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giovedì 1 luglio 2021

Quel ricciolo bianco dell'onda

Joffre Truzzi - Fonte

La casa di Joffre Truzzi é vicina al mare; da questo la divide la massicciata su cui corrono i binari della ferrovia; il mare qui non si vede dai piani bassi, lo si intuisce soltanto; quando é agitato si sente l’odore di salsedine. E’ un dolce settembre e il frastuono dell’estate si é appena spento lasciando ampi spazi ai rumori più famigliari, alle voci che giungono, nitide e solitarie, insieme allo scandire dei passi sui marciapiedi. Sono sceso dall’Aurelia per la piccola strada condominiale; la porta del piano rialzato, dove abita il pittore si é aperta prima che suonassi e subito é apparsa sorridente una bella signora bruna, che mi si presenta come nuora di Joffre. Mi ha indicato in fondo alla stanza la figura di un vecchio che si stava alzando dalla poltrona. La ricordavo quella testa bianca piena di riccioli e dallo sguardo fiero, un po’ inquieto, che si accende e si spegne, mi era noto, anche se non familiare. Non mi é parso molto cambiato dall’ultima volta che lo incontrai - nel gennaio scorso - quando andai ad invitarlo alla presentazione del carteggio Betocchi/Pazielli, nel quale figurava anche lui. Lo stesso portamento eretto, negli occhi la stessa fierezza, anche se oggi mi é sembrato intravedervi una più spiccata inclinazione alla dolcezza. « Io vengo senz’altro » disse quella volta, ringraziandomi, « se qualcuno mi accompagna » e dopo un momento d’esitazione, « e se no, vengo da solo!» accennando al suo bastone nero lì vicino. E da solo venne, infatti, presentandosi all’ingresso della Chiesa Anglicana un bel po’ prima dell’inizio; guardò bene tutt’intorno, mi salutò, parlò con due o tre persone e poi se ne andò. Anche ora ho di fronte un uomo schivo da ogni cerimoniale, attento solo all’essenziale, contrario al superfluo, ribelle di fronte ai convenzionalismi e ad ogni forma d’ipocrisia. Egli vede il bene, e lo apprezza, quando é scevro da ogni orpello, e soprattutto, quando può essere coniugato con l’arte e con la cultura autentiche. Quasi ad avvallare questo aspetto del suo carattere, mi dichiara con una certa fierezza che le sue origini canadesi non sono influenti; e che, invece contano assai di più quelle familiari che sono lombarde, o meglio ancora di confine, perché del mantovano, proprio a cavallo fra Emilia e Lombardia.
Intanto l’onda lenta del mare si ripropone nei momenti di maggiore quiete, come una carezza, nel volgere di uno sguardo; e ripenso allora a quell’onda ben più vigorosa e veloce, ricca di bianca schiuma che la corrente, delle nostre mareggiate di ponente, scaraventa fino ai muraglioni della passeggiata e oltre. Rivedo la bianca distesa di schiuma correre, ormai placata, verso terra e poi improvvisamente, incontrando un ostacolo, impennarsi con una forza inaspettata verso il cielo e rifrangersi quindi in mille rivoli bianchi ricchi di veemente allegria. Ecco, dico fra me, ecco: quel ricciolo impetuoso e arrabbiato potrebbe essere Truzzi, e tutti quegli schizzi bianchi successivi, la sua allegria e la sua raggiunta dolcezza. Così mi piace vederlo, affrontare la risacca della vita, e destreggiarsi in essa.
Ci spostiamo nello studio del pittore e qui, sulla soglia, sono investito da un’onda di luce calda senza che nessuna lampada fosse stata accesa. Le tele sono appoggiate per terra contro le pareti, alcune, appese lungo le stesse; Joffre non indugia a commentare i suoi lavori; ascolta e guarda con me. Alle sue spalle, come arrampicato su una scala di metallo, sento, e poi vedo, lo sguardo ammiccante di un suo bel autoritratto. Mentre usciamo dalla stanza gli chiedo di Bordighera, dei suoi amici, dei suoi  « colleghi» pittori, degli artisti in genere; di Bordighera degli anni prestigiosi (1950-1970), dei Premi 5 Bettole e degli avvenimenti importanti; non spende molte parole in proposito; ma ricorda volentieri alcuni nomi che gli sono cari, come Giuseppe Balbo, prezioso animatore di tante iniziative, e, altri, per il loro rilievo nel campo della cultura e dell’arte: Carlo Betocchi, di cui rievoca la grande ospitalità offertagli nella sua casa fiorentina di Borgo Pinti, nel 1957, Giacomo Ferdinando Natta, arguto e colto conversatore; Sbarbaro, Biamonti, Carlo Bo, Giancarlo Vigorelli, Lorenza Trucchi, Italo Calvino, tutti gravitanti qui e poi, quasi per un segreto appuntamento, tutti da Maria Pia Pazielli alla sua Piccola Libreria. Gli occhi, ad un certo punto, si intristiscono, un altro nome gli affiora sulle labbra: Luciano De Giovanni, il poeta sanremese scomparso da pochi anni cui lo legava una profonda amicizia. Riesco a stento a leggere alcune parole di una poesia che De Giovanni gli ha dedicato; uno dei suoi sonettini del 1986: «… e il cielo che vortica lento/ le sue nuvole e il suo azzurro / e  la barriera dei monti e gli ondulati dorsali/ e le segrete fonti».  Degli amici d’oggi Truzzi ricorda in particolare Enzo Maiolino, Sergio Gagliolo, Sergio Biancheri; nomi legati all’arte e alla vita, alla comune visione naturale di questa aspra e semplice terra di ponente. Ricorda Morlotti e ancora Biamonti, e la gita che fece con lui e Maiolino nei luoghi di Cézanne. Si illumina infine parlando di Piana, e batte la mano sul tavolo in segno di grande stizza e ribellione quando denuncia il persistente oblio che circonda questo pittore di grande valore e straordinaria modernità. Il commiato si avvicina e Joffre appoggia la sua mano sul mio braccio, mi fissa negli occhi e mi dice risoluto: «ricordati che chi non é sincero nella vita, non lo é neppure nell’arte», una bella verità pronunciata da un uomo «vero».
Starei ancora a lungo, accarezzando il silenzio come si accarezzano le nuvole che incorniciano i nostri tramonti nei loro inesorabili mutamenti. Un’ultima occhiata al tavolo di Truzzi: una fotocopia un poco gualcita ricorda una mostra del pittore alla Biblioteca di Ospedaletti nel 1996; una foto ricordo degli anni ’60 con Morlotti e Biamonti, un breve scritto di quest’ultimo, intenso e ricco di significato umano per Truzzi, «… un uomo sempre disponibile al lavoro, alla vita, sempre pronto a partire, verso una tomba, un rudere, un fiore. Poteva anche essere insopportabile, litigioso, in superficie, ma a Morlotti e a me, strappava sempre il sorriso, perché ne conoscevamo la malinconia fondamentale».
Luigi Betocchi, Quel ricciolo bianco dell'onda, Sito dedicato alla figura di Joffre Truzzi, settembre 2005

