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giovedì 1 luglio 2021

Quel ricciolo bianco dell'onda

Joffre Truzzi - Fonte

La casa di Joffre Truzzi é vicina al mare; da questo la divide la massicciata su cui corrono i binari della ferrovia; il mare qui non si vede dai piani bassi, lo si intuisce soltanto; quando é agitato si sente l’odore di salsedine. E’ un dolce settembre e il frastuono dell’estate si é appena spento lasciando ampi spazi ai rumori più famigliari, alle voci che giungono, nitide e solitarie, insieme allo scandire dei passi sui marciapiedi. Sono sceso dall’Aurelia per la piccola strada condominiale; la porta del piano rialzato, dove abita il pittore si é aperta prima che suonassi e subito é apparsa sorridente una bella signora bruna, che mi si presenta come nuora di Joffre. Mi ha indicato in fondo alla stanza la figura di un vecchio che si stava alzando dalla poltrona. La ricordavo quella testa bianca piena di riccioli e dallo sguardo fiero, un po’ inquieto, che si accende e si spegne, mi era noto, anche se non familiare. Non mi é parso molto cambiato dall’ultima volta che lo incontrai - nel gennaio scorso - quando andai ad invitarlo alla presentazione del carteggio Betocchi/Pazielli, nel quale figurava anche lui. Lo stesso portamento eretto, negli occhi la stessa fierezza, anche se oggi mi é sembrato intravedervi una più spiccata inclinazione alla dolcezza. « Io vengo senz’altro » disse quella volta, ringraziandomi, « se qualcuno mi accompagna » e dopo un momento d’esitazione, « e se no, vengo da solo!» accennando al suo bastone nero lì vicino. E da solo venne, infatti, presentandosi all’ingresso della Chiesa Anglicana un bel po’ prima dell’inizio; guardò bene tutt’intorno, mi salutò, parlò con due o tre persone e poi se ne andò. Anche ora ho di fronte un uomo schivo da ogni cerimoniale, attento solo all’essenziale, contrario al superfluo, ribelle di fronte ai convenzionalismi e ad ogni forma d’ipocrisia. Egli vede il bene, e lo apprezza, quando é scevro da ogni orpello, e soprattutto, quando può essere coniugato con l’arte e con la cultura autentiche. Quasi ad avvallare questo aspetto del suo carattere, mi dichiara con una certa fierezza che le sue origini canadesi non sono influenti; e che, invece contano assai di più quelle familiari che sono lombarde, o meglio ancora di confine, perché del mantovano, proprio a cavallo fra Emilia e Lombardia.
Intanto l’onda lenta del mare si ripropone nei momenti di maggiore quiete, come una carezza, nel volgere di uno sguardo; e ripenso allora a quell’onda ben più vigorosa e veloce, ricca di bianca schiuma che la corrente, delle nostre mareggiate di ponente, scaraventa fino ai muraglioni della passeggiata e oltre. Rivedo la bianca distesa di schiuma correre, ormai placata, verso terra e poi improvvisamente, incontrando un ostacolo, impennarsi con una forza inaspettata verso il cielo e rifrangersi quindi in mille rivoli bianchi ricchi di veemente allegria. Ecco, dico fra me, ecco: quel ricciolo impetuoso e arrabbiato potrebbe essere Truzzi, e tutti quegli schizzi bianchi successivi, la sua allegria e la sua raggiunta dolcezza. Così mi piace vederlo, affrontare la risacca della vita, e destreggiarsi in essa.
Ci spostiamo nello studio del pittore e qui, sulla soglia, sono investito da un’onda di luce calda senza che nessuna lampada fosse stata accesa. Le tele sono appoggiate per terra contro le pareti, alcune, appese lungo le stesse; Joffre non indugia a commentare i suoi lavori; ascolta e guarda con me. Alle sue spalle, come arrampicato su una scala di metallo, sento, e poi vedo, lo sguardo ammiccante di un suo bel autoritratto. Mentre usciamo dalla stanza gli chiedo di Bordighera, dei suoi amici, dei suoi  « colleghi» pittori, degli artisti in genere; di Bordighera degli anni prestigiosi (1950-1970), dei Premi 5 Bettole e degli avvenimenti importanti; non spende molte parole in proposito; ma ricorda volentieri alcuni nomi che gli sono cari, come Giuseppe Balbo, prezioso animatore di tante iniziative, e, altri, per il loro rilievo nel campo della cultura e dell’arte: Carlo Betocchi, di cui rievoca la grande ospitalità offertagli nella sua casa fiorentina di Borgo Pinti, nel 1957, Giacomo Ferdinando Natta, arguto e colto conversatore; Sbarbaro, Biamonti, Carlo Bo, Giancarlo Vigorelli, Lorenza Trucchi, Italo Calvino, tutti gravitanti qui e poi, quasi per un segreto appuntamento, tutti da Maria Pia Pazielli alla sua Piccola Libreria. Gli occhi, ad un certo punto, si intristiscono, un altro nome gli affiora sulle labbra: Luciano De Giovanni, il poeta sanremese scomparso da pochi anni cui lo legava una profonda amicizia. Riesco a stento a leggere alcune parole di una poesia che De Giovanni gli ha dedicato; uno dei suoi sonettini del 1986: «… e il cielo che vortica lento/ le sue nuvole e il suo azzurro / e  la barriera dei monti e gli ondulati dorsali/ e le segrete fonti».  Degli amici d’oggi Truzzi ricorda in particolare Enzo Maiolino, Sergio Gagliolo, Sergio Biancheri; nomi legati all’arte e alla vita, alla comune visione naturale di questa aspra e semplice terra di ponente. Ricorda Morlotti e ancora Biamonti, e la gita che fece con lui e Maiolino nei luoghi di Cézanne. Si illumina infine parlando di Piana, e batte la mano sul tavolo in segno di grande stizza e ribellione quando denuncia il persistente oblio che circonda questo pittore di grande valore e straordinaria modernità. Il commiato si avvicina e Joffre appoggia la sua mano sul mio braccio, mi fissa negli occhi e mi dice risoluto: «ricordati che chi non é sincero nella vita, non lo é neppure nell’arte», una bella verità pronunciata da un uomo «vero».
Starei ancora a lungo, accarezzando il silenzio come si accarezzano le nuvole che incorniciano i nostri tramonti nei loro inesorabili mutamenti. Un’ultima occhiata al tavolo di Truzzi: una fotocopia un poco gualcita ricorda una mostra del pittore alla Biblioteca di Ospedaletti nel 1996; una foto ricordo degli anni ’60 con Morlotti e Biamonti, un breve scritto di quest’ultimo, intenso e ricco di significato umano per Truzzi, «… un uomo sempre disponibile al lavoro, alla vita, sempre pronto a partire, verso una tomba, un rudere, un fiore. Poteva anche essere insopportabile, litigioso, in superficie, ma a Morlotti e a me, strappava sempre il sorriso, perché ne conoscevamo la malinconia fondamentale».
Luigi Betocchi, Quel ricciolo bianco dell'onda, Sito dedicato alla figura di Joffre Truzzi, settembre 2005

