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martedì 4 luglio 2023

Quando il gruppo partigiano di Tiberio assumerà un rilievo e una combattività notevoli, scoppierà il dissidio con il locale CLN che era in posizione attendista

Chiavenna (SO). Fonte: Wikipedia

Il CLN di Chiavenna, prima cittadina della provincia a costituire la società operaia, è influenzata da Greppi e da Febo Zanon, socialista. Poi, via via, sorgono gli altri. A Bormio, col dr. Adolfo Flora. Svolgono funzione di collegamento e di indirizzo strategico tra il CVL (Corpo Volontari della Libertà), che invia informazioni e detta disposizioni, e le varie formazioni, non sempre, tuttavia, disposte ad accoglierle. Col tempo, i CLN si trasformano in veri e propri centri di comando locali, e tendono sempre più ad armonizzare i loro comportamenti. Due fatti appaiono determinanti nella costruzione del movimento partigiano valtellinese e valchiavennasco. In Bassa Valle, l’interessamento delle Federazioni lombarde del PCI appare decisivo. Dopo alcuni tentativi riusciti solo parzialmente, si decide d’inviare Dionisio Gambaruto (Nicola), un ufficiale d’artiglieria, con esperienze anche nei Gap milanesi. Nicola riesce ad organizzare gruppi già esistenti e a guidarli nella lotta armata. Ha inizio, fin dalla tarda primavera del ’44, una intransigente azione contro i nazifascisti, dalla quale nasceranno due Divisioni “Garibaldi”. In Val Chiavenna, Tiberio (Pietro Porchera), nell’estate, riesce ad organizzare un comando volante, distinto in tre distaccamenti. L’Alta Valle è caratterizzata fin dagli ultimi mesi del ’43 dal VAI (Volontari Armati Italiani), il primo movimento partigiano apolitico, nella primavera successiva già armato ed in grado di battersi, che influenza anche altri gruppi spontanei. La necessità di unificare i vari schieramenti, con l’ausilio dell’intervento di Ferruccio Parri presso il Comando Alleato, porta alla costituzione della 1ª Divisione Alpina “Giustizia e Libertà”, comandata da un capitano di fanteria, Giuseppe Motta (Camillo). La Divisione, nell’insieme assume, almeno a livello di vertici, un atteggiamento di attesa, spesso contraddetto dalle azioni di gruppi partigiani combattivi. L’atteggiamento viene giustificato dalla necessità assoluta, peraltro condivisa da tutti, di salvaguardare gli impianti idroelettrici. A questo punto il quadro delle varie formazioni partigiane e dei loro compiti appare abbastanza definito.  Sergio Caivano, Resistenza e Liberazione nelle nostre Valli. La Medaglia d’argento alla provincia di Sondrio onora il suo secondo Risorgimento, ANPI Lombardia 

Per quanto riguarda la situazione in altre zone del futuro Raggruppamento Divisioni Garibaldi “Lombardia”, è interessante notare l’attività iniziale della resistenza in Valchiavenna: anche in questa zona la suddivisione tra due concezioni politiche si farà sentire, con una scissione tra politica del locale CLN e quella di una successiva formazione di carattere più avanzato, comandata da Pietro Porchera [Tiberio].
Avevamo precedentemente visto che il clima democratico era particolarmente vivo in Valchiavenna anche durante gli anni del fascismo, per la situazione di relativa industrializzazione della zona e per l’esistenza di una coscienza popolare libertaria che si basava su categorie come quella degli scalpellini della zona di Novate - Mezzola, di cui si ricordano le agitazioni e gli scioperi durante il ventennio, o del proletariato chiavennese in generale che aveva sempre costituito una zona “rossa” rispetto alla “bianca” Valtellina.
