Joffre Truzzi nasce a Revelastocke in Canada il 18 marzo 1915 da genitori mantovani emigrati in cerca di fortuna in Canada.
Ma la vita dura, la mancanza degli affetti, fanno ammalare il padre di Joffre, e dopo pochi anni ritornano sulle rive del Po nel loro paese di origine San Benedetto Po.
Già da giovane Joffre amava i colori, la pittura, ma fu solo durante la seconda guerra mondiale, mentre lui era stato "liberato" dagli Americani che venne scoperto dal Principe Pignatelli Cortès di Napoli, che lo prese sotto la sua protezione affinchè le sue doti evolvessero... ma la fidanzata Angela lo reclamava a casa... e così, suo malgrado, fece ritorno al paese e si trasferì in Liguria, a Bordighera, dove visse sino alla sua morte, avvenuta il 28 febbraio 2006.
A
Bordighera, pur lavorando, entrò a far parte della scuola serale d'arte del Maestro Giuseppe
Balbo, dove conobbe altri allievi poi diventati famosi, come
Maiolino, Sergio
Biancheri, Renzo Cassini, Sergio Gagliolo ed altri. Vinse alcune manifestazioni, fra cui il premio delle 5 bettole, che possiamo considerare il suo riconoscimento ufficiale, partecipò al premio di pittura americana (mentre a Bordighera venivano esposte opere di artisti americani, opere dei nostri artisti vennero esposte negli Stati Uniti, in una mostra itinerante che toccò 20 città importanti).
Le opere esposte, tra le quali alcune di Truzzi, fecero poi parte della collezione della Galleria di Stato dell'Oregon, considerato a tutt'oggi una fra le più importanti rassegne d'arte contemporanea degli anni cinquanta sul territorio ligure. Truzzi espose anche in Francia a Villefranche sul Mer, nella vicina Costa Azurra nel 1957. In quell'anno fece una delle più importanti conoscenze, sia a livello personale che artistico: conobbe Ennio Morlotti, il quale, anch'esso lombardo, veniva volentieri a Bordighera, dove aveva in affitto un atelier, e dove dipingeva insieme a Truzzi. Ma non si accontentavano di dipingere e viaggiare per le strade tortuose del nostro entroterra, alla ricerca di anfratti, viste di rovi o uliveti... essi andavano alla ricerca dei luoghi frequentati da un loro idolo, il Maestro Cézanne, che aveva il suo studio-abitazione a Aix en Provence.
[Joffre Truzzi] è rimasto com'era, con qualcosa di più gracile, di più poetico nei
suoi quadri: gli stessi paesaggi d'allora, ma come sospesi nel vuoto,
con dolcezze più apparenti e toccate dalla vertigine". "L'inevitabile
manto della malinconia s'è istoriato di scene gioiose, di azzurri
aggrediti dall'ombra, di viola vibranti, di dorati che vanno verso il
caos o la pace materica. Possibile che la vita nella sua erosione sia
sempre eguale? Francesco Biamonti
Bordighera ha un suo muratore-pittore, si chiama Joffre Truzzi, ha 33 anni, i competenti gli pronosticano un brillante avvenire.
[...] Truzzi dipinge soltanto la domenica, gli altri giorni li trascorre sugli alti ponti delle case in costruzione. [...]
Una
sua personale, ha ottenuto in questi giorni, a Bordighera, un ottimo
successo e le vendite sono state notevoli. Ma Truzzi non si è montata la
testa e continua, nei giorni feriali, a lavorare di cazzuola [...]
La sera - tutte le sere , dopo il duro lavoro - frequenta lo studio del professor Giuseppe
Balbo.
Gli tengono compagnia altri giovani allievi che ascoltano le “storie”
dei grandi pittori del passato con gli occhi sgranati, come fossero
fiabe.
Mario Caudana, 1948
Dieci anni fa Truzzi, la domenica
batteva le strade delle nostre campagne; le dipingeva instancabilmente;
riempiva due o tre cartoni nella stessa giornata. Il paesaggio era
studiato con amore, con ostinazione; fino a che il pittore non ne avesse
sceverato i caratteri distintivi di paesaggio ligure.
