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venerdì 1 luglio 2022

Le autorità italiane disposero l'arresto di Pignatelli per sottoporlo ad interrogatorio


[...] Nell'ottobre 1943 Borghese aveva già a disposizione 1000 uomini i quali vennero divisi in tre reggimenti di fanteria marina: il San Marco, destinato al fronte, il San Giorgio (costituito da anziani e mutilati) per la difesa costiera e un battaglione di Nuotatori Paracadutisti (N.P.) denominato ''Folgore''<64. Nonostante l'attivismo del Comandante e i suoi buoni rapporti con i tedeschi, che gli costeranno anche contrasti con gli altri gerarchi della RSI e addirittura alcuni giorni di carcere, solo il Battaglione Barbarigo, e al costo di dure perdite, riuscì ad ottenere l'autorizzazione a combattere sul fronte nel corso della battaglia di Anzio <65. Gli uomini della Decima furono impiegati principalmente in azioni contro i partigiani mettendosi in luce non solo per la particolare violenza ma anche per i numerosi abusi compiuti nei confronti della popolazione civile <66. Coloro i quali, pertanto desiderassero partecipare ad azioni dirette nei confronti degli Alleati avevano una sola opportunità: essere impiegati dai servizi segreti tedeschi con compiti informativi e di sabotaggio oltre le linee nemiche.
I futuri agenti venivano avvicinati da reclutatori (sia tedeschi che italiani) per azioni dirette esclusivamente dall'Abwehr o dal SD oppure venivano scelti dalle organizzazioni della RSI in azioni concordate con i tedeschi <67. Ad esempio possiamo citare il tentativo del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio della RSI, Francesco Barracu, di organizzare un gruppo di persone di fiducia, capitanate da padre Luciano Usai, con lo scopo di costituire una rete informativa politico-militare e di propaganda in Sardegna, sua regione di origine <68. Il gruppo venne addestrato e in seguito paracadutato nell'isola dall'Abwehr ma anche questa iniziativa tuttavia fallì poiché il gruppo venne arrestato dalle autorità alleate <69.
Ma quali erano le modalità di azione degli agenti inviati dai servizi tedeschi? Innanzitutto si deve distinguere da agenti sabotatori, ''lasciati indietro'' in seguito alla ritirata dell'esercito, muniti di esplosivi per specifiche missioni e in contatto diretto o attraverso intermediari con agenti muniti di radio-trasmittente, dagli agenti di spionaggio, solitamente inviati in missione attraverso le linee con il compito di osservare posizioni e numero di truppe, mezzi e sedi nemiche <70. Una terza categoria è invece l'agente doppiogiochista, il cui rendimento, secondo una relazione del controspionaggio del SIM era «difficilmente accertabile» <71. È probabile però che chi si presentava ai comandi alleati «di sua volontà, raccontando i particolari più minuti della sua missione [potesse] essere in azione di doppio gioco, specie per attività di carattere politico che fermentano e si irradiano in specie dai campi di concentramento ove di solito l'agente viene per principio avviato» <72. L'attività di CS era dunque indispensabile per contrastare le azioni nemiche. Essa, secondo il SIM, era dotata di "due armi: l'indagine e l'interrogatorio: quest'ultimo è la base e l'arma più decisiva; occorre imporre la propria supremazia morale e di capacità all'interrogando e non dimenticare di essere abbastanza curiosi e precisi secondo una logica corroborata dal sapere e dalla volontà. Gli schemi per gli interrogatori sono noti: essi sono dovuti al fatto che un interrogatorio deve fornire gli elementi più numerosi che sia possibile per le operazioni repressive successive e gli interrogatori conseguenti. L'interrogatorio vale per quello che apporta all’attività controinformativa non per quello che interessa direttamente l'agente inquisito, ormai individuato. Nei riguardi dell'agente inquisito l'interrogatorio è un dovere per la giustizia; nei riguardi di ulteriori azioni controinformative è sopratutto una necessita procedurale che comporta - in caso di trascuratezza - responsabilità di ordine morale e professionale. Sino ad ora in questo servizio l'informatore più sicuro è l'agente stesso con il vantaggio che - grazie alla capacità ed all'abilità di chi lo esamina - l'informazione ottenuta è controllata e indiscutibile" <73.
Analizzare un interrogatorio di un agente nemico è pertanto un utile strumento per comprendere sia le modalità di reclutamento, di addestramento ma anche per capire la personalità, le motivazioni e i desideri di coloro i quali decidevano di arruolarsi nei servizi di intelligence tedeschi, oltre che ovviamente per cercare di capire come operavano e cosa erano interessati a conoscere i servizi alleati (e italiani).
Un esempio utile può essere l'interrogatorio di Giorgio Pisanò, arruolatosi nel 1943 come paracadutista nella Decima Mas e nel dopoguerra giornalista, saggista, parlamentare e importante esponente del Movimento Sociale Italiano. Un caso non unico tra gli appartenenti al partito ad aver svolto attività di intelligence. L'agente che lo interrogò nel 1945 lo descrisse come «fervent fascist but claims for him Fascism represents Italy. He is intelligent, courageous and very observant. He is anxious to serve his country. Says he would prefer to be tried by Allies, even if it means going before a firing squad» <74. Come molti altri «ardenti fascisti» come lui, si era arruolato nella Decima Mas «partly because he wanted to do something spectacular for his country, and partly because 10th MAS was entirely Italian, and not under the away of the Germans» <75. Sono proprio i tedeschi però, nel giugno del 1944, ad offrire a Pisanò e al suo battaglione di paracadutisti la possibilità di essere addestrati per «lavori speciali» per i quali erano necessari «uomini di coraggio» <76. Al corso di spionaggio, tenuto da istruttori dell'Abwehr, Pisanò e i suoi compagni vennero istruiti nel riconoscimento di aerei, navi, carri armati, armi, uniformi, nel distinguere i distintivi delle unità e delle formazioni, nella lettura delle mappe e nello studio delle fotografie. Completato il corso di durata mensile, a Pisanò venne assegnata una missione in Puglia con il compito di «tenere gli occhi aperti» e notare i distintivi di truppe, veicoli e segnare la loro appartenenza alle truppe britanniche, americane, canadesi o indiane. Gli vennero fornite ventimila lire ed un fazzoletto necessario per il suo riconoscimento nel momento in cui sarebbe tornato presso i comandi tedeschi. In caso di fermo o cattura avrebbe dovuto raccontare di aver lavorato per l'organizzazione Todt ed essere scappato per cercare di raggiungere i familiari nel Sud Italia <77. La sua missione tuttavia fallì miseramente dato che, giunto nei pressi di un comando alleato in Toscana per ottenere i permessi necessari per raggiungere la Puglia, il suo nome e quello del suo compagno di viaggio risultarono essere presenti nelle liste degli agenti nemici <78. Secondo il sergente statunitense responsabile del suo interrogatorio, Pisanò, quando era stato interrogato dal SIM, si era rifiutato di ammettere di essere un agente, riferendo inoltre una storia differente a quella raccontata in precedenza. Negava inoltre di aver partecipato ad altre missioni anche se i compagni di cella riferivano che egli si fosse vantato di averne portato a termine due <79.
3. Sicilia e Sardegna: tra organizzazioni fasciste e rivolte anti-alleate
Fu nel corso del 1944 che i gruppi fascisti presenti nel Sud Italia cercarono di passare dallo spontaneismo all'organizzazione vera e propria, anche grazie ai collegamenti e i contatti che potevano crearsi tramite gli agenti inviati dai servizi di intelligence tedeschi.
Ancora una volta le isole furono capofila del movimento. Nel corso dei primi mesi del 1944, presso Sassari, le forze di sicurezza alleate e italiane arrestarono alcuni militari e civili di sentimenti fascisti che tentavano di raggiungere il continente <80. Un caso analogo a quello descritto in precedenza vista la loro appartenenza al Comitato regionale fascista. La loro attività si era però evoluta anche grazie al giornale propagandistico stampato in proprio e intitolato «La voce dei giovani» <81. Nella copia requisita dalle autorità leggiamo che il gruppo non era «legato ad alcun partito» e che il loro unico obiettivo era quello di perseguire il «bene della patria» <82. Non rivendicavano la propria appartenenza al fascismo ma il loro giornale clandestino attaccava direttamente gli Alleati, il governo di Badoglio e i partiti che facevano parte del Comitato di Liberazione Nazionale <83. Gli arrestati erano stati inoltre trovati in possesso di un memoriale sulla situazione della Sardegna post-armistizio, una lettera destinata al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio della RSI, Francesco Barracu, e un cifrario <84.
Il tentativo organizzato in seguito dallo stesso Barracu di inviare il gruppo di Usai sull'isola potrebbe far supporre che il gruppo, nonostante la cattura degli aderenti, fosse riuscito ad avere un contatto con la terraferma o almeno a far conoscere la loro esistenza ai vertici della RSI. Gli interrogatori ai membri del gruppo Usai condotti dal SIM non ci danno tuttavia alcuna conferma in tal senso <85.
In Sicilia, e in particolare a Catania, gli ex fascisti si erano riuniti in un partito, il Movimento Unitario Italiano (MUI) il cui nome tentava di mascherare le vere finalità del gruppo.
Esso si presentava come contraltare al Movimento per l'Indipendenza Siciliana (MIS) di Andrea Finocchiaro Aprile e alle diverse tendenze separatiste presenti nell'isola come anche si evince dal manifesto che invitava all'adesione al partito:
"Cittadini, mentre la Patria geme così prostrata e sanguinante che soltanto l'amore operoso e concorde di tutti gl'Italiani può mendicarne le piaghe e risollevarne le sorti, taluni, affamati dal tornaconto, vorrebbero accrescerne le sventure reclamandone la mutilazione. […] È infatti, illusione calcolare che l'indipendenza (?) della Sicilia vi arresterebbe o frenerebbe il progresso della giustizia sociale, preservando intatta ogni smodata illecita ricchezza. Ci siamo perciò radunati e Vi chiamiamo a raccolta per impedire di essere fuorviati dal corso della Storia ed esposti a maggiori calamità. L'unità d'Italia deve essere difesa ad ogni costo. Il Paese ha bisogno non di scissioni fratricide ma di raccogliersi in pacifico e fecondo lavoro per risorgere nel clima dell'ordinata libertà e della sana democrazia per ricostruirsi nello spirito di una concreta attuazione dei diritti del lavoro. La nostra stessa libertà, la possibilità di un giusto ordine sociale sono indissolubilmente collegate all'unità. Il separatismo è un pericolo" <86.
La realtà era invece diversa: secondo la Prefettura di Catania l'obiettivo del gruppo era quello di riorganizzare il partito fascista «sotto forma repubblicana». Esso infatti svolgeva «intesa propaganda fra gli ex fascisti e studenti […] riuscendo ad ottenere l'adesione di varie migliaia di persone e l'iscrizione all'organizzazione di circa 3000 individui compresa la sezione femminile» <87. Non solo, secondo il SIM, svolgevano anche attività di «penetrazione negli altri partiti per portarvi la disgregazione» <88. Non stupisce dunque che due membri del partito vennero arrestati dagli Alleati mentre tentavano di varcare le linee per cercare un contatto con le autorità nazifasciste <89.
La presenza di gruppi fascisti in Sicilia è d'altronde, come abbiamo visto, favorita dalla difficile situazione in cui si trovava l'isola, divenuta terreno fertile per la propaganda fascista, sia proveniente da elementi interni che dalla Repubblica di Salò. Il SIM si dimostrava preoccupato per il malcontento crescente provocato dalla presenza delle forze armate alleate nell'Italia meridionale, dal costo della vita elevato, dalla mancanza di cibo e dal mercato nero, che veniva sfruttato dai fascisti «per la loro propaganda», la quale faceva breccia specialmente tra i giovani <90.