Da sinistra: Giuseppe Balbo, Giuseppe Piana e Joffre Truzzi - Fonte

Joffre Truzzi, Pescatori, 1955 (olio su tavoletta) - Fonte

[...] Presentiamo qui alcuni tra i primi allievi che hanno raggiunto maturità artistica e riconoscimenti sia in territorio nazionale che all’estero. Tra questi il pittore e grafico Enzo Maiolino e lo scomparso Joffre Truzzi. Dopo Balbo la scuola è stata seguita dal pittore Lilio Domenico Pagnini, suo allievo fin dal dopoguerra e insegnante e presidente per numerosi anni. Sergio Biancheri “Ciacio”, eletto successivamente e presidente per otto anni e Sergio Gagliolo [...].
Redazione, Un po’ di storia, Accademia Riviera dei Fiori "Giuseppe Balbo", 2011

Joffre Truzzi, Paesaggio - Fonte

Nel corso del decennio l’iniziativa, cui succedette, dopo l’edizione ibrida del 1962, il “Premio Bordighera” nel 1963 e 1964, ebbe un successo sempre crescente. Guido Seborga e Renzo Laurano, infaticabili promotori di queste manifestazioni, coinvolsero, tra gli altri, Italo Calvino e il critico Giancarlo Vigorelli. Vale la pena di notare che Biamonti, negli anni successivi, scrisse come critico d’arte su quasi tutti i pittori vincitori del premio: Enzo Maiolino, Joffré Truzzi, Mario Raimondo, Sergio Gagliolo.
[...]
1.5. SCRITTI DI CRITICA D’ARTE
[...]
1977
(1977a) = [Presentazione], in J. Truzzi, Teatro Comunale, Ventimiglia, 15-28 gennaio 1977 [dépliant della mostra].
[...]
1996
(1996a) = [Presentazione], in Joffré Truzzi. I pittori del Ponente 5, Biblioteca Civica, Ospedaletti, 5-25 aprile 1996 [dépliant della mostra]; poi, parte dello scritto (righe 25-33), in Joffré Truzzi, presentazione della mostra personale al Palazzo del Parco, Bordighera, 28 novembre-5 dicembre 2002 [dépliant della mostra]; poi, con il titolo Truzzi, i paesaggi sospesi nel vuoto, in SP (213).
Matteo Grassano, Il territorio dell’esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001), Tesi di dottorato, Université Nice Sophia Antipolis, Università degli Studi di Pavia, 29 gennaio 2018 

Joffre Truzzi, Val Nervia, 1988 - Fonte

Ma il cielo e la luce della città delle palme incantano anche Ennio Morlotti, alla ricerca di una “nuova avventura” pittorica. Boschetti di ulivi e di limoni, rocce, cactus, lingue di spiaggia bagnate dal mare: è questo il paesaggio ligure che Francesco Biamonti e Sergio Biancheri, conosciuti nel 1959, mostrano al pittore lombardo durante i numerosi viaggi in automobile. Le campagne di Borghetto San Nicolò e Vallebona, la Val Nervia, gli scogli di Marina San Giuseppe, il pianoro di Punta Migliarese, Perinaldo e, ovviamente, San Biagio della Cima diventano mete da visitare ogni estate, alla scoperta della luce e dei grumi di colore di cézanniana memoria che tanto affascinano sia Morlotti sia Biamonti (si ricordi la loro visita, in compagnia di Maiolino e Truzzi, allo studio di Cézanne a Aix-en-Provence nel 1963).
Mara Pardini, La cultura nel ponente ligure ai tempi di Francesco Biamonti: un accenno, Terra ligure