Da sinistra: Giuseppe Balbo, Giuseppe Piana e Joffre Truzzi - Fonte

Joffre Truzzi, Pescatori, 1955 (olio su tavoletta) - Fonte

[...] Presentiamo qui alcuni tra i primi allievi che hanno raggiunto maturità artistica e riconoscimenti sia in territorio nazionale che all’estero. Tra questi il pittore e grafico Enzo Maiolino e lo scomparso Joffre Truzzi. Dopo Balbo la scuola è stata seguita dal pittore Lilio Domenico Pagnini, suo allievo fin dal dopoguerra e insegnante e presidente per numerosi anni. Sergio Biancheri “Ciacio”, eletto successivamente e presidente per otto anni e Sergio Gagliolo [...].
Redazione, Un po’ di storia, Accademia Riviera dei Fiori "Giuseppe Balbo", 2011

Joffre Truzzi, Paesaggio - Fonte

Nel corso del decennio l’iniziativa, cui succedette, dopo l’edizione ibrida del 1962, il “Premio Bordighera” nel 1963 e 1964, ebbe un successo sempre crescente. Guido Seborga e Renzo Laurano, infaticabili promotori di queste manifestazioni, coinvolsero, tra gli altri, Italo Calvino e il critico Giancarlo Vigorelli. Vale la pena di notare che Biamonti, negli anni successivi, scrisse come critico d’arte su quasi tutti i pittori vincitori del premio: Enzo Maiolino, Joffré Truzzi, Mario Raimondo, Sergio Gagliolo.
[...]
1.5. SCRITTI DI CRITICA D’ARTE
[...]
1977
(1977a) = [Presentazione], in J. Truzzi, Teatro Comunale, Ventimiglia, 15-28 gennaio 1977 [dépliant della mostra].
[...]
1996
(1996a) = [Presentazione], in Joffré Truzzi. I pittori del Ponente 5, Biblioteca Civica, Ospedaletti, 5-25 aprile 1996 [dépliant della mostra]; poi, parte dello scritto (righe 25-33), in Joffré Truzzi, presentazione della mostra personale al Palazzo del Parco, Bordighera, 28 novembre-5 dicembre 2002 [dépliant della mostra]; poi, con il titolo Truzzi, i paesaggi sospesi nel vuoto, in SP (213).
Matteo Grassano, Il territorio dell’esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001), Tesi di dottorato, Université Nice Sophia Antipolis, Università degli Studi di Pavia, 29 gennaio 2018 

Joffre Truzzi, Val Nervia, 1988 - Fonte

Ma il cielo e la luce della città delle palme incantano anche Ennio Morlotti, alla ricerca di una “nuova avventura” pittorica. Boschetti di ulivi e di limoni, rocce, cactus, lingue di spiaggia bagnate dal mare: è questo il paesaggio ligure che Francesco Biamonti e Sergio Biancheri, conosciuti nel 1959, mostrano al pittore lombardo durante i numerosi viaggi in automobile. Le campagne di Borghetto San Nicolò e Vallebona, la Val Nervia, gli scogli di Marina San Giuseppe, il pianoro di Punta Migliarese, Perinaldo e, ovviamente, San Biagio della Cima diventano mete da visitare ogni estate, alla scoperta della luce e dei grumi di colore di cézanniana memoria che tanto affascinano sia Morlotti sia Biamonti (si ricordi la loro visita, in compagnia di Maiolino e Truzzi, allo studio di Cézanne a Aix-en-Provence nel 1963).
Mara Pardini, La cultura nel ponente ligure ai tempi di Francesco Biamonti: un accenno, Terra ligure