Il primo sorgere delle formazioni si verifica nella primavera del 1944. Leggiamo nel verbale d’interrogatorio della GNR di Colico, a Febo Zanon, il 10 dicembre 1944 <179: "[…] nel mese di maggio del c.a. ebbi occasione di conoscere un certo Lazzarini Leone, il quale aveva creato un gruppo di ribelli nella zona di Chiavenna, gruppo che sovvenzionava regolarmente fino al rastrellamento della GNR, epoca nella quale egli prima di fuggire a Milano, mi diede l’incarico di consegnare al capobanda Bellini Luigi con le istruzioni per l’ulteriore sovvenzionamento della banda; istruzioni che mi vennero affidate in un secondo tempo, tramite alcune signorine inviatemi da Milano per conto di un certo Ricci [questo è il nome di battaglia] con il quale in seguito a richiesta ebbi occasione di conoscerlo a Milano, la prima volta in Foro Bonaparte, ed avere successivi incontri in Silvio Pellico dove, strada facendo, mi consegnava una busta chiusa indirizzata al signor Luigi Bellini dicendomi che la somma era destinata ai ribelli che agivano nella zona di Chiavenna, somma che si aggirava a seconda delle volte sulle 100000 lire. Appena ricevuto l’incarico da Milano, ritornavo a Chiavenna dove a mio mezzo recapitavo la somma al comandante del Gruppo “Giustizia e Libertà”. Non ha mai dato l’incarico a nessun’altra persona di recapitare le somme destinate alla banda, perché io stesso le portavo in località Sasso de’ Cani, sopra l’albergo Crimea, dove mi incontravo con il Bellini una volta alla settimana e precisamente ogni sabato verso le 17. Al Bellini non consegnavo tutta la somma che mi veniva consegnata dal Ricci ma, secondo le istruzioni la ripartivo in diversi gruppi che consegnavo a seconda delle necessità della banda e in proporzione alla somma che ricevevo. Il numero dei componenti della banda si aggirava sui 7/8 uomini, tenuti esclusivamente come rappresentanti del gruppo “Giustizia e Libertà”, del Comitato demo - liberale, per contrapporli all’espansione delle Brigate Garibaldine composte da uomini di diverse idee politiche ma guidate da commissari politici comunisti, anche se di nazionalità italiana".
Notiamo in questo verbale d’interrogatorio [e dobbiamo appunto ricordarci che di questo si trattava, con tutte le componenti: infatti, si trova allegato al verbale anche un certificato medico, di due giorni successivo datato 12 dicembre 1944, in cui si dichiara il tentativo di suicidio avvenuto il giorno precedente, e cioè dopo l’interrogatorio di Febo Zanon] che la situazione nella zona era basata da un lato su piccole formazioni, collegate con il CLN locale [Pench del partito comunista, Zanon di quello socialista, Greppi del partito d’azione, Corbetta del partito liberale, Ratti per la democrazia cristiana] e aderenti alle brigate G.L., per le quali lo Zanon andava a Milano a prendere i finanziamenti, precisando [in altro passo del verbale d’interrogatorio] che questi provenivano da Foro Bonaparte e cioè dalla Edison. Questo non può certo sembrare strano se pensiamo all’importante centrale di Mese della Edison e al suo interesse perciò ad avere nella zona formazioni “controllate”. É su questa base che anche qui si porrà il dissidio con le formazioni che facevano capo a Tiberio, per via appunto che i gruppi nati sin dal maggio 1944 e poi sempre esistiti, anche se assolutamente inconsistenti sul piano partigiano, hanno rappresentato una posizione o di solo controllo alla suddetta centrale, o di non attività. Quando perciò da fine luglio-inizi agosto il gruppo di Tiberio assumerà un rilievo e una combattività notevoli, scoppierà il dissidio con il locale CLN che era in posizione attendista.
In una circolare del 20 maggio 1944 dell’Ispettore Federale Silvio Cincera, del partito fascista repubblicano, al commissario federale del partito stesso, e in risposta a una comunicazione di questi che proclamava la necessità di riunire i cittadini “puri” per discutere con loro l’importanza di obbedire al bando mussoliniano in scadenza qualche giorno dopo, leggiamo <180: “Rispondo alla tua del 19 maggio 1944 che ha destato in me non poca sorpresa e meraviglia.