[...] Il padre Satiro, lavorava alla costruzione della ferrovia Trans-Canada, che doveva unire la Costa Atlantica con il Pacifico, con temperature proibitive e condizioni di lavoro disumane; alla fine il povero Satiro non ce la fece, e dopo dieci anni dovette rientrare nella nativa Mantova, terra dei Gonzaga, dove fiorivano le arti e l'artigianato.
La madre Stella, donna indomita e coraggiosa, accudiva Joffre, i suoi fratelli e la casa di tronchi d’abete, e, per "fare la spesa", usciva a cavallo nei boschi con la doppietta e a volte tornava con un bottino di selvaggina o solo bacche del bosco.
Ancora adolescente, Joffre tornò nella terra dei suoi avi durante un viaggio periglioso, dove rischiarono di affondare e di contrarre qualche brutta malattia contagiosa, stipati com'erano nella stiva di un'ansimante piroscafo.
Nei ricordi di Joffre questo periodo della prima infanzia è vago, ma sempre presente, come visioni, fra sogno e realtà. E sono convinto che ha creato i prodromi di quest’inusuale artista e personaggio eccezionale, temprato dai grandi freddi, con la visione di grandi spazi e di aurore boreali,che a novant'anni dipingeva ancora attivamente.
Nelle mattine soleggiate lo trovavi al suo bar preferito dei Piani di Borghetto, a gustarsi uno "spruzzato" e a scambiare sagaci commenti sul via-vai del marciapiede, ma soprattutto, ti sorprendeva con la sua memoria e la profonda cultura, assimilata in viaggi e letture, con una sempre viva curiosità.
Scontroso e irascibile superficialmente, nascondeva un animo gentile e mite, timido, che proteggeva con questa "corazza" burbera e accigliata.
Spirito di contraddizione e in contraddizione con il mondo e con se stesso, anche con i suoi affetti e amici più cari, si realizza e trova sfogo e pace nei suoi dipinti. Che a veder bene, è una una vera stranezza, che non abbiano avuto il successo e i riconoscimenti che meritano.
Ci sono le ragioni di questo "tesoro" nascosto: sicuramente il carattere scontroso e introverso non ha favorito il necessario supporto di critici e galleristi, oltre alla scelta di vita e di lavoro nella dolce e pigra Riviera di Ponente, senza mai spingersi, non dico all'estero, ma nemmeno a Milano, a cercare e sviluppare contatti e amicizie.
Sono riuscito a portarlo a Parigi e Londra, solo dopo gli ottant'anni, dove ha visitato i grandi musei e ha avuto anche un grande successo con un'esposizione a Oxford.
Lo stesso Morlotti, che frequentava e lo stimava molto, era in continuo movimento pur passando molto tempo in Riviera ed aveva solidi rapporti con importanti galleristi che lo aiutarono ad affermarsi, anche con accordi commerciali, che il nostro Truzzi disdegnava.
Quando qualche critico o gallerista "scopriva" Truzzi, il rapporto quasi inevitabilmente si deteriorava e infine si interrompeva, grazie alle intransigenti posizioni del nostro integerrimo e scontroso Maestro!
Se non sei un buon diplomatico non vuol dire che non puoi essere un buon artista, anzi! Forse non avrai mercato e fama, ma le opere rimangono e testimoniano una produzione artistica di alto livello.
Truzzi ha visitato musei, esposizioni, chiese, paesi e, soprattutto, ha incontrato molta gente comune “la più vera”, con cui amava dialogare con vivace spontaneità e ha sempre letto molto.
Se Truzzi non ha accettato compromessi per affermare la sua arte, si é impegnato a soddisfare la sua cultura e curiosità e per guardarsi nello specchio ogni mattina serenamente.
La sua pittura è stata sicuramente ispirata dai grandi impressionisti, soprattutto Cezanne, di cui ha visitato lo studio a Aix-en-Provence con Morlotti e Francesco Biamonti, e da De Stael, di cui amava molto i cieli, ma anche dall'amico Morlotti.
In Truzzi si è sviluppato misteriosamente un fenomeno di osmosi, tra le atmosfere mediterranee del nostro entroterra, cosi amate e descritte da Biamonti, con i suoi paesaggi ventosi, e un post'impressionismo materico magistrale, che solo sfiora l'informale, vedi le bagnanti e i nudi, che sono un'amalgama poetico di carne, di terra, di acqua e di vegetazione, un'atmosfera e un pathos legato all'ultimo Cezanne, e oltre, proprio per quel suo sfiorare, accarezzare quasi l’informale, ma senza mai cedere alle sue facili lusinghe.
Come gli impasti materici, ma tenui, delicati, dei fiori di Truzzi, le "sue" rose canine che andava a cercare tra i muretti a secco, sopra Sasso e Seborga, o i limoni lucidi di humus, di una materia così viva e "profumata" lavorata con perizia tra spatole e ruvidi pennelli.
Truzzi ama dipingere su superfici dure, solide, dove sente il bisogno di "affondare" il suo segno con il pennello o la spatola, ma anche con la viva mano, l'indice che penetra nella materia ancora duttile e la segna in profondità: così Truzzi si lega alla sua opera, in un’indelebile simbiosi.
Quasi alla fine della sua lunga vita, Truzzi riscopre l’Eros e dipinge una serie di grandi bagnanti, Angeli-Maddalene di un sogno erotico, di carni impastate col fango, la vita, l’eros, e la morte... sul solco tracciato da Renoir, e prima ancora da Tiziano e Rubens,soggetto al quale si dedicò anche Morlotti, nelle ultime sue opere.
Ho avuto la fortuna di frequentare Truzzi per molti anni, da quando scorazzava altero sul suo Galletto-Guzzi. Abbiamo visitato Roma in lungo e in largo, dove amava passeggiare in via Giulia, perché gli ricordava un racconto di Caldarelli; a Firenze, dove riconosceva a prima vista gli affreschi delle Chiese, con nomi e date; a Ferrara, al Palazzo dei Diamanti, per una grande mostra, la prima postuma, di Morlotti e a Venezia, dove amava rivedere più volte la "Resurrezione" del Tiziano, con quella luce verdastra, dipinta a novant'anni [...]
Daniel Audetto, Joffre Truzzi, Sito dedicato alla figura di Joffre Truzzi, luglio 2013