[...] Il padre Satiro, lavorava alla costruzione della ferrovia Trans-Canada, che doveva unire la Costa Atlantica con il Pacifico, con temperature proibitive e condizioni di lavoro disumane; alla fine il povero Satiro non ce la fece, e dopo dieci anni dovette rientrare nella nativa Mantova, terra dei Gonzaga, dove fiorivano le arti e l'artigianato.
La madre Stella, donna indomita e coraggiosa, accudiva Joffre, i suoi fratelli e la casa di tronchi d’abete, e, per "fare la spesa", usciva a cavallo nei boschi con la doppietta e a volte tornava con un bottino di selvaggina o solo bacche del bosco.
Ancora adolescente, Joffre tornò nella terra dei suoi avi durante un viaggio periglioso, dove rischiarono di affondare e di contrarre qualche brutta malattia contagiosa, stipati com'erano nella stiva di un'ansimante piroscafo.
Nei ricordi di Joffre questo periodo della prima infanzia è vago, ma sempre presente, come visioni, fra sogno e realtà. E sono convinto che ha creato i prodromi di quest’inusuale artista e personaggio eccezionale, temprato dai grandi freddi, con la visione di grandi spazi e di aurore boreali,che a novant'anni dipingeva ancora attivamente.
Nelle mattine soleggiate lo trovavi al suo bar preferito dei Piani di Borghetto, a gustarsi uno "spruzzato" e a scambiare sagaci commenti sul via-vai del marciapiede, ma soprattutto, ti sorprendeva con la sua memoria e la profonda cultura, assimilata in viaggi e letture, con una sempre viva curiosità.
Scontroso e irascibile superficialmente, nascondeva un animo gentile e mite, timido, che proteggeva con questa "corazza" burbera e accigliata.
Spirito di contraddizione e in contraddizione con il mondo e con se stesso, anche con i suoi affetti e amici più cari, si realizza e trova sfogo e pace nei suoi dipinti. Che a veder bene, è una una vera stranezza, che non abbiano avuto il successo e i riconoscimenti che meritano.
Ci sono le ragioni di questo "tesoro" nascosto: sicuramente il carattere scontroso e introverso non ha favorito il necessario supporto di critici e galleristi, oltre alla scelta di vita e di lavoro nella dolce e pigra Riviera di Ponente, senza mai spingersi, non dico all'estero, ma nemmeno a Milano, a cercare e sviluppare contatti e amicizie.
Sono riuscito a portarlo a Parigi e Londra, solo dopo gli ottant'anni, dove ha visitato i grandi musei e ha avuto anche un grande successo con un'esposizione a Oxford.
Lo stesso Morlotti, che frequentava e lo stimava molto, era in continuo movimento pur passando molto tempo in Riviera ed aveva solidi rapporti con importanti galleristi che lo aiutarono ad affermarsi, anche con accordi commerciali, che il nostro Truzzi disdegnava.
Quando qualche critico o gallerista "scopriva" Truzzi, il rapporto quasi inevitabilmente si deteriorava e infine si interrompeva, grazie alle intransigenti posizioni del nostro integerrimo e scontroso Maestro!
Se non sei un buon diplomatico non vuol dire che non puoi essere un buon artista, anzi! Forse non avrai mercato e fama, ma le opere rimangono e testimoniano una produzione artistica di alto livello.
Truzzi ha visitato musei, esposizioni, chiese, paesi e, soprattutto, ha incontrato molta gente comune “la più vera”, con cui amava dialogare con vivace spontaneità e ha sempre letto molto.
Se Truzzi non ha accettato compromessi per affermare la sua arte, si é impegnato a soddisfare la sua cultura e curiosità e per guardarsi nello specchio ogni mattina serenamente.
La sua pittura è stata sicuramente ispirata dai grandi impressionisti, soprattutto Cezanne, di cui ha visitato lo studio a Aix-en-Provence con Morlotti e Francesco Biamonti, e da De Stael, di cui amava molto i cieli, ma anche dall'amico Morlotti.
In Truzzi si è sviluppato misteriosamente un fenomeno di osmosi, tra le atmosfere mediterranee del nostro entroterra, cosi amate e descritte da Biamonti, con i suoi paesaggi ventosi, e un post'impressionismo materico magistrale, che solo sfiora l'informale, vedi le bagnanti e i nudi, che sono un'amalgama poetico di carne, di terra, di acqua e di vegetazione, un'atmosfera e un pathos legato all'ultimo Cezanne, e oltre, proprio per quel suo sfiorare, accarezzare quasi l’informale, ma senza mai cedere alle sue facili lusinghe.
Come gli impasti materici, ma tenui, delicati, dei fiori di Truzzi, le "sue" rose canine che andava a cercare tra i muretti a secco, sopra Sasso e Seborga, o i limoni lucidi di humus, di una materia così viva e "profumata" lavorata con perizia tra spatole e ruvidi pennelli.
Truzzi ama dipingere su superfici dure, solide, dove sente il bisogno di "affondare" il suo segno con il pennello o la spatola, ma anche con la viva mano, l'indice che penetra nella materia ancora duttile e la segna in profondità: così Truzzi si lega alla sua opera, in un’indelebile simbiosi.
Quasi alla fine della sua lunga vita, Truzzi riscopre l’Eros e dipinge una serie di grandi bagnanti, Angeli-Maddalene di un sogno erotico, di carni impastate col fango, la vita, l’eros, e la morte... sul solco tracciato da Renoir, e prima ancora da Tiziano e Rubens,soggetto al quale si dedicò anche Morlotti, nelle ultime sue opere.
Ho avuto la fortuna di frequentare Truzzi per molti anni, da quando scorazzava altero sul suo Galletto-Guzzi. Abbiamo visitato Roma in lungo e in largo, dove amava passeggiare in via Giulia, perché gli ricordava un racconto di Caldarelli; a Firenze, dove riconosceva a prima vista gli affreschi delle Chiese, con nomi e date; a Ferrara, al Palazzo dei Diamanti, per una grande mostra, la prima postuma, di Morlotti e a Venezia, dove amava rivedere più volte la "Resurrezione" del Tiziano, con quella luce verdastra, dipinta a novant'anni [...]
Daniel Audetto, Joffre Truzzi, Sito dedicato alla figura di Joffre Truzzi, luglio 2013