Propaganda che non si limitava ad essere ''endogena'', manifestandosi tramite volantini e giornali propagandistici scritti a mano o stampati clandestinamente e scritte murali inneggianti al Duce e contro gli Alleati e il governo Badoglio, ma anche tramite volantini aviolanciati dagli aerei tedeschi nel Sud Italia e tramite le trasmissioni di Radio Tevere. Si trattava di una radio della Repubblica Sociale che aveva iniziato le sue trasmissioni nel giugno 1944 e che aveva assunto quel nome per dare l'impressione di trasmettere clandestinamente dalla Capitale, nonostante la presenza degli Alleati, ma che in realtà aveva sede a Milano. In particolare le trasmissioni repubblichine ponevano l'attenzione e ingigantivano la portata della attività di sabotaggio e di proteste contro gli Alleati che avevano luogo nel Sud Italia, fedeli alle parole pronunciate da Mussolini nel discorso al teatro Lirico di Milano il 16 dicembre 1944: «Quando noi, come soldati della Repubblica, riprenderemo contatto con gli Italiani di oltre Appennino, avremo la grata sorpresa di trovare più fascismo di quanto ne avevamo lasciato» <91. Si mettevano in risalto ad esempio le azioni del mitico ''o' scugnizzo'', sorta di Robin Hood fascista che metteva in difficoltà gli Alleati e la cui identità non dovrebbe probabilmente riferirsi ad un'unica persona ma ai diversi gruppi e singoli, in particolare giovani e giovanissimi, che si attivarono per sabotare l'avanzata degli angloamericani <92.
Furono proprio i giovani ad essere protagonisti della più seria rivolta avvenuta nel territorio italiano controllato dagli Alleati nel corso del secondo conflitto mondiale, e viste le premesse, non poteva che essere la Sicilia il suo luogo di origine. La classica goccia che fece traboccare il vaso fu la pubblicazione del provvedimento di chiamata alle armi per le classi dal 1914 al 1924 e che scatenò le proteste e i moti del ''non si parte'' <93. Un documento redatto dal Commissario della Commissione Alleata di Controllo in Sicilia, H. Carr, ci aiuta a capire l'evolversi della situazione nel dicembre 1944: "Widespread demonstrations and disturbances have occurred throughout the island during the period from approximately 10 DEC[ember] to date [20 Dicembre]. So far demonstrations with or without damage and conflict have been reported at approximately 55 places. Damage to public buildings at CATANIA was serious. […] Casualities so far have not been serious and to date might be estimated as 4 dead and 31 injured, mainly civilians. […] The demonstrations have been directed mainly against the present call-up of military classes. In a few cases the question of grain and bread may have been the sole or partial cause, and I feel that the difficult economic conditions are an underliyng contributary cause to all these disorders. In my opinion the primary reason for the resistance to the call-up is that the Sicilian does not want to fight. Secondary reasons are that the terms of the Armistice have not been made known, that the Sicilian does not want to fight to free the Mainland of the Germans, he does not relish leaving his family on a small allowance when food is scarce and prices prohibitive, he does not wish to fight for the existing Italian Government and so forth" <94.
Per il Commissario la rivolta non aveva dunque motivazioni politiche, nemmeno di tipo separatista anche se non escludeva la presenza di esponenti del MIS tra i fomentatori delle proteste. Allegava alla relazione però un interessante volantino propagandistico che era stato distribuito in città e provincia:
"GIOVANI SICILIANI!
Ancora una volta dopo lunghi anni di guerra, di sciagure e di miseria, si chiede, contro la volontà di un popolo, di spargere il nostro sangue. Come ieri il vile monarca ci impose di morire per la conquista di altri Imperi, oggi con la stessa viltà, ci impone di conservargli col nostro sacrificio quella corona che non ha il diritto di tenere, per il suo alto tradimento al popolo tutto. A noi giovani si uniscano le nostre madri ed i nostri padri. Il popolo tutto formi un blocco compatto per difendere questa gioventù vanamente destinata al macello. Noi non impugneremo le armi.
GIOVANI DI SICILIA,
siate tutti solidali nell'esprimere la vostra volontà non presentandovi. Pace Pane e Lavoro: Ecco quello vogliamo!"
Il contenuto del volantino si presenta dunque come fortemente antimonarchico e proponeva inoltre la tesi fascista del tradimento di Vittorio Emanuele. Questo spinge dunque ad indagare più approfonditamente sulla natura della rivolta, che sicuramente nacque come moto di protesta contro la leva ma che ebbe risvolti diversi. La rivolta non si limitò infatti alla provincia di Catania ma si propagò nei primi giorni di gennaio nella vicina provincia di Ragusa. Secondo una relazione dell'OSS inoltre, il malcontento della popolazione fu sfruttato «dai fascisti locali che ancora occupano gli uffici pubblici e dai fascisti recentemente rilasciati dai campi di internamento alleati» <95. Le rivolte ebbero carattere violento e soprattutto godevano di una certa organizzazione. Vennero assaltati gli edifici pubblici, compresa la Prefettura che venne presa d'assedio, nonché i camion di Carabinieri e dell'esercito italiano, i quali spesso non opposero resistenza <96. Le rivolte assumono un'importanza ancora maggiore se corrisponde al vero quanto riportato nella stessa relazione, a proposito della presenza di nazifascisti inviati dal Nord a Comiso, piazzaforte della rivolta. «The presence of Nazi-Fascist agents - scrive il relatore della nota - is proved by the fact that Fascist broadcasts gave details of the riot on the same day it broke out» <97. La dettagliata relazione dello Psychological Warfare Branch britannico era invece più cauta nel dare per scontata la presenza di attori non siciliani nelle rivolte, anche se sottolineava che il «recente revival del fascismo e delle agitazioni fasciste e naziste», fosse da annoverare tra le cause scatenanti le sommosse <98.
La rivolta venne stroncata dall'intervento dell'esercito italiano il quale però non riuscì ad eliminare del tutto i rigurgiti fascisti presenti nell'Isola. Solamente qualche giorno più tardi infatti, in un teatro di Palermo comparve il giornale clandestino dal titolo chiaramente fascista «A noi!-Foglio del partito fascista repubblicano sezione di Palermo». Il gruppo che stampava il foglio era composto da studenti giovanissimi (dai 16 ai 21 anni) i quali in precedenza avevano avuto contatti con il movimento politico Lega Italica, un partito sorto a Caltanissetta nel novembre 1944, di sentimenti monarchici, ma che in realtà nascondeva un'organizzazione fascista <99. Oltre alla vuota retorica che caratterizza la prima parte del giornale, la seconda parte, invece, intitolata «Perché siam fascisti?» è utile per comprendere le ragioni che spinsero alcuni giovani a lottare per la morente causa fascista (sia nel Sud Italia sia a fianco della Repubblica di Salò) e soprattutto è sorprendente per come, già nei primi mesi del 1945, fosse stata elaborata quella visione del fascismo che caratterizzerà molti dei giovani che aderiranno, nel dopoguerra, al Movimento sociale italiano:
"Molto spesso ci sentiamo chiedere: Perché siete fascisti? Perché vi fate difensori di un partito che ha perso oramai l’ultima battaglia? […] [Q]uel che ci preme adesso precisare è che noi non difendiamo un partito. È morto il partito nazionale fascista: su questo tutti d'accordo. Ma non si è spenta l'idea originaria, non è trapassato lo spirito rivoluzionario del fascismo; e di questa idea, di questo spirito ci sentiamo depositari, proprio noi, giovani di fede incrollabile che del fascismo abbiamo fatto la religione della nostra giovinezza e la nostra forza. Noi siamo fascisti […] perché il fascismo è giovinezza perenne, morale eroica di vita, audacia senza confini; perché fascismo è decoro della Patria, vaticinio sicuro di ogni vittoria; infine, perché fascismo significa Italia!" <100
Un'elaborazione dello spirito fascista molto simile dunque a quel «non rinnegare e non restaurare» in auge tra i neofascisti nei primi anni di vita del MSI e che contraddistingue la memorialistica dei reduci di Salò <101.
4. I movimenti fascisti nel Sud e la rete Pignatelli
Per descrivere i movimenti fascisti che si svilupparono nella Penisola italiana in concomitanza con l'avanzata alleata, si deve fare un passo indietro e ritornare agli ultimi mesi del 1943. Significativamente fu in Calabria, dove si era stabilito il già citato Valerio Pignatelli, e in particolare nelle cittadine di Nicastro e Sambiase (ora Lamezia Terme), che si videro i primi episodi di ripresa dell'attività fascista. Già nell'ottobre del 1943 un gruppo di giovani aveva organizzato degli attentati contro i giornali antifascisti «Era Nuova» e «Nuova Calabria», oltre a lanci di bombe a mano corredate da volantini inneggianti al fascismo <102.
Anche qui, come già in Sicilia e Sardegna, i primi gruppi erano soprattutto organizzazioni locali formate da qualche decina di aderenti i quali però cercavano di entrare in contatto sia tra di loro che con il Nord Italia. Casi esemplari, ad esempio, i gruppi scoperti dal SIM in Puglia in collaborazione con il Field Security Service e con il Counter Intelligence Corps. Il primo, e il più importante, è il caso del gruppo scoperto a Lecce nel gennaio del 1944. Un brigadiere del SIM era riuscito ad infiltrarsi tra gli aderenti fingendosi un agente dei servizi della Repubblica Sociale Italiana in collegamento con altri elementi fascisti presenti a Brindisi e, a loro volta, a disposizione di una trasmittente dotata di potenza sufficiente da raggiungere il Nord. Superando le diffidenze iniziali da parte dei giovani animatori dell'organizzazione, l'agente riuscì a ottenerne la fiducia facendo incontrare un loro esponente con il sedicente rappresentante del gruppo di Brindisi (in realtà un altro agente del SIM) e promettendo di farsi accompagnare da un loro uomo nel momento in cui sarebbe ritornato nel Nord per fare rapporto sulla sua missione <103. La sua attività sotto copertura permise di capire l'effettiva consistenza e gli scopi del gruppo: era nato nel mese di novembre del 1943 tra i giovani ex appartenenti alla Gioventù Italiana del Littorio e ai Gruppi Universitari Fascisti, inizialmente per discutere di politica. In seguito all'aumento di aderenti e simpatizzanti (circa 300 secondo i capigruppo, anche se in seguito gli arrestati saranno 38), venne deciso di creare una vera e propria organizzazione clandestina suddivisa in cinque gruppi. «Ogni capo-gruppo conosceva solo i propri dipendenti. Le riunioni e le decisioni erano prese da un consiglio formato dai capi-gruppo, questi poi comunicavano le decisioni agli elementi dei propri gruppi» <104. L'organizzazione si poneva come obiettivi quelli di:
"- organizzare una vasta rete di informatori allo scopo di raccogliere e fornire notizie di carattere militare all'esercito repubblicano fascista;
- fare opera di disturbo con azioni armate qualora i nazisti [sic!] avessero avuto il sopravvento;
- preparare ordigni esplosivi per effettuare atti di sabotaggio nelle retrovie alleate" <105.
Le intenzioni del gruppo rimanevano tuttavia solo sulla carta per la mancanza di adeguati mezzi finanziari a disposizione nonché per la scarsità di munizioni e materiale esplosivo da adibire al sabotaggio di eventuali obiettivi strategici individuati dai servizi nazifascisti <106. Il gruppo pertanto si dedicò prevalentemente alla scrittura di manifestini di propaganda fascista nonché, per il tribunale militare di Bari che li giudicò nel giugno del 1944, all'attività più grave, ovvero «alla raccolta e al tentato invio nell'Italia occupata, di informazioni riguardanti: la situazione politica attuale; l'aeroporto di Galatina […] e altre notizie di carattere militare» <107. Soprattutto per questo le autorità italiane e alleate decisero di stroncare sul nascere l'organizzazione, utilizzando come pretesto (e come ulteriore prova) il tentativo di uno dei capigruppo, Fabio D'Elia, di oltrepassare le linee alleate assieme all'agente sotto copertura del SIM <108. Dei 38 arrestati solamente 9 (gli esponenti principali) vennero condannati, anche se a pene gravi che variavano dai 6 ai 20 anni di carcere per reati di spionaggio, favoreggiamento bellico e ostilità ai danni degli Alleati <109.