Premetto che ho obbedito a un ordine, che da me e dai miei collaboratori è ritenuto assurdo. Osservo, prima di tutto, che un’iniziativa del genere mi sarebbe dovuta essere notificata almeno cinque giorni prima, per invitare personalmente i capi di famiglia interessati. Ho diffuso nei caffè, nei negozi, nei cantieri, nei teatri e dovunque mi fu ordinato. Credo che un sistema ottimo avrebbe potuto essere quello di chiedere il permesso ai parroci, di cui sono ben noti i sentimenti filo-fascisti, affinché un tributo del PFR potesse persuadere [?!?!] questi buoni italiani a fare il loro dovere nei confronti della Patria! Se noi pensiamo che una piccola raffica di mitragliatrice, qualche ritiro di licenza di commercio, avrebbe dato migliori risultati, ci asteniamo dal seguire una strada errata. É arrivato il camerata maggiore Gardini, il quale ha trovato un locale ben attrezzato per ricevere i “puri”; dopo mezz’ora di attesa si sono presentate unicamente due persone, coi figli regolarmente in Svizzera. É certo, caro Rodolfo [Parmeggiani], che di questo passo noi faremo poca strada nel senso fascista. Il nostro atteggiamento di longanimità è stato interpretato come un calamento di braghe e cosa poco seria. Per dirti fino a qual punto di sfrontatezza e di spudoratezza si arriva, mi vedo sul tavolo un gruppo di domande per guardialinee telefoniche e telegrafiche, di certi individui che, non avendo obblighi militari immediati, cerca di stornare un’eventuale minaccia e di mettersi al coperto da colpi. Il camerata maggiore Gardini ci riferirà verbalmente sulla situazione che ha prospettato e che si riassume nella constatazione che la maggior parte dei renitenti alla leva si trova in Svizzera e che tutti godono di ottima salute, e che i genitori, ormai tranquilli sulla loro sorte, continuano indisturbati nei loro traffici al solo scopo… del “bene inseparabile del Re e della Patria”. Scusami lo sfogo. Ma ne ho… [indovina].”
La lettura del documento ci dà uno spaccato evidente dell’isolamento in cui si trovava il fascismo nei confronti della popolazione valtellinese. Inevitabile che di fronte a un così disastroso atteggiamento, prendesse posizione il desiderio di risolverla “fascisticamente”, tagliando i nodi “gordiani” mussolinianamente, con una “piccola raffica di mitragliatrice” [come consigliava Buffarini Guidi, “sparando nel mucchio”]. Ed è questa una constatazione importantissima ai fini della comprensione della Resistenza in generale. La lotta partigiana era combattuta “dal punto di vista delle masse popolari”, rispecchiava il loro interesse e la loro volontà di finirla col fascismo. Se la punta di diamante erano le formazioni armate, territoriali e di montagna, tuttavia queste non avrebbero potuto creare una situazione militarmente e politicamente vincente, senza l’appoggio “generale” della popolazione. La Resistenza esprimeva cioè l’interesse individuale del cittadino globale della nazione.
18.5 Poi ci sono anche i sacerdoti
É pure interessante notare quel riferimento al clero “filofascista”, in cui si denotava la rabbia del repubblicano di vedersi tradito anche in Valtellina, zona tradizionalmente cattolica, da quel Vaticano che dai patti lateranensi in poi […l’uomo inviato dalla provvidenza…] era stato un valido puntello al regime. Nello specifico, il Cincera si riferiva alle posizioni di antifascismo del clero locale, culminate [in quell’inizio di primavera] nell’arresto del parroco di Sondalo.
[NOTE]
179 Cfr. Documenti della Resistenza Valtellinese. Febo Zanon venne arrestato in seguito alla delazione di una spia, Alberto della Pedrina. Quest’ultimo, dopo la Resistenza sarà oggetto di atti d’accusa da parte dello stesso Zanon.