martedì 26 gennaio 2021

Sono un pittore naturalista

Joffre Truzzi, Pescatori, 1955 (olio su tavoletta) - Fonte: Joffre Truzzi

Joffre Truzzi nasce a Revelastocke in Canada il 18 marzo 1915 da genitori mantovani emigrati in cerca di fortuna in Canada.
Ma la vita dura, la mancanza degli affetti, fanno ammalare il padre di Joffre, e dopo pochi anni ritornano sulle rive del Po nel loro paese di origine San Benedetto Po.
Già da giovane Joffre amava i colori,  la pittura, ma fu solo durante la seconda guerra mondiale, mentre lui era stato "liberato" dagli Americani che venne scoperto dal Principe Pignatelli Cortès di Napoli, che lo prese sotto la sua protezione affinchè le sue doti evolvessero... ma la fidanzata Angela lo reclamava a casa... e così, suo malgrado, fece ritorno al paese e si trasferì in Liguria, a Bordighera, dove visse sino alla sua morte, avvenuta il 28 febbraio 2006.
A Bordighera, pur lavorando, entrò a far parte della scuola serale d'arte del Maestro Giuseppe Balbo, dove conobbe altri allievi poi diventati famosi, come Maiolino, Sergio Biancheri, Renzo Cassini, Sergio Gagliolo ed altri. Vinse alcune manifestazioni, fra cui il premio delle 5 bettole, che possiamo considerare il suo riconoscimento ufficiale, partecipò al premio di pittura americana (mentre a Bordighera venivano esposte opere di artisti americani, opere dei nostri artisti vennero esposte  negli Stati Uniti, in una mostra itinerante che toccò 20 città importanti).
Le opere esposte, tra le quali alcune di Truzzi, fecero poi parte della collezione della Galleria di Stato dell'Oregon, considerato a tutt'oggi una fra le più importanti rassegne d'arte contemporanea degli anni cinquanta sul territorio ligure. Truzzi espose anche in Francia a Villefranche sul Mer, nella vicina Costa Azurra nel 1957. In quell'anno fece una delle più importanti conoscenze, sia a livello personale che artistico: conobbe Ennio Morlotti, il quale, anch'esso lombardo, veniva volentieri a Bordighera, dove aveva in affitto un atelier, e dove dipingeva insieme a Truzzi. Ma non si accontentavano di dipingere e viaggiare per le strade tortuose del nostro entroterra, alla ricerca di anfratti, viste di rovi o uliveti... essi andavano alla ricerca dei luoghi frequentati da un loro idolo, il Maestro Cézanne, che aveva il suo studio-abitazione a Aix en Provence.
dal catalogo della Mostra: Joffre Truzzi. Dipinti, disegni, incisioni, Centro Culturale Polivalente ex Chiesa Anglicana di Bordighera (IM), 3 dicembre 2005 - 8 gennaio 2006, a cura del prof. Leo Lecci di Genova

[Joffre Truzzi] è rimasto com'era, con qualcosa di più gracile, di più poetico nei suoi quadri: gli stessi paesaggi d'allora, ma come sospesi nel vuoto, con dolcezze più apparenti e toccate dalla vertigine". "L'inevitabile manto della malinconia s'è istoriato di scene gioiose, di azzurri aggrediti dall'ombra, di viola vibranti, di dorati che vanno verso il caos o la pace materica. Possibile che la vita nella sua erosione sia sempre eguale?  Francesco Biamonti

Bordighera ha un suo muratore-pittore, si chiama Joffre Truzzi, ha 33 anni, i competenti gli pronosticano un brillante avvenire.
[...] Truzzi dipinge soltanto la domenica, gli altri giorni li trascorre sugli alti ponti delle case in costruzione. [...]
Una sua personale, ha ottenuto in questi giorni, a Bordighera, un ottimo successo e le vendite sono state notevoli. Ma Truzzi non si è montata la testa e continua, nei giorni feriali, a lavorare di cazzuola [...]
La sera - tutte le sere , dopo il duro lavoro - frequenta lo studio del professor Giuseppe Balbo. Gli tengono compagnia altri giovani allievi che ascoltano le “storie” dei grandi pittori del passato con gli occhi sgranati, come fossero fiabe. Mario Caudana, 1948