Contemporaneamente a Squinzano, a circa 20 chilometri da Lecce era attiva, almeno all'apparenza, un'ulteriore organizzazione e che prendeva il nome di «Comitato segreto di azione del partito fascista repubblicano». Il suo capo-zona era un certo Enzo Politi, ex ufficiale dell'esercito, il quale sosteneva di essere in contatto con il capo politico del movimento, l'ex ispettore federale del PNF Francesco Fato. Secondo Politi, il movimento, presente nelle provincie di Lecce, Brindisi e Bari, avrebbe goduto di addirittura 18000 aderenti i quali potevano contare di un arsenale composto da «3000 moschetti (dati in consegna a 3000 aderenti, facenti parte del personale fidato a disposizione); 84000 caricatori (distribuiti in ragione di 28 per ciascuna persona); 1000 tra fucili mitragliatori, pistole mitragliatrici e fucili automatici di marca varia, ma di calibro uniforme» <110. Le dichiarazioni di Politi suscitavano molta perplessità da parte del SIM e degli Alleati, soprattutto perché sembrava strano che il gruppo leccese, a cui inizialmente si pensava appartenesse Politi, non sapesse dell'esistenza di un'organizzazione a loro così geograficamente vicina, apparentemente molto più sviluppata ed equipaggiata. Politi pertanto venne ritenuto dal SIM un millantatore anche se le autorità alleate disposero l'arresto di dieci persone (compresi sia Politi che Fato), le quali però vennero in seguito rilasciate per insufficienza di prove <111.
La decisione del tribunale italiano non venne colta con favore dalle autorità della Commissione Alleata di Controllo. In particolare le autorità italiane vennero accusate di aver protetto i militari implicati nei gruppi fascisti. La presunta imparzialità delle corti militari italiane venne pertanto sfruttata dall'amministrazione militare alleata per reclamare, a favore delle proprie corti, il diritto di giudicare casi simili <112. Fu questo dunque il caso del gruppo scoperto sempre in Puglia, a Barletta, e che portò, nel mese di aprile, all'arresto di una quindicina di appartenenti al gruppo. L'organizzazione era sorta nel settembre del 1943 con lo scopo di:
"- combattere con tutti i mezzi ed in tutti i modi possibili gli invasori angloamericani ed i loro prezzolati alleati;
- tenere sempre desta nel popolo con opera e propaganda la fede nella vittoria delle armi ricostituite dell'Italia fascista repubblicana;
- preparare armi e materiale di sabotaggio;
- seguire attentamente l'attività dei partiti antifascisti, tenendosi pronti ad entrare in azione qualora si fosse presentata l'occasione favorevole" <113.
La perquisizione svolta dagli agenti del SIM aveva portato alla luce importanti documenti come lo statuto dell'organizzazione contenente la formula del giuramento, lo scopo dell'organizzazione, gli organi direttivi e di controllo, i doveri degli iscritti, lo schedario cronologico degli aderenti; un diario del gruppo contenente la data e il luogo delle adunate, le questioni discusse, provvedimenti adottati e inoltre un libro cassa contenente il pagamento delle quote versate dagli aderenti e le spese sostenute <114. L'aderente doveva dunque giurare, nel nome di Dio e dell'Italia, "di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e se necessario col mio sangue la causa della Rivoluzione fascista. Giuro inoltre di osservare lealmente lo statuto del Gruppo a cui appartengo; di adempiere a tutti i doveri del mio statuto al solo scopo del bene inseparabile del Duce e della Patria fascista e repubblicana; di non tradire giammai i miei camerati e di non svelare a nessuno i segreti del mio partito" <115.
Non si conosce l'esito giudiziario della vicenda, pertanto non si possono fare paragoni sulla maggiore o minore durezza delle corti alleate rispetto ai tribunali italiani. Ciò che risulta sicuro è l'internamento degli aderenti al movimento, assieme ad altri fascisti giudicati pericolosi, nel campo di Padula in provincia di Salerno <116.
Anche in Calabria, come abbiamo visto, erano attive cellule fasciste le quali, grazie all'azione di Valerio Pignatelli e di persone a lui fedeli, rappresentarono il gruppo più attivo, collegato e pericoloso presente nel Sud Italia <117. Gli attentati compiuti dai giovani a Nicastro avevano allertato i Carabinieri, i quali decisero di indagare sui responsabili, soprattutto perché non furono atti isolati ma perdurarono sino alla seconda metà di aprile del 1944 <118. Alcuni giorni dopo vennero arrestati 60 giovani e giovanissimi residenti delle province di Cosenza, Crotone e Catanzaro con l'accusa di «aver ricostituito il partito fascista svolgendo attiva propaganda» <119. Alcuni di essi vennero inoltre trovati in possesso di armi, munizioni e ordigni esplosivi.
Come era riuscito quel gruppo, composto da giovani provenienti da diversi paesi e province a concretare azioni comuni e condivise? In Calabria, così come in Puglia, già nell'ottobre del 1943 si erano costituiti autonomamente diversi gruppi clandestini di giovani fascisti. Il gruppo di Catanzaro, il più sviluppato, riuscì a dicembre a mettersi in contatto con gruppi analoghi presenti a Cosenza e, soprattutto, con il tenente Pietro Capocasale, ufficiale dell'esercito italiano e capo del gruppo di Petronà (CZ), il quale grazie alle sue conoscenze di carattere militare (conosceva la collocazione dei depositi di munizione e di carburante del 31° corpo d'armata italiano) e familiare (era cugino di appartenenti a gruppi fascisti di Nicotera e Soverato) ben presto divenne uno dei leader dell'organizzazione <120. Nello stesso mese di dicembre il gruppo di Catanzaro, al quale nel frattempo era stato posto a capo l'ex segretario di Barracu Antonio Corda, aveva inoltre inviato due paracadutisti oltre le linee, con l'obiettivo di raggiungere Roma ed interloquire con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio della RSI. Uno dei due, tale Toni Battistini, sembra fosse riuscito a compiere la missione, dato che il 24 aprile, in una trasmissione di Radio Roma era stata riportata la presenza di un paracadutista il quale, arrivato dal Sud Italia, e presentatosi al Comando Tedesco, aveva dichiarato che «nella regione italiana occupata dalle truppe angloamericane non ci sono italiani volontari; gli arruolati sono solo coloro i quali sono stati obbligati dalla fame. A Catanzaro un gruppo di paracadutisti ha distrutto la tipografia di un giornale comunista e picchiato il direttore, Paparazzo» <121. A Cosenza, dove l'organizzazione sembrava essere sviluppata maggiormente, si trovava il capo dell'organizzazione calabrese, l'avvocato Luigi Filosa <122. Capocasale intratteneva i contatti con Filosa tramite Giuseppe Scola figlio del braccio destro di Filosa, Arturo. Come si è visto, i rapporti famigliari erano fondamentali per tenere i contatti tra i diversi gruppi e come dimostra anche il fatto che il fratello di Arturo, Attilio, fosse il collaboratore del capogruppo di Crotone, Gaetano Morelli <123.
L'attività dell'organizzazione, come scrive una relazione dell'OSS, si era sviluppata sempre di più e con maggiore violenza:
"Fra ottobre e aprile ci furono svariati casi di dimostrazioni contro gli Alleati e quindici casi di uso di esplosivi in attentati terroristici eseguiti con lo scopo di costringere la popolazione locale a sottomettersi e convincersi della forza della causa fascista. Questa campagna di violenza culminò in aprile in un attentato eseguito contro un preminente antifascista, l'Ing. Nicotera, attentato rimasto senza successo, e in un altro attentato, in cui, nella notte del 22 aprile in Sambiase, due bombe furono gettate, una delle quali contro un carabiniere. Vi era anche l'intenzione di far saltare il municipio ed un importante ponte" <124.
Questa escalation avrebbe dovuto portare, il 5 maggio 1944, all'inizio delle operazioni di guerriglia contro gli Alleati. Il giorno in cui sarebbe dovuta partita l'operazione era stato trasmesso tramite un messaggio in codice da Radio Roma tra il 20 e il 22 aprile <125.
La tanto agognata insurrezione delle forze fasciste tuttavia non ci fu, poiché in quei giorni i Carabinieri si attivarono per arrestare i congiurati. Dagli interrogatori degli arrestati emerse non solo la ramificazione dell'organizzazione in Calabria ma anche che essa aveva propaggini all'esterno del territorio calabrese, tramite il deus ex machina del fascismo clandestino nel Sud Italia, ovvero il principe Valerio Pignatelli <126.
Il principe infatti, si era trasferito con la moglie dalla sua residenza di Sellia Marina, presso Catanzaro, a Napoli. Da qui, con il suo braccio destro, il colonnello Luigi Guarino, ex ardito, teneva i contatti con i gruppi calabresi tramite Luigi Filosa mentre, contemporaneamente, si adoperava per organizzare analoghi nuclei fascisti in Campania grazie all'aiuto di Ferdinando (Nando) di Nardo, ex dirigente dei GUF napoletani e futuro parlamentare del Movimento Sociale Italiano <127. Il gruppo campano più sviluppato era quello napoletano, grazie alla presenza, in particolare, dei giovani che si erano resi protagonisti, ad esempio, di proteste e lanci di manifestini contro gli Alleati <128. Come si è visto, molto probabilmente il gruppo pugliese non era a conoscenza dell'organizzazione di Pignatelli e viceversa. Lo stesso Pignatelli inoltre, in un memoriale scritto nel dopoguerra, nominava solamente i gruppi calabresi e campani anche se potrebbe essere significativo che, nel tentativo di fuggire all'arresto da parte dei carabinieri, Filosa si fosse rifugiato a Bari <129.
Le autorità italiane disposero l'arresto di Pignatelli per sottoporlo ad interrogatorio e capire se ci fossero fondamenti di verità nelle dichiarazioni degli arrestati. Il principe tuttavia, pressoché negli stessi giorni, era stato arrestato dal Governo Militare Alleato assieme alla moglie. Entrambi dovevano rispondere alla grave accusa di spionaggio a favore del nemico <130.
La vicenda, che assume i contorni di una vera e propria spy story, è molto complessa e ancora oggi non molto chiara in alcuni suoi punti. Innanzitutto è necessario ritornare al dicembre 1943, quando Pignatelli si trasferì a Napoli, ufficialmente per motivi di salute, ma in realtà, secondo quanto racconta nel suo memoriale, per adempiere alle istruzioni che gli sarebbero giunte da Barracu <131. Qui il Principe, assieme alla moglie, Maria Elia, figura di primo piano nella vicenda, come si vedrà, erano protagonisti della vita mondana della città partenopea: l'alta classe sociale dei Principi e il prestigio del casato permetteva loro di intrattenere rapporti sia con le autorità italiane, civili e militari, compreso il luogotenente Umberto di Savoia, nonché con le massime autorità alleate come il comandante supremo del teatro d'operazioni del Mediterraneo, il generale britannico Henry Wilson e il diplomatico statunitense Alexander Kirk <132. I Pignatelli riuscirono inoltre a coltivare conoscenze con esponenti dei servizi segreti italiani e alleati, da loro abilmente sfruttate per ottenere informazioni che potessero essere utili per il governo della RSI <133. Secondo il racconto dello stesso Pignatelli, nei primi mesi del 1944, gli fu richiesto di raggiungere il Nord per concordare con le autorità della RSI le strategie da adottare per la lotta nel Sud Italia, pertanto egli si adoperò per cercare di ottenere un lasciapassare dal Governo Militare Alleato. Il tentativo venne stoppato dai «dirigenti del SIM che, conoscendomi bene mi dichiararono fascista» <134. In questo momento dunque entrò in gioco la Principessa che condivideva pienamente le idee del marito e che aveva aiutato ad organizzare il fascismo nel Sud. La preoccupazione per la mancanza di notizie dai figli Emanuele, Vittorio e Bona, avuti nel precedente matrimonio con il marchese Antonio De Seta, e della figlioccia Vittoria Odinzova si dimostrò un utile alibi per cercare in tutti i modi di oltrepassare le linee <135. È proprio grazie alla Odinzova che si presentò la prima opportunità. Maria si mise in contatto a Napoli con il tenente Carlo Cosenza agente dell'OSS, amico della figlioccia, pregandolo di aiutarla a trovare un modo di passare le linee per avere sue notizie. Cosenza si premurò di mettere in contatto la Principessa con un marinaio che avrebbe potuto metterle a disposizione una barca. Il tentativo però venne giudicato troppo pericoloso e perciò accantonato <136. La Principessa, a riprova delle frequentazioni con i comandi militari italiani cercò in secondo luogo di ottenere un