giovedì 24 giugno 2021

Lei, mio caro De Giovanni, mi scriva tutte le volte che ne ha voglia


La presente “notarella”, <1 mentre esibisce le incoraggianti impressioni di lettura che due grandi poeti del secolo scorso, Carlo Betocchi e Vittorio Sereni, affidarono a lettere scambiate fra loro su un giovane esordiente del ponente ligure o a lui, Luciano De Giovanni, indirizzate, si propone, tramite il recupero di documenti poco noti (alcuni inediti) e la ricostruzione di un piccolo episodio della società letteraria anni Cinquanta, d’illuminare la figura in ombra e l’opera in versi dello schivo “stagnino” sanremese che preferì starsene in disparte, pubblicando di rado e per raffinati editori in genere di provincia, affannandosi ancor meno per primeggiare o comunque presentarsi senza che terzi insistessero. A svantaggio di una poesia valida, già di per sé «prudentissima, e dosatissima, “a frazioni di pollice”, timorosa d’una lacrima troppo compiaciuta (troppo gonfia e cantata) come d’un possibile seme di inondazione ed allagamento», a voler citare un altro grande, Giorgio Caproni, che recensì Viaggio che non finisce. <2
Con la prima raccolta del 1957 De Giovanni avviò un percorso che riprese ben un trentennio dopo con la seconda raccolta, dal sintomatico titolo Cautamente presente, <3 e che raggiunse la “cima” solo nel 1993 con l’antologia Tentativo di cantare una nuvola, <4 uscita quando il poeta idraulico aveva superato i settantuno anni dei settantanove che l’incontrovertibile conteggio della vita gli concesse.
[...] Fra le cartelle della corrispondenza è conservata una singola lettera di Sereni a De Giovanni: un foglio bianco, oramai ingiallito, di formato A4 e senza intestazioni, riempito sul recto e per metà sul verso da una scrittura in penna stilografica che sigla il testo con la firma estesa del mittente e le coordinate «Milano, 10 marzo ’57 / via Mauro Macchi 35».
[...] Nell’estate del 1956 De Giovanni e Betocchi scrissero a Sereni, amico del secondo, in quanto poeta ammirato e, dal 1955, responsabile di un’altra esperienza editoriale milanese, quei «Quaderni di Poesia» delle Edizioni della Meridiana in cui uscirono opere di Giovanni Arpino, Franco Fortini, Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotto, Umberto Bellintani, Bartolo Cattafi, Lalla Romano e Luciano Erba. Sereni ricevette, infatti, una cartolina fotografica (ora conservata a Luino fra la sua corrispondenza) con il seguente stringato messaggio: «Al caro caro poeta di Frontiera e di Diario D’Algeria, in visita al poeta Luciano de Giovanni (vedi «Letteratura» n. 21-22), di cui ti ho parlato per la possibilità di un volumetto nella tua bella collana». Spedita all’«Illustre» Vittorio Sereni da Borello, la cartolina è datata «19 Ag. 1956» e presenta un panorama della stessa località dell’entroterra sanremese dove De Giovanni ebbe modo di accogliere, in quella «straordinaria domenica» <6 estiva, Betocchi e non solo: attorno alle firme del principale invitato e mittente (con «un abbraccio») e del proprietario di casa («con ossequi»), si riconoscono anche i nomi di Mima e Silvia, moglie e figlia di Betocchi, e di Maria Pia Pazielli, la proprietaria della Piccola Libreria di Bordighera che, amica di entrambi i poeti (fu proprio lei a farli incontrare all’inizio del 1956), <7 era fra i protagonisti della cultura del ponente ligure in una particolarmente vivace - e probabilmente irripetibile - stagione. <8
Il numero di «Letteratura» (maggio-agosto 1956), a cui si fa riferimento nella cartolina, ospita quattordici poesie di De Giovanni presentate da Betocchi, <9 assiduo frequentatore di Bordighera (dove morì). <10
L’autore di Realtà vince il sogno tornava spesso nella cittadella di mare per trascorrere lunghi soggiorni, per ritrovare l’intimità degli affetti (lì viveva il fratello Giuseppe) e concedersi, magari, nuove conoscenze e scoperte poetiche: letti, grazie a Pazielli, alcuni testi di De Giovanni decise d’impegnarsi per farlo emergere, forzandone la tenace introversione. <11
A partire dalla pubblicazione sulla rivista romana diretta da Alessandro Bonsanti (venuta dopo, per la verità, l’esordio vero e proprio su «Il Ponte» diretto da Pietro Calamandrei): <12 «Se non era per l’affettuosa violenza che altri gli ha fatto», scrisse Betocchi su «Letteratura», «De Giovanni non mi avrebbe forse mai fatto leggere le sue poesie; timido com’è, occorre strappargliele di mano. Ho qui, ora, il nitidissimo dattiloscritto, che spero troverà il suo editore. In provincia, certi incontri casuali, in occasioni che sono anch’essi casuali: siamo così sbadati, così poco accessibili a quanto, genuinamente, ci viene offerto».
Un editore avrebbe potuto essere, appunto, Sereni al quale, forse di persona o forse per lettera, Betocchi aveva già accennato di De Giovanni prima della cartolina dell’estate 1956 («di cui ti ho parlato per la possibilità di un volumetto nella tua bella collana»).
[...]
Già il giorno successivo Betocchi, da Firenze, avvertì De Giovanni:
"Caro De Giovanni,
ho qui una lettera di Sereni, al quale mandammo una cartolina da Borello (che lui mi ricorda) e al quale avevo parlato del suo libro. Sereni non dirige più la Meridiana, che è finita, ma avrà a che fare presto con un’altra collana. E a ogni modo avrebbe piacere di vedere intanto i suoi versi stampati su «Letteratura» che, come si sa, non è spedita in omaggio, ma è diffusa in gran parte tra gli istituti di cultura attraverso la Pubblica Istruzione. Se lei ha una copia, fra quelle <20, ancora disponibile per Sereni, La prego di spedirgliela al suo indirizzo, con a parte una sua lettera di spiegazione richiamandosi a questa mia cartolina. […] Come stanno i suoi? Come lei? Come Maria Pia? Cordiali saluti dal suo Carlo Betocchi
. " <15
De Giovanni seguì le istruzioni di Betocchi - la lettera di spiegazioni non si trova - e gli rispose due giorni dopo con riconoscenza: «La ringrazio di questo Suo continuo interessarsi di me, anche quando è tanto occupato. Ho subito scritto al Prof. Sereni al quale ho pure inviato una copia di “Letteratura”. Speriamo che le poesie gli piacciano, in ogni caso devo a Lei la possibilità di un nuovo importante contatto». <16
Intanto Betocchi aveva invitato De Giovanni a farsi avanti anche con altri poeti, soprattutto liguri, i più “vicini”, come Camillo Sbarbaro <17 e Angelo Barile.
