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martedì 19 dicembre 2023

Hotel Angst - Posto degli sfollati - Terzo Piano 109 - Bordighera

Bordighera (IM): l'ex Hotel Angst

Roberto Muratore scriveva in una data non precisata, alla vigilia della sua esecuzione, alla moglie Antonietta Lorenzi una breve missiva così carica di dignità personale e di affetto per i suoi cari, che meriterebbe di essere citata tra le "Ultime Lettere dei Condannati a Morte della Resistenza Italiana".
Essa, tuttavia, non risulta sinora pubblicata nel sito "ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana".   
Ci sono diverse annotazioni da effettuare in proposito.
La prima consiste nel fatto che il documento in questione - rinvenuto da Paolo Bianchi di Sanremo - è conservato nell'Archivio di Stato di Genova insieme ad altri incartamenti riferiti a processi di epurazione antifascista dell'immediato secondo dopoguerra: se ne può dedurre, per analogia, ma anche alla luce di quanto segue, che lo scritto corrisponda alle ultime volontà di una vittima della furia nazifascista e non di un deliquente qualsiasi, che, anzi, difficilmente in quei tempi oscuri veniva perseguito.
La seconda che per quante altre ricerche - via Web, va da sè - si siano fatte, come nel caso degli elenchi delle persone morte a qualsiasi titolo nel conflitto, realizzati a suo tempo dal Comune di Ventimiglia, i cognomi Muratore e Lorenzi (tipici della città di confine e delle sue Frazioni) non appaiono o come nel caso del memoriale dei Martiri della Strage del Turchino, per la quale le vittime furono barbaramente selezionate tra detenuti nelle carceri di Genova (e nella quale vennero trucidate tre persone di Camporosso, un uomo di Olivetta San Michele, un partigiano di Oneglia ed il patriota antifascista Renato Brunati, che aveva la residenza alla Casa del Mattone di Bordighera). In verità, nell'archivio online dell'Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea "Raimondo Ricci", appare un Roberto Muratore, ma come partigiano della 4a Brigata Val Bormida Giuliani Divisione Autonoma Fumagalli: un caso a parte, dunque.
Ancora. Il biglietto di Roberto Muratore venne scritto a macchina con molti errori di ortografia e di grammatica. Ad esempio, la lettera era indirizzata a "Lorenzi Antonietta - Otel Lans Posto degli sfollati - Terzo Piano 109 - Bordighera". Viene il dubbio - dato il tragico contesto - che sia stato compilato da un'altra persona: si potrebbe persino supporre un furiere tedesco.
Sembra giusto riportarne qualche brano un po' aggiustato in italiano. "Cara moglie mi hanno fatto il processo e mi hanno condannato a morte... la colpa della mia pena è di tuo padrino che ha raccontato tutto quello che ha voluto per salvarsi lui stesso... io di male non ho mai fatto nulla come ben sa tutto il nostro paese. Noi siamo stati disgraziati perché la nostra vita di matrimonio é stata molto breve, ma pensa al bambino che ti conforta. Sono gli ultimi Saluti e baci a te ed al mio piccolo Tino che non ha potuto conoscere suo padre e che ha avuto la medesima sorte di me che non ho conosciuto la mamma. Saluti al fratello e al Padre..."

Uno stralcio del documento qui citato. Fonte: Archivio di Stato di Genova, come da ricerca effettuata da Paolo Bianchi di Sanremo (IM)

Segnalazione di un agente della polizia ausiliaria in data 14 giugno 1945 dello stato di arresto di Onorio Lorenzi, compiuto dagli Agenti di Polizia del Comitato di Epurazione di Ventimiglia, a seguito della denuncia fatta dalla signora Antonietta Lorenzi. Fonte: Archivio di Stato di Genova, come da ricerca effettuata da Paolo Bianchi di Sanremo (IM)

Per essere la signora con il figlioletto sfollata in albergo a Bordighera i coniugi dovevano per forza essere abitanti di un borgo della zona Ventimiglia-Bordighera. Forse di Villatella, Frazione di Ventimiglia (IM), stante l'accusa ("... di aver deposto contro di lui alla G.N.R. di Ventimiglia tanto da farlo fucilare...") fatta, finita la guerra, dalla vedova Antonietta Lorenzi a carico di tale Onorio Lorenzi, residente in quel paese. A Bordighera venivano fatti trasferire gli abitanti delle zone di confine con la Francia (quelli della val Roia addirittura anche a Torino, inoltre con marce forzate). Nelle strutture turistiche requisite furono, del resto, ricoverati gli abitanti della Città delle Palme che avevano avuto le case colpite dai bombardamenti, in genere navali. Tutto ciò lascia inquadrare la possibile data della missiva in oggetto nel periodo compreso tra l'assestamento (settembre 1944) delle forze armate alleate sulla vecchia linea di confine italo-francese e la fine della guerra.
La tragica vicenda di Roberto Muratore forse lascia aperto un altro interrogativo, assodata l'attuale giacenza in Genova del nominato biglietto: quello del suo arrivo o meno fra le mani della moglie e degli oggetti lì segnalati, la fede nuziale, l'orologio e le cento lire.