aiuto, senza successo, dal generale Guido Accame, agente del SIM anche lui impiegato dall'OSS. Riuscì a guadagnare invece la fiducia dal tenente Andrea Nuvolari (in seguito informatore del SIM sul caso) il quale le confidò informazioni di natura militare anche se non le fu d'aiuto per la sua missione oltre le linee <137. La relazione del SIM che, tra gli altri documenti, ci permette di tracciare i movimenti della principessa, ci consegna un quadro fosco della Pignatelli, descritta quasi come una fattucchiera che con le sue «male arti» riusciva a carpire informazioni strategiche dai suoi interlocutori. È utile notare pertanto come il SIM preferisca screditare la figura della Principessa (adducendo anche ad una presunta condotta morale, secondo l'estensore della relazione, non consona) che analizzare l'operato inadeguato, se non connivente, degli agenti del servizio con cui essa era venuta a contatto <138. Il seguente incontro si rivelò invece decisivo: quello con il sottotenente di vascello Paolo Poletti, anch'egli al servizio dell'OSS. L'ufficiale della Marina, nel corso di una missione a Roma per conto del servizio statunitense nel dicembre 1943, aveva conosciuto Vittoria Odinzova con la quale aveva deciso di sposarsi. Secondo il racconto dello stesso Poletti, i due amanti avevano bisogno dell'approvazione di Maria Pignatelli <139. È anche per questo motivo probabilmente che Poletti, una volta tornato a Napoli, si mise in contatto con i Pignatelli, da lui già conosciuti precedentemente, per portargli notizie della Odinzova <140. Egli divenne un assiduo frequentatore del salotto dei Pignatelli conquistandone man mano la fiducia, peraltro ricambiata, visto che lo stesso Poletti confidò ai Principi la vera natura del suo incarico a Roma per conto dell'OSS. Maria pertanto colse l'occasione per raggiungere il suo obiettivo e, sfruttando il legame dell’agente con la Odinzova riuscì a convincerlo ad aiutarla <141. Poletti pertanto si mise in contatto con l'agente dell'OSS Arthur Mathieu al quale espose la propria preoccupazione per la situazione in cui si trovava la futura moglie asserendo che avrebbe trovato una soluzione anche se ciò avesse implicato l'attraversamento delle linee nemiche. In un memorandum scritto il 16 maggio 1944, lo stesso Mathieu affermava che "Subsequently, ''Paul'' [Paolo Poletti n.d.a.] announced that he had formed a plan, which involved sending a woman across the lines, who would return with his wife and an Italian officer from Austria <142. Both of them would, in addition, bring back valuable information. On being questioned about the security of the mission, ''Paul'' replied that he had absolute confidence in the woman selected, who was the foster-mother of his wife, and that he would ask Major BERDING [a capo dell'X-2 di Caserta] to trust him on this Selection. The plan was presented to Major ROLLER who approved the operation, now called ''Aspen'', and agreed its secrecy would be maintained. Security Officer only was informed. " <143.
Il primo tentativo di oltrepassare le linee da parte della principessa fallì poiché venne arrestata dal Field Security Service britannico e liberata alcuni giorni dopo per l'intercessione dell'OSS <144. Per evitare altri imprevisti, Poletti decise di accompagnare personalmente, il giorno 11 aprile, la Principessa a Sessa Aurunca, nelle vicinanze delle linee nemiche, assieme ad un capitano italoamericano impiegato nell'OSS, Vincent Abrignani. L'obiettivo, dichiarato, della Principessa era quello di presentarsi, una volta passato il fronte, al comando tedesco più vicino, e tramite le proprie credenziali, ottenere di poter contattare Barracu per conoscere la sorte dei propri figli. Poletti consigliò alla Pignatelli che, nel corso dell'interrogatorio a cui l'avrebbero sottoposta i tedeschi, avrebbe dovuto raccontare di essere giunta nella Capitale grazie ad un'autovettura della Croce Rossa e, inoltre, riferire i rumors da lei raccolti a Napoli riguardanti il territorio italiano occupato dagli Alleati <145. La missione principale di Maria era però quella di contattare Barracu, consegnargli una lettera scritta dal marito e ragguagliarlo sulla situazione dell'organizzazione capeggiata dal Principe nell'Italia del Sud. È molto probabile che le credenziali della principessa erano valide dato che, giunta nel comando tedesco di Anagni, non ebbe difficoltà a farsi accompagnare da un ufficiale a Roma nell'abitazione dei Marincola dove era alloggiata la figlia Bona <146. Il giorno seguente la principessa venne interrogata dal Sicherheitsdienst e in seguito accompagnata dal Feldmaresciallo Kesserling <147. Sono proprio alcuni documenti tedeschi, recuperati dagli Alleati all'indomani della liberazione di Firenze, che ci permettono di ricostruire alcuni punti del soggiorno romano della Pignatelli. Nel corso dell'interrogatorio, essa fornì ai tedeschi numerose notizie sulla situazione politico-economica del Sud Italia oltre che notizie di carattere militare, anche se, tranne l'aver rivelato il nome del capo del SIM (Pompeo Agrifoglio), di scarsa rilevanza <148. Gli stessi documenti chiariscono inoltre che, anche se i tedeschi sapevano dell'esistenza di gruppi fascisti nel Sud Italia, non erano a conoscenza del lavoro di coordinamento messo in atto da Pignatelli. Il maggiore delle SS Klaus Huegel, capo dell'Ausland SD in Italia, in un telegramma datato 22 aprile 1944, scriveva a Herbert Kappler rimarcando la necessità di un ulteriore interrogatorio della Principessa, da effettuarsi prima del suo ritorno a Napoli, perché essa poteva rappresentare «a practical starting point for the work in the South. Her report about her way through the front is moreover a proof that such possibilities exist»149. Questo appunto mette anche in luce che una strategia organica per il Sud Italia non era stata ancora adottata da parte dei servizi tedeschi <150.
La principessa nel frattempo, dopo essere riuscita ad incontrare il figlio Emanuele ed informare la figlioccia Vittoria che avrebbe attraversato con lei le linee quando sarebbe tornata a Napoli, si era premurata di incontrare Barracu. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio della RSI, assieme ad un ufficiale tedesco, portò la principessa a Verona, dove avrebbe dovuto incontrare Mussolini. Le testimonianze a questo punto divergono e non è chiaro se la principessa fosse riuscita o meno ad incontrare il Duce <151. L'obiettivo della missione tuttavia venne raggiunto: le autorità della Repubblica Sociale vennero messe a conoscenza della presenza di un movimento clandestino fascista ancora vivo nel Sud Italia e che necessitava dell'aiuto di Salò e dei tedeschi.
Le autorità britanniche tramite la fonte ''SURE'' avevano però, nel frattempo, tenuto d'occhio costantemente le attività della principessa e informato lo Special counter intelligence (Sci) statunitense <152. Il 25 aprile lo Sci arrestò Valerio Pignatelli e due giorni dopo, al ritorno a Napoli, vennero messe in custodia la stessa Principessa assieme a Vittoria Odinzova. Anche Poletti venne incarcerato nel momento in cui stava andando ad avvisare le due donne, da lui ospitate in una ''casa sicura'', dell'arresto del Principe <153. Tutti i protagonisti della vicenda vennero interrogati dal Combined Service Detailed Interrogation Center britannico (CSDIC), una unità formata da agenti del Secret Intelligence Service e ufficiali dell'esercito specializzata negli interrogatori di presunti agenti nemici [...]
64 L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, pp. 62-63.
65 Per la testimonianza di un Marò della Decima sulla battaglia di Anzio vedi il racconto di Fernando Togni riportato in L. Ganapini, Voci dalla guerra civile. Italiani nel 1943-1945, Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 142-145.
66 A. Lepre, La storia della Repubblica di Mussolini. Salò: il tempo dell'odio e della violenza, Milano, Mondadori, 1999, pp. 176-181.
67 TNA, WO 204/12450 X Flotilla MAS and S. Marco regiment vol. 1, Abwehr Abt II. Interest in Italian special formations, 1 giugno 1944, p. 1.
68 AUSSME, SIM, b. 27, f. 1-7-40 Lancio nelle campagne di Cabras a mezzo paracadute di presunti agenti nemici, Appunto del 27 luglio 1944, prot. n. 290/1944.
69 ACS, Allied Control Commission (d'ora in avanti ACC), Legal, f. 443 Case of Usai Luciano & others (enemy agents, Sardinia), Report ''Case of Usai Luciano and others'', p. 1-4.
70 AUSSME, SIM, b. 334, fasc. 1-1-26 Studio sull'organizzazione del S.I. tedesco e repubblicano in Italia, Cenni riepilogativi sull'organizzazione informativa nemica, s.d. [gennaio 1945], p. 5.
71 Ibidem.
72 Ivi, p. 6.
73 Ivi, p. 6-7.
74 NARA, rg 226, e. 174, b. 93, f. 753 IV corps, Supplementary report on detailed interrogation of enemy agent - Pisanò Giorgio, p. 9.
75 Ivi, p. 1.
76 Ibidem.
77 Ivi, p. 2-4.
78 Ivi, p. 6. Pisanò in seguito riuscì a scappare per essere poi riarrestato dagli alleati nel 1945.
79 Questa versione verrà sostenuta anche nelle sue opere autobiografiche. Vedi in particolare G. Pisanò, Io, fascista 1945-1946. La testimonianza di un superstite, Milano, Il Saggiatore, 2002, pp. 102-122.
80 AUSSME, SIM, b. 27, fasc. 1-7-23 Presunta costituzione in Sardegna di un Comitato regionale fascista, s.n., 27 marzo 1944, pp. 1-3.
81 ACS, DGPS, DAG, 1944-1946, b. 47, fasc. Partito fascista repubblicano Sassari, Riservata raccomandata s.n., 27 marzo 1944, p. 3.
82 ACS, DGPS, DAG, 1944-1946, b. 47, fasc. Partito fascista repubblicano Sassari, giornale «La voce dei giovani», febbraio 1944, n. 2, p. 1.
83 Ibidem.
84 ACS, DGPS, DAG, 1944-1946, b. 47, fasc. Partito fascista repubblicano Sassari, Riservata raccomandata s.n., 27 marzo 1944, p. 4.
85 AUSSME, SIM, b. 27, fasc. 1-70-40 Lancio, nelle campagne di Cabras, a mezzo paracadute di presunti agenti nemici, Processo verbale di interrogatorio di Usai Luciano, Manca Angelo, Trincas Francesco.
86 ACS, DGPS, DAG, 1947-1948, b. 59, f. Movimento Unitario Italiano Catania, Manifesto del MUI. Sul separatismo siciliano vedi G.C. Marino, Storia del separatismo siciliano, Roma, Editori Riuniti, 1993; A. Battaglia, Sicilia contesa. Separatismo, guerra e mafia, Roma, Salerno Editrice, 2014.
87 ACS, DGPS, DAG, 1947-1948, b. 59, f. Movimento Unitario Italiano Catania, Relazione Prefettura, Movimento Unitario Italiano, 13 settembre 1944.
88 AUSSME, SIM, b. 113, f. 2-9-12 Movimento fascista a Catania, Movimento fascista a Catania, 7 febbraio 1944.
89 G. Conti, La RSI e l'attività del fascismo clandestino nell'Italia liberata dal settembre 1943 all'aprile 1945, p. 953-954. Tra gli aderenti al Movimento figurava anche il futuro esponente missino catanese Orazio Santagati. Vedi G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, p. 44.
90AUSSME, SIM, b. 27, f. 1-7-122 Italia meridionale – Sicilia-Sardegna: propaganda fascista e separatismo, Italia meridionale – Sicilia-Sardegna: propaganda fascista e separatismo, 7 settembre 1944, p. 2-3.
91 B. Mussolini, Opera omnia, Firenze, La Fenice, 1969, vol. XXXII, p.138.
92 G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, pp. 61-62. Sulla propaganda via radio della Repubblica Sociale Italiana vedi G. Isola, Il microfono conteso. La guerra delle onde nella lotta di liberazione nazionale (1943-1945), «Mélanges de l'Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée», a. 1996, Vol. 108, n. 1, pp. 83-124. Alcuni cenni sulla propaganda della RSI per le ''terre invase'' si trovano in P. Corsini, P. P. Poggio, La guerra civile nei notiziari della Gnr e nella propaganda della RSI, in M. Legnani, F. Vendramini (a cura di), Guerra, guerra di liberazione, guerra civile, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 295-296.
93 Sulla questione vedi F. Giomblanco, Alto tradimento: la repressione dei "Moti del non si parte" dal carcere al confino di Ustica 1944-1946, Ragusa, Sicilia Punto L, 2010.
94 NARA, Department of State, Italy US Embassy and Consulate, Rome, General Records 1936-1963, rg. 84 st. 350 r.62 c.2 s.5, b. 143, f. 800-Sicily, Unrest in Sicliy, 20 dicembre 1944, p. 1.
95 TNA, WO 204/12661 Sicily-Ragusa rebellion, Ragusa riots, 18 gennaio 1945, p. 1.
96 Ivi, p. 1-2.
97 Ivi, p. 3.