«Conobbi Angelo Barile nel 1956, quando egli aveva già sessantotto anni ed io esattamente la metà», ricordò De Giovanni: «Betocchi, che stava per pubblicare alcune mie poesie sulla rivista “Letteratura” di Roma, mi aveva convinto a scrivergli e a “mandargli qualcosa”. […] Con affettuosa insistenza, mi spronava a uscire dal mio isolamento. Io, a quei tempi, facevo l’artigiano e il mio mestiere mi pareva così lontano dal mondo letterario da sentire quasi un senso di colpa ogni volta che prendevo la penna in mano». <18
Anche Barile, che divenne poi amico di De Giovanni, si convinse prontamente del valore della sua poesia e dell’opportunità di entrare in contatto con Sereni e chiedergli consiglio: «Lei ha fatto molto bene a mandare a Vittorio Sereni le Sue poesie», scrisse Barile a De Giovanni il 20 dicembre 1956, «Sereni è un poeta sensibile e attento (ho letto proprio in questi giorni un interessante suo saggio su Solmi); e vorrà sicuramente risponderLe. Mi dirà poi il giudizio e il consiglio che Le avrà dato». <19
Sereni era anche un direttore editoriale affaccendatissimo, come si è detto e come andava confidando ad alcuni corrispondenti; se aveva definito, in una lettera del 19 gennaio 1957 ad Attilio Bertolucci, quello che stava attraversando «il peggior periodo pirelliano (peggio, molto peggio di qualunque anno militare)», <20 nella già citata lettera a Parronchi, anticipandogli i progetti con Mantovani, chiosò: «parlane il meno possibile in giro. Altrimenti chi mi salva più dalle richieste, segnalazioni eccetera? Perdo già troppo tempo in corrispondenza, figurati se poi ci si mettono quelli che vogliono giudizi e poi li sollecitano». <21
[...]
Il giorno di Santo Stefano Betocchi, paziente intermediario, spedì all’idraulico di provincia e poeta in cui credeva una lettera che concluse con una rassicurazione: «E Lei, mio caro De Giovanni, mi scriva tutte le volte che ne ha voglia: qualche volta, se non risponderò, lei mi perdonerà: ma penserà che le sue parole saranno lo stesso nel mio cuore, e vi lavoreranno. E stia di buon animo (Sereni mi ha chiesto un po’ di tempo ancora per leggere i suoi versi) e mi voglia bene». <23
Sereni sul serio aveva bisogno di tempo, si pensi che era proprio la collaborazione con Raimondo Mantovani a poter costituire «una molto chimerica via d’uscita dalla sempre più ingarbugliata situazione pratica» in cui si era infilato:
«Possibile», chiese a se stesso il 12 gennaio 1957 e a Parronchi, «che non si possa trovare un lavoro che mi dia da vivere e sia al tempo stesso più adatto a me? pare che non sia possibile». <24
A quasi sei mesi di distanza dalla cartolina di Borello spedita con Betocchi, De Giovanni ricevette la risposta tanto attesa, contenuta nella lettera di Sereni del 10 marzo 1957 conservata a Genova nell’archivio d’autore in costituzione e qui di seguito trascritta integralmente:
"Caro amico,
mi sono fatto vergognosamente aspettare e me ne scuso. Betocchi forse potrà spiegarle bene - o almeno rendere credibili - le ragioni del mio ritardo.
Ho letto più volte le sue poesie su «Letteratura» e la ringrazio di avermele fatte conoscere.
Non ho alcun dubbio circa la sua “necessità” di scrivere versi e sono convinto che non è tempo sprecato. È poesia che non si apprezza al primo colpo, e con la quale bisogna vivere un po’ perché ne sia intesa la forza di fondo, la bella coerenza - sottile e salda insieme.
La collezione di cui saltuariamente mi occupo va alquanto a rilento e alterna titoli tradotti ad altri originali. Questo è un anno sperimentale e oggi non sono in grado di offrirle un qualunque affidamento per il futuro. È così dubbia la fortuna… commerciale di un libro di versi che ho il dovere di andare coi piedi di piombo con l’Amico editore, persona carissima ma non animata (giustamente, del resto) da spiriti mecenatizi.
Stiamo a vedere e, la prego, non si ritenga in alcun modo impegnato con me. Sta di fatto che vedrò in seguito altre cose sue volentieri.
Ancora mi scusi e creda alla simpatia e all’augurio di
Vittorio Sereni
"
[...] il 27 [scrisse Betocchi]:
"Caro De Giovanni,
la sua precedente lettera è del 16 marzo […]. Il mio tavolo è ingombro di posta arretrata, fra cui tengono il campo una ventina di fascicoli di poeti che vogliono saper qualcosa dei fatti loro. Non ce la faccio più, e pretendo di rispondere a tutti. Lei vede la calligrafia, angariata dalla fretta, ma la fretta è nemica del bene. E lei sa se io, invece, ho stima, e quale stima! della vita contemplativa.
Iddio non ce l’ha voluta concedere. Siamo stati dietro alle passioni, e ne paghiamo lo scotto.
Cerchiamo almeno di pagarlo onoratamente. Mi scusi lo sproloquio, ed entriamo in argomento.
[…] Sono contento che anche le altre sue cose vadano meglio; e contento della risposta di Sereni, ma non tanto di queste difficoltà a stampare. Ho due tre poeti come Lei che restano così, e ne provo un dolore!
" <28
«Dopo diverse esplorazioni non riuscite», <29 Betocchi riuscì a trovare la persona giusta per l’esordio poetico di De Giovanni: Bino Rebellato. Un «editore coraggioso sino all’assurdo, al quale piaceva rischiare sui nomi nuovi più che speculare sui già affermati», annotò Caproni, il 7 febbraio 1960, nel proprio Taccuino dello svagato; un editore di provincia che riuscì, «con squisita arte militare, a far di Cittadella (la città più murata d’Italia) la città più aperta alle aspirazioni, e diciamo pure agli assalti e alle invasioni, di centinaia di giovani, cui egli era sempre pronto a offrire un consiglio schietto, se non addirittura il suo aiuto, e il suo nome». <30
Già in una lettera del 16 aprile 1957 <31 Betocchi pianificò con De Giovanni come procedere con Rebellato che, alla fine di quell’anno, pubblicò Viaggio che non finisce (di cui la Piccola Libreria di Maria Pia Pazielli divenne la principale distributrice, come si legge nella fitta corrispondenza con l’editore veneto conservata nell’archivio personale del poeta ligure).
Mentre il libro era in corso di stampa, Betocchi s’occupò anche della sua capillare e mirata diffusione, elencando, in una lettera-schedario del 28 novembre 1957, più di sessanta personalità a cui De Giovanni avrebbe dovuto spedire la raccolta («Indico accanto se sono / poeti, con una P / critici, con una C / scrittori, con una S / Se è opportuno scrivere “illustre” sulla busta aggiungo una I») [...]