Dieci anni fa Truzzi, la domenica batteva le strade delle nostre campagne; le dipingeva instancabilmente; riempiva due o tre cartoni nella stessa giornata. Il paesaggio era studiato con amore, con ostinazione; fino a che il pittore non ne avesse sceverato i caratteri distintivi di paesaggio ligure.
Questo contatto durò sino al 1950, poi ci fu una specie d’arresto. Il pittore si chiuse nel suo studio, elaborò composizioni che s’ispiravano al lavoro dei contadini e in modo particolare a quello dei muratori, tra i quali egli viveva e lavorava. Il colore s’incupì, agli accordi squillanti dei gialli, dei rossi, dei verdi, dei precedenti paesaggi, seguirono accordi di terre e di neri.
Era nata una pittura che poteva chiamarsi neorealista.
Ma il paesaggio ligure lo riprese. Questa volta fu l’architettura dei paesi a incantarlo. Costruzione di muri screpolati, archi, blocchi desolati, Truzzi vagava di paese in paese, solo prendendo qualche appunto. [...].
Dipinse quindi grandi tempere, drammatiche architetture in bleu e in terra rossa. Egli mostra eccezionali doni di fantasia: come dire che è artista per essenza. (Ci sono nei suoi quadri accordi di colore del tutto nuovi).
Parte dal vero verso liriche variazioni, in visioni delicatissime di case, alberi, colline. La voce del suo paesaggio è nuova (austera e anche mistica) sconosciuta è l’aria e la poesia che lo anima.
Giacomo Ferdinando Natta, 1957

È un merito, il tuo, di poesia, del quale tu sai che penso quello che pensa il finissimo amico Natta.
Carlo Betocchi, 1959

Nei “Paesaggi dell’entroterra ligure” di Joffre Truzzi, dominano gli alberi, quali protagonisti dei misteriosi drammi ignoti all’uomo e dietro si mostrano rudi case o s’aprono scenari di cieli gialli o verdi, rossi o cinerei, accesi o cupi […]. Fantasioso e spontaneo, c’è un impeto primitivo in queste tele, un soffio aspro e nuovo nelle tonalità accese. Il tocco a spatola è denso, talora violento. Jole Simeoni Zanollo, 1959

Truzzi è un pittore in cui l’affetto alla terra in cui vive e lo spasimo della memoria che vorrebbe conservare ogni momento felice, restituirlo in note ferme e definitive, operano con egual forza permettendogli di colmare, talvolta con reale felicità, lo iato tra la tradizione di una pittura condizionata al sapore di una regione, di un paesaggio, e le più remote ricerche intorno all’autonomia del quadro inteso come oggetto in sé sufficiente, cadenza di colori e di forme disposte secondo un ordine di individuale invenzione. Nessuna polemica esplicita in questa pittura; eppure una carica densa, un gruppo di ragioni pro qualcosa e contro qualche altra cosa [...] che, comunque la si giudichi, è una delle forze di questi quadri, sotto la loro più superficiale apparenza quasi crepuscolarmente gentile o vivacemente lieta. Riteniamo che la loro lettura non sia poi così facile come può sembrare. Ma che tanto più premieranno l’attenzione di chi vorrà non amarli di un’immediata adesione, accoglierli per un movimento incontrollato, ma scrutarne il riposto vigore, ripercorrere il lavoro da cui è nato il loro sbocciare felice. Che è poi sempre il miglior modo di aderire ad espressioni che si presentino cordiali e quasi disarmate. Far insomma del consenso alla bellezza del colore, alla spontaneità della resa mezzo per un ulteriore approfondimento. Albino Galvano, 1962

Joffre Truzzi, Paesaggio (olio su tela) - Fonte: Joffre Truzzi

Nato in Canada, Joffre Truzzi, vive a Bordighera dove la malia della natura, per un pittore che per temperamento deve sentirne tutto il fascino, gioca il suo ruolo ispiratore. Luci e colori, come si nota nei dipinti ch’egli espone ora al Grifo, si configurano nei rapporti di quelle macchie cromatiche sottilmente modulate negli impasti dosati con abilità: modulazioni e dosature che in fondo caratterizzano la sua pittura anche rispetto ai riferimenti stilistici che, nel presentarlo, Albino Galvano riassume con un appropriato “Morlotti revu par Bonnard”. Angelo Dragone, 1962

[Truzzi] si presenta con una serie di interessanti paesaggi, realizzati ad olio, nei quali case, colline ed alberi della riviera ligure appaiono calati in una unità tonale a basse vibrazioni cromatiche di alta suggestività lirica. La luce, che nei quadri di Truzzi nasce dall’interno delle piatte zone di colore, commenta strutture paesistiche dove i muretti a secco, i casolari di campagna, le masse di verde rappresentano momenti di una visione sensibilizzata della realtà, visione non ignara delle ultime resultanze della più valida pittura italiana. Carlo Segala, 1963

Se penso sia raro trovare un pittore altrettanto fedele alla sua natura (ch’è segno probante di vocazione); credo appaia altrettanto evidente che lo stimolo maggiore al suo lavoro, Truzzi lo attinge dal più complesso moto della realtà. Questa realtà, egli sa benissimo che in parte preponderante e in primo luogo si trova dentro se stesso e non sopra, non fuori, non in gazzette, in professori, in ideogrammi; sa ancora che parte importantissima della realtà, oggi quasi totalmente trascurata, è il paese dove si vive, con la gente, gli alberi e il cielo, sa inoltre che la realtà sono la storia e la tradizione […] Dagli impressionisti, e soprattutto quelli legati al suo paesaggio, Renoir-Monet-Piana, su su fino alla svolta più recente e determinante – quest’ultima di Wols, Pollock, Gorky, De Staël. Quella che ha portato una più profonda coscienza dell’”organico” in contrapposizione ai giochi intellettuali estetisti; quella che ha affrontato – e per me in modo più diretto dei surrealisti – le zone più remote, segrete e misteriose dell’essere, il conflitto tra idea e realtà, tra momento razionale della realtà, e quello irrazionale nell’istanza poetica. 
Le intelligenti argomentazioni non sono riuscite a spiegarmi come si possa prescindere da questa recente storia così drammatica e viva.
Comunque in questa mostra è molto evidente come questa realtà così tesa e scottante sia utile affrontarla anziché pensare all’abiura e all’ostracismo.
E’ affrontando questa situazione che secondo me, Truzzi ha formato le sue sicure radici, s’è stabilito un preciso impegno, s’è scrollato abitudini e atavismi ormai devitalizzati, ha determinato questa sua attuale felice pienezza creativa.”
Ennio Morlotti, 1964
 
Con una vivace interpretazione in catalogo di Ennio Morlotti, apre la sua personale alla galleria del Mulino [...] il pittore ligure Joffre Truzzi. Si sono conosciuti dietro le colline di Bordighera e affiatati per una comune disposizione verso la realtà di natura: siepi, sterpi, prati, vegetazioni selvatiche, che occupano con insistenze di primo piano lo spazio del quadro e lasciano poco margine alla striscia di cielo. [...]
L’interpretazione di Truzzi, rispetto a quella drammatica sempre di Morlotti: è di più aperta elegia; c’è una felicità nel suo rapporto con questa natura, uno scambio di interiori sensazioni, perciò la pittura ne è tutta illuminata e il colore si ravviva di preziosi splendori.
Marco Valsecchi, 1964
 
Il pittore Truzzi si è presentato in Bordighera con una personale condensata in venti opere che esprimono l’intendimento sobrio di un artista molto prossimo alla maturità.
Abbandonate talune compiacenze pittoriche [...] il Truzzi si è indirizzato verso una semplicità geometrizzata quasi, forse un poco rigida, ma di induttiva affermazione stilistica. Con impasti rinnovati ed accostamenti di toni fermi e saporosi, i nuovi paesaggi presentati, pur svelando un legame a esperienze già note, contengono una personalità manifesta nella costruzione prevalentemente pittorica dell’atmosfera e della prospettiva fatte soltanto di colore.
Giuseppe Balbo, 1966
 
[…] si rimproverava a Truzzi l’influenza esercitata sulla sua pittura dall’opera e dalla frequentazione di Morlotti.
Che l’opera del maestro lombardo, prima, e di Sutherland più recentemente, abbiano lasciato profonde tracce sulla pittura di Truzzi di questi ultimi anni, è innegabile. Né poteva essere altrimenti, se si pensa che nel guardare a questi due significativi pittori del nostro tempo Truzzi, pittore prevalentemente di paesaggi, di aspetti e di elementi naturali, ha dimostrato di sapere operare una scelta intelligente, coerente col proprio temperamento. Tuttavia in questa personale, accanto ad opere in cui la presenza dei due maestri è ancora chiaramente avvertibile, Truzzi ci ha sottoposto (e questo è un merito che gli va riconosciuto) un buon numero di dipinti che dimostrano in modo convincente come egli, assimilate e superate le due influenze, sappia approdare ad un suo più personale linguaggio.
Enzo Maiolino, 1967
 
Joffre Truzzi, Gli ulivi, 1970 (carboncino) - Fonte: Joffre Truzzi

“Sono un pittore naturalista. Dipingo la natura. Da sempre”. Così dice Truzzi della sua pittura e di se stesso.
Di se stesso perché la natura è il suo mondo, il suo ambiente, meglio ancora il suo elemento: in cui egli si ritrova e si muove.
Dalle sue parole, che sono poi dichiarazioni abbastanza esplicite, la natura appare ancor più come verbo, norma di vita ed esigenza: certo una meta costante del suo essere. “Forse perché sono nato in un bosco” (è figlio di emigrati nel Canada), Joffre tiene a ricordare, quasi che per lui stesso la persistenza e l’attualità di quell’ispirazione costituiscano ancora un interrogativo. [...].
La sua natura è di sicuro vivente, ampia, generatrice; ricca di linfa.
Così che egli, più che osservarla e rappresentarla, la sente e la dice: la sua è la pittura di un contatto. E il suo senso della natura (senso piuttosto che sensibilità) ricorre particolarmente al colore come al mezzo precipuo e più indicato per la propria espressione.
Natura e colore appaiono quindi il binomio di base della sua pittura.
Massimo Cavalli, 1977
 
Ennio Morlotti, Francesco Biamonti e Joffre Truzzi nel 1960 davanti all'atelier di Cezanne - Fonte: Joffre Truzzi

