Fungus presso il quartier generale dei partigiani croati (Glavni Štab Hrvatske), nell’area tra Glina e Topusko. Attraversato il fiume Kupa (Kolpa) da Stari Trg, s’inoltrano infatti nella regione montuosa del Gorski Kotar, oltre Brod Moravice e Skrad. La zona è ancora parzialmente tenuta dagli Ustaša <53 ed il suo passaggio non è privo di rischi. Le successive marce, ognuna in media di 25 chilometri al giorno, conducono infatti gli agenti del SOE molto più a Sud, attraverso la Lika.
Spostandosi lungo la catena del Velebit raggiungono Knin, liberata ai primi di dicembre del ’44. Da là un camion li porta a Spalato. È certo che il 22 dicembre si trovano sull’isola di Vis (Lissa), dalla scorsa estate sede del quartier generale di Tito e di una base aerea alleata, oltre che strategico approdo per le numerose imbarcazioni della flotta partigiana jugoslava.
Tuttavia essi rientrano a Spalato e l’8 gennaio 1945 salpano a bordo del piroscafo Ljubljana <54, già ampiamente utilizzato per il trasferimento degli uomini delle Brigate d’Oltremare (Prekomorske Brigade) dalle coste pugliesi alle isole dalmate nei primi mesi del 1944. Il giorno dopo sbarcano a Bari e rientrano alla Base. Un paio di settimane prima vi hanno fatto ritorno anche Rudolf, Pat, Buttle e Brenner, <55 prelevati a Črnomelj da un Douglas C-47 Dakota. 


Uno scorcio della piana di Pradileva (Tramonti di Sotto), utilizzata dalla RAF britannica come dropping zone e landing strip per i Lysander (ph. © J. Cozianin) - Fonte: Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit. infra

Avevano lasciato Tramonti alla fine di novembre del ’44, nei giorni dell’ultimo grande rastrellamento nemico <56.
I membri di Danbury non parteciperanno ad altre missioni, rimanendo a Monopoli, prima del trasferimento a Siena del quartier generale del SOE. [...]
[NOTE]
22. Il prof. Candido Grassi (1910-1969), udinese, insegnante e pittore, capitano dei Bersaglieri reduce dal fronte jugoslavo. Fu tra i fondatori della Osoppo, di cui fu di fatto il comandante militare.
23. Don Ascanio De Luca (1912-1990), di Treppo Grande, già cappellano degli Alpini in Montenegro ed allora parroco di Colugna (Tavagnacco), tra i fondatori della Osoppo ed una delle sue personalità di maggior rilievo.
24. Gurisatti 2003.
25. Georg Dereatti (1898-?), di Villach, ferroviere, socialdemocratico. Scomparso nel corso della missione.
26. Gurisatti 2003, pag. 175.
27. Brezzaro 1998.
28. Reparto autore di numerosi atti di sabotaggio (Archivio Osoppo della Resistenza nel Friuli, V 7).
29. Martin-Smith 1991.
30. Con ragionevole certezza si tratta di Roderick Stephen “Steve” Goodspeed Hall (1915-1945), geniere, capitano dell’OSS (Office of Strategic Services), paracadutato sul Monte Pala nella notte tra il 1º e il 2 agosto 1944 con la missione Mercury Eagle, operativo in Carnia (Ovasta) e in Cadore. Catturato a Cortina, venne torturato ed impiccato dalle SS naziste a Bolzano il 20 febbraio 1945.
31. Michael Peter Priestley è l’ebreo viennese Egon Lindenbaum (1920-1976).
32. William Taggart è in realtà il viennese Wolfgang Treichl (1915-1945).
33. Interrogati nel quartier generale della Gestapo a Trieste ed incarcerati al Coroneo. Trasferiti in treno a Vienna nel gennaio del 1945. Prigionieri nello Stalag XVII A di Kaisersteinbruch e poi nell’Oflag 79 di Querum (Braunschweig), liberato dalle truppe statunitensi il 12 aprile 1945. Vedi nota 19.
34. Richard Hauber è il tirolese Nikolaus Huetz (1922-2014).
35. Interrogati, frustati ed incarcerati a Trieste. Francis verrà trasferito a Kaisersteinbruch e Querum. Charles rimase a Kaisersteinbruch. Alla liberazione del campo da parte dei sovietici, fuggì nell’ungherese Debrecen e da là, in aereo, rientrò a Bari a metà aprile del 1945.