180 Cfr. Documenti della Resistenza Valtellinese.

Marisa Castagna, La Resistenza politico-militare sulla sponda orientale del Lario e nella Brianza Lecchese, Tesi di Laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Anno Accademico 1974-1975, tesi qui ripresa da Associazione Culturale Banlieu 

A riprova di quanto affermavo poc'anzi circa il nostro desiderio di collaborazione, sollecitai una missione del comando della 52/a. La riunione avvenne verso la metà di novembre e della nostra delegazione facevano parte oltre a Sardo, Rumina e Mosé. Io non vi partecipai perché non mi andava per il momento di mettermi ancora a discutere con gente che mi aveva definito un comunista e in quanto tale un sanguinario che non teneva conto della reazione che i fascisti con le loro rappresaglie potevano arrecare danni incalcolabili nella zona. Ma anche tale tentativo si risolse in una nuova rottura ed il C.L.N. mandò un rapporto allo stesso organismo provinciale di presunto tentativo nostro di disarmare e catturare il gruppo G.L. Tale rapporto faceva parte della ossessionante campagna denigratoria nei nostri confronti poiché non ci era mai balenata per cervello una simile ipotesi. La verità è che tale gruppo ricevette l'ordine di sciogliersi e passare in Svizzera anche armato. Zanon ai primi di dicembre venne arrestato (da un’informazione di Maio della metà del mese risulta invece che si sarebbe consegnato spontaneamente) mentre noi gli avevamo offerto protezione con eventuale accompagnamento in Svizzera, non ritenendolo in grado di affrontare la durezza della vita in montagna. E dai fascisti di Chiavenna venne trasferito all'U.P.I. di Colico, dove dopo gli interrogatori in cui aveva riferito sulla costituzione del gruppo G.L, sui finanziamenti che riceveva e da chi a Milano allo scopo di contrapporlo allo sviluppo delle brigate Garibaldi “comandate da commissari comunisti anche se italiani” tentò di svenarsi, come si seppe e come risultava da un certificato medico con prognosi di qualche giorno. Da qui venne trasferito all'infermeria del carcere di S. Vittore a Milano, dove vi rimase fino alla Liberazione [...] Facendo un passo indietro in riferimento ai dissidi ideologici tra le varie componenti della Resistenza in Valtellina fomentati dagli esponenti moderati dei C.L.N. con l’appoggio dei notabili delle formazioni dell’Alta Valtellina si verificarono anche nelle formazioni comandate da Nicola, degli attriti, che portarono alla secessione capitanata da Giumelli e Ghislanzoni, che furono gli epigoni forse anche non del tutto consapevoli del piano più vasto in atto per la tranquillità della borghesia locale. Giumelli e Ghislanzoni nel loro tentativo di organizzare un forte reparto da contrapporre a Nicola al grido di “La Valtellina ai valtellinesi” si spinsero anche in Val Chiavenna prendendo contatto con il nostro distaccamento dislocato sui monti di Verceia. Avuto sentore della cosa mi precipitavo subito in quel reparto con Rumina giungendo poco dopo l’arrivo dei due che stavano esponendo i motivi della secessione ed i programmi di contrapposizione alle formazioni Garibaldine di Nicola che egemonizzavano tutta la Bassa Valtellina da Sondrio in giù.