Questo
contatto durò sino al 1950, poi ci fu una specie d’arresto. Il pittore
si chiuse nel suo studio, elaborò composizioni che s’ispiravano al
lavoro dei contadini e in modo particolare a quello dei muratori, tra i
quali egli viveva e lavorava. Il colore s’incupì, agli accordi
squillanti dei gialli, dei rossi, dei verdi, dei precedenti paesaggi,
seguirono accordi di terre e di neri.
Era nata una pittura che poteva chiamarsi neorealista.
Ma
il paesaggio ligure lo riprese. Questa volta fu l’architettura dei
paesi a incantarlo. Costruzione di muri screpolati, archi, blocchi
desolati, Truzzi vagava di paese in paese, solo prendendo qualche
appunto. [...].
Dipinse quindi grandi tempere, drammatiche
architetture in bleu e in terra rossa. Egli mostra eccezionali doni di
fantasia: come dire che è artista per essenza. (Ci sono nei suoi quadri
accordi di colore del tutto nuovi).
Parte dal vero verso liriche
variazioni, in visioni delicatissime di case, alberi, colline. La voce
del suo paesaggio è nuova (austera e anche mistica) sconosciuta è l’aria
e la poesia che lo anima.
Giacomo Ferdinando Natta, 1957
È un merito, il tuo, di poesia, del quale tu sai che penso quello che pensa il finissimo amico Natta.
Carlo Betocchi, 1959
Nei
“Paesaggi dell’entroterra ligure” di Joffre Truzzi, dominano gli
alberi, quali protagonisti dei misteriosi drammi ignoti all’uomo e
dietro si mostrano rudi case o s’aprono scenari di cieli gialli o verdi,
rossi o cinerei, accesi o cupi […]. Fantasioso e spontaneo, c’è un
impeto primitivo in queste tele, un soffio aspro e nuovo nelle tonalità
accese. Il tocco a spatola è denso, talora violento. Jole Simeoni Zanollo, 1959
Truzzi
è un pittore in cui l’affetto alla terra in cui vive e lo spasimo della
memoria che vorrebbe conservare ogni momento felice, restituirlo in
note ferme e definitive, operano con egual forza permettendogli di
colmare, talvolta con reale felicità, lo iato tra la tradizione di una
pittura condizionata al sapore di una regione, di un paesaggio, e le più
remote ricerche intorno all’autonomia del quadro inteso come oggetto in
sé sufficiente, cadenza di colori e di forme disposte secondo un ordine
di individuale invenzione. Nessuna polemica esplicita in questa
pittura; eppure una carica densa, un gruppo di ragioni pro qualcosa e
contro qualche altra cosa [...] che, comunque la si giudichi, è una
delle forze di questi quadri, sotto la loro più superficiale apparenza
quasi crepuscolarmente gentile o vivacemente lieta. Riteniamo che la
loro lettura non sia poi così facile come può sembrare. Ma che tanto più
premieranno l’attenzione di chi vorrà non amarli di un’immediata
adesione, accoglierli per un movimento incontrollato, ma scrutarne il
riposto vigore, ripercorrere il lavoro da cui è nato il loro sbocciare
felice. Che è poi sempre il miglior modo di aderire ad espressioni che
si presentino cordiali e quasi disarmate. Far insomma del consenso alla
bellezza del colore, alla spontaneità della resa mezzo per un ulteriore
approfondimento. Albino Galvano, 1962
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Joffre Truzzi, Paesaggio (olio su tela) - Fonte: Joffre Truzzi |
Nato in Canada, Joffre Truzzi, vive a Bordighera
dove la malia della natura, per un pittore che per temperamento deve
sentirne tutto il fascino, gioca il suo ruolo ispiratore. Luci e colori,
come si nota nei dipinti ch’egli espone ora al Grifo, si configurano
nei rapporti di quelle macchie cromatiche sottilmente modulate negli
impasti dosati con abilità: modulazioni e dosature che in fondo
caratterizzano la sua pittura anche rispetto ai riferimenti stilistici
che, nel presentarlo, Albino Galvano riassume con un appropriato
“Morlotti revu par Bonnard”. Angelo Dragone, 1962
[Truzzi] si presenta con una serie di
