Come Il partigiano Johnny, anche Il Clandestino <12 di Mario Tobino è un affresco della Resistenza - in particolare dei suoi inizi - in cui l'evento storico in questione non è più allontanato e demonizzato ma assunto come momento positivo del riscatto di un'umanità fino a quel momento soffocata dal regime. È il primo romanzo in cui Tobino affronta questo nodo tematico, che toccherà tangenzialmente nel racconto Una giornata con Dufenne <13 e riprenderà poi con Tre amici. <14 Opera dalla lunga gestazione <15 e dall'origine autobiografica, Il Clandestino racconta i primi passi del movimento partigiano nato nell'immaginario paese di Medusa, dietro cui si distingue Viareggio. Al centro non è più un singolo personaggio come nei romanzi fenogliani ma un'intera comunità, che rivive nell'impostazione corale di un intreccio in cui le figure centrali sono alter ego di donne e uomini realmente esistiti. Il titolo stesso guida il lettore a far attenzione non ad un solo personaggio, come per il Partigiano, ma ad un protagonista collettivo: questo fa del romanzo di Tobino una tappa evolutiva da segnalare nel percorso della narrativa sulla Resistenza.
Non ci si concentra più sulle reazioni di un individuo che si trova perso ed isolato di fronte ad un evento più grande di lui; al contrario, la voce narrante pone l'accento su un cenacolo di persone, diverse per cultura ed estrazione sociale, che si uniscono, con entusiasmo e determinazione, nella lotta contro un nemico comune.
L'abilità pittorica dello scrittore si esercita nel ritrarre una gamma di personaggi molto diversi l'uno dall'altro. Guida l'organizzazione clandestina della lotta il Summonti, giovane di estrazione borghese ma convinto comunista - è conosciuto da tutti come il “prete rosso” - spesso frenato nelle sue decisioni da un credo politico che non lo aiuta a risolvere i tanti interrogativi della guerra civile; gli fa da spalla e da contrappeso il Mosca, ingegnere lontano dalle strette di partito e votato all'impeto, all'azione. Altro intellettuale e pensatore è Gustavo Duchen, docente di filosofia altruista e riflessivo, spesso riservato, che si lascia trasportare dall'entusiasmo della lotta; come lui Marino, scrittore e poeta che rifiuta la sua torre d'avorio e si unisce al gruppo clandestino, svincolandosi così dal ruolo iniziale dell'intellettuale inetto.
Il romanzo è attento anche alla stratificazione sociale: Adriatico, umile calafato orfano dei genitori, rappresenta la voce popolare di una città votata al mare e all'attività marinara. Uno spazio è riservato all'elemento nobiliare, con Saverio - ammiraglio nostalgico del Risorgimento e degli ambienti monarchici radiato dalla Marina per discorsi sovversivi - e l'amante Nelly, contessa civettuola e apparentemente superficiale, accompagnati dal loro entourage. Non mancano i rappresentanti della parte avversa: i fascisti bastonatori di Medusa, il podestà e i repubblichini.
Con pochi tratti descrittivi o sfruttando episodi salienti, la voce narrante sa mantenere tutti i personaggi su uno stesso livello di approfondimento caratteriale, tanto che risulta impossibile individuare un protagonista che svetti sugli altri. Il romanzo, inoltre, si apre grazie all'ampio respiro del narratore onnisciente ad abbracciare l'intera collettività che in esso si agita.
Si deve ammettere certo che il romanzo di Tobino è popolato da personaggi così calati nel loro ruolo, così solidali gli uni con gli altri e decisi nelle loro azioni da risultare irreali: la determinazione priva di qualsiasi paura, l'indomito coraggio che li smuove, l'universale accordo nato tra loro rasenta un ideale che difficilmente può essere creduto possibile. Nel mondo di Tobino, i buoni e i cattivi, i valorosi e gli opportunisti sono divisi con l'accetta, senza chiaroscuri.