Pietro Porchera  (Tiberio), Testimonianza, Associazione Culturale Banlieu 

venerdì 23 dicembre 2022

Il carattere dell’attività garibaldina in Valtellina è essenzialmente militante

Cataeggio, Frazione del Comune di Val Masino (SO). Fonte: Paesi di Valtellina e Valchiavenna

Il 10 giugno 1944 la Delegazione per la Lombardia del Comando Generale delle Brigate d’assalto Garibaldi inviava al Comando Generale un rapporto in cui esponeva l’attività svolta nei due mesi precedenti. A fine aprile “i risultati - si legge nel rapporto - furono scarsi, né poteva essere altrimenti, […] in quanto perdurava ancora nelle differenti federazioni una incomprensione ed una sottovalutazione del lavoro militare che ostacolava e rendeva difficile non solo lo sviluppo del lavoro stesso, ma anche la presa di collegamento con le forze esistenti” <1. Nei centri lombardi le forze gappiste erano quasi inesistenti e le poche formazioni partigiane in attività erano disperse e isolate nelle province. La relazione arieggiava un testo assai più duro scritto in quegli stessi giorni dalla sezione organizzazione ed effettivi del Comando generale e forse mai spedito. In esso si legge che “in Lombardia esiste una sola brigata Garibaldi, 3° Lombardia, ma praticamente inesistente perché è stata disorganizzata dai colpi della polizia […]. Cosa volete che sia una brigata inesistente di fronte alle nove del Piemonte, sei dell’Emilia, quattro del Veneto e quattro delle Marche? Come vedete la vostra regione è alla coda del movimento partigiano in Italia e questo ritardo è tanto più grave se si considera la forza organizzativa del Partito nella regione […], la combattività della classe operaia dimostrata in vari scioperi generali, l’odio antitedesco e antifascista della popolazione e questa constatazione è un disonore per voi. Dovete al più presto mettere fine a questo stato di cose […]. In ognuna delle vostre vallate: Brescia, Sondrio, Pavia, dove avete già dei distaccamenti organizzati, nel Bergamasco, nel Varesotto, dove certamente ci sono dei distaccamenti partigiani di cui voi non sapete nemmeno l’esistenza, in ognuna di queste valli dovete organizzare una brigata Garibaldi” <2.
Difficile essere più chiari, ma la durezza del tono era dettata dall’urgenza del momento: Roma era appena stata liberata e le truppe di Eisenhower avevano messo piede in Francia, col grandioso e terribile sbarco in Normandia; a est l’esercito sovietico si stava concentrando per lanciare un’offensiva che stringerà in una morsa le truppe tedesche. La liberazione sembrava ottimisticamente vicina e il movimento partigiano non poteva farsi trovare impreparato. “Ogni vallata, ogni montagna, ogni città e villaggio deve avere il suo gruppo armato di patrioti che disturbi con attacchi continui il nemico” <3.
[...] I due pungoli dei comandi garibaldini lombardi furono dunque il senso della inadeguatezza del movimento partigiano in Lombardia e la necessità di prepararsi per la liberazione, che non doveva essere lontana. “Il 6 giugno - ricorda Nicola [Dionisio Gambaruto] - gli alleati erano sbarcati in Normandia e noi della Resistenza avevamo ricevuto l’ordine di entrare in azione dappertutto per allargare il più possibile il conflitto e per disturbare la marcia delle truppe fasciste e tedesche” <10. I partigiani garibaldini si fecero subito comandanti di distaccamento e si diedero ad organizzare le formazioni partigiane dall’interno. Era il lavoro militare, la mancanza del quale aveva pregiudicato i successi della Resistenza lombarda nella passata primavera. A luglio, nella loro relazione per la federazione e il comando militare, Ario e Silvio ricordarono che “furono scelti i migliori elementi e preparati per coprire posti di comando […]. Il distaccamento fu così organizzato: nucleo - 6 uomini compreso il capo nucleo; squadra su 2 nuclei, più il Capo Squadra; Distaccamento - su 2 squadre, più il Comandante, il Commissario, il Vice Comandante più alcuni elementi per servizi vari” <11. Furono costituite sei basi di appoggio, che dovevano servire da magazzino e da recapito e furono imbastiti i collegamenti con la federazione, il comando militare, il Fronte della Gioventù, il comando unico. I partigiani disponevano poi di due uffici di intendenza collegati con Milano, di un ufficio informazioni e di un medico per il servizio sanitario <12.