98 «Furthermore - leggiamo nella relazione - it is not unlikey that some Nazi subversive agents have been at work stirring up trouble, but there is no evidence to confirm this. Enemy agents recently dropped in Sicily and who were captured had quite different mission to accomplish». TNA, WO 204/12661 Sicily-Ragusa rebellion, Report on the rebellion in the province of Ragusa 5/11 January 1945, 23 febbraio 1945, pp. 13-14. Sulle indagini a proposito di una presunta radiotrasmittente in contatto con il Nord vedi A. Battaglia, Separatismo siciliano. I documenti militari, Roma, Edizioni nuova cultura, 2015, pp. 24-27.
99 TNA, WO 204/12621 Sicily-Fascist groups, Transcript of fascist leaflets, 20 marzo 1945, p. 1.
100 TNA, WO 204/12621 Sicily-Fascist groups, Subversive activity in Sicily, 15 febbraio 1945, allegato, p. 2.
101 M. Tarchi, A. Carioti, Cinquant'anni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo, Milano, Rizzoli 1995, pp. 28-29.
102 G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, pp. 56-57.
103 AUSSME, SIM, b. 73, f. 1-7-49 Organizzazione fascista a Lecce, Rapporto di denuncia di Chironi Romualdo et alii, 5 aprile 1944, pp. 4-7.
104 AUSSME, SIM, b. 73, f. 1-7-49 Organizzazione fascista a Lecce, Organizzazione fascista in provincia di Lecce, 14 marzo 1944, allegato n.2 Processo verbale di interrogatorio di D'ELIA Fabio, p. 1.
105 Ivi, pp. 1-2.
106 AUSSME, SIM, b. 73, f. 1-7-49 Organizzazione fascista a Lecce, Rapporto di denuncia di Chironi Romualdo et alii, 5 aprile 1944, p. 7.
107 AUSSME, SIM, b. 73, f. 1-7-49 Organizzazione fascista a Lecce, Promemoria per il signore generale Rossi, 16 marzo 1944, p. 1.
108 AUSSME, SIM, b. 73, f. 1-7-49 Organizzazione fascista a Lecce, Rapporto di denuncia di Chironi Romualdo et alii, 5 aprile 1944, p. 11.
109 AUSSME, SIM, b. 73, f.1-7-49 Organizzazione fascista a Lecce, Esito processo a carico dei componenti organizzazione fascista di Lecce, 13 giugno 1944. Tra i condannati figurava il futuro consigliere comunale del MSI di Lecce Giuseppe Marti. Vedi ivi, Telegramma, 10 novembre 1977.
110 AUSSME, SIM, b. 74, f. 1-7-146 Organizzazione fascista a Brindisi, Organizzazione fascista, 28 febbraio 1944, p.2.
111 Anche Politi e Fato furono rilasciati ma per entrambi scattò l'obbligo di residenza fino alla fine della guerra. Vedi AUSSME, SIM, b. 74, f. 1-7-146 Organizzazione fascista a Brindisi, Organizzazione fascista a Brindisi, 3 maggio 1944, p. 1 e Relazione sulla presunta organizzazione fascista di Brindisi, 26 giugno 1944.
112 TNA, WO 204/12056 Squinzano fascist conspiracy, AMG court - Barletta spy case, 15 luglio 1944.
113 TNA, WO 204/12056 Squinzano fascist conspiracy, Organizzazione fascista di Barletta, 25 aprile 1944.
114 Ibidem.
115 TNA, WO 204/12056 Squinzano fascist conspiracy, Organizzazione fascista di Barletta, 25 aprile 1944, Allegato n. 1, p. 1.
116 ACS, DAG, 1944-1946, b. 45, f. Partito fascista repubblicano Bari, Barletta attività fascista, 12 settembre 1944.
117 Il caso Pignatelli lo troviamo descritto anche in G. Conti, La RSI e l'attività del fascismo clandestino nell'Italia liberata, pp. 954-964; G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, pp. 55-69; A. Mammone, The black-shirt resistance, pp. 288-290; O. Foppani, The Allies and the Italian Social Republic (1943-1945), Berna, Peter Lang, 2011, pp. 87-103. K. Massara, Vivere pericolosamente, pp. 39-46; K. Massara, The ''indomitable'' Pignatellis, pp. 127-131; M. Avagliano, M. Palmieri, L’Italia di Salò 1943-1945, Bologna, Il Mulino, 2017, pp. 293-300.
118 ACS, DAG, 1944-1946, f. Partito fascista repubblicano Catanzaro vol. 2, Associazione filofascista scoperta in Catanzaro, 7 luglio 1944, pp. 1-2.
119 Ivi, p. 4.
120 Capocasale aveva inoltre provveduto a mettersi in contatto anche con il gruppo di Nicastro. ACS, DAG, 1944-1946, f. Partito fascista repubblicano Catanzaro vol. 2, Fascist reorganization in Calabria, s.d. [1944], p. 2-3.
121 Potrebbe riferirsi agli attentati contro le tipografie che stampavano i giornali ''Ora Nuova'' e ''Nuova Calabria'' di cui si è accennato sopra. ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, General Survey, 26 Maggio 1944, Appendix ''G'' Review of the External Leads from the PIGNATELLI Case up to 19 May 1944, p. 2. Traduzione mia.
122 Luigi Filosa (Cosenza 1897-Cosenza 1981), figura di fascista sui generis, fu tra i fondatori dei Fasci in Calabria. Venne espulso dal partito già nel 1923, dopo essere stato eletto federale, per la sua linea intransigente repubblicana e rivoluzionaria, avvicinandosi in seguito agli ambienti antifascisti. Dopo essere stato condannato a 3 anni di confino, nel febbraio del 1943 decise di rientrare nel PNF. Vedi F. Mazza, Filosa, Luigi, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. 48, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1997, pp. 2-3.
123 ACS, DAG, 1944-1946, f. Partito fascista repubblicano Catanzaro vol. 2, Fascist reorganization in Calabria, s.d. [1944], p. 5.
124 ACS, DAG, 1944-1946, f. Partito fascista repubblicano Catanzaro vol. 1, Riorganizzazione fascista in Calabria, s.d. [1944], p. 5. Si tratta della traduzione del documento citato nella nota precedente.
125 Le frasi in codice sarebbero state «Ei fu, siccome immobile» e «Sparse le trecce morbide sull'affannoso petto». ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, General Survey, 26 Maggio 1944, Appendix ''G'' Review of the External Leads from
the PIGNATELLI Case up to 19 May 1944, p. 2.
126 AUSSME, SIM, b. 103, fasc. 1-7-1426 Sospetta attività di gruppi repubblicani fascisti nel Sud Italia, Attività di gruppi repubblicani fascisti nel Sud Italia, 30 novembre 1944, p. 1.
127 G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, p. 61.
128 A. Mammone, The black-shirt resistance, p. 290
129 V. Pignatelli, Il caso «Pace», oppure il caso «Dirigenti del MSI», Catanzaro, La Tipo Meccanica, 1948, p. 33-34. Parlato nel suo libro accenna a contatti con i gruppi di Bari e Barletta ma non è chiaro da quale fonte egli tragga questa informazione. G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, p. 61.
130 AUSSME, SIM, b. 76, f. 1-7-142 Organizzazione fascista in Calabria, Promemoria per il sig. capitano Stanhope Wright, 16 dicembre 1944, p. 1.
131 V. Pignatelli, Il caso «Pace», p. 33 e AUSSME, SIM, f. Allegati alla pratica f. 1-7-142 Pignatelli, Processo verbale di interrogatorio di Valerio Pignatelli di Cerchiara, 28 maggio 1944, pp. 2-3.
132 La descrizione dei rapporti intrattenuti dai Pignatelli viene tracciata in G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, pp. 60-61, che la riprende da G. Artieri, Mussolini e l'avventura repubblicana, Milano, Mondadori, 1981, pp. 246-247. Non è chiaro quali fonti l'autore utilizzi per raccontare il soggiorno napoletano dei Pignatelli. Pochi cenni dei suoi contatti con gli Alleati vengono offerti dallo stesso Pignatelli in Il caso «Pace», pp. 33-34.
133 V. Pignatelli, Il caso «Pace», p. 34.
134 Ibidem.
135 Emanuele si trovava a Roma da latitante perché aveva partecipato al Fronte militare clandestino di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Vittorio invece era internato in un campo di concentramento tedesco perché aveva rifiutato di combattere per la RSI. La figlia Bona si trovava invece nella casa di amici di famiglia, i baroni Marincola di San Floro. La baronessa Josephine Pomeroy era cittadina americana nonché sorella dell'agente dell'OSS Livingston Pomeroy. Vittoria Odinzova era invece la vedova del terzo figlio di Maria Pignatelli, Francesco, adottata dai Pignatelli alla morte del figlio. Vedi G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, p. 63 e pp. 327-328. Di Emanuele De Seta (il cognome del primo marito di Maria Pignatelli) ne parla diffusamente Peter Tompkins nella sua memoria Una spia a Roma.
136 AUSSME, SIM, b. 76, f. Allegati alla pratica 1-7-192, Relazione s.n., 5 luglio 1944, pp. 2-3.
137 Ivi, pp. 4-5. Per il fatto che Nuvolari fosse diventato, a quanto risulta, in seguito all'arresto dei Pignatelli fiduciario del SIM, vedi AUSSME, SIM, b. 76, f. 1-7-192 Organizzazione fascista in Calabria, Promemoria PIGNATELLI-Introduzione, 6 giugno 1944, p. 3. Per l'impiego del generale Accame nell'OSS vedi ivi, Il soggiorno a Napoli dei Principi Pignatelli, p. 3.
138 AUSSME, SIM, b. 76, f. Allegati alla pratica 1-7-192, Relazione s.n., 5 luglio 1944, pp. 5.
139 ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, General Survey, 26 maggio 1944, Appendix ''C'' Interrogation report on Paolo Poletti, p. 2.
140 Risulta poco credibile l'incontro casuale «in the street of Naples» descritto nell'interrogatorio da Poletti. Ivi, p. 3.
141 Sembra che ad un iniziale rifiuto da parte di Poletti, dato l'imminente arrivo degli Alleati a Roma, la Principessa avesse finto di aver ricevuto un messaggio di aiuto via radio dalla Odinzova, la quale d'altronde era effettivamente in pericolo in quanto, essendo nata a San Pietroburgo, risultava come cittadina straniera nemica. Vedi AUSSME, SIM, b. 76, f. Allegati alla pratica 1-7-192, Relazione s.n., 5 luglio 1944, p. 5, e AUSSME, SIM, b. 76, f. 1-7-192 Organizzazione fascista in Calabria, Promemoria PIGNATELLI, 6 giugno 1944, Il soggiorno a Napoli dei Principi Pignatelli, pp. 2-3.
142 Si trattava, molto probabilmente, del figlio Vittorio internato in Germania, il quale avrebbe dovuto essere liberato grazie all'intervento di Barracu.
143 ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, The ''Aspen'' Operations, 16 maggio 1944, p. 1.
144 Ibidem.
145 AUSSME, SIM, b. 76, f. Allegati alla pratica 1-7-192, Relazione s.n., 5 luglio 1944, pp. 6.
146 Ivi, p. 7.
147 L'incontro con Kesserling è anche annotato da Eugen Dollmann nelle sue memorie. Vedi E. Dollmann, Roma nazista, Milano, Longanesi, 1949, pp. 378-379.
148 «Military matters. State and extent of the Badoglio army: General Tapino is commander of the Italian troops fighting in Southern Italy whit his HQ in Avellino. Morale, care and pay of the Italian troops: Crown Prince Umberto, after visiting the Front, complained of the unusually high losses sustained by these Italian units». ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, Interrogation of persons crossing over the front and utilization of reports of such persons, 3 maggio 1944. Si tratta della traduzione in inglese dei documenti tedeschi rinvenuti a Firenze.
149 ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, Telegram from Huegel to Kappler, Princess Pignatelli, 22 aprile 1944.
150 Come vedremo in seguito è proprio a partire dai mesi centrali del 1944 che il lavoro dei servizi segreti tedeschi nel Sud Italia si fece più intenso e efficace, grazie anche alla nomina di Huegel a capo dell'Ausland-SD in Italia. Vedi C. Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia 1943-1945, p. 480.
151 La principessa negò nel corso degli interrogatori di essere riuscita ad incontrare il Duce mentre, secondo la testimonianza della figlia Bona e del marchese Marincola (che collaborano attivamente con gli Alleati arrivando a smentire le dichiarazioni della Pignatelli) al ritorno da Verona aveva confermato il colloquio con Mussolini. Anche secondo la fonte ''SURE'' che ragguaglierà i servizi angloamericani sul caso, la Pignatelli avrebbe incontrato il Duce. Una conferma in questo senso ci giunge anche dai documenti tedeschi ritrovati a Firenze, dai quali pare di capire che la Pignatelli abbia fatto tappa anche nella stessa Firenze in visita ad una certa Duchessa d'Aosta non meglio specificata. Vedi AUSSME, SIM, b. 76, f. Allegati alla pratica 1-7-192, Relazione s.n., 5 luglio 1944, pp. 9-10; ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, General Survey, 26 maggio 1944, p. 1; ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, Telegram from Huegel to Kappler, Princess Pignatelli, 22 aprile 1944.
152 Unità di controspionaggio in collaborazione tra X-2 (controspionaggio dell'OSS) e G-2 (controspionaggio dell'esercito statunitense). Vedi NARA, rg 226, e. 174, b.148, f. 1124, Prince and Princess Valerio Pignatelli, Paul Poletti and Vittoria Odinzova, p. 1.
153 ACS, ACC, Pignatelli May 1944-June 1946, General Survey, 26 maggio 1944, p. 1.
Nicola Tonietto, La genesi del neofascismo in Italia. Dal periodo clandestino alle manifestazioni per Trieste italiana. 1943-1953, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, anno accademico 2016-2017