1 Ringrazio, per la generosa disponibilità, Silvia Sereni, Giorgio e Anna Maria De Giovanni, figli dei poeti di cui sono qui citati brani epistolari anche inediti; inoltre Maria Novaro e Maria Comerci della Fondazione Mario Novaro di Genova, per la continua fiducia e la complicità, e Simona Corbellini e Tiziana Zanetti dell’Archivio Vittorio Sereni di Luino, per l’aiuto appassionato (ancor di più in un periodo d’accesso sospeso per gli studiosi a causa delle operazioni d’inventariazione e di condizionatura dei documenti); e “infine” Franco Contorbia e Andrea Aveto. Sono venuto a conoscenza, in chiusura della presente “notarella”, che è in corso di stampa presso Mimesis il carteggio tra Sereni e Betocchi : ringrazio la curatrice Bianca Bianchi per aver accettato e animato un veloce ma proficuo scambio di informazioni, e rimando al volume (il sesto della collana « Testi italiani commentati » della casa editrice milanese) per le trascrizioni complete di due lettere di Sereni a Betocchi qui citate (22 ottobre e 18 novembre 1956).
2 Luciano De Giovanni, Viaggio che non finisce, Padova, Rebellato, 1957. La recensione di Giorgio Caproni a Viaggio che non finisce uscì su «La Fiera Letteraria» del 9 marzo 1958 (p. 3); altre sue righe su De Giovanni si rintracciano, invece, sulla terza pagina del «Corriere Mercantile» del 29 settembre 1959 (nell’articolo-rassegna De Micheli, De Bono, Ghiglione, Del Colle, De Orchi, Milani, Bonino).
3 Luciano De Giovanni, Cautamente presente, Bordighera, Managò, 1987. Nel 1991, per lo stesso editore, uscì Il bosco; queste due raccolte di versi e la precedente Viaggio che non finisce sono state ripubblicate in un cofanetto
quadruplo contente anche Caro Domenico… Conversazioni di Luciano De Giovanni con Domenico Astengo
(Ventimiglia, Philobiblon, 2001).
4 Luciano De Giovanni, Tentativo di cantare una nuvola. Poesie scelte 1948-1990, con uno scritto di Carlo Betocchi, una postfazione di Stefano Verdino e i disegni di Enzo Maiolino, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1993.
6 «Non dimentico i bei giorni in cui ho potuto starle un po’ vicino, la straordinaria domenica a Borello»: così la lettera del 4 ottobre 1956 di Luciano De Giovanni a Carlo Betocchi edita in Il muro che ci separa. Carteggio di poeti liguri, a cura di Paola Mallone, Genova, De Ferrari, 2000, p. 56.
7 Per approfondire il primo incontro e il duraturo rapporto fra i due poeti si vedano un paio di scritti di De Giovanni: Carlo Betocchi: un amico di Bordighera, «Provincia d’Imperia», xi, 54, settembre-ottobre 1992, pp. 12-13 («Io, un clandestino delle lettere a tutti gli effetti, non fosse stato per l’affettuosa opera di convincimento della Pazielli, non mi sarei mai azzardato di avvicinare un “poeta ufficiale”»); e Carlo Betocchi: fede nella carità (con una lettera inedita di Carlo Betocchi), «Il Lettore di Provincia», xxiv, 85, dicembre 1992, pp. 19-22 ; ma si sfoglino anche testimonianze occasionali come quelle contenute nelle conversazioni di De Giovanni con Astengo (Caro Domenico…, cit., in particolare pp. 20-21). Per approfondire, invece, il rapporto dei due poeti con la “libraia” si vedano Il sorriso di Maria Pia. Ricordo di Maria Pia Pazielli di Luciano De Giovanni («Provincia d’Imperia », ix, 42, settembre-ottobre 1990, pp. 23-24) e l’epistolario Betocchi-Pazielli Io son come l’erba (a cura di Paola Mallone, con uno scritto di Luigi Betocchi, Genova, San Marco dei Giustiniani, 2004).
8 A proposito dell’ultimo trasloco della Piccola Libreria (e dell’irripetibile stagione) si legga la Lettera da dovunque pubblicata il 7 settembre 1958 da Carlo Betocchi su «La Fiera Letteraria » (xiii, 35-36, pp. 1-2).
9 Nel fascicolo di «Letteratura» in questione (iv, 21-22, maggio-agosto 1956) la nota di Betocchi e i versi di De Giovanni si trovano alle pagine 108-114, fra le poesie e le presentazioni di Stefano D’Arrigo a cura di Giorgio Caproni (pp. 100-107) e di Alessandro Peregalli a cura di Sergio Solmi (pp. 115-119). Il testo di Betocchi è stato inserito in apertura dell’antologia di De Giovanni Tentativo di cantare una nuvola, cit., pp. 7-10.
10 Per approfondire il rapporto del poeta con Bordighera e con la Liguria, oltre ai saggi a lui dedicati e ampiamente noti, si vedano la raccolta delle sue Prose liguri (a cura di Paola Mallone, Genova, San Marco dei Giustiniani, 2003) e Carlo Betocchi a Bordighera e dintorni (a cura di Luigi Betocchi, con una lettera di Mario Luzi, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1996), che raccoglie sostanzialmente note e commenti alla mostra documentaristica Carlo Betocchi: un amico di Bordighera, tenutasi nella cittadella ligure dal 25 maggio al 15 giugno 1996.
11 «[Betocchi] era, si può dire, il mio contrario», ebbe a ricordare De Giovanni, «effervescente, ottimista, aperto, disponibile. Il suo aspetto era quello di un uomo ancora giovanile, un po’ affaticato, forse, come chi ha dovuto affrontare molte battaglie e altre se ne aspetta, ma senza perdersi di coraggio. Capì subito ciò di cui avevo bisogno e mi prese, in maniera discreta, sotto la sua protezione, affascinandomi col suo fare deciso e la parlata fiorita del toscano» (Caro Domenico…, cit., p. 20).
12 De Giovanni aveva, infatti, già pubblicato alcuni versi su altre riviste: una dozzina di Liriche su «Il Ponte» di Firenze, prima sette (vii, 2, febbraio 1951, pp. 173-174) e poi cinque (vii, 7, luglio 1951, pp. 762-763), grazie
all’interessamento di Giovanni Ermiglia, professore di filosofia di Sanremo; una poesia (proprio quella che contiene il verso che diede il titolo a Viaggio che non finisce), con una foto del poeta e una nota a cura di Francesca Sanvitale, apparve sempre a Firenze ma sul «Giornale del Mattino» del 21 giugno 1956.
15 Il muro che ci separa, cit., p. 57.
16 Ivi, p. 58.
17 Si veda Luciano De Giovanni, Il mio incontro con Camillo Sbarbaro « Il Lettore di Provincia », xxi, 74, gennaio-aprile 1989, pp. 3-7 e, per un ulteriore approfondimento, Alessandro Ferraro, «Aprii, cauto, la porta». L’incontro di Luciano De Giovanni con Camillo Sbarbaro, « La Riviera Ligure », xxviii, 84, settembre-dicembre 2017, pp. 59-71.
18 Luciano De Giovanni, La poesia di Angelo Barile attraverso le sue lettere, «Bollettino della Comunità di Villaregia», i, 1, 1990, pp. 64-72 (65). 19 Il muro che ci separa, cit., p. 133.
20 Attilio Bertolucci, Vittorio Sereni, Una lunga amicizia. Lettere 1938-1982, a cura di Gabriella Palli Baroni, prefazione di Giovanni Raboni, Milano, Garzanti, 1994, p. 213. Il dubbio che si tratti di una lettera del 19 gennaio 1957 e non 1956, come indicato nel carteggio - è quasi prassi, nei primi giorni di gennaio, confondersi e indicare il nuovo anno con il vecchio -, sorge per la collocazione nel carteggio della lettera fra quella del settembre 1956 e quella del 21 febbraio 1958 e per il riferimento nel testo all’imminente uscita (avvenuta nel 1957) delle Poesie scelte di Goethe tradotte da Giorgio Orelli per la «Collezione di Poesia».
21 Un tacito mistero, cit., p. 279.
22 Betocchi fece riferimento a una lettera del 18 novembre di Sereni, in cui si legge: «Ho ricevuto i versi di De Giovanni. Spero che non avrà fretta e che potrò trovare il tempo di leggerli nel modo giusto e di scrivergli»; si rimanda al carteggio Sereni-Betocchi in corso di stampa (cfr. nota 1).
23 Il muro che ci separa, cit., p. 60.
24 Un tacito mistero, cit., p. 287.
29 Sono parole di De Giovanni che, in una conversazione con Astengo, raccontò l’incontro con Betocchi e i suoi tentativi di trovare un editore per Viaggio che non finisce (cfr. Caro Domenico…, cit., p. 20).
30 Giorgio Caproni, Visita a Cittadella [rubrica Taccuino dello svagato], « La Fiera letteraria », xv, 6, 7 febbraio 1960, p. 3; ora in Id., Taccuino dello svagato, a cura di Alessandro Ferraro, Firenze, Passigli, 2018, pp. 186-189.
31 Il muro che ci separa, cit., p. 73. 32 Il muro che ci separa, cit., pp. 86-87.