La coralità del romanzo coinvolge anche la cittadina di Medusa con le sue vie, il mare e il territorio circostante, tanto che può essere considerata una protagonista alla pari degli altri. Apre il primo capitolo, infatti, la descrizione della città, con le sue passioni e i suoi difetti, che reagisce al messaggio radio del 25 luglio allo stesso modo di una persona, in carne ed ossa: "A questi messaggi Medusa, come avvenne in tutte le città d'Italia, si risvegliò, immediatamente fu dimenticata la stagione balneare; Piazza Grande riebbe tutti i suoi diritti. Medusa oltre la celebrità balneare è giustamente nota per essere sensibile alla politica, per partecipare agli impeti ribelli e anarchici della regione dove è situata. Forse è il rischio del mare e il duro lavoro dei calafati che la sospinge a generose intemperanze; e la frequenza con gli oziosi bagnanti estivi oltre a donare ai medusiani il senso dell'ingiustizia sociale obbliga a constatare come la ricchezza di rado si accompagna alla virtù". <16
Lungo il romanzo, la voce narrante getta spesso uno sguardo alle sorti della cittadina, inerme spettatrice e vittima delle scelte umane. Ecco come la città è descritta, attraverso gli occhi di Anselmo, dopo l'arresto di alcuni componenti del gruppo clandestino. Medusa è come morta, privata dell'impeto della sua gioventù di ribelli: " 'Li hanno arrestati! Chi è stato? Da chi è partito, che gli faranno?' e rientrando in casa Anselmo ebbe la sensazione che la città fosse stata dissanguata, orbata della sua linfa gentile, ignobili mani l'avessero profanata, udì nella testa un brusio di pensieri, uno sciame che vola caldo nel sole". <17
Ulteriore esempio è la descrizione della città dopo la partenza degli antifascisti del gruppo clandestino, decisi a creare una formazione in montagna. Qui si legge chiaramente l'importanza che l'uomo riveste nel dare vita e storia allo spazio. Denudata dalle ruberie dei tedeschi e priva dei suoi combattenti, la città resta indifesa, quasi stupita di quel vuoto: "Laggiù Medusa era rimasta sola, senza neppure un cittadino. Chi poi per caso straordinario ci capitò raccontava che era immersa in un silenzio, uno stupore; lungo i marciapiedi erano cresciute delle erbe, dei ramoscelli. Se si percorrevano in bicicletta le strade risuonava netto e quasi pauroso il fruscio delle gomme, il ticchettio della ruota libera. Tutte le porte delle case erano aperte, c'entrava l'aria, la luce, il buio. Quando si alzava il libeccio le porte sbattevano. Sulla spiaggia si erano formate le dune, i pesci arrivavano indisturbati alla riva. I tedeschi avevano fatto crollare tutti i campanili delle chiese, anche il più antico, quello di Santa Rosalia; i rottami giacevano su un lato". <18
La città vive, quindi, nei suoi abitanti: privata di essi, risulta un corpo vuoto, inerte. Ambientato per la più parte in una città marittima, di marinai e calafati, raramente nel romanzo si intravede l'ambiente, collinare o montuoso, tipico dei racconti partigiani. Nelle poche pagine in cui questo avviene, anche il paesaggio naturale, come la città, assume connotati e sentimenti umani, razionali, e porta l'impronta della comunità che vi si muove: elemento, questo, che differenzia molto Tobino da Fenoglio, per il quale la natura è invece una forza indipendente dall'uomo, che agisce su di lui inducendolo ad assumere comportamenti ferini, fino alla completa disumanizzazione.
Nel Clandestino la montagna, per esempio, è sempre collegata all'immagine della famiglia di Duchen, che lì vive; il prato scelto per il lancio è detto «il prato della Teresa», <19 e come il prato anche la caverna individuata per nascondere la merce ha un nome: la caverna «della Scimmia Pelosa». <20 La grotta stessa è descritta con termini più adatti ad illustrare un'abitazione o uno spazio antropizzato piuttosto che un luogo scavato dalla natura dentro al cuore della montagna: "Gli parve di essere tornati ragazzi, quando la prima volta si ascolta la descrizione della casa dell'orco. Si entrava nella caverna per un varco, giusto la misura di un uomo. Al di là c'era un atrio di pochi passi; dirimpetto iniziava un cunicolo, un corto e stretto corridoio. Per percorrerlo si scontrava nelle gibbosità delle pareti. Al di là si apriva il salone, un largo; la volta in certi punti era schiacciata, in altri era nera d'ombra come un camino, tanto era alta. In terra si scontrava in sassi aguzzi. Un uccello notturno cominciò a stridere e a volare; quando era investito dalla luce delle lampade gli si vedeva il ventre color topo, tumido. Il salone era largo numerosi metri". <21
È la presenza dell'individuo, quindi, ad essere preponderante e non la forza vitale della natura. Anche quando non è antropico, l'ambiente perde i suoi attributi naturali per assumere sentimenti tipicamente umani. Ciò rende ancora più evidente che il romanzo ha al suo centro la coralità di un gruppo variegato di uomini e donne, i quali animano spazio e tempo con i loro progetti, errori e traguardi.