venerdì 3 giugno 2022

Dopo i ripetuti bombardamenti alleati al ponte di ferro sul fiume Po, i tedeschi organizzarono attracchi per traghetti

Valenza (IM): Palazzo Pelizzari, sede del Municipio - Fonte: Wikipedia

Le montagne dell'Ossola, le colline del Monferrato, le Langhe, la Val Borbera, l'Oltrepo pavese sono tutti luoghi che hanno vissuto una propria e caratterizzante storia resistenziale, oggi di facile ricostruzione e lettura.
Per le città, ciò difficilmente avviene.
Valenza ne è prova. Una città, organizzata e viva, porta con sé un patrimonio di relazioni fra istituzioni, fra poteri pubblici, centri di riferimento economico e sociale.
Negli anni 30'- 40' Valenza, pur in presenza dell'autarchia di Regime, era legata a filo doppio con Alessandria e Casale Monferrato; sviluppava relazioni con la Lomellina, con Pavia e Milano, con Genova e Torino.
Le vie di comunicazione stradale e ferroviaria erano adeguate, poste a raggiera, con frequenti intersezioni verso Milano, Torino e Genova; il Po fungeva da confine fisico fra Piemonte e Lombardia, ma anche da via di traffico e comunicazione naturale.
Le aziende orafe e calzaturiere alimentavano traffici a dimensione più ampia, oltre i confini italiani; i gerarchi fascisti erano correlati al capoluogo provinciale e da qui verso Torino e Roma; le scuole servivano parecchi paesi limitrofi, con scambi di culture fra contadini, operai, artigiani, imprenditori; il Regime aveva da decenni promosso ed organizzato il consenso, con tutte le varie iniziative di proselitismo e indottrinamento.
Era una città articolata, fatta di vissuto diverso, una città aperta e geograficamente polarizzante.
Furono proprio questi fattori a far decidere gli occupanti tedeschi a scegliere Valenza come centro per collocarvi comandi di polizia, squadre di milizie SS, sezione SD Sicherheit Dienst, militari della Wehrmacht, l'organizzazione Todt, la Zugleitung, postazioni di contraerea della Flak, gruppi di genio pontieri.
La presenza tedesca si rafforzò, dopo che Alessandria divenne sempre più frequente bersaglio dei bombardamenti alleati.
A Valenza venne trasferito il comando provinciale delle truppe tedesche. Non solo, vennero intensificati tutti i controlli sulle vie di comunicazione, sulla rete ferroviaria, sul fiume Po, ad ogni attracco di barche e sui vari ponti di attraversamento fra Trino, Casale e Valenza.
In questo contesto va collocata la storia resistenziale di Valenza, una città occupata dai tedeschi perchè ritenuta strategica, una città cerniera fra due regioni, una città sotto il dominio capillare della K 1014 Kommandantur e l'ausilio delle rinate presenze repubblichine, con comandi della G.N.R. e Brigate Nere.
Pur in questo difficile contesto, sorsero le formazioni GAP (gruppi di azione patriottica) di Enzo Luigi Guidi, detto Batista; poi alcune esperienze di SAP (squadre di azione patriottica); la componente comunista, come in passato era stata fattore determinante dell'antifascismo locale unitamente alla matrice socialista, costituì una significativa ispirazione per le formazioni partigiane; venne ricostituita la sezione del PCI, mix di militanza politica ed ideologica.
I distaccamenti Rasinone e Paradiso, il gruppo di Ticineto-Valmacca della Garibaldi, vissero fasi diverse di organizzazione, in crescendo per adesioni ed efficacia. Si affermarono, inoltre, le formazioni GL Paolo Braccini con la brigata Pasino, al comando di Carlo Garbarino fra San Salvatore e Castelletto Monferrato; con la brigata Lenti al comando di Filippo Callori nell'area di Vignale.
Operarono, inoltre, la Divisione Matteotti-Marengo Borgo Po, tra Valle San Bartolomeo-Filippona-Lobbi; la Divisione Patria fra Occimiano-Mirabello-Giarole; la brigata 108 Paolo Rossi della Garibaldi, con il distaccamento nell'area di Bassignana-Fiondi-Pecetto-Grava-Mugarone <1
Attorno a Valenza, mese dopo mese, venne creata una rete capillare ed efficace di dissenso operativo. Le formazioni partigiane si impegnarono in consistenti azioni di sabotaggio e danneggiamento verso i posti di blocco e controllo dei nazifascisti; ospitarono e nascosero per mesi i prigionieri alleati inglesi, americani, australiani, neozelandesi liberati dai campi di concentramento-prigionia del Piemonte e Lombardia e dal Forte di Gavi.
La stazione e la galleria ferroviaria fra Valenza e Valmadonna costituirono per mesi l'obiettivo di furti, saccheggi da parte delle formazioni partigiane.
Sull'arteria ferroviaria, infatti, i tedeschi fecero transitare armi e viveri verso altre località lombarde e piemontesi, per evitare i frequenti bombardamenti alleati su Alessandria.
In alcune circostanze, i partigiani nascosero le armi e munizioni saccheggiate ai tedeschi proprio all'interno della galleria di Valmadonna.
Le formazioni GAP attaccarono a più riprese le postazioni tedesche; le azioni di sabotaggio sono ampiamente documentate e citate in numerosi dispacci e fonogrammi che i tedeschi inviavano giornalmente ai comandi superiori, fonogrammi rinvenuti recentemente, tradotti e pubblicati nel volume "Resistenza e nuova coscienza civile" a cura dell'autore.
I comandi tedeschi giunsero a comminare multe salatissime ai comuni del Valenzano per disincentivare le attività di sabotaggio. Le multe dovevano essere pagate al comando tedesco di Valenza. I tedeschi non solo occuparono il territorio, ma inflissero sanzioni per punire le azioni di dissenso delle popolazioni.
Gli esordi, il CLN, una città controllata dai tedeschi.
La caduta di Mussolini del 25 luglio e l’armistizio dell' 8 settembre 1943 rialimentarono le convinzioni e le speranze per la libertà, anche a Valenza. Durante il ventennio fascista, il dissenso esplicito venne rappresentato, in modo efficace, dal socialista Francesco Boris, già capostazione. Non aderì al Fascio, dovette cercarsi un altro lavoro. Le organizzazioni comuniste, pur nell'omologazione dissuasiva del Fascio, tennero vivo il pensiero antifascista attraverso cellule di militanti. A Valenza era operativa una sezione comunista a tutti gli effetti, con riferimenti organici con Alessandria e Torino.
Anche nelle file cattoliche, si costituì nel ’42 la prima sezione della DC, d’ispirazione degasperiana. Nel laboratorio della farmacia Manfredi, alla presenza dell’ex popolare avv. Giuseppe Brusasca, venne fondata la sezione. Contribuirono Carlo Barberis, Gigi Venanzio Vaggi, Luigi e Vittorio Manfredi, Pietro Staurino, Luigi Deambroggi, Luigi Stanchi, Giuseppe Bonelli e Felice Cavalli. La sezione sviluppò immediatamente temi ed iniziative di dissenso clandestino al regime.
Alla notizia dell’arresto di Mussolini, nell’abitazione di Francesco Boris, si tenne un primo incontro per costituire il CLN valenzano. Accanto a Boris per il partito socialista, vi aderirono Luigi Vaggi per la DC, Ercole Morando per il PCI, Vittorio Carones per il Partito d’Azione e Poggio per il PLI, poi sostituito da Barberis detto Cuttica.
Il CLN di Valenza tenne varie riunioni, cambiando sede di volta in volta, per non destare sospetti. Si svolsero a casa Boris, a casa di Costantino Scalcabarozzi, in casa Mazza alle Terme di Monte Valenza, a casa dei fratelli Marchese, nella biblioteca Silvio Pellico dell’oratorio del Duomo di Valenza. <2
Francesco Boris e Paolo De Michelis (già parlamentare socialista negli anni ’20) furono arrestati a marzo 1944 e condotti nella sezione tedesca delle Carceri Nuove a Torino, per poi essere inviati nei campi in Germania. Vennero poi liberati, grazie ad uno scambio di prigionieri.
Il 16 gennaio 1944, il ventenne Sandro Pino venne colpito a morte in occasione di una perquisizione e retata della G.N.R. nel bar Achille, nel pieno centro, alla caccia di antifascisti e ribelli. Il fatto destò grande sconcerto ed intimorì i giovani. Giulio Doria, antifascista ed aderente a metà ’44 al movimento partigiano, ricorda dettagliatamente quei difficili momenti nell’intervista rilasciata a Maria Grazia Molina e pubblicata nel n. 23 di “Valenza d’na vota” edito a dicembre 2008. Il fratello di Giulio, Mario, aderì subito alla formazione autonoma Patria, guidata da Edoardo Martino e Giovanni Sisto. Il secondo fratello, Pietro, visse anni di prigionia in Germania, come militare catturato dai tedeschi. Giulio disertò la chiamata alla Capitaneria di Savona e si diede alla macchia, nella campagna valenzana. Giulio ricorda d’aver curato e nascosto cinque militari australiani, sfuggiti alla cattura dei tedeschi; di averli poi avviati in Lombardia. Anche Giulio entrò nella brigata autonoma Patria, si collegò con Vaggi e tesse una fitta rete di relazioni fra la città ed i comuni del Monferrato.
La presenza strutturata dei tedeschi occupanti cambiò il volto alla città. I liberi movimenti erano impossibili; le truppe tedesche, coadiuvate ed indirizzate dai fascisti repubblichini, erano pervasive. Vennero organizzati frequenti posti di blocco sulle vie di accesso, sulle arterie di comunicazione verso Pavia, Alessandria, Casale Monferrato, Tortona. La ferrovia era super controllata, perchè utilizzata spesso dai tedeschi per il trasferimento di esplosivi ed armi. Dopo i ripetuti bombardamenti alleati al ponte di ferro sul fiume Po, i tedeschi organizzarono attracchi per traghetti, sui quali transitavano truppe, armi e munizioni verso Milano.
Il 17 febbraio 1944, il 10 dicembre 1944 ed il 2 marzo 1945 si ebbero a Valenza rastrellamenti intensi e radicali, con minuziose perquisizioni ad intere vie ed isolati, arresti di giovani.
L' attività della missione americana Youngstown. Inediti dall'archivio di Gian Carlo Ratti
Una precisa conferma dell'organizzazione militare e logistica tedesca, delle forze partigiane operanti nel Monferrato e nel Valenzano, ci viene dall'inedito e significativo materiale documentale presente nell'archivio Gian Carlo Ratti, ora in consegna all'autore, di prossimo commento e pubblicazione. <3 L'archivio è costituito da un dettagliato memoriale, da ampia documentazione in originale, da mappe, appunti, manoscritti, rapporti, note di guerra, attestati, fonogrammi [...]
 