Adriano Maini

sabato 11 novembre 2023

Per i bombardamenti di Marghera la parrocchia fu invasa da sfollati che occuparono ogni locale libero

Salzano (VE): Chiesa di San Bartolomeo apostolo. Fonte: Wikipedia

Meno pericolosi, ma impegnativi in egual misura, i sacrifici, sia materiali che psicologici credo, sopportati dalle famiglie, per poter accogliere gli sfollati, provenienti a centinaia dalle zone bombardate di Marghera e Mestre; vere e proprie «acrobazie di adattamento» <384, così come definite da Gino Pizzato, necessarie al fine di alleggerire l’inevitabile disagio derivante dalla coabitazione fra estranei sotto lo stesso tetto. I numeri risultano impressionanti, se sommati insieme, e bastano da soli a spiegare le esortazione dei parroci a collaborare, nel momento in cui, inevitabilmente, i locali della parrocchia, compresi la canonica, l’asilo ed eventuali istituti religiosi, fossero al completo.
Don Boschin, ad esempio, si prodigò per gli sfollati che, stando a quanto riportato da don Volpato, affluirono a centinaia nei territori della parrocchia di Gardigiano, facendo «pressione presso parecchie famiglie per l’accoglimento di tutti» <385; dopo averne accolto egli stesso dodici, nella canonica, «ove rimasero per più di 1 anno», mentre altri dieci furono ospitati nella casa del cappellano, dove «rimasero fin dopo la fine della guerra» <386. «[…] per i bombardamenti di Marghera la parrocchia [di S. Maria di Sala] fu invasa da sfollati che occuparono ogni locale libero» <387, mentre «La parrocchia [di Robegano] ha dato alloggio a circa 400 sfollati e tre famiglie furono alloggiate nelle aule della Casa della Dottrina Cristiana» <388; altri 300 a Briana di Noale, provenienti, per la maggior parte, da Marghera e Mestre, ma anche da Treviso, Padova e Zara. Don Zandonadi scrisse anche come le Suore Missionarie d’Egitto, anch’esse sfollate di Marghera, accolte nella Casa della Dottrina Cristiana, avessero aperto un asilo infantile, mentre vi trovò temporanea sede anche la Scuola Interparrocchiale per i seminaristi delle classi seconda e terza ginnasiale, gestita dal prof. don Mario Carraro, che ricevette personale ospitalità in canonica.
Manca qualsiasi riferimento ad eventuali soccorsi prestati dall’autorità civile, forse perché realmente non vi furono, forse per l’elogio che un simile operato, privo di eguali, avrebbe ricevuto; sta di fatto, comunque, che ciò contribuì non poco al delinearsi di un nuovo e più forte ruolo sociale della parrocchia. Ci fu un’eccezione, nella parrocchia di Mirano, dove, ad affiancare don Muriago, nel tentativo di garantire agli sfollati e alle famiglie povere dei richiamati l’aiuto necessario al sostentamento, c’era l’Ente Comunale di Assistenza, «al quale l’Arciprete prestò la sua opera assidua encomiata dalla superiore Autorità locale» <389, oltre alle istituzioni di S. Vincenzo De’ Paoli e S. Antonio.
L’impegno dei sacerdoti non poteva comunque fermarsi alla mera assegnazione di un alloggio, bensì doveva comprendere necessariamente anche il reperimento dei generi di prima necessità, quali cibo e vestiario innanzitutto, senza contare l’aiuto per la ricerca di un eventuale impiego lavorativo: il parroco di Gardigiano indisse «giornate di carità [sottolineato nel testo]» per la raccolta di generi alimentari «a prezzo modico o di calmiere» <390, mentre a Salzano mons. Eugenio Bacchion mise a disposizione dei circa tremila sfollati che giunsero in quel comune, «tutto il grano raccolto colle questue per la Chiesa sempre al prezzo dell’ammasso e così il grano di loro proprietà» <391.
E come dimenticare infine, il compito principale e più importante del sacerdote, quello caratterizzante il suo ruolo ecclesiastico, quello, cioè, concernente la cura spirituale dei propri fedeli? Nelle suddette circostanze, i preti, si trovavano di fronte ad una comunità, talvolta più che raddoppiata, alla quale era d’obbligo garantire, alla stregua dei parrocchiani residenti, la confessione, la somministrazione dei sacramenti, le visite di routine. Molto probabilmente i parroci si avvalevano del supporto di cappellani (sporadicamente menzionati nelle cronistorie) nell’esercizio delle mansioni spirituali, forse le cifre pervenuteci sono state volutamente esagerate, sta di fatto, comunque, che simili parentesi, che ci riportano ad un vissuto più quotidiano, dunque concreto, legato alle necessità della vita reale, simili parentesi, dicevo, hanno il pregio, non solo di