36. In un suo recente articolo, frutto di accurate ricerche condotte assieme a Ivo Jevnikar, il Dr. Pirker sostiene che essi e Rudolf Moser Henry, guida austriaca del SOE, siano stati catturati, interrogati ed assassinati dall’OZNA jugoslava a Gorenja Trebuša (Tolmino). Lasciata l’Austria per sfuggire alla Gestapo, essi cercavano di raggiungere le missioni britanniche in Slovenia. Vedi www.aegide.at/files/files/spec%20140418%20-%20seite%20III.pdf.
37. Monte Pala (1.231 metri).
38. Marson 2018.
39. Il Monte Taîet (1.369 metri) ne è di fatto la sommità. I sentieri e le malghe del Monte Rossa furono particolarmente utilizzati dai partigiani della Val d’Arzino e della Val Tramontina nel corso dei rastrellamenti nazifascisti e cosacchi per evitare l’accerchiamento dei reparti ed assicurane l’ordinato ripiegamento ed il trasferimento in altra posizione.
40. Renato Del Din (1922-1944), mortalmente ferito a Tolmezzo il 25 Aprile 1944, Medaglia d’Oro al Valor Militare.
41. Rainiero Persello (1912-1998), originario di Farla (Majano), Medaglia d’Argento al Valor Militare.
42. Martin-Smith 1991.
43. Thomas “Tom” Ivan Roworth (1911-?), dei Royal Engineers, paracadutato sul Monte Joanaz il 20 settembre 1944, a capo della missione Bergenfield.
44. Radiomessaggi di Nicholson alla Base - Archivio Osoppo della Resistenza nel Friuli, V 17.
45. Capitano Michael William Leathes Prior (1910-1978), responsabile della sottomissione Big Bug, alle dipendenze di Nicholson.
46. La parziale ricostruzione dell’itinerario di marcia attraverso il Friuli, la Slovenia e la Croazia si basa in particolare sul Report redatto da Simon a fine missione, sulla testimonianza di Hauber raccolta dal Dr. Pirker nel 2003, sui Weekly Situation Reports della Base Maryland e in Martin-Smith 1991.
47. Gurisatti 2003.
48. Sir Ronald Thomas “Tommy” Stewart Macpherson (1920-2014), scozzese, già nei Queen’s Own Cameron Highlanders e nei Commandos. Jedburgh del SOE, si distinse nelle missioni in Francia e Friuli, diventando uno dei più decorati militari britannici della Seconda Guerra Mondiale.
49. Francesco De Gregori (1910-1945), già capitano degli Alpini, vittima dell’eccidio di Porzûs (7 febbraio 1945), Medaglia d’Oro al Valor Militare.
50. Peter Neil Martin Moore (1911-1992), dei Royal Engineers, reduce di El Alamein. Paracadutato in Jugoslavia nel settembre del 1943, operò in Bosnia, Croazia e Slovenia, incontrando più volte Tito e Kardelj. Vedi la sua Oral history: www.iwm.org.uk/collections/item/object/80011631 Imperial War Museum, London.
51. Owen Perceval Elrington Reed (1910-1997), con il Royal Tank Regiment in Egitto. Venne paracadutato in Jugoslavia nell’Ottobre del 1943, operando a lungo in Croazia e poi in Istria e Slovenia.
52. In particolare quelli di Griblje, Otok (“Piccadilly Hope”), Krasinec (“Piccadilly Hope A”) e Prilozje.
53. Nazionalisti croati, alleati dell’Italia fascista e della Germania nazista, con a capo Ante Pavelić (1889-1959), Poglavnik dell’allora Stato Indipendente di Croazia (Nezavisna Država Hrvatska).
54. Varato nel 1904 come piroscafo Salona, requisito dalla Regia Marina italiana nel 1941 ed utilizzato come incrociatore ausiliario Lubiana in missioni di scorta nell’Adriatico fino all’8 settembre 1943. Diventata nave da trasporto della flotta partigiana jugoslava, affondò il 14 maggio 1945 nella Baia di Buccari (Bakar) a causa di una mina magnetica. Vi perirono il comandante cap. Ljubomir Dorčić, tredici membri dell’equipaggio e tre passeggeri.
55. Alois Bilisics (1913-1971), austriaco di origini croato-ungheresi, l’ulteriore operatore radio per Rudolf, paracadutato in Val Tramontina nella notte tra il 16 ed il 17 novembre 1944.
56. Dopo la sosta presso la missione Coolant, il loro itinerario di marcia ha toccato Pulfero, Savogna, Stregna, Liga, Kanal ob Soči, Kanalski Vrk, Lokovec, Čepovan, la Selva di Tarnova, il Turški Klanec, Predmeja, Ajdovščina, Planina, Vipava, Bukovje, Postojna e la valle del fiume Kupa, prima di raggiungere Črnomelj.
Enrico Barbina e Jurij Cozianin, Op. cit.