Un'immagine del bombardamento sul ponte e sulla strada di Torre Beretti (PV), effettuato il 27 Luglio 1944 dai bombardieri statunitensi del 320° Bomb Group, tratta dal sito www.320thbg.org, qui ripresa da Sergio Favretto, Op. cit. infra

[NOTE]
1 Si vedano i saggi: "Valenza antifascista e partigiana" di Enzo Luigi Guidi, edito nel 1981 dall'ANPI di Valenza; "Resistenza e nuova coscienza civile" di Sergio Favretto, edito da Falsopiano nel 2009; "La Provincia di Alessandria nella Resistenza" di William Valsesia, edito nel 1980; "Una brigata di pianura, cronaca della 108° brigata Garibaldi Paolo Rossi" di O. Mussio, edito dall'ANPI di Castelnuovo Scrivia, nel 1976.
2 Questi avvenimenti sono descritti nel volume "Resistenza e nuova coscienza civile" di Sergio Favretto, edito da Falsopiano nel 2009
3 L'archivio Ratti è stato solo recentemente consegnato in esame e custodia all'autore. Si presenta, già a primo acchito, come una fonte significativa di documentazione inedita. Per il 2013 si presume possa costituire la fonte di nuove analisi storiche e possa essere ospitato in alcune pubblicazioni sui temi resistenziali del Piemonte.
Sergio Favretto, La Resistenza nel Valenzano. L'eccidio della Banda Lenti, Comune di Valenza (AL), 2012

[ n.d.r.: nella bibliografia di Sergio Favretto: Partigiani del mare. Antifascismo e Resistenza sul confine ligure-francese, Seb27, Torino, 2022; Il papiro di Artemidoro: verità e trasparenza nel mercato dei beni culturali e delle opere d’arte, LineLab, Alessandria, 2020; Con la Resistenza. Intelligence e missioni alleate sulla costa ligure, Seb27, Torino, 2019; Un carabiniere, testimone di storia. Mussolini a Ponza e a la Maddalena narrato in un diario, Arti grafiche, 2017; Una trama sottile. Fiat, fabbrica, missioni alleate e Resistenza, Seb27, 2017; Coraggio e passione. Riccardo Coppo, il sindaco, le sfide, Falsopiano, 2017; Fenoglio verso il 25 aprile, Falsopiano, 2015; Resistenza e nuova coscienza civile. Fatti e protagonisti nel Monferrato casalese, Falsopiano, 2009; Il diritto a braccetto con l'arte, Falsopiano, 2007; Giuseppe Brusasca: radicale antifascismo e servizio alle istituzioni, Atti convegno di studi a Casale Monferrato, maggio 2006; I nuovi Centri per l’Impiego fra sviluppo locale e occupazione (con Daniele Ciravegna e Mario Matto), Franco Angeli, 2000; Casale Partigiana: fatti e personaggi della resistenza nel Casalese, Libertas Club, 1977 ]

lunedì 23 maggio 2022

La Resistenza è iniziata proprio a Roma, subito dopo l'8 settembre


Il processo di liberazione dall’occupante nella Capitale presenta svariate caratteristiche che lo rendono anomalo rispetto a quello registrato su scala nazionale; in particolare in confronto alla lotta partigiana nei centri urbani del centro-nord, dove i partiti e le loro rispettive formazioni militari (le bande partigiane, tra cui è bene menzionare le più attive, ovvero le Brigate Garibaldi legate al PCI, le Brigate Giustizia e Libertà legate al Pd’A, le brigate azzurre, formalmente indipendenti ma politicamente di sentimenti monarchici e badogliani, le “Brigate del popolo” e le “Brigate Fiamme Verdi” legate alla Democrazia Cristiana) riuscirono a coinvolgere attivamente e con successo la popolazione, la lotta armata partigiana a Roma vide una scarsa partecipazione popolare e fu sostanzialmente lasciata nelle mani dei partiti ciellenisti di sinistra, il cui attivismo sorprese e mise in grande difficoltà i nazisti.
Un’altra peculiarità della Resistenza romana sta nell’estrazione socio-culturale dei suoi protagonisti; se nel nord-Italia le promesse di radicale mutamento politico e sociale portate avanti dagli intellettuali dei partiti antifascisti di sinistra raccolsero consensi e adesioni in quel proletariato operaio, storicamente legato alle organizzazioni sindacali socialiste e desideroso di vendicare le vessazioni subite dalle squadre fasciste vent’anni prima, lo stesso non si poteva dire per le masse delle borgate romane che, composte perlopiù da contadini inurbati provenienti dal Meridione o dalle campagne adiacenti alla città (lo sterminato Agro romano), erano totalmente prive - date debite eccezioni - di quella coscienza politica necessaria per impegnarsi in una guerra di liberazione così cruenta. Perciò la lotta partigiana fu condotta dagli esponenti della medio-alta borghesia romana che, animati da un forte senso della patria e desiderosi di riscattare l’immagine del paese travolta da vent’anni di dittatura, nel secondo dopoguerra saranno i protagonisti di quell’Assemblea costituente che regolò (e regola tuttora, a distanza di settant’anni) la vita politica del paese; era ad esempio questo il caso del nucleo più attivo dei Gap centrali, composto da uomini come Antonello Trombadori, Rosario Bentivegna, Franco Calamandrei, Maria Teresa Regard, i quali erano stati educati culturalmente nei migliori licei della Capitale e avevano sin da giovanissimi sviluppato una profonda coscienza antifascista. Non mancarono comunque i casi di piccole formazioni partigiane operanti nelle periferie, soprattutto in quelle della parte meridionale della città, come le bande partigiane di Bandiera Rossa.
Un elemento che non si può non considerare quando si parla dell’anomalia della situazione di Roma negli anni della Liberazione è la forte presenza nella città della Chiesa cattolica. Il radicamento nella città di un’autorità morale e spirituale millenaria come il Papa ha esercitato senz’altro una funzione di dissuasore per i nazisti i quali, sotto l’impulso principalmente dei loro diplomatici, non intendevano scatenare nella città del “Vicario di Cristo” una guerra senza quartiere e nei fatti non spiegarono appieno tutta la loro forza repressiva contro il movimento partigiano. Al centro di un ampio dibattito storiografico, lo stesso ruolo della Chiesa fu in quegli anni molto ambivalente; se da un lato molti sottolinearono la mancata condanna ufficiale da parte di papa Pio XII degli abomini nazisti commessi nella città (come il rastrellamento del ghettoebraico il 16 ottobre 1943 o l’eccidio delle FosseArdeatine), è imprescindibile ricordare il fondamentale aiuto che gli uomini della Chiesa (vescovi, prelati, parroci ecc.) prestarono ai perseguitati, nascondendo nelle parrocchie e nei conventi ebrei, antifascisti di ogni schieramento, militari che erano sfuggiti al reclutamento nell’esercito della RSI ecc. Alcuni di essi pagarono con la vita il prezzo del loro coraggio e del loro impegno politico; è bene menzionare don Giuseppe Morosini, arrestato dalle SS a causa della delazione di un infiltrato e poi fucilato a Forte Bravetta il 3 aprile 1944, oppure don Pietro Pappagallo, il quale per aver nascosto molti perseguitati fu arrestato dalle SS (anche lui in seguito a delazione) e fu l’unico prete cattolico ad essere fucilato alle Ardeatine. Il loro sacrificio non risultò vano in quanto moltissimi ebrei e antifascisti (il più importante era probabilmente Alcide De Gasperi, leader indiscusso della Dc nel primissimo dopoguerra) riuscirono a sfuggire alle retate nazifasciste protetti negli edifici vaticani che godevano dello status di extraterritorialità, un particolare status giuridico riconosciuto dallo stato italiano alla Chiesa in base al quale essa esercitava (ed esercita tuttora) la propria esclusiva giurisdizione su alcune sue proprietà sul suolo romano. Tuttavia questo status giuridico di diritto internazionale non bastò a frenare la furia antipartigiana di alcuni solerti aguzzini, di cui il più emblematico e famoso è sicuramente Pietro Koch; questo ex-tenente dell’esercito italiano formò nei primi giorni del gennaio 1944 una banda - la cd. Banda Pietro Koch - il cui operato è famoso per due irruzioni commesse in edifici vaticani che avevano l’attributo giuridico dell’extraterritorialità (una serie di istituti religiosi collegati dal medesimo ingresso in piazza Santa Maria Maggiore nel primo caso, la basilica di San Paolo nel secondo) al fine di stanare gli oppositori politici che vi si nascondevano.
Si può quindi concludere che sia stata proprio l’importanza di una città come Roma - capitale d’Italia, storica sede della Chiesa cattolica, culla della società occidentale e ricca come nessun’altra città al mondo di monumenti di incommensurabile valore storico ed artistico - a conferire unicità allo sforzo per mantenere il suo controllo (da parte dei nazifascisti) e alla lotta per la sua liberazione dall’occupante (da parte del movimento partigiano). A tal proposito rinnovo anche qui quella che è stata la mia tesi introduttiva, e cioè che a Roma si è giocata la partita decisiva all’interno del più ampio contesto storico della lotta per la liberazione nazionale; di ciò ne erano consapevoli tutte le forze in campo (nazisti, fascisti, partiti antifascisti, Alleati ecc.) che a tal proposito impiegarono tutte le loro energie per poterla controllare.
Guglielmo Salimei, Roma negli anni della liberazione: occupazione nazista e lotta partigiana, Tesi di laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno accademico 2020-2021
 
[n.d.r.: anche Giorgio Amendola, dirigente di spicco del PCI clandestino nella capitale e, pertanto, responsabile dei GAP romani, sosteneva la tesi di una non congrua partecipazione popolare agli eventi della Resistenza nella capitale, mentre il suo collaboratore nei Gruppi di Azione Patriottica, Rosario Bentivegna, sembra nei suoi scritti - vedere infra - di parere nettamente diverso]