Il 25 maggio, in risposta al bando di Mussolini per l’arruolamento nell’esercito di Salò, fu costituita la 40° Brigata Matteotti, divisa in due zone: il Fronte nord, sul lato destro della Valtellina fino a Sondrio, e il Fronte sud, dalla Val Gerola all’alta Valsassina. A capo del primo fu posto Nicola, il secondo fu affidato ad Aldrovandi. Da questi due tronchi nasceranno, nel luglio del 1944 le due brigate Garibaldi della Valtellina: la 40° Matteotti e la 55° Rosselli. Gli effettivi al 10 luglio ammontavano già a cinquecento uomini, per lo più giovani mandati dal Fronte della Gioventù e provenienti da Lecco e da Milano. Ma la loro preparazione lasciava molto a desiderare. Scrivevano Ario e Silvio: "Non andiamo per nulla bene […]. Il 90 % dei giovani del F.d.G. inviati o si sono sbandati o sono ritornati a casa e molti sono stati arrestati perché destavano sospetto in gruppo o hanno parlato lungo il viaggio della loro meta. La maggioranza sono arrivati scalzi e credevano di trovare l’Eden. Il compito principale del F.d.G. è di prepararli a sopportare le dure fatiche della montagna e di tutto il nostro lavoro. Bisogna che prima di partire sappiano che il cibo è scarsissimo che le armi non sono a disposizione come in una caserma, ma che si devono prendere al nemico e che un fucile è già un’arma preziosa per il partigiano" <13.
Il carattere dell’attività garibaldina in Valtellina è essenzialmente militante: il suo obiettivo è il potenziamento del movimento partigiano dall’interno, la sua espansione e lo sviluppo dell’organizzazione. Ma il momento  dell’organizzazione è congiunto all’azione bellica e ne è per così dire il prolungamento: “la migliore organizzazione militare sorge e si tempra alla prova del fuoco”, scrivono Ario e Silvio in maiuscolo nella loro relazione e sono parole che torneranno nelle carte dei comandi partigiani <14.
A fine agosto Ario, diventato nel frattempo comandante in pectore del Raggruppamento della 40°, 55° e 52°, le tre brigate attive tra la Valsassina e Sondrio, scriverà alle compagne partigiane parole inequivocabili: “Alludiamo alla necessità, in questo momento, di bolscevizzare la nostra azione mediante una lotta serrata aperta finale. Nessuna esitazione, nessuna giustificazione, tutte le nostre forze devono essere in linea di combattimento, dobbiamo imitare i gloriosi compagni e compagne dell’Unione Sovietica che hanno saputo dare alla guerra sostenuta dall’esercito rosso un’impronta bolscevica, unica e vera ragione per cui gli eserciti nazifascisti sono ripetutamente battuti […]. Avanti dunque con coraggio, organizzate squadre di gappiste, di sappiste, organizzate distaccamenti completi femminili che agiranno al nostro fianco valorosamente” <15. Dalla lotta nascono i quadri: “non fatemi più sapere (perché purtroppo lo so già) che vi mancano i compagni capaci - così Ario ai compagni della Brigata -. I compagni capaci siete voi, poiché altri non ve ne sono e non ve ne saranno, dato il grandioso compito del Partito nella società democratica immediatamente futura. Sdoppiatevi, moltiplicatevi e mettete avanti negli sforzi con coraggio giovani e poi giovani compagni che, dietro la vostra guida, daranno certamente buoni risultati. Non sono capaci? Diventeranno capaci in misura degli aiuti che voi saprete apportare loro. E solo voi sarete responsabili se non funzioneranno. Così l’avanzamento tra i migliori patrioti. La nostra lotta è la nostra Università e i quadri devono uscire da questo consesso patriottico così come in tutte le rivoluzioni sociali i quadri escono dal popolo” <16. Coraggio dunque: fare e organizzare, lottare e nella lotta forgiare le formazioni.
Certo, il lavoro organizzativo non diede proprio i risultati che i dirigenti di Lecco e di Milano desideravano. Dal giugno al novembre del 1944 uno stillicidio di comunicazioni della Delegazione del Comando generale per la Lombardia al Comando della 40° brigata Matteotti e della 55° Rosselli - cioè a Nicola e Al [Vando Aldrovandi] - e poi al Comando di Raggruppamento delle brigate operanti in Valtellina, lamentava l’evanescenza del Comando di brigata, l’insufficienza dei collegamenti interni, la necessità di costituire, nel mese di agosto, un Comando di divisione, la disorganizzazione della 55° brigata e la mancanza, ovunque, di commissari politici <17.