Alessandro Ferraro, «Almeno il suo giudizio». L’esordio poetico di Luciano De Giovanni nello scambio epistolare con Carlo Betocchi e Vittorio Sereni, «Quaderni del '900», XVIII, 2018
 
 
[1049] Viaggio che non finisce, «La Fiera Letteraria», 9 marzo 1958, p. 3 [Recensione a Luciano De Giovanni, Viaggio che non finisce, Padova, Rebellato, 1957]
(a cura di) Michela Baldini, Giorgio Caproni. Bibliografia delle opere e della critica (1933-2020), con la collaborazione di Chiara Favati, MODERNA/COMPARATA 36, FIRENZE UNIVERSITY PRESS, 2021 

 

lunedì 7 dicembre 2020

Non me la sentivo più di far la parte del poeta del posto

Enzo Maiolino, Ritratto di Luciano De Giovanni (particolare di un disegno del 1957) - Fonte: La Riviera..., Op. cit. infra

Volevo tanto bene a Natta da essermi prefisso di assistere ad ogni costo ai suoi prestigiosi “Lunedì Letterari”, malgrado che si svolgessero nel Teatro dell’Opera del Casinò Municipale [di Sanremo (IM)].
E non soltanto, si capisce, perché sapevo di dargli un piacere - quelle conferenze, alle quali intervenivano valenti scrittori e autorevoli critici non potevano non interessarmi - ma bisogna anche sapere che a quei tempi - si era nel 1958 - io facevo l’idraulico e poteva succedere che proprio durante uno di quegli attesi pomeriggi culturali mi toccasse, per esempio, di dover andare a pulire le stufe di qualche albergo, per cui, scappando poi a casa per lavarmi alla meglio e cambiarmi d’abito, pur giungendo col fiato in gola a occupare una poltroncina in fondo alla sala, non mi trovassi nello stato d’animo ideale per conformarmi di punto in bianco alla sontuosità dell’ambiente, ancora impregnato come mi pareva d’essere di fuliggine e di sudore.
Ma ero giovane e testardo e in quella breve parentesi di brusii e andirivieni che prevedevano l’inizio della conferenza riusciva quasi sempre a rinfrancarmi.
All’apparire sul palco di Natta al fianco del suo illustre ospite, io mi sentivo, ormai, a mio agio; tiravo un sospiro di sollievo e partecipavo allegro ai battimani del pubblico.
Ma Natta, decisamente, insisteva nel chiedermi troppo.
Pretendeva addirittura che, conclusosi il discorso, io lo raggiungessi dietro le quinte e mi facessi coraggiosamente avanti per stringere la mano al celebre personaggio di turno, mentre intanto, Natta, mi presentava.
L’ospite, messo alle strette, doveva pur rivolgermi qualche imbarazzato complimento…
Queste non volute intrusioni in un mondo che non mi toccava finivano con l’opprimermi e me ne tornavo a casa scontento e umiliato, tanto più se m’ero visto costretto a partecipare al rinfresco che concludeva la cerimonia.
[…] Quando ci ritrovammo soli implorai Natta di aver compassione dei miei limiti. Non me la sentivo più di far la parte del poeta del posto, e rinunciavo volentieri ai privilegi che ne derivavano.
[…] Da allora mi godetti il piacere dell’incognito nella mia poltroncina d’angolo, vicina all’uscita, e Natta, quando riusciva ad avvistarmi, mi salutava dal palco con un impercettibile gesto. 

Un lungo ricordo dei “lunedì letterari” apre Il vino schietto dello scrittore Giacomo Natta, omaggio firmato da Luciano De Giovanni per la rivista «Provincia d’Imperia» (14, 1991, pp. 14-15)

Alessandro Ferraro, Aprii, cauto, la porta. L’incontro di Luciano De Giovanni con Camillo Sbarbaro, in La Riviera Ligure, quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro,  XXVIII, n° 84, settembre/dicembre 2017

Enzo Maiolino, Ritratto di Luciano [Luciano De Giovanni], 1956 - Fonte: Comune di Diano Marina (IM) cit. infra

Di Luciano De Giovanni, nato a Sanremo nel 1921 e morto a Montichiari (Brescia) nel 2001, amici e biografi ci hanno consegnato l’immagine “esterna” di uomo schivo e riservato, costretto a intraprendere diversi mestieri e a seguire infine il mestiere del padre idraulico per provvedere ai bisogni della famiglia.
Autodidatta di moltissime letture, negli anni ’50 ebbe presto accoglienza in un cenacolo di poeti e pittori che fiorì a Bordighera, tra i quali Enzo Maiolino e Carlo Betocchi. Fu quest’ultimo a cogliere l’originalità delle sue prime prove e ad avviarlo alla collaborazione con importanti riviste letterarie nazionali. Avvenimento assai importante degli anni successivi è la corrispondenza intensa con due grandi personalità della poesia ligure, Angelo Barile e Camillo Sbarbaro, ch’egli considerò sempre amici e maestri. Con Barile, soprattutto, il rapporto si rivelerà particolarmente affettuoso e continuo data l’affinità -non l’identità- del sentimento religioso che legava entrambi.
L’attività poetica di De Giovanni si estende, con alcune interruzioni, per tutta la seconda metà del secolo scorso. Ma l’interesse esclusivo dell’autore per l’atto creativo in sé, come partecipazione al progetto di vita piuttosto che al successo della sua produzione, ha fatto mancare la cura per il ricupero e l’organica collocazione dei testi in raccolte. Ciò spiega perché ai riconoscimenti sempre lusinghieri della critica non sia seguita la conoscenza e l’apprezzamento del grande pubblico.
Pertanto la pubblicazione delle poesie di De Giovanni, promossa da amici ed estimatori, non colma tutte le lacune e riesce oggi, in parte quasi introvabile. Spetterà ai figli del poeta, Giorgio e Anna Maria trovare mezzi ed energie per dare avvio al recupero e di riordinamento dei materiali esistenti. Solo allora potrà essere avviata un’attività critica da cui attendersi la soluzione dei problemi ancora aperti. Anzitutto quello delle fonti, non ancora esaurientemente esplorate [...]
Mario Carletto, La condizione di precarietà della vicenda umana nell’opera poetica del sanremese Luciano De Giovanni, Incontri in Biblioteca, "L’infanzia, il passato, il presente. Tre stagioni, tre autori del Ponente ligure", Comune di Diano Marina, Biblioteca "A. S. Novaro", 2007