ricostruire, anche se parzialmente ed in modo frammentario, le vicissitudini di un paese, ma soprattutto di restituire l’immagine di un clero curato quasi risvegliatosi dal torpore di una vita tranquilla, qual era quella di molte parrocchie del Miranese prima dello scoppio della guerra, e fors’anche del 1943; un clero travolto dagli eventi, al pari di qualsiasi italiano comune, ma che, anche in forza del proprio ruolo, riuscì a trovare il coraggio e il dinamismo necessario (chi più chi meno), per ergersi a guida delle rispettive comunità e condurle così alla fine di quel tragico “tunnel” che fu la storia dell’Italia settentrionale tra la fine del 1943 e la primavera del ’45. Piccole sfide nella quotidianità, affrontate di volta in volta all’insegna della collaborazione o dell’ostilità, della trattativa o della cauta attesa, ma che spesso, proprio a causa del contesto così familiare, molti sacerdoti hanno trascurato di riportare, consegnandone, così facendo, il ricordo all’oblio. Certamente molto è andato perduto, ma attenzione a non trasformare questa indubbia certezza in una cantilena, da ripetere fra sé e sé ogniqualvolta, da documenti di questo tipo, nulla emerge di straordinariamente evocativo dell’epopea resistenziale; noi contemporanei, condizionati come siamo dalle insistenza di certa storiografia su storie di preti eroici, espostisi in prima persona per la salvezza dei parrocchiani dinanzi al pericolo di rappresaglie, informatori delle bande partigiane, se non addirittura torturati e uccisi, siamo propensi a dare marginale importanza a testi che magari si limitano a riportare lunghe liste di bombardamenti sul paese o di nomi di soldati periti al fronte, o peggio, dispersi. Ciò che ritengo doveroso precisare è come la sola presenza del sacerdote, responsabile, lo ricordiamo, di un organismo che andava rivestendo un significativo ruolo di supplenza, era di per sé estremamente importante e decisiva per gli abitanti, forse addirittura per l’equilibrio morale e, aggiungerei, psicologico, degli stessi: trattavasi spesso della sola figura autorevole rimasta, nel momento in cui qualsiasi altra, nell’ambito civile, aveva abbandonato le proprie responsabilità, e la sola autorità degna di rispetto quando il forestiero occupò i posti di comando, nazista o repubblicano che fosse. Forse è in questo senso che vanno lette le affermazioni di don Zandonadi, relativa ai brianesi, una «popolazione cristiana, docile alle direttive del Parroco» <392, aiutati a non perdere «la [sua] calma e fiducia in Dio nemmeno nei momenti cruciali della ritirata tedesca» <393.
Così come l’operato dei parroci fu l’elemento decisivo per la tenuta, sia fisica che morale, della comunità, allo stesso modo tale merito può essere evidenziato nel prodigarsi di quella per i bisognosi, sfollati o soldati renitenti. Dinanzi ai primi bombardamenti aerei, ai segnali, cioè, dell’approssimarsi degli orrori della guerra, con l’emergente consapevolezza di essere coinvolti in prima persona nei fatti che avrebbero deciso del destino del popolo italiano, possiamo solo immaginare quanto significativo sia stato questo soccorso, non solo al fine della sopravvivenza di quelli, ma probabilmente anche nell’operare la scelta di darsi alla macchia; i combattenti erano sostenuti nella loro scelta ed incoraggiati da quel ampio retroterra di solidarietà ed affetti che era il tessuto della comunità parrocchiale, garantendo un senso di continuità esistenziale che andava oltre i referenti familiari.
[NOTE]
384 G. Pizzato, Sotto il terrore (I fatti di Peseggia). Alle vittime innocenti dell’odio fraterno, op. cit., p. 2.
385 Don R. Volpato, Cronistoria, op. cit., pp. I-II.
386 Ibidem.
387 Don G. de Pieri, S. Maria di Sala, op. cit.
388 Don A. Semenzato, Cronistoria della parrocchia di Robegano. 1939-1945, op. cit.
389 Mons. F. Muriago, Parrocchia di Mirano. Relazione degli avvenimenti durante il periodo della guerra 1940-1945, op. cit.
390 Don R. Volpato, Cronistoria, op. cit., p. II.
391 Mons. E. Bacchion, Salzano durante l’ultima guerra, op. cit.
392 Don P. Zandonadi, Allegato alla Cronistoria di Briana durante la seconda guerra mondiale, op. cit., p. 1.
393 Idem, Allegato alla Cronistoria di Briana durante la seconda guerra mondiale, p. 2.
Daiana Menti, Il clero del Miranese dall’inizio del Novecento alla seconda guerra mondiale nelle sue relazioni con le pubbliche autorità, Tesi di laurea, Università Ca' Foscari - Venezia, Anno Accademico 2012-2013