Il 14 agosto 1944, Nicola rispose piccato in una lettera alla Delegazione: “Questo Comando vorrebbe sapere quali elementi specifici di organizzazione ci rimproverate. Sono sempre stati nostri criteri impedire la burocratizzazione dei Comandi per tenersi il più possibile vicino agli uomini e spingerli continuamente sulla via dell’azione. Quando è stato possibile non abbiamo esitato a lasciare le circolari per adoperare il mitra” <18 e spiegò che il lavoro delle varie Sezioni Operazioni, Intendenza e Sanità poteva essere svolto anche solo da un Capo Sezione, con l’ausilio tutt’al più di un vice. “Tenete però conto di vari elementi - proseguiva Nicola - che i capaci e in fede sono pochi; che non essendo molto numerosa la Brigata, alcuni servizi possono essere assunti dallo stesso individuo senza tema di accumulazione dannosa di lavoro; che abbiamo cercato di snellire i servizi per portare tutti gli elementi idonei alla lotta viva e reale contro l’odiato nemico” <19.
Insomma, per riprendere il filo della nostra argomentazione, le deficienze organizzative del movimento garibaldino non ne inficiarono l’ispirazione di fondo: quella a svilupparsi dall’interno e ad accrescersi per mezzo di un’incessante attività di combattimento. L’organizzazione interna non veniva prima dell’azione, ma dopo: la parola d’ordine era bolscevizzare, lasciare le circolari per il mitra. Accanto al lavoro militare, i comandanti garibaldini comunisti erano consapevoli della necessità di un alacre lavoro politico. “Non essendoci a disposizione un numero di compagni sufficiente, pensammo di reclutare tra i simpatizzanti migliori alcuni elementi per farli entrare nel Partito” così Ario e Silvio, che organizzarono i nuclei di partito nei distaccamenti della 40° Brigata. “Molte riunioni furono fatte per spiegare o comunque chiarire i compiti militari e politici dei Distaccamenti e sviluppammo tutto il programma del CLN. Furono fatte riunioni dei nuclei di partito e spiegammo i loro compiti e le funzioni dei compagni nelle formazioni. Segnalammo alla federazione l’urgente necessità di avere la nostra stampa nelle formazioni” <20.
In un documento senza data, ma collocabile tra il giugno e il luglio del 1944, il vice Commissario di Brigata Gino esponeva ai Commissari di Distaccamento il punto di vista del comando partigiano in tema di propaganda politica. “La propaganda, che dovrebbe dare una coscienza politica al combattente per la libertà, è stata un po’ trascurata finora in quanto gli avvenimenti hanno impedito la propulsione di essa. Da oggi i Commissari politici incaricati a detta mansione, dovranno svolgere un’intensa azione di propaganda al fine di rendere comprensibile a tutti i combattenti il movente della nostra lotta contro l’invasore tedesco e il traditore fascista”. Parlando del CLN, che Gino definisce il nuovo governo degli italiani, il vice commissario si raccomanda: “i combattenti devono anche conoscerlo in tutti i suoi atti e in tutto il suo valore affinché essi vedano sempre che il loro interesse e l’interesse dei lavoratori è salvaguardato ed è il movente principale della lotta di liberazione nazionale” <21.