Il racconto si snoda tra i primi tentativi di organizzazione del gruppo, gli iniziali fallimenti causati dall'eccessivo impeto, il trasferimento inconcludente a Saltocchio, il ritorno in città. Dall'altra parte, si vedono anche i movimenti dei repubblichini, ma sono descritti in trasparenza, come se questi ultimi fossero già dati per perdenti, votati al fallimento ancora prima che la lotta inizi. L'azione dei partigiani, per quanto alle prime armi, e l'entusiasmo positivo che li sostiene, sono invece centrali: la prima operazione ben riuscita è la bomba innescata al Balipedio di Medusa, deposito dei proiettili dell'esercito italiano.
In seguito, il gruppo si attiva per stabilire un contatto con gli Alleati, avvalendosi del coraggio di Rosa - dietro di lei si nasconde la medaglia al valore militare Vera Vassalle - che attraverserà le linee e tornerà a Medusa con una radio e con le istruzioni per poterla utilizzare.
[NOTE]
12 MARIO TOBINO, Il Clandestino, Milano, Mondadori, 1962, da cui citerò.
13 M. TOBINO, Una giornata con Dufenne, Milano, Bompiani, 1968.
14 M. TOBINO, Tre amici, Milano, Mondadori, 1988.
15 L'introduzione di Paola Italia all'edizione del 2013 (PAOLA ITALIA, Introduzione, in M. TOBINO, Il Clandestino, Milano, Mondadori, 2013, pp. VII-XX) ricostruisce le tappe di stesura del romanzo, mostrando che l'autore ne accarezzava l'idea già all'indomani della Liberazione.
16 M. TOBINO, Il clandestino, cit., p. 13.
17 Ivi, p. 501.
18 Ivi, p. 558.
19 Ivi, p. 311.
20 Ivi, p. 313.
21 Ibid.
Sara Lorenzetti, Narrativa e resistenza: "invenzione" della letteratura e testimonianza della storia, Tesi di dottorato, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” - Vercelli, Anno Accademico 2014/2015
Non ci si concentra più sulle reazioni di un individuo che si trova perso ed isolato di fronte ad un evento più grande di lui; al contrario, la voce narrante pone l'accento su un cenacolo di persone, diverse per cultura ed estrazione sociale, che si uniscono, con entusiasmo e determinazione, nella lotta contro un nemico comune.
L'abilità pittorica dello scrittore si esercita nel ritrarre una gamma di personaggi molto diversi l'uno dall'altro. Guida l'organizzazione clandestina della lotta il Summonti, giovane di estrazione borghese ma convinto comunista - è conosciuto da tutti come il “prete rosso” - spesso frenato nelle sue decisioni da un credo politico che non lo aiuta a risolvere i tanti interrogativi della guerra civile; gli fa da spalla e da contrappeso il Mosca, ingegnere lontano dalle strette di partito e votato all'impeto, all'azione. Altro intellettuale e pensatore è Gustavo Duchen, docente di filosofia altruista e riflessivo, spesso riservato, che si lascia trasportare dall'entusiasmo della lotta; come lui Marino, scrittore e poeta che rifiuta la sua torre d'avorio e si unisce al gruppo clandestino, svincolandosi così dal ruolo iniziale dell'intellettuale inetto.