interessanti paesaggi, realizzati ad olio, nei quali case, colline ed
alberi della riviera ligure appaiono calati in una unità tonale a basse
vibrazioni cromatiche di alta suggestività lirica. La luce, che nei
quadri di Truzzi nasce dall’interno delle piatte zone di colore,
commenta strutture paesistiche dove i muretti a secco, i casolari di
campagna, le masse di verde rappresentano momenti di una visione
sensibilizzata della realtà, visione non ignara delle ultime resultanze
della più valida pittura italiana. Carlo Segala, 1963
Se
penso sia raro trovare un pittore altrettanto fedele alla sua natura
(ch’è segno probante di vocazione); credo appaia altrettanto evidente
che lo stimolo maggiore al suo lavoro, Truzzi lo attinge dal più
complesso moto della realtà. Questa realtà, egli sa benissimo che in
parte preponderante e in primo luogo si trova dentro se stesso e non
sopra, non fuori, non in gazzette, in professori, in ideogrammi; sa
ancora che parte importantissima della realtà, oggi quasi totalmente
trascurata, è il paese dove si vive, con la gente, gli alberi e il
cielo, sa inoltre che la realtà sono la storia e la tradizione […]
Dagli impressionisti, e soprattutto quelli legati al suo paesaggio,
Renoir-Monet-Piana, su su fino alla svolta più recente e determinante –
quest’ultima di Wols, Pollock, Gorky, De Staël. Quella che ha portato
una più profonda coscienza dell’”organico” in contrapposizione ai giochi
intellettuali estetisti; quella che ha affrontato – e per me in modo
più diretto dei surrealisti – le zone più remote, segrete e misteriose
dell’essere, il conflitto tra idea e realtà, tra momento razionale della
realtà, e quello irrazionale nell’istanza poetica.
Le
intelligenti argomentazioni non sono riuscite a spiegarmi come si possa
prescindere da questa recente storia così drammatica e viva.
Comunque
in questa mostra è molto evidente come questa realtà così tesa e
scottante sia utile affrontarla anziché pensare all’abiura e
all’ostracismo.
E’ affrontando
questa situazione che secondo me, Truzzi ha formato le sue sicure
radici, s’è stabilito un preciso impegno, s’è scrollato abitudini e
atavismi ormai devitalizzati, ha determinato questa sua attuale felice
pienezza creativa.”
Ennio Morlotti, 1964
Con
una vivace interpretazione in catalogo di Ennio Morlotti, apre la sua
personale alla galleria del Mulino [...] il pittore ligure Joffre
Truzzi. Si sono conosciuti dietro le colline di Bordighera e affiatati
per una comune disposizione verso la realtà di natura: siepi, sterpi,
prati, vegetazioni selvatiche, che occupano con insistenze di primo
piano lo spazio del quadro e lasciano poco margine alla striscia di
cielo. [...]
L’interpretazione di
Truzzi, rispetto a quella drammatica sempre di Morlotti: è di più
aperta elegia; c’è una felicità nel suo rapporto con questa natura, uno
scambio di interiori sensazioni, perciò la pittura ne è tutta illuminata
e il colore si ravviva di preziosi splendori.
Marco Valsecchi, 1964
Il pittore Truzzi si è presentato in
Bordighera con una personale condensata in venti opere che esprimono l’intendimento sobrio di un artista molto prossimo alla maturità.
Abbandonate
talune compiacenze pittoriche [...] il Truzzi si è indirizzato verso
una semplicità geometrizzata quasi, forse un poco rigida, ma di
induttiva affermazione stilistica. Con impasti rinnovati ed accostamenti
di toni fermi e saporosi, i nuovi paesaggi presentati, pur svelando un
legame a esperienze già note, contengono una personalità manifesta nella
costruzione prevalentemente pittorica dell’atmosfera e della
prospettiva fatte soltanto di colore.
Giuseppe Balbo, 1966
[…] si rimproverava a Truzzi l’influenza esercitata sulla sua pittura dall’opera e dalla frequentazione di Morlotti.