Un "revisionismo" mistificatore e falso ha colpito soprattutto la Resistenza romana e la sua guerra di liberazione, e in particolare uno dei suoi episodi più drammatici, la strage delle Fosse Ardeatine, che i nazisti perpetrarono nella massima segretezza e con la massima fretta per paura delle reazioni preventive della cittadinanza, dei parenti dei prigionieri in mano nazista e della Resistenza. Qui la fantasia dei falsari e dei mistificatori ha raggiunto cime eccelse, e ne abbiamo colto significative manifestazioni perfino su "L’Unità" di Furio Colombo, dove il 24 marzo scorso, in memoria di quella strage, si riproponeva una tesi cara a tutti gli attendisti, e cioè che l’attacco partigiano di via Rasella, in cui fu annientata la 11° compagnia del terzo battaglione dell’SS Polizei Regiment Bozen "fu un atto di guerra, dettato da emotività più che da un preciso ragionamento, discutibile sul piano dell’opportunità e sbagliato se messo in relazione con le finalità che si volevano raggiungere" (a parte lo spazio dato nei mesi precedenti ad alcuni scritti del Vivarelli ove si ricordavano le benemerenze patriottiche della X Mas e del suo eroico comandante, il principe golpista Valerio Borghese, o le amene considerazioni sullo stato di "città aperta" di Roma, con un titolo, il 15 agosto 2001, addirittura esilarante).
La nostra gente, pur affamata e terrorizzata, e ben sapendo di correre rischi mortali, ci aiutava, checché ne dicano il De Felice, o il Montanelli, o il Lepre, ecc. ecc., che sopravvennero dopo i primi exploit dei giornalisti repubblichini Spampanato e Guglielmotti, o dello "storico" Giorgio Pisanò, cantore dell’epopea repubblichina, o, nel 1948, in piena "guerra fredda", dei Comitati Civici dell’Azione Cattolica di Pacelli e di Gedda.
Quella nostra gente ci nascondeva, ci sfamava quando poteva e ci curava se ammalati o feriti, rifiutava di denunciarci, così come del resto aiutava e non denunciava i giovani renitenti di leva, gli uomini che si sottraevano al lavoro forzato imposto dai nazisti, i soldati e gli ufficiali sbandati, gli ebrei, i carabinieri, i prigionieri alleati evasi, i ricercati politici antifascisti e i politici fascisti che non avevano aderito al P.F.R. (bisogna pur ricordarlo: dei quadri del fascismo, solo il 10% di quelli periferici e il 15% di quelli nazionali aderirono al governo collaborazionista della Repubblica Sociale; degli oltre quattro milioni di italiani iscritti al P.N.F., costretti ad avere quella "tessera del pane", solo 200.000 - il 5% - si iscrissero al P.F.R.).
I romani e la rete di solidarietà
I romani poi, dietro il loro menefreghismo ironico e apparentemente opportunista, seppero costruire spontaneamente una rete straordinaria di solidarietà attiva nei confronti delle centinaia di migliaia di ricercati e perseguitati che affollavano la loro città. Essi, pur temendo per la loro vita e imprecando a parole contro chi poteva turbare la loro sacrosanta voglia di quiete, non esitarono a schierarsi nei fatti dalla parte della libertà e contro la crudele presenza dei tedeschi e dei fascisti, isolati e "schizzati".
Da questa Resistenza, fatta di fame e di sofferenze, ha preso le mosse la Guerra di liberazione nazionale, che è iniziata proprio a Roma, subito dopo l'8 settembre, oltre che con una intensa attività diplomatica, politica, di agitazione, di "intelligence", anche con iniziative militari che hanno fatto della nostra città la capitale dell’Europa occupata che ha dato più filo da torcere agli eserciti tedeschi (Dollman), che ha fatto dire a Kappler che dei romani non ci si poteva fidare, che ha fatto raccontare a Mhulhausen la paura che lo stesso Kappler aveva dei partigiani e della gente di Roma.
Dice Renzo De Felice: ("Il Rosso e il Nero", pag. 60): "Roma fu la città col maggior numero di renitenti: un po’ per la sua configurazione sociologica, un po’ perché era stata l’unica città in cui si era tentata la resistenza armata contro i tedeschi dopo l’armistizio, un po’ per la presenza del Vaticano e del gran numero di luoghi ed edifici dove i renitenti potevano nascondersi. Al primo posto ci fù la "difesa di se stessi", sia da parte di chi rispose al bando, sia per chi riuscì a nascondersi, come per chi fu costretto a salire in montagna. Molti di questi divennero valorosi partigiani. Per molti altri pesò sempre il vizio di origine di una scelta opportunistica", che, aggiungo, ha aperto lo spazio a tutte le fantasie e le menzogne della vulgata antipartigiana.
In quei terribili nove mesi Roma - anche per ragioni geografiche (eravamo a poche diecine di chilometri dal fronte) - è stata all'avanguardia (politica e militare) di tutte le città italiane occupate: la sua gente, i partigiani che da essa provenivano, hanno reso impossibile il disegno strategico del nemico, che voleva fare di Roma, dei suoi nodi stradali e ferroviari, dei suoi servizi, un comodo transito e un rifugio per i mezzi e le truppe da e per il fronte di Cassino e di Anzio, una tranquilla base per i suoi alti comandi, il luogo dove permettere un piacevole ristoro ai suoi soldati impegnati sul fronte.
I romani, con i loro figli partigiani che colpivano e sabotavano il nemico ogni giorno e ogni notte in città, nelle campagne intorno Roma e nel Lazio, con la loro capacità di aiutarli, nasconderli, proteggerli, fecero di Roma "una città esplosiva", come dovette ammettere Kappler, il boia delle Ardeatine, nel processo che subì alla fine della guerra.
Questa era la strategia della Resistenza romana, che perfino il collaboratore de L’Unità mostra di non aver compreso.
Il Maresciallo Clark, comandante della V Armata americana, ebbe a dire personalmente a Boldrini che soltanto quando le truppe anglo-americane entrarono in Roma i Comandi Alleati capirono senza più alcun dubbio che l’Italia era con loro.
Il costo della lotta partigiana
Abbiamo pagato cara questa nostra Resistenza: 650 Caduti, tra il il 9 e il 10 settembee 1943, nella battaglia per Roma. Di essi 400 erano ufficiali o soldati, e dei civili ben 17 furono le donne.
Oltre 50 furono i bombardamenti Alleati, dovuti alla presenza in città di comandi, mezzi e truppe tedesche (altro che "città aperta"!); fame e miseria; deportazioni; rastrellamenti in tutti i quartieri, centrali e periferici; il coprifuoco alle 4 del pomeriggio; unica città in Italia, fu proibito a Roma l'uso delle biciclette (altri mezzi, oltre quelli pubblici, non erano consentiti ai civili); feroci esecuzioni e rappresaglie, le Ardeatine, Bravetta, La Storta, il Ghetto, il Quadraro, le razzie, gli arresti, le torture (via Tasso, Palazzo Braschi, la pensione Oltremare, la pensione Jaccarino, Regina Coeli, ecc.: operavano in Roma ben 18 "polizie", tedesche e italiane, pubbliche e "private"!), gli assassinii compiuti a freddo nel centro della città e nelle borgate.(10 fucilati a Pietralata, 6 renitenti fucilati a Ladispoli, 10 donne fucilate a Portuense, dieci donne fucilate a Tiburtino 3°, circa 80 fucilati a Bravetta, 14 fucilati alla Storta.....più la strage del Quadraro: su 700 cittadini deportati ne sono tornati solo 300!... più la strage degli ebrei , circa duemilacinquecento deportati, ne sono tornati circa 120...
I partigiani romani uccisi in combattimento, morti sotto la tortura o fucilati, nei nove mesi che vanno dal 9 settembre 1943 al 5 giugno del 1944 sono 1.735, oltre ad alcune migliaia di cittadini romani, ebrei e non, deportati nei campi di sterminio in Germania e che non sono tornati; ma in questi stessi nove mesi in Roma furono condotte azioni militari e di sabotaggio che in numero e in qualità non hanno pari, nei limiti di quel periodo, in nessun’altra città d'Italia.
Fu così che il nemico pagò cara la sua permanenza in città, e si vendicò manifestando la sua brutale ferocia.
Ma quando gli eserciti alleati incalzarono, i tedeschi e i fascisti abbandonarono Roma precipitosamente, contro gli ordini di Hittler e Mussolini, che volevano impegnare battaglia in città casa per casa e deportare tutti gli uomini validi per il lavoro coatto, secondo i piani già approntati dal generale delle SS Wolff.
Roma era una "città esplosiva", e la non lontana esperienza di Napoli convinse anche i più feroci tra i nostri nemici a non correre rischi già sperimentati.
La Resistenza romana ebbe caratteristiche di spontaneità e di diffusione capillare che è difficile trovare altrove. Sono diecine le formazioni impegnate, grandi come come quelle dei partiti del CLN, in particolare i tre partiti di sinistra, PCI, Pd’A e PSIUP, come Bandiera Rossa, o i Cattolici Comunisti, o come il Centro Militare Clandestino dei "badogliani", ma anche piccole o piccolissime, che, per non aver potuto o voluto trovare il collegamento con i partiti del CLN, operavano autonomamente contro i tedeschi e i collaborazionisti fascisti.
Sono noti episodi di iniziative solidaristiche, ma anche di sabotaggio e di guerriglia, condotti addirittura da famiglie o da singoli, fino all’ultimo giorno dell’occupazione tedesca.
Tutto ciò, e per molte ragioni, che ha esaminato di recente anche Alessandro Portelli nel suo splendido libro "L’Ordine è stato eseguito" ed. Donzelli, che ha ottenuto nel 1999, con il Premio Viareggio per la saggistica il più ambito riconoscimento letterario italiano, si è attenuato nella memoria storica della città perché ha prevalso la disinformazione attraverso l’uso ripetuto di falsi e mistificazioni, malgrado le smentite documentate e l’uniformità delle delibere di tutti i livelli della magistratura, fino alle Cassazioni civili, penali e militari [...]
Rosario Bentivegna, Sulla Resistenza romana e sulle vicende di via Rasella si sono dette troppe sciocchezze. Anche a sinistra, "la RINASCITA della sinistra", 18 ottobre 2002, pagg 28-29, art. qui ripreso da resistenzaitaliana.it

La parola segreta era "Elefante". Questa volta, a differenza dai tempi dell’invasione cartaginese, l’elefante non arrivava come nemico. Significava che gli alleati stavano per liberare Roma. L’elefante amico. La radio alleata trasmise la parola "elefante" alle 23,15 del 3 giugno 1944. Le retroguardie tedesche lasciarono Roma la mattina del 4 giugno, mentre gli ultimi prigionieri di via Tasso erano liberati dalla popolazione e la palazzina del boia Kappler veniva saccheggiata. L’esercito di Clark inondò Roma nelle prime ore del pomeriggio incontrando le prime folle festanti nelle periferie della via Prenestina, della via Casilina, della via Appia, e nelle borgate di Tor Pignattara e Centocelle, dove i fascisti e i tedeschi nelle ultime settimane non avevano osato più passare né di giorno né di notte per paura dei partigiani.
I sentimenti di un popolo che aveva vissuto una terribile notte durata nove mesi non erano molto diversi da quelli dei soldati che dall’inverno avevano sostenuto durissime battaglie sui fronti di Cassino e di Anzio. Solo negli ultimi 23 giorni, la quinta e la settima armata erano riuscite a scardinare la linea Gustav, si erano aperte, attraverso i monti Aurunci, la strada per i Castelli Romani, e unendosi alle truppe sbarcate quattro mesi prima ad Anzio, avevano dato l’ultima spallata al generale Kesserling, che, annidato nelle caverne del monte Soratte, inviava al macello i suoi battaglioni. Roma, la prima capitale europea liberata, era un simbolo per i soldati alleati come lo era per tutti gli italiani.
Redazione, La Liberazione di Roma (4 giugno 1944) in resistenzaitaliana.it