Il romanzo è attento anche alla stratificazione sociale: Adriatico, umile calafato orfano dei genitori, rappresenta la voce popolare di una città votata al mare e all'attività marinara. Uno spazio è riservato all'elemento nobiliare, con Saverio - ammiraglio nostalgico del Risorgimento e degli ambienti monarchici radiato dalla Marina per discorsi sovversivi - e l'amante Nelly, contessa civettuola e apparentemente superficiale, accompagnati dal loro entourage. Non mancano i rappresentanti della parte avversa: i fascisti bastonatori di Medusa, il podestà e i repubblichini.
Con pochi tratti descrittivi o sfruttando episodi salienti, la voce narrante sa mantenere tutti i personaggi su uno stesso livello di approfondimento caratteriale, tanto che risulta impossibile individuare un protagonista che svetti sugli altri. Il romanzo, inoltre, si apre grazie all'ampio respiro del narratore onnisciente ad abbracciare l'intera collettività che in esso si agita.
Si deve ammettere certo che il romanzo di Tobino è popolato da personaggi così calati nel loro ruolo, così solidali gli uni con gli altri e decisi nelle loro azioni da risultare irreali: la determinazione priva di qualsiasi paura, l'indomito coraggio che li smuove, l'universale accordo nato tra loro rasenta un ideale che difficilmente può essere creduto possibile. Nel mondo di Tobino, i buoni e i cattivi, i valorosi e gli opportunisti sono divisi con l'accetta, senza chiaroscuri.
La coralità del romanzo coinvolge anche la cittadina di Medusa con le sue vie, il mare e il territorio circostante, tanto che può essere considerata una protagonista alla pari degli altri. Apre il primo capitolo, infatti, la descrizione della città, con le sue passioni e i suoi difetti, che reagisce al messaggio radio del 25 luglio allo stesso modo di una persona, in carne ed ossa: "A questi messaggi Medusa, come avvenne in tutte le città d'Italia, si risvegliò, immediatamente fu dimenticata la stagione balneare; Piazza Grande riebbe tutti i suoi diritti. Medusa oltre la celebrità balneare è giustamente nota per essere sensibile alla politica, per partecipare agli impeti ribelli e anarchici della regione dove è situata. Forse è il rischio del mare e il duro lavoro dei calafati che la sospinge a generose intemperanze; e la frequenza con gli oziosi bagnanti estivi oltre a donare ai medusiani il senso dell'ingiustizia sociale obbliga a constatare come la ricchezza di rado si accompagna alla virtù". <16
Lungo il romanzo, la voce narrante getta spesso uno sguardo alle sorti della cittadina, inerme spettatrice e vittima delle scelte umane. Ecco come la città è descritta, attraverso gli occhi di Anselmo, dopo l'arresto di alcuni componenti del gruppo clandestino. Medusa è come morta, privata dell'impeto della sua gioventù di ribelli: " 'Li hanno arrestati! Chi è stato? Da chi è partito, che gli faranno?' e rientrando in casa Anselmo ebbe la sensazione che la città fosse stata dissanguata, orbata della sua linfa gentile, ignobili mani l'avessero profanata, udì nella testa un brusio di pensieri, uno sciame che vola caldo nel sole". <17
Ulteriore esempio è la descrizione della città dopo la partenza degli antifascisti del gruppo clandestino, decisi a creare una formazione in montagna. Qui si legge chiaramente l'importanza che l'uomo riveste nel dare vita e storia allo spazio. Denudata dalle ruberie dei tedeschi e priva dei suoi combattenti, la città resta indifesa, quasi stupita di quel vuoto: "Laggiù Medusa era rimasta sola, senza neppure un cittadino. Chi poi per caso straordinario ci capitò raccontava che era immersa in un silenzio, uno stupore; lungo i marciapiedi erano cresciute delle erbe, dei ramoscelli. Se si percorrevano in bicicletta le strade risuonava netto e quasi pauroso il fruscio delle gomme, il ticchettio della ruota libera. Tutte le porte delle case erano aperte, c'entrava l'aria, la luce, il buio. Quando si alzava il libeccio le porte sbattevano. Sulla spiaggia si erano formate le dune, i pesci arrivavano indisturbati alla riva. I tedeschi avevano fatto crollare tutti i campanili delle chiese, anche il più antico, quello di Santa Rosalia; i rottami giacevano su un lato". <18
La città vive, quindi, nei suoi abitanti: privata di essi, risulta un corpo vuoto, inerte. Ambientato per la più parte in una città marittima, di marinai e calafati, raramente nel romanzo si intravede l'ambiente, collinare o montuoso, tipico dei racconti partigiani. Nelle poche pagine in cui questo avviene, anche il paesaggio naturale, come la città, assume connotati e sentimenti umani, razionali, e porta l'impronta della comunità che vi si muove: elemento, questo, che differenzia molto Tobino da Fenoglio, per il quale la natura è invece una forza indipendente dall'uomo, che agisce su di lui inducendolo ad assumere comportamenti ferini, fino alla completa disumanizzazione.