"Ehi, sorellina!". Quasi stupito, appena addolorato, la sgrida come a dirle "Cosa stai facendo? Svegliati! È inverno, fa freddo, ma c'è il sole e il cielo è limpido. Perché sei morta, allora?"
Un minimo e preziosissimo Cantico delle creature, di francescana umiltà e letizia: come tutte le poesie che ci ha lasciato Luciano De Giovanni, nato a Sanremo nel 1922 e morto a Montichiari nel 2001.
De Giovanni per tutta la vita ha svolto lavori umili, portalettere dapprima, poi idraulico; abitava con la moglie e due figli in un piccolo appartamento sulle colline della Pigna, nella Sanremo vecchia, vicino al Santuario dell'Assunta. Amando in modo ingenuo e appassionato la poesia, appena poteva si ritagliava uno scampolo di tempo per studiare Lao Tzu, Bashô, Emily Dickinson, Rilke, Eliot, i Vangeli, i grandi del nostro '900. Tra di loro, anche Carlo Betocchi (altro maestro dimenticato… ), che fu il primo ad accorgersi di lui, presentando alcuni suoi versi sulla rivista Letteratura nel 1956.
Alida Airaghi in La poesia e lo spirito

Nella foto d'epoca, da sinistra, Enzo Maiolino e Luciano  De Giovanni

L’esistenza, oggi, di un Fondo De Giovanni lo si deve alla determinazione ma anche al caso. Era il febbraio del 2011, al Museo civico Borea d’Olmo di Sanremo Giuseppe Conte presentava il suo Viaggio sentimentale in Liguria (Philobiblon, 2010) ed eravamo giunti io da Ventimiglia, Enzo Maiolino da Bordighera e Stefano Verdino da Genova. Cogliendo l’occasione e utilizzando come pretesto la recente pubblicazione di un mio contributo - frondoso, barocco e, ahimè, pure acerbo - su Le case vicino al torrente di De Giovanni (Philobiblon, 2009) Verdino mi presentò Maiolino e poi Giorgio, avvicinatosi dall’angolo dove aveva assistito all’evento: ho conosciuto, così, il figlio e l’amico più fedele del poeta grazie al suo più assiduo studioso [...] Le riviste e il raccoglitore hanno costituito una base molto solida su cui ricostruire la bibliografia degli scritti di e su De Giovanni che si trova in chiusura del quaderno [...] l’autore rimane da decenni introvabile, come gli scrisse il 21 settembre 1984 un lettore d’eccezione, Fredi Chiappelli (da Los Angeles di passaggio a Genova): Gentile signore,leggo su «Resine» le sue Nove Poesie (2). Il profondo interesse di cui mi hanno colpito (e per ragioni che vanno dalla raffinatezza pressoché incredibile nella forma alla percezione degli scandagli nelle più austere aree dell’esperienza) mi spingono all’indiscrezione di scriverle direttamente.Non che non abbia, prima, tentato di rintracciare in varie librerie genovesi qualche Sua pubblicazione; e persino scomodato amici che si occupano di letteratura ligure per essere avviato su una pista bibliografica. Ma sono stati tentativi sfortunati, e anche da [Domenico] Astengo ho avuto il consiglio di scriverle.Non ho mai fatto niente di simile; ed ho tutto l’imbarazzo che potevo avere avvicinandomi alla letteratura quasi cinquanta anni fa. Persino la domanda mi pare cruda e impertinente.Ma vorrei leggere altre sue cose. Dunque: Come devo fare? Come posso procurarmi i suoi scritti?Ora dovrebbe venire un paragrafo di scusa. Me ne voglia esentare: e credermi invece con ammirazione il suo Fredi Chiappelli Sullo scaffale centrale [...]  una geografia in gran parte ligure (con edizioni e dedicatari di Bordighera, Sanremo, Imperia, Albenga, Savona, Genova, Recco e Sarzana) ma qualche libro gli giunse da Milano, Firenze e d’oltreoceano, tramite lo stesso Verdicchio. Oltre al Fuochi fatui con dedica di Camillo Sbarbaro nell’edizione All’Insegna del Pesce d’Oro (Milano 1958) di Scheiwiller [...] spiccano, anche per ricorrenza, i nomi di Elio Andriuoli, Fredi Chiappelli, Franco D’Imporzano, Sergio Ferrero (che attende giudizi e s’augura di non deludere De Giovanni), Roberto Rebora, Lalla Romano (che definisce De Giovanni «poeta del mare», 4 gennaio 1995), Bruno Rombi, Giovanni Testori («a Luciano De Giovanni di cui ho amato le bellissime poesie con affetto», 25 marzo 1971), Renato Turci e Guido Zavanone [...]  È la fedeltà di De Giovanni alla sua terra (nativa o d’adozione che sia), e che ben lo apparenta ai maggiori poeti della «Riviera Ligure», vero com’è ancora una volta che in Liguria non si nasce o non si vive (e soprattutto non si scrive) senza avere almeno un debito verso quel paesaggio, e il suo singolare alfabeto (6).

1 Alessandro Ferraro, Memoria di Enzo Maiolino, «La Riviera Ligure», XXVIII, 83, maggio-settembre 2017, pp. 73-77. 
2 Luciano De Giovanni, Nove poesie, «Resine», seconda serie, VI, 19, gennaio-marzo 1984, pp. 45-47 (con nota di Domenico Astengo, p. 48).
6 Giorgio Caproni, Luciano De Giovanni per i tipi di Rebellato: Viaggio che non finisce, «La Fiera Letteraria», 9 marzo 1958, p. 3. Ora in Giorgio Caproni, Prose critiche, a cura di Raffaella Scarpa, prefazione di Gian Luigi Beccaria, Aragno, Torino 2012, vol. 2, pp. 1003-1007 (1005-1007).
 
Alessandro Ferraro, Partendo dal Fondo in La Riviera Ligure, quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro, n° 87-88, settembre 2018 - aprile 2019, Anno XXX