Tuttavia, il lavoro politico incontrò grosse difficoltà dovute soprattutto alla cronica mancanza di agit prop: “questo comando non è tanto contento in quanto, mancando dei compagni capaci, il lavoro dei nuclei non rende come dovrebbe; anche i Commissari non sono all’altezza dei loro compiti. Pur tuttavia, ora si inizierà una serie di circolari che si crede colmeranno queste lacune, poiché stiamo allestendo una segreteria della Brigata. Si sta preparando il giornale della Brigata e si è certi che se ne trarranno buoni profitti” <22. Nei mesi estivi, comunque, i progressi sul fronte politico furono di scarso rilievo e in autunno si dovette ricominciare daccapo. Il 14 ottobre 1944, in una riunione dei compagni del Comando di Divisione fu stigmatizzata la poca coscienza politica dei nuovi partigiani, ma in ottemperanza alle direttive del Partito Comunista si decise di reclutare tutti i simpatizzanti, escludendo solo gli elementi di moralità molto dubbia <23. Furono nominati i responsabili di partito per ogni distaccamento, battaglione e brigata; fu deciso che i compagni dei distaccamenti si sarebbero riuniti due volte alla settimana, che con la stessa frequenza i responsabili dei distaccamenti avrebbero incontrato i loro omologhi dei battaglioni e che una volta alla settimana si sarebbero riuniti tutti i compagni della brigata <24. Nei mesi di ottobre e novembre, la propaganda politica cominciò a dare i suoi frutti: “In questa Brigata si è dato impulso al lavoro politico con riunioni e conferenze fatte ai Patrioti. I commissari svolgono bene il loro lavoro. […] le riunioni politiche sono state oggi esplicate dai Commissari nei distaccamenti IV e X discutendo: in uno della disciplina nelle formazioni partigiane e nell’altro leggendo e commentando il fascicolo “La nostra lotta”. Particolare attenzione fu dedicata ai più giovani: “A Cataeggio sono stati adunati tutti i giovani del Paese dai 16 anni in avanti ed è stata loro spiegata l’organizzazione del Fronte della Gioventù. Alla richiesta fatta loro di organizzarsi tutti hanno aderito” e alle donne: “è stato formato a Cataeggio un Gruppo di Difesa della donna composto da 35 donne. Anche a Filorera 15 donne si sono organizzate. A queste donne è stata tenuta una conferenza dove veniva loro spiegata l’utilità e la necessità di questa organizzazione” <25.
[NOTE]
1 AAVV, Le brigate Garibaldi nella Resistenza: documenti, Milano, Feltrinelli, 1979, vol. II, pag 23
2 Ivi, pag 30.
3 Ivi, pag. 28
10 Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., vol II, pag . 56.
11 Relazione per la F. e il CM di Ario e Silvio del 10 luglio 1944, Issrec, Fondo Gramsci, b1 f6.
12 Cfr Ivi.
13 Ivi
14 Ivi.
15 AAVV, Le Brigate Garibaldi, op. cit., vol. II, pagg 279-280.
16 Comando 40° Brigata d’Assalto Garibaldi Matteotti ai Compagni della Brigata, firmato Ario, 21/7, Issrec, Fondo Gramsci, b1 f6.
17 Cfr Issrec, Fondo CVL INSMLI.
18 Comando 40° Brigata d’Assalto Matteotti alla Delegazione, firmato Nicola, 14/8/1944, Issrec, Fondo Gramsci, b1 f6.
19 Ivi.
20 Relazione per la F. e il CM di Ario e Silvio del 10 luglio 1944, cit.
21 40° Brigata d’assalto Matteotti ai commissari di Distaccamento, Oggetto: Lavoro di propaganda politica da svolgere, firmato Gino, s.d., Issrec, Fondo Cvl Insmli, b1 f5. L’intestazione reca tra parentesi la scritta “Comando Fronte nord”. Il 23 luglio 1944 i due fronti della 40° Matteotti si trasformarono reciprocamente nella 40° Brigata Matteotti e nella 55° Brigata Rosselli. Da qui la nostra attribuzione del testo al giugno-luglio del 1944.
22 Comando 40° Brigata d’Assalto Garibaldi Matteotti per la Delegazione Comando e il Comando Regionale unificato Lombardo, 20/7, Issrec, Fondo Gramsci, b1 f6. Il giornale della 40° Matteotti
23 Il nucleo di Partito del Comando di Divisione alla Federazione del PCI, 14/10/1944, Issrec, Fondo Gramsci, b1 f5.
24 Ivi
25 Relazione politica al Commissario di Raggruppamento, firmato Nicola e Primo, 24/11/44, Issrec, Fondo Gramsci, b1 f5.
Gian Paolo Ghirardini, Società e Resistenza in Valtellina, Tesi di laurea, Università degli Studi di Bologna, Anno accademico 2007/2008