Nel Clandestino la montagna, per esempio, è sempre collegata all'immagine della famiglia di Duchen, che lì vive; il prato scelto per il lancio è detto «il prato della Teresa», <19 e come il prato anche la caverna individuata per nascondere la merce ha un nome: la caverna «della Scimmia Pelosa». <20 La grotta stessa è descritta con termini più adatti ad illustrare un'abitazione o uno spazio antropizzato piuttosto che un luogo scavato dalla natura dentro al cuore della montagna: "Gli parve di essere tornati ragazzi, quando la prima volta si ascolta la descrizione della casa dell'orco. Si entrava nella caverna per un varco, giusto la misura di un uomo. Al di là c'era un atrio di pochi passi; dirimpetto iniziava un cunicolo, un corto e stretto corridoio. Per percorrerlo si scontrava nelle gibbosità delle pareti. Al di là si apriva il salone, un largo; la volta in certi punti era schiacciata, in altri era nera d'ombra come un camino, tanto era alta. In terra si scontrava in sassi aguzzi. Un uccello notturno cominciò a stridere e a volare; quando era investito dalla luce delle lampade gli si vedeva il ventre color topo, tumido. Il salone era largo numerosi metri". <21
È la presenza dell'individuo, quindi, ad essere preponderante e non la forza vitale della natura. Anche quando non è antropico, l'ambiente perde i suoi attributi naturali per assumere sentimenti tipicamente umani. Ciò rende ancora più evidente che il romanzo ha al suo centro la coralità di un gruppo variegato di uomini e donne, i quali animano spazio e tempo con i loro progetti, errori e traguardi.
Il racconto si snoda tra i primi tentativi di organizzazione del gruppo, gli iniziali fallimenti causati dall'eccessivo impeto, il trasferimento inconcludente a Saltocchio, il ritorno in città. Dall'altra parte, si vedono anche i movimenti dei repubblichini, ma sono descritti in trasparenza, come se questi ultimi fossero già dati per perdenti, votati al fallimento ancora prima che la lotta inizi. L'azione dei partigiani, per quanto alle prime armi, e l'entusiasmo positivo che li sostiene, sono invece centrali: la prima operazione ben riuscita è la bomba innescata al Balipedio di Medusa, deposito dei proiettili dell'esercito italiano.
In seguito, il gruppo si attiva per stabilire un contatto con gli Alleati, avvalendosi del coraggio di Rosa - dietro di lei si nasconde la medaglia al valore militare Vera Vassalle - che attraverserà le linee e tornerà a Medusa con una radio e con le istruzioni per poterla utilizzare.
[NOTE]
12 MARIO TOBINO, Il Clandestino, Milano, Mondadori, 1962, da cui citerò.
13 M. TOBINO, Una giornata con Dufenne, Milano, Bompiani, 1968.
14 M. TOBINO, Tre amici, Milano, Mondadori, 1988.
15 L'introduzione di Paola Italia all'edizione del 2013 (PAOLA ITALIA, Introduzione, in M. TOBINO, Il Clandestino, Milano, Mondadori, 2013, pp. VII-XX) ricostruisce le tappe di stesura del romanzo, mostrando che l'autore ne accarezzava l'idea già all'indomani della Liberazione.
16 M. TOBINO, Il clandestino, cit., p. 13.
17 Ivi, p. 501.
18 Ivi, p. 558.
19 Ivi, p. 311.
20 Ivi, p. 313.
21 Ibid.
Sara Lorenzetti, Narrativa e resistenza: "invenzione" della letteratura e testimonianza della storia, Tesi di dottorato, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” - Vercelli, Anno Accademico 2014/2015