A Truzzi mi lega un lungo rapporto, consolidato dalla comune amicizia con Morlotti. Ricordo di lui un vagabondare alla ricerca delle luci dei costoni, delle dolcezze di un’aspra terra, fatte di cielo, di tramonti rosati, di silenzi nascosti nelle vegetazioni. La sua pennellata è istintiva e nel contempo guidata da un sentimento virgiliano della vita (Truzzi è di Mantova) con qualche collera da animo offeso.
Truzzi sa ciò che gli è necessario. Quante volte Ennio [Morlotti] ed io, lo abbiamo sentito mormorare qualche brano delle Bucoliche: l’uomo che abbandona i campi, l’uomo dell’esilio, che aspira a tornare al suo regno. Forma d’elegia che in pittura si è sovente tradotta in soffi leggeri, in brezze che animano le cose: crinali toccati dalla grazia, casette raccolte nel fervore del verde, rocce clonate di azzurro e polvere.
Era un uomo sempre disponibile al lavoro e alla vita, sempre pronto a partire, verso una tomba, un rudere, un fiore. Poteva anche essere insopportabile, litigioso in superficie, ma a Morlotti e a me strappava sempre un sorriso, perché ne conoscevamo la malinconia fondamentale.
Ora non riesco a immaginarlo vecchio: è rimasto com’era con qualcosa di più gracile, di più poetico nei suoi quadri: gli stessi paesaggi d’allora, ma come sospesi nel vuoto, con dolcezze più apparenti e toccate dalla vertigine. L’inevitabile manto della malinconia s’è istoriato di scene gioiose, di azzurri aggrediti dall’ombra, di viola vibranti, di dorati che vanno verso il caos o la pace materica. Possibile che la vita nella sua erosione sia sempre eguale?
Francesco Biamonti, 1996   


martedì 19 gennaio 2021

Beppe Porcheddu sa far suo, nel disegno e nei toni, il pensiero dello scrittore

Nello sviluppare la ricerca sulla Resistenza sulla costa del Ponente ligure, da Imperia al confine francese, ho incrociato la figura di Giuseppe Porcheddu, antifascista e pittore-grafico-illustratore di significativo rilievo, vissuto prima a Torino e poi a Bordighera.
La novità è giunta, invece, dalla scoperta che fu il casalese Leonardo Bistolfi a motivare e valorizzare l’artista Porcheddu. Non solo, attivando la dottoressa Varvello del Museo Civico Bistolfi di Casale Monferrato e il dott. Mantovani della Biblioteca Civica Canna, ho ritrovato il catalogo di una mostra di opere di Porcheddu avvenuta a Torino nel 1928, con una originalissima prefazione di Leonardo Bistolfi.
Giuseppe Porcheddu Beppe, nato a Torino il 1 maggio 1898 scomparve il 27 dicembre 1947 in una vicenda non ancora del tutto ricostruita; sardo di origini (il padre Giovanni Antonio era nativo di Ittiri, in provincia di Sassari; ingegnere molto noto per aver introdotto e sviluppato in Italia le tecniche del cemento armato, fu progettista anche del Lingotto di Torino e di vari silos al porto di Genova) fu pittore, incisore, scultore, grafico, fumettista ed illustratore di grande talento. Venne scoperto e incoraggiato da Leonardo Bistolfi già a Torino, dove viveva e studiò alla facoltà di architettura al Politecnico.
È noto per le bellissime illustrazioni del Pinocchio di Collodi edite nel 1942, per i disegni delle bambole Lenci, per i disegni e la creazione di personaggi di fumetti diffusi in tutta Italia. Molte sue opere sono oggi custodite e promosse dal Museo della Scuola e del Libro per l'Infanzia MUSLI di Torino e dalla Fondazione Tancredi di Barolo di Torino, sotto la direzione del prof. Pompeo Vagliani.
Accanto all’arte coltivò sempre la convinzione antifascista; promosse poi l’attività resistenziale fra Sanremo e Bordighera, divenne membro del CNL di Bordighera.
Porcheddu, con Renato Brunati, Renzo Rossi e Lina Meiffret, si era legato al gruppo torinese di Guido Hess Seborga, Ada Gobetti, Piero Bargis, Giorgio Diena, Vincenzo Ciaffi, Domenico Zuccaro, Raffaele Vallore, Luigi Spazzapan, Umberto Mastroianni, Carlo Musso. Nella sua villa di Bordighera, Porcheddu nascose la moglie Ada e la figlia Lidia del latinista Concetto Marchesi, esponente antifascista rifugiato in Svizzera. Ospitò pure gli ufficiali inglesi Michael Ross e George Bell, paracadutati in missione fra il Piemonte e la Liguria. Le vicende di Porcheddu a sostegno della Resistenza sono pienamente riscontrate nel recente libro di Michael Ross, The British Partisan, pubblicato da Pen & Sword, London 2019. Il nuovo libro è la riedizione aggiornata della prima pubblicazione del volume Michael Ross, From Liguria with love. Capture, imprisonment and escape in wartime Italy, Minerva Press, London, 1997. Nel volume del 2019 il nipote David Ross apporta alcune integrazioni, grafici e foto.
Beppe Porcheddu sparì da Bordighera e non diede più tracce dal 27 dicembre 1947. A Roma si stava realizzando una sua mostra retrospettiva di dipinti e disegni, curata dall'amico Piero Giacometti. Lasciò una lettera indirizzata alla sorella Ambrogia, con una frase enigmatica: "... la vita è un continuo tradimento. I più bei sogni... restano sogno. Chissà quando ci rivedremo".
Leonardo Bistolfi, a Torino, intuì il genio di Porcheddu, lo incentivò e lo promosse, ne coltivò amicizia e relazione artistica.
È sufficiente leggere alcuni tratti della prefazione per scoprire un Bistolfi anche critico d’arte: "... In un giorno lontano, quando l’autore delle visioni di bellezza qui raccolte aveva appena sette anni, il padre suo - animatore di geniali costruzioni, aspramente combattute al loro apparire, e diffuse ora in tutto il mondo - venne a me, portandomi alcuni disegni del piccolo Beppe. Erano paesaggi fantastici, strani aggruppamenti di figure umane, bizzarre scene di sapere fiabesco, trattate con mano già capace di esprimere le vicende delle forme e degli spazi. Chiesi come il fanciullo si esercitasse a copiare quelle figurazioni; ma le parole commosse del padre mi gridarono che tutti i disegni del suo Beppe erano esemplari di una spontanea e originale creazione, manifestata senza fatica e senza esitazioni. Così fu che io conobbi e seguii poi, nello svolgersi degli anni, l’arte di Beppe Porcheddu: fecondo suscitatore di sensazioni e di emozioni, creatore inesauribile di fisionomie fisiche e spirituali, immaginoso descrittore di ambienti e di anime. Arte che crea (come poche, forse, nel campo dell’illustrazione letteraria) l’atmosfera chiara e completa del momento psicologico; arte che, a primo aspetto, si presenta con forme che paiono caricaturali, ed è invece l’esaltazione della personalità umana precisata in tutte le caratteristiche esteriori ed interiori. Per questo le creature delle composizioni di Beppe Porcheddu nel loro silenzio lineare parlano ardentemente, e nella irrealtà del sogno vibrano di verità e di passione".
Bistolfi commenta le varie illustrazioni di Porcheddu, dedicate a personaggi letterari ed epici; richiama i tratti grafici e l’insieme delle figure. "Molti furono gli artisti che tentarono di rievocare in vaste opere aspetti di uomini e di cose appartenenti a tempi antichi o remoti - commenta Bistolfi - ma pochi riuscirono a raggiungere il senso intimo dell’essere... ogni opera di Porcheddu dà una vibrazione nuova. E questa vibrazione si esprime per mezzo di ignoti elementi tecnici, I quali traggono origine da quella che si potrebbe definire una esperienza improvvisa, volta alla volta suggerita o imposta dal significato del tema... tutte le opere di Porcheddu non sono già il frutto di studi scolastici, nè derivano sia pure lontanamente da opere preesistenti, ma nascono in modo esclusivo dal suo istinto, e sempre senza l’aiuto del modello umano... eccezionale procedimento creativo che sospinge l’artista alla più intensa ricerca di un’ideazione quasi esaltata... col procedere degli anni l’arte di Beppe Porcheddu ha acquistato una vigoria sempre più significativa... sia che realizzi un’ispirazione propria o sviluppi un argomento suggerito da uno scrittore, questo artista - come un musico sapiente - trova i modi sempre più adatti all’estrinsecazione dell’idea, e assume una facoltà rara e quasi unica per rivelare le immagini vere di quel determinato stato d’animo; e ciò non coi segni di una cifra personale, ma con uno stile conveniente in tutto e per tutto al carattere del motivo da sviluppare... codesta anzi della perfetta aderenza tra la visione del poeta e la realizzazione dell’illustratore costituisce indubbiamente una delle più belle doti di questo giovane artefice. I suoi disegni rivelano sempre uno studio lungo e paziente dello scritto che vogliono decorare... Beppe Porcheddu sa far suo, nel disegno e nei toni, il pensiero dello scrittore. Ma, nel tempo stesso, la sua illustrazione è sempre un quadro, vale a dire un’opera completa che può vivere, e vive a sè... ".
Il pensiero di Bistolfi su Porcheddu non è solo una prefazione di circostanza, ma assume il significato di convinto apprezzamento per la tecnica, la passione e l’innovazione dei disegni e illustrazioni di Porcheddu. È un Bistolfi critico d’arte, attento osservatore di un artista in affermazione. Siamo nel 1928, a Torino. Porcheddu diverrà poi in seguito e fino alla sua scomparsa nel 1947 un genio indicusso della grafica, delle illustrazioni.
Sergio Favretto, Come Leonardo Bistolfi scoprì e valorizzò il grafico e illustratore Beppe Porcheddu, Il Monferrato.it, 13 gennaio 2021
[Alcune pubblicazioni di Sergio Favretto: Con la Resistenza. Intelligence e missioni alleate sulla costa ligure, Seb27, Torino, 2019; Fenoglio verso il 25 aprile (Falsopiano, 2015); La Resistenza nel Valenzano. L’eccidio della Banda Lenti (Comune di Valenza, 2012); Resistenza e nuova coscienza civile. Fatti e protagonisti nel Monferrato casalese (Falsopiano, 2009; Giuseppe Brusasca: radicale antifascismo e servizio alle istituzioni (Atti convegno di studi a Casale Monferrato, maggio 2006); Casale Partigiana: fatti e personaggi della resistenza nel Casalese, Libertas Club, 1977]