Che
l’opera del maestro lombardo, prima, e di Sutherland più recentemente,
abbiano lasciato profonde tracce sulla pittura di Truzzi di questi
ultimi anni, è innegabile. Né poteva essere altrimenti, se si pensa che
nel guardare a questi due significativi pittori del nostro tempo Truzzi,
pittore prevalentemente di paesaggi, di aspetti e di elementi naturali,
ha dimostrato di sapere operare una scelta intelligente, coerente col
proprio temperamento. Tuttavia in questa personale, accanto ad opere in
cui la presenza dei due maestri è ancora chiaramente avvertibile, Truzzi
ci ha sottoposto (e questo è un merito che gli va riconosciuto) un buon
numero di dipinti che dimostrano in modo convincente come egli,
assimilate e superate le due influenze, sappia approdare ad un suo più
personale linguaggio.
Enzo Maiolino, 1967
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Joffre Truzzi, Gli ulivi, 1970 (carboncino) - Fonte: Joffre Truzzi |
“Sono un pittore naturalista. Dipingo la natura. Da sempre”. Così dice Truzzi della sua pittura e di se stesso.
Di se stesso perché la natura è il suo mondo, il suo ambiente, meglio ancora il suo elemento: in cui egli si ritrova e si muove.
Dalle
sue parole, che sono poi dichiarazioni abbastanza esplicite, la natura
appare ancor più come verbo, norma di vita ed esigenza: certo una meta
costante del suo essere. “Forse perché sono nato in un bosco” (è figlio
di emigrati nel Canada), Joffre tiene a ricordare, quasi che per lui
stesso la persistenza e l’attualità di quell’ispirazione costituiscano
ancora un interrogativo. [...].
La sua natura è di sicuro vivente, ampia, generatrice; ricca di linfa.
Così
che egli, più che osservarla e rappresentarla, la sente e la dice: la
sua è la pittura di un contatto. E il suo senso della natura (senso
piuttosto che sensibilità) ricorre particolarmente al colore come al
mezzo precipuo e più indicato per la propria espressione.
Natura e colore appaiono quindi il binomio di base della sua pittura.
Massimo Cavalli, 1977
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Ennio Morlotti, Francesco Biamonti e Joffre Truzzi nel 1960 davanti all'atelier di Cezanne - Fonte: Joffre Truzzi |
A Truzzi mi lega un lungo rapporto,
consolidato dalla comune amicizia con Morlotti. Ricordo di lui un
vagabondare alla ricerca delle luci dei costoni, delle dolcezze di
un’aspra terra, fatte di cielo, di tramonti rosati, di silenzi nascosti
nelle vegetazioni. La sua pennellata è istintiva e nel contempo guidata
da un sentimento virgiliano della vita (Truzzi è di Mantova) con qualche
collera da animo offeso.
Truzzi
sa ciò che gli è necessario. Quante volte Ennio [Morlotti] ed io, lo abbiamo
sentito mormorare qualche brano delle Bucoliche: l’uomo che abbandona i
campi, l’uomo dell’esilio, che aspira a tornare al suo regno. Forma
d’elegia che in pittura si è sovente tradotta in soffi leggeri, in
brezze che animano le cose: crinali toccati dalla grazia, casette
raccolte nel fervore del verde, rocce clonate di azzurro e polvere.
Era
un uomo sempre disponibile al lavoro e alla vita, sempre pronto a
partire, verso una tomba, un rudere, un fiore. Poteva anche essere
insopportabile, litigioso in superficie, ma a Morlotti e a me strappava
sempre un sorriso, perché ne conoscevamo la malinconia fondamentale.
Ora
non riesco a immaginarlo vecchio: è rimasto com’era con qualcosa di più
gracile, di più poetico nei suoi quadri: gli stessi paesaggi d’allora,
ma come sospesi nel vuoto, con dolcezze più apparenti e toccate dalla
vertigine. L’inevitabile manto della malinconia s’è istoriato di scene
gioiose, di azzurri aggrediti dall’ombra, di viola vibranti, di dorati
che vanno verso il caos o la pace materica. Possibile che la vita nella
sua erosione sia sempre eguale?
Francesco